Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Vecchie formule e nuove visioni

di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot (qui sotto la copertina) che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/

La settimana scorsa ho cercato di chiarire perché mi permetto così spesso di dissentire dall’insegnamento tradizionale. Ma adesso andiamo un po’ più in profondità.

Ormai sono tanti i teologi che hanno cominciato a sostenere che le formule usate nel passato dalla Chiesa non possono essere definitive ed eterne. Al posto del modello tradizionale che cristallizza tutto per l’eternità, si è cominciato a sostenere che è indispensabile, anche per l’istituzione religiosa, fare i conti con le nuove visioni e le versioni altrui. La verità che la Chiesa aveva pensato di aver acquisito per sempre, non era vera.

Pensiamo solo a come la Chiesa ha combattuto Galileo negando che la Terra girasse attorno al sole, o a come ha combattuto Darwin negando che l’uomo venisse da un genere umano antico di milioni di anni, che si è suddiviso in varie specie, finché la specie homo sapiens ha preso il sopravvento mentre le altre specie si sono estinte. Questo perché ciò che oggi è verità scientifica comunemente accettata, contrastava con la interpretazione letterale della Bibbia.

1. Tanto per cominciare, per me, ma non solo per me perché sono in compagnia anche del papa emerito tanto amato dai tradizionalisti,[1] resta assai chiaro che su Dio possiamo avere solo idee vaghe e imprecise, e quindi non accetto che la Chiesa m’imponga di credere all’immagine di Dio che ha preconfezionato in tante scatolette chiuse (dogmi irreformabili per l’eternità), da accettare in obbedienza e religioso silenzio. In altre parole, purtroppo noi non siamo in grado di definire Dio senza stravolgerne il volto, o manipolarlo per concepirlo a nostra immagine e somiglianza.

La prima cosa che dunque rifiuto è l’idea che qualcuno possa pretendere di possedere la Verità assoluta riguardo a Dio, e ancor di più che quel qualcuno possa poi pretendere di imporla agli altri (sarebbe puro integralismo). Certo, anche le mie idee possono essere sbagliate, e per questo mi metto in ascolto delle opinioni degli altri con mente aperta, sempre pronto a cambiare davanti ad argomentazioni convincenti. Ma non posso essere aperto a chi mi dice: “Io sono nel giusto, tu sei nell’errore” senza spiegarmi in cosa consiste il mio errore.

Sono invece convinto che il cristianesimo è un pensiero che mai si accontenta, sempre in dubbio, sempre in ricerca; sono convinto che dobbiamo pensare con le nostre teste e non accettare pensieri pensati da altri, obbedendo supinamente a chi ha già pensato prima di noi e per noi. Proprio per questo, don Primo Mazzolari rammentava ai suoi parrocchiani: «Quando entrate in chiesa vi togliete il cappello, non la testa»[2].

Mi trovo allora in perfetta sintonia con quel rabbino (pur non avendo di certo la sua competenza teologica) che singolarmente si opponeva agli altri nove:

Dieci rabbini discutevano su una questione di fede: nove contro uno. A un certo punto i nove, non riuscendo a persuadere il decimo, gli dissero: ‘Dal momento che i nostri argomenti non ti persuadono, ti persuada un argomento divino. Se abbiamo ragione noi questo muro si muoverà. Se hai ragione tu, il muro resterà fermo’. Il muro si mosse, ma il rabbino dissenziente replicò loro: ‘Questo è un miracolo, ma non è un argomento’. Più tardi il rabbino incontrò lo Spirito del Signore che lo rimproverò: ‘Tu mi hai rinnegato!’ ‘No, Signore,’ rispose il rabbino, ‘sei Tu che mi hai dato la ragione, ed allora, servendomi della ragione io non ti rinnego, ma anzi ti onoro’[3].

Insomma, questa storiella fa capire che fra gli ebrei sono ammesse perfino interpretazioni contraddittorie, perché per essi vale il principio di argomentazione, non quello di autorità,[4] come invece ha preteso d’imporre per secoli la Chiesa cattolica. Finché una tesi non viene inficiata da un’argomentazione logica, può coesistere con le altre senza che nessuno possa permettersi di tacciarla di eresia.

Usiamo allora ogni volta che possiamo il nostro cervello che, anche per il credente, ci è stato dato da Dio per pensare[5]. Se rifiutiamo di pensare con le nostre teste rifiutiamo di essere uomini. Albert Einstein, non proprio un fervente praticante, di questo tipo di credenti inquadrati e chiusi ad ogni dialogo, diceva: «se qualcuno ama marciare in fila, vuol dire che ha ricevuto il suo cervello solo per sbaglio; per una persona del genere il midollo spinale sarebbe stato del tutto sufficiente». E l’Ulisse dantesco (Inferno, canto XXVI, 119s.) ci ammonisce ancora oggi:

 

fatti non foste a viver come bruti

ma per seguire virtute e canoscenza

 

E se si ha paura di osare, perché l’Ulisse dantesco è alla fine finito all’inferno, tranquillizziamoci per lo meno con quanto ha detto Gesù: “Perché non giudicate da voi ciò che è giusto?” (Lc 12, 57).

Il problema è che giudicare da soli comporta dubbi e incertezze, mentre da sempre l’uomo vuole sicurezza. L’uomo non sopporta il disordine. Ha bisogno di una fede che dia ordine e un senso alla sua vita, che gli indichi delle mete, che gli imponga una disciplina e un dovere: in una parola è sempre in cerca di certezza. L’uomo ha bisogno di avere tutto sotto controllo. Quando qualcosa gli sfugge, entra subito in fibrillazione. La nostra mente è una macchina costruita per dare senso alle cose[6]. Il cervello, ci dicono oggi i neuro scienziati, è una macchina previsionale degli eventi che riesce a tranquillizzarci. Il cervello sa che se si fa “A” succederà “B”, e se si fa “X” succederà “Y”. Il problema sorge quando non sappiamo cosa succederà. Perché gli esami ci fanno paura? Per la semplice ragione che non sappiamo quali domande ci faranno, e allora non abbiamo la situazione sotto il controllo. Insomma, il nostro cervello vuole essere rassicurato. L’insicurezza crea angoscia e paura[7].

Ecco perché la religione ha conquistato la mente di tante persone, essendo riuscita ad offrire quell’elemento rassicurante che è la legge divina: «beato chi osserva la legge» (Prv 29, 18). Basta obbedire al magistero, unico interprete della legge divina, e ci si sente sicuri, garantiti davanti a Dio, e con la salvezza eterna già in tasca. È Dio, a quel punto, ad essere in obbligo verso di noi. Che tranquillità!

Ma come mai – mi chiedo,- chi pensa così non è mai lontanamente sfiorato dal dubbio di essersi formato un’immagine falsa di un dio creato per la sua sicurezza, per la soddisfazione dei suoi bisogni? La risposta che dà l’obbediente-credente, che vuole obbedire, che vuole credere, diventa semplicemente una proiezione esterna del suo bisogno di sicurezza, che tranquillizza solo chi vuol essere rassicurato. Come mai non pensa che Gesù è stato ammazzato proprio per aver osato smantellare questo illusorio senso di sicurezza, che non dà alcuna salvezza, questa visione troppo rassicurante che la religione di allora già forniva ai suoi credenti? Gesù ha infatti chiarito che non possiamo e non dobbiamo sentirci garantiti davanti a Dio solo perché abbiamo osservato scrupolosamente la legge. Questa mentalità monopolistica nei confronti della verità e la pretesa di esclusività nei confronti della salvezza[8] non basta. Gesù ha eliminato ogni idea di fede funzionale ai nostri bisogni di sicurezza.

2. Allora non dimentichiamo che, proprio per aver rotto questo bel giocattolo (che permetteva al clero di comandare, al gregge di sentirsi sicuro, tranquillo e a posto con Dio obbedendo ai preti e credendo a tutto quello che dicevano), le persone pie e religiose hanno ammazzato Gesù. Ma potevano accoltellarlo, potevano linciarlo. Perché la croce? Perché tutti, in quella società, sapevano che la morte in croce era riservata ai maledetti da Dio ((Dt 21, 22-23)[9]. Quindi una morte così diffamante sarebbe stata la prova provata, davanti a tutti, che Gesù non poteva essere stato inviato da Dio: il figlio di Dio, l’inviato da Dio non poteva morire come un maledetto da Dio.

E in effetti la morte in croce di Gesù disturbava talmente già i primi cristiani, che nei primi secoli la crocifissione non è stata neanche mai rappresentata[10]. Nella cultura di allora un sovversivo giustiziato sulla croce non poteva essere presentato come Dio, e nessuno si azzardava a disegnare (e ancor meno a scolpire) un’immagine di Cristo crocifisso. La rappresentazione più antica che si conosce di un Crocifisso è uno scherno blasfemo, il disegno di un graffito nel quale qualcuno ha tracciato un cristiano che adorava un uomo in croce con la testa d’asino. Questa presa in giro è stata scoperta nelle rovine degli scantinati del Palatino (Roma), ed era accompagnata da un’iscrizione greca: “Alessandro adora Dio”[11]. Ovviamente questo Alessandro doveva essere cristiano di cui si burlava qualcuno del personale del palazzo imperiale. Dunque, per evitare simili vergognose canzonature, molti cristiani sostenevano che in realtà, Gesù non era morto in croce. Secondo il vescovo e teologo greco antico Marcione,[12] ad esempio, Cristo non aveva sofferto realmente nella passione e nella morte, perché la sua carne era solo apparenza. Secondo altri (Menandro allievo di Simon Mago, Saturnino e Basilide, tutti maestri gnostici), sulla croce era finito qualcun altro, per cui non era stato Cristo a patire, ma un certo Cireneo che aveva assunto le sembianze di Gesù[13]. Seguendo questa linea di pensiero cristiana, anche l’Islam[14] nega la sua crocifissione e morte (Corano, sura 4, 156-158). Insomma, l’idea che il figlio di Dio potesse essere condannato a morte come un qualunque malfattore era era indigeribile alla maggioranza. Invece, stando ai capi che lo hanno condannato a morte, esclusa in Gesù ogni manifestazione divina, si affermava che aveva trasgredito e ignorato la legge divina, era un miscredente per cui aveva fatto giustamente la fine dei maledetti da Dio.

Allora Paolo ha dovuto affrontare e risolvere questo bel problema e spiegare alla gente come mai i cristiani adoravano un Dio crocifisso[15]. E ha trovato una brillante soluzione ricorrendo a tutta la teologia della sofferenza e dell’espiazione propria del giudaismo (del resto lui era fariseo - At 23, 6; Fil 3, 5), trovando logico che Dio potesse aver deciso la morte del Figlio per la redenzione e la salvezza dei credenti[16]. Perché Dio ha dovuto farsi uomo? Perché l’uomo ha peccato e Gesù è dovuto morire per i nostri peccati (1Cor 15, 3: “Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture”)[17]. Ecco allora che la fede va collegata al problema del peccato, della sofferenza e del sacrificio, al problema della espiazione e della redenzione (riscatto). Il tutto costruito sullo schema del capro espiatorio dello Yom Kippur.

Quest’idea è piaciuta da impazzire nella Chiesa, anche se – stando ai vangeli - Gesù in vita sua non ha mai affermato che doveva sacrificarsi e morire a causa dei nostri peccati. Per di più questa dottrina fa a pugni con la contestuale dottrina di un Dio misericordioso e desideroso di salvare tutti.

Sta di fatto che la nostra dottrina da allora si è incentrata sul peccato, il che ha portato a vedere un Gesù Redentore che redime l’umanità a prezzo del sacrificio del suo sangue. La croce ha dunque in sé questi significati: espiazione, riparazione, redenzione. Innanzitutto espiazione, perché Cristo paga sulla croce il prezzo di tutti i peccati passati, presenti e futuri commessi da tutti gli uomini: “Non vi è, non vi è stato, e non vi sarà alcun uomo per il quale Cristo non abbia sofferto”[18]. Ma come può Gesù essere morto per i peccati di tutti? Forse che tutti i peccati sono legati da un vincolo di totale solidarietà? E non è la Chiesa a negare la solidarietà visto che afferma che ogni peccato è individuale, tanto da dover essere posto in atto con piena consapevolezza e deliberato consenso (n.1857 del Catechismo)? Dunque, se il peccato è individuale e non universale non può essere solidale, a meno che tutti i peccatori si siano messi prima d’accordo fra di loro. In ogni caso, se il sangue di Gesù ci ha redento ed è stato versato in remissione dei nostri peccati (Ef 1, 7; Col 1, 14), è naturale vedere Gesù come un uomo programmato dallo stesso Dio-Padre per soffrire, per cui l’ombra minacciosa della croce si estende su tutta la relazione fra Dio e noi.

Ci dicono anche che Dio ha voluto e assunto l’esecuzione di Gesù (umano) trasformandola in un sacrificio unico su una scala immensamente più grande, e per una sola volta, per cui la sua sofferenza ha generato una riserva infinita di meriti che viene ridistribuita tramite i sacramenti. Quindi un male sarebbe trasformato in bene. Qui però si può obiettare che l’umanità sarebbe ancora più colpevole di prima per aver inflitto questo torto al Figlio di Dio, per cui avremmo contratto una nuova e illimitata colpa, contratto un nuovo debito con Dio. Inoltre, da una parte di afferma che Dio vede il male ed essendo onnipotente lo potrebbe anche impedire, ma non lo fa per trarne poi misteriosamente un bene maggiore (n.311 del Catechismo); dall’altra è sempre lo stesso Catechismo (nn.1756, 1761, 1789) e anche §14 della Humanae Vitae di papa Paolo VI ad affermare categoricamente che non è lecito compiere il male anche al fine di farne derivare un bene, neanche in presenza di gravissime ragioni. Come allora non si sente che anche qui qualcosa non quadra?

Sta di fatto che questi modelli espiatori paolini, originari della religione ebraica, che Gesù aveva fatto uscire dalla porta e sono rientrati nel cattolicesimo[19] dalla finestra, sono stati poi detti e ripetuti in mille modi e soprattutto rappresentati fino alla morbosità nell'arte, nella letteratura e nell'immaginario popolare, facendoci introitare anche inconsapevolmente questi collegamenti mentali assai pericolosi:

- c’è una relazione quasi necessaria fra purificazione e sangue. Mediante il sangue nella religione ebraica già si purificavano i sacerdoti (Lv 8, 24.30), i leviti (Nm 8, 15), l’altare (Lv 8, 15; 16, 19), il popolo peccatore (Dt 21, 8). Da lì la formula scioccante passata nel cristianesimo con la Lettera agli Ebrei, divenuta una tesi chiave: «senza spargimento di sangue non c’è perdono» (Eb 9, 22)[20].

Ai tempi di Gesù, una delle regole fondamentali che il magistero sosteneva essere voluta da Dio era appunto la rituale purificazione; Dio stesso aveva dato questa legge agli uomini[21]. Nell’episodio della moltiplicazione dei pani (Mt 14, 15-21) risalta l’assenza di qualsiasi invito a purificarsi, com’era invece obbligatorio secondo la religione; secondo la religione Gesù avrebbe dovuto comandare alla sua gente di purificarsi prima di mangiare. Ma Gesù non osservava e non faceva osservare ai suoi la legge divina: ogniqualvolta Gesù si trova a pranzo o a cena (e i pranzi e le cene nei vangeli anticipano sempre l’eucaristia), mai ha chiesto o imposto di fare le rituali abluzioni. Perché Gesù non comanda alla gente che lo segue di purificarsi? Perché evidentemente per lui non è vero quello che insegna la religione: che gli uomini devono purificarsi per avvicinarsi a Dio, per partecipare al banchetto del Signore; al contrario è partecipare al banchetto del Signore quello che li purifica. Non è vero che bisogna prima pentirsi, confessare le proprie colpe, fare penitenze per riuscire poi ad ottenere il perdono di Dio. Dio perdona per primo[22]. Questa è la grande novità portata da Gesù, che ci presenta un Dio che non divide mai fra puri e impuri, fra santi e peccatori. È un Dio che offre a tutti la possibilità di diventare suoi figli adottivi (ricordiamo la veste e l’anello del figliol prodigo, che torna per fame, non perché si è pentito – Lc 15, 11ss.), purché si accetti la sua offerta[23]. Dio ama il peccatore malgrado il peccato. L'amore di Dio non si lascia condizionare dal comportamento dell'uomo.

- Si afferma una stretta relazione fra la violenza e la salvezza[24]. Infatti se Dio ha bisogno di sacrificare il proprio Figlio, il quale si fa carico dei nostri peccati e subisce l’ira violenta del Padre, è consequenziale avere un’idea del mondo nel quale la violenza è naturale: la mette già in atto lo stesso Dio, che non perdonò neanche suo Figlio consegnandolo (alla morte) per i nostri peccati (Rm 8, 32).

Anche qui, il Dio violento era già presente nell’interpretazione sacerdotale della Bibbia[25]. Allora non stupisce che, in una religione dove si crede che Dio stesso uccida e massacri, si compongano salmi nei quali le stragi compiute dal Signore siano viste come un segno della sua misericordia (Sal 135-136), e sfracellare i figli dei nemici sia considerata una beatitudine (Sal 137, 9: Beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia).

- C’è una parentela profonda fra religione e violenza come risulta dal fatto che l’atto supremo della religione sta nel sacrificio [26]. Il sacrificio, che consiste essenzialmente nella morte rituale della vittima, è di per sé un atto violento, e questa violenza facilmente viene deviata anche contro altri essere umani, soprattutto quando sono visti come nemici della religione.

Seguendo la linea sacerdotale, ai tempi di Gesù i credenti erano convinti di essere a posto con Dio dopo aver comprato gli animali e dopo averli offerti in sacrificio nel Tempio. I credenti si comportavano così perché questo diceva la legge divina. Invece Gesù ha portato un’immagine nuova di Dio: anche nell’Enciclica Redemptoris missio del 7.12.90[27] al § 5 si è affermato che, attraverso Cristo, Dio si è fatto conoscere nel modo più pieno: egli ha detto all'umanità chi è. E Gesù ci ha detto che non si deve pagare niente per ottenere il favore di Dio. Ancor di più: Gesù ha detto che la relazione con Dio non deve abbassarsi a una logica mercantilistica di dare-avere. Gesù, dunque, escludendo che i sacrifici possano servire per meritare l’amore di Dio fa notare che Dio è già presente nel cortile dove si trovano i pagani e gl’impuri, e non occorre pagare niente perché l’amore di Dio è gratis. Ma sul sacrificio sarà opportuno tornare in seguito.

- La sofferenza è necessaria affinché possa avere soluzione il problema del peccato. Questo è forse il punto più tragico: se (secondo l'insegnamento della teologia cristiana) il peccato è ciò che ci separa da Dio e la liberazione dal peccato è ciò che ci avvicina a Dio, allora c'imbattiamo nel dato, totalmente impressionante e ripugnante, secondo cui la condizione indispensabile per stare vicini a Dio è passare attraverso la sofferenza[28].

Il primato della sofferenza è entrato a pieno diritto nella religione cattolica, diventando un punto fermo della sua dottrina: “La sofferenza deve essere dolce e saporosa per amore di Cristo… la sola strada che porta alla vita è quella della santa croce e della mortificazione quotidiana… Gesù è morto in croce per te…se davvero vuoi amare il Signore e servirlo, ti resta soltanto il patire…”[29] “a imitazione di Cristo che ha saputo patire per tutta la vita, è giusto che io, misero peccatore, sappia sopportare le miserie di questo mondo…”[30].

In realtà anche Gesù voleva evitare la sofferenza, anche la propria (“allontana da me questo calice” – Lc 22, 47). Soffrire come ha sofferto Gesù non è essenziale nella vita cristiana; anche se può accadere a qualcuno di finire a sua volta ‘sulla croce’. Martin Luther King, pastore protestante ucciso nel 1968 per la sua attività a favore dei diritti civili degli afro-americani, ha invitato la gente a rifiutare il ruolo di vittima, ma anche quello di vittimizzare gli altri. Il suo desiderio era di porre fine alle sofferenze di tanta gente, non di imitare Cristo sul crocifisso,[31] anche se ha accettato il rischio di finire a sua volta ammazzato per quello che faceva. In questo forse ha capito meglio di noi il significato della croce.

L’atteggiamento di tutta la vita di Gesù si è caratterizzato per lo speciale rapporto col Padre, da cui Gesù si è sentito amato, ha avvertito l’amore del Padre ed è vissuto rimanendo nel suo amore. Se allora è stato consapevole di questa presenza positiva che l’ha fatto crescere (confermata in Gv 15, 9), è contraddittorio pensare che questo grande amore possa coesistere con la volontà del Padre di ucciderlo per soddisfare il suo alto senso di onore leso dai peccati degli uomini.

Secondo Gesù, Dio ama gli uomini nonostante siano fragili peccatori, e li ama perché egli stesso è buono e fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi (Mt 5, 45); fa cadere la pioggia sul campo del buono e sul campo del cattivo (Mt 5, 45). Di conseguenza Dio non è mai un problema per l’uomo, e l’uomo non ha bisogno di affannarsi per placarlo o per cercare di essergli gradito, di ammaliarlo per sperar di ottenere la sua grazia, anche se il Catechismo afferma il contrario (n.848 Catechismo)[32]. Dio è sempre favorevole all’uomo, perfino a quello che si dichiara suo nemico (Rm 5, 6-8)[33]. Dobbiamo cancellare il dio di Amos che distrugge le città (Am 3, 14s.), che fa piovere solo sui campi dei meritevoli (Am 4, 7), che è sempre arrabbiato per i peccati degli uomini, che si vendica e castiga duramente i disobbedienti.

In effetti, se Dio è amore, l’amore non dovrebbe preferire uomini felici piuttosto che uomini sofferenti? Dio non dovrebbe essere contento della felicità dell’uomo? Da quando in qua un genitore che ama il proprio figlio, e non è un sadico, vuole per lui la sofferenza, l’umiliazione e non la sua felicità? Da quando in qua un padre vuole per il proprio figlio una vita di mortificazioni e di privazioni, o – ancor peggio - lo vuole morto? Se Dio-Padre lo vuole morto arriviamo alla triste conclusione che l’amore di un normale padre terreno è di gran lunga migliore dell’amore di questo eccelso Padre celeste, per cui non c’è da stupirci se, scoprendosi migliori del dio al quale veniamo invitati a credere, le persone rifiutano simile tipo di padre che sembra inferiore a tutti noi nella capacità di amare. Oggi, più o meno tutti concordano nel pensare che l’amore di un Padre non può far inchiodare il figlio (per di più prediletto) sulla croce, e che un simile padre – se esistesse in terra,- sarebbe subito arrestato e rinchiuso in carcere con la grave accusa di omicidio premeditato. In parole povere: questo linguaggio su Gesù Cristo, anche se è durato per quasi duemila anni, oggi non è più accettabile, e per di più, invece che avvicinarci a Dio, ci allontana da Lui. Dunque è giocoforza sostenere che la sofferenza della croce non è stata voluta né da Dio, né da Gesù.

Forse è allora anche giunto il momento di affermare a chiare lettere che non è la sofferenza che ci fa progredire. Non è la sofferenza che ci salva. Dio non manda né la sofferenza, né le malattie. Dio è il Dio della vita, che fa fiorire la vita. La Buona Novella non è la sofferenza, ma il fatto che le persone possono migliorare la loro vita; e per questo Gesù ha ricordato quello che aveva detto il profeta Isaia sulla liberazione dei prigionieri, sul dare la vista ai ciechi, liberare gli oppressi, gli esclusi, gli emarginati, e i disprezzati.

Questo mi indirizza anche nel senso che non si può intervenire nella vita con principi assoluti o dogmatici o moralistici o legalistici (pensiamo solo ai temi come l’aborto, il fine vita, la sessualità). Combattere una battaglia astratta può anche farci sentire veri soldati di Cristo, ma attenzione – diceva fra Giovanni Vannucci[34]– che così le forme della nostra vita cristiana diventano architetture vuote quando non si calano nella concretezza del reale. Noi cristiani predichiamo i cardini della nostra fede, ma poi, quando incontriamo concretamente il prossimo (come succede al prete ed al sacrestano del Tempio nella parabola del buon samaritano – Lc 10, 25ss.) restiamo a cavallo, facendo finta di non vedere la sofferenza che ci passa accanto. Invece di entusiasmarci per progetti astratti, occorre scendere da cavallo, e stringere nelle proprie mani il volto di chi sta concretamente soffrendo in quel frangente, perché il cristianesimo non è e non deve essere un’ideologia, ma una partecipazione alla vita guidata dal cuore.

È chiaro che qualunque pretesa di spiegare la sofferenza a partire da Dio finisce per dire che la sofferenza è buona, il che è del tutto inaccettabile. L’unica sofferenza che Dio accetta è quella che scaturisce dalla lotta contro la sofferenza, come ha dimostrato Gesù con la sua vita, come ha dimostrato Martin Luther King con la sua vita.

 

                                                                                                                                               (continua)




NOTE

[1] Lo ha detto papa Benedetto XVI: quando si parla del Dio Trascendente, non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita, appartenendo noi a un ambito diverso (Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 163s.).

[2] Frase riportata in Casati A., Le paure che ci abitano, Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2010, 78.

[3] Tratto da Guerriero A., Quaesivi et non inveni, Mondadori, Milano, 1973, 117.

[4] Il grande esperto del giudaismo Paolo de Benedetti ha detto: “L’ebraismo mi ha insegnato a diffidare estremamente di tutti coloro che dicono ‘questa è la verità’: dal papa a chiunque altro. Ma soprattutto direi che ci sono quattro ‘stelle polari’, le regole ermeneutiche che definiscono l’essenza dell’ebraismo. La prima: vi è sempre un’altra interpretazione possibile, diversa dalla tua. La seconda: aggiungere sempre alle proprie affermazioni un “se così si può dire”, per attenuarne il valore. La terza: mettere un tempo di sospensione tra la domanda e la risposta. Non dobbiamo avere la pretesa di risolvere tutte le difficoltà. La quarta: insegna alla tua lingua a dire: “non so”, per non essere preso in seguito per mentitore. Queste regole valgono per l’ebraismo, ma dovrebbero valere anche per il cristianesimo. Ho notato che proprio il pluralismo ermeneutico ha salvato l’ebraismo dagli scismi e dalle eresie. E dal dogma” (in https://www.doppiozero.com/materiali/intervista-paolo-de-benedetti).

[5] Quando Dio dice ad Abramo di "camminare davanti a lui" (Gn 17, 1) significa che Egli resterà sempre il suo pastore, ma non sarà più il suo sorvegliante, il suo poliziotto. Abramo è libero da quel momento, perché il guinzaglio che lo obbligava è stato tolto (RaimonPanikkar dialoga con il rabbino Pinchas Lapide, Parliamo dello stesso Dio?, ed. Jaca Book, Milano 2014, 54).

[6] Il cervello dà priorità a tutto ciò che sembra offrirci stabilità, omogeneità con ciò che già sappiamo, mentre l’avversione per l’incertezza è ormai comprovata da esperimenti di vari istituti psicologici degli Stati Uniti (DiSalvo D., Cosa rende felice il tuo cervello, ed. Bollati Boringhieri, Torino, 2013; nello stesso senso vedasi anche il saggio di Piattelli Palmarini M., Chi crediamo di essere, ed. Mondadori, Milano, 2012).

[7] La paura «non è una passione particolare, ma soltanto un eccesso di viltà, di stupore e di timore, sempre vizioso… E  poiché  la  causa  principale della paura è la sorpresa, non c’è niente di meglio, per evitarla, che usare la premeditazione e prepararsi a tutti gli avvenimenti, il timore dei quali la può causare» (Cartesio, Le passioni dell’anima, ed. Utet, Torino, 1951, art. CLXXIV-CLVXXVI).

[8] Raimon Panikkar dialoga con il rabbino Pinchas Lapide, Parliamo dello stesso Dio?, ed. Jaca Book, Milano 2014, 48.

[9] Croce significa un cadavere appeso ad un palo, sul quale  pesa la maledizione che ricadeva sugli “stranieri” e sui “ribelli” (Giuseppe Flavio, Guerra Giudaica, 2.306, 308; 5, 449-453; Filone, In Flaccum,72, 84), sui delinquenti violenti (Marziale, De spectaculis 9) e sugli schiavi (Cicerone, In Verrem, 2.5.162; Giovenale, Satire, VI, 219-224; Tacito, Annales, XIII, 32.1).

Un cittadino romano non poteva essere crocifisso, tanto che Paolo verrà decapitato.

[10] La crocifissione, cioè il simbolo per antonomasia del cristianesimo, non era tale agli inizi; la prima rappresentazione di una crocifissione nell’arte risale ad appena il 432 d.C. e si trova intagliata su un pannello della Porta della Basilica di S. Sabina sull’Aventino a Roma. 

[11] Castillo J.M., El evangelio marginado, Desclée De Brower, Bilbao, 2029, 76. Heim S.M., Saved from sacrifice, Wm, B. Eerdmans Publishing, Grand Rapids, Michigan (USA), 2006,167.

[12] In pillole: Marcione, gnostico pure lui, ha elaborato un violento attacco contro gli ebrei, figli del diavolo (il diavolo è il malvagio Dio creatore della materia, il Dio della Bibbia). Gesù è il messaggero non umano del Dio amore del Vangelo ed è l’opposto del Dio violento della Bibbia. Per riscattare gli uomini dal Dio violento Gesù è dovuto morire, in apparenza. Tutti si salvano a questo punto, tranne coloro che credono nel Dio creatore malvagio. La posizione di Marcione è stata dichiarata eretica, ma il danno dell’ostilità dei cristiani verso gli ebrei è rimasto nel tempo.

[13] Flores d’Arcais P., Gesù, L’invenzione del Dio cristiano, ed. add, Torino 2011,101 e 104. Heim S.M., Saved from sacrifice, Wm, B. Eerdmans Publishing, Grand Rapids, Michigan (USA), 2006, 201: per gli gnostici la crocifissione non è avvenuta o è apparente perché Gesù non è realmente umano per cui non può essere ucciso.

[14] Che pur riconosce che Dio ha mandato Gesù, figlio di Maria, e gli ha dato l’incarico di proclamare il Vangelo a conferma della Torah rivelata prima, guida e monito per chi ha timore di Dio (Corano sura 5, 46), che pur riconosce Gesù eminente in questo mondo e nell'aldilà, tra i più prossimi a Dio (Corano sura III, 45),

[15] Il teologo Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 56 e 85, spiega appunto che i primi cristiani dovettero cercarsi una spiegazione religiosa per giustificare il fatto che adoravano un individuo giustiziato su una croce (il che costituiva una maledizione: Dt 21, 23), visto che una simile fine difficilmente poteva essere accettata per il Figlio di Dio e come modello da imitare.

[16] In diverse lettere Paolo dimostra chiaramente di non credere che Gesù fosse Dio.  Co erede

[17] Gesù è morto per noi (Rm 5, 8), è morto per espiare i nostri peccati. Dio non punisce il peccatore come meriterebbe, ma immeritatamente lo giustifica attraverso la morte di Cristo che ha quindi portato al perdono dei nostri peccati (At 10, 43; 13, 38s.).

[18] Canone 4 del Concilio di Quierzy (anno 853), De libero arbitrio hominis et de praedestinatione, richiamato dal n.605 del Catechismo.

[19] Non altrettanto essenziali sono le dottrine dell’espiazione e della soddisfazione nel cristianesimo ortodosso orientale che segue invece la dottrina della divinizzazione. Lì, cioè, si sostiene che tutto ciò che proiettiamo su Dio è proiezione umana, e la salvezza non può essere spiegata in termini umani. Solo diventando uno con Dio possiamo salvarci, e in questo senso si parla di divinizzazione dell’uomo.

[20] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 76.

[21] Neanche i cattolici non sono rimasti esenti da questa idea di fondo. Cosa si è sempre fatto come primo gesto entrando in chiesa? S’immergevano le dita della mano destra nell’acquasantiera, e ci si faceva il segno della croce. Il gesto deriva chiaramente da questa tradizione antica, secondo la quale bisogna in qualche modo purificarsi con l’acqua prima di entrare in contatto con Dio. Il contatto diretto con Dio non è permesso all’uomo, che deve farlo precedere da un rito. Analogamente il prete sull’altare si lava la punta delle dita prima della consacrazione.

[22]  Leggiamo l’episodio in cui Gesù chiama a sé il pubblicano Matteo (Mt 9, 9; Levi per Mc 2, 13 e Lc 5, 27). Cosa fa Gesù? Gesù chiama al suo seguito non un pio credente, ma un peccatore ufficiale, un ladro di professione che incamerando le tasse chiedeva sempre più del dovuto, e tartassava la gente. I pubblicani, cioè gli esattori delle tasse per conto degli impuri occupanti romani, vivevano a tal punto nell'impurità da essere certi di non potersi salvare. Questo pubblicano lo segue; ma di nuovo, se Gesù fosse stato una persona veramente religiosa, a questo peccatore incallito che ha passato tutta la vita nel peccato, per prima cosa avrebbe detto: “Adesso che hai deciso di seguirmi ti fai qualche settimana di penitenza, ti purifichi, ti penti, digiuni per un po’ (magari nel deserto), preghi, restituisci il maltolto; alla fine di tutto questo ti concedo il perdono del Signore, e finalmente meriterai di entrare a far parte del mio gruppo”. Niente di tutto questo: Gesù, come questo si alza e lo segue su semplice invito, lo porta subito a pranzo con lui, il che voleva dire – per i ben pensanti - che il peccatore impuro avrebbe infettato anche Gesù. E invece non hanno capito che non c’è più religione: accogliere il Signore rende di per sé puri, mentre non bisogna essere puri per accogliere il Signore (Maggi A., La follia di Dio, ed. Cittadella, Assisi, 34).  Agli occhi dei farisei era Levi che infettava Gesù e il suo gruppo; agli occhi di Gesù, è Dio che purifica Levi e tutti quelli come lui. Quindi basta con questa lagna di “non son degno…” Non e vero che bisogna essere degni per accogliere il Signore, ma accogli il Signore e lui ti rende degno. Questa è la Buona Novella.

[23] Matteo/Levi si alzano e seguono loro Gesù. Non basta l’invito, occorre accettarlo.

[24] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 76.

[25] Nella Bibbia si trova un Dio entusiasta di tutta la sua creazione (Gn 1, 13-31), pronto a perdonare gli uomini che vuole liberi, gioiosi, e la relazione con Dio avviene attraverso l’amore. A questo Dio si riallacciano i profeti. Ma poi s’incontra anche un Dio per cui tutto è peccaminoso: è il Dio Legislatore che pone continui divieti (Lv 11). A questo Dio si riallacciano i sacerdoti. I primi aprono lo spazio al “forse,” al dubbio. I secondi, puri e duri, annegano nelle certezze.

Per fare un solo esempio della cupa linea sacerdotale: «Un martello sei stato per me, uno strumento di guerra, con te martellavo le nazioni, con te annientavo i regni, con te martellavo cavallo e cavaliere, con te martellavo carro e cocchiere, con te martellavo uomo e donna, con te martellavo vecchio e giovane, con te martellavo ragazzo e fanciulla, con te martellavo pastore e gregge, con te martellavo l'aratore e il suo paio di buoi, con te martellavo principi e governatori. Ma ora ripagherò Babilonia e tutti gli abitanti della Caldea di tutto il male che hanno fatto a Sion, sotto i vostri occhi. Oracolo del Signore» (Ger 51, 20-24).

[26] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 25.

[27] In www.vatican.va/Sommi_Pontefici/Giovanni_Paolo_II/Encicliche.

[28] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 75s.

[29]De imitatione Christi, Libro II, Cap.XII.

[30]De imitatione Christi, Libro III, Capp. XVIII e XXXI.

[31] Heim S.M., Saved from sacrifice, Wm, B. Eerdmans Publishing, Grand Rapids, Michigan (USA), 2006, 249ss.

[32] Lutero aveva affermato che essendo Gesù nostro liberatore, ci aveva liberati dal bisogno di autogiustificarsi, di dare da noi stessi un senso alla vita. La vita ha un senso perché siamo creature amate da Dio indipendentemente da ciò che facciano o siamo; essendo noi esonerati dal doversi preoccupare della nostra giustificazione – in quanto siamo giusti davanti a Dio non per le nostre opere, ma per la sua grazia, il suo amore gratuito - il credente è libero di occuparsi del suo prossimo (Kampen D., Introduzione alla teologia luterana, ed. Claudiana, Torino, 2011, 21 e 24).

[33] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, ed. Cittadella, Assisi,1989, 87.

[34] Orlandi M., Giovanni Vannucci, custode della luce, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 62.