Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

 Cristiani non credenti e laici credenti (continua)


di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/


7. Un po’ come tutte le altre tradizioni religiose, anche la nostra Chiesa ci ha sommerso di regole da seguire, se vogliamo essere a posto con Dio. Invece, sempre nel Vangelo di Maria Maddalena,[1] viene da Gesù l’espresso invito a diffondere il suo messaggio senza imporre alcuna regola. Viene cioè proposta una via a-dottrinale. Bisogna solo seguire il proprio cuore e la propria coscienza. Detto con altre parole, il giudizio finale sarà tutto su ciò che avremo fatto, e sul cuore con cui lo avremo fatto[2]. Insomma, Gesù, davanti alla crisi di credibilità per come veniva trasmesso il messaggio della ‘Chiesa’ di allora, ha ripensato la religione, l’ha cambiata con proposte talmente innovative da venir rifiutato dalla classe sacerdotale di allora che non accettava simili rotture del proprio progetto religioso. Valori come gratuità, libertà, amare e lasciarsi amare davano l’opportunità a tutti di vivere qualcosa di radicalmente nuovo (il vino nuovo in otri nuovi – Mc 2, 22), ma a scapito dell’autorità e dell’insegnamento tradizionale del clero, che vedeva modificata la sua stessa struttura e perdeva d’importanza.

Probabilmente anche noi oggi stiamo vivendo un periodo di grandi cambiamenti all’interno della religione cristiana, nel senso che la cultura religiosa che ha modellato per secoli l’identità cristiana non regge più. Come in ogni momento di crisi, anche da noi oggi molti volgono lo sguardo al passato, cercando la sicurezza dei bei tempi andati. Ma è ormai assodato che la Chiesa ha perso la centralità che teneva nelle società occidentali del passato; non si accetta più la sua pretesa autorità; non si accettano più le sue tremende minacce che non hanno più la presa che avevano in passato; non si accettano più tanti contenuti dottrinali che in passato erano accettati e sembravano evidenti, ma oggi sembrano incredibili[3]. Non dobbiamo stupirci se oggi sono sempre di più coloro pensano in modo diverso dai propri nonni, perché cultura e conoscenza sono radicalmente cambiate.

Dunque, tornando a Gesù, egli non comanda nulla, anzi lascia liberi, perché l’amore lascia liberi, anche se – dal lato pratico - è assai più faticoso dell’obbedienza che toglie di mezzo ogni responsabilità personale. Inimmaginabile per tanti credenti, i quali obbedendo si sentono a posto con Dio: “se il vescovo mi ordina di fare così io faccio così, sarà lui poi a vedersela con Dio; io sono a posto”. Però, per rendersi conto della pericolosità dell’obbedienza cieca e irresponsabile, basterebbe ricordare loro come le più grandi efferatezze della storia non si devono ai disobbedienti, ma a coloro che hanno obbedito agli ordini ricevuti[4].

Ancora oggi, molti cattolici sono convinti che si è credenti solo quando si seguono, come in un gregge,[5] le direttive, i dogmi, gli insegnamenti della gerarchia vaticana (l’unico pastore di quell’unico ovile), e forti di questa garanzia che basta per la salvezza eterna, attraversano tranquilli il ponte della vita, sicuri di essere automaticamente salvi. Solo dopo il concilio Vaticano II la Chiesa ha (ri)cominciato a proclamare con forza che Dio è Amore (1Gv 4, 7).

Oggi, perciò, tutti i cristiani sanno bene che la cosa più importante dovrebbe essere questo amore; ma poi molti, nella loro vita, si limitano a praticare un insieme di obblighi che non hanno molto a che fare con l’effettivo amore per il prossimo, in quanto restano ancora intimamente convinti che solo osservando tutti gli obblighi religiosi possono realizzare nella propria vita l’amore cristiano; anzi quando l’amore vero entra in contrasto o in concorrenza con ciò che è stabilito per legge, cominciano a guardare a questo amore con estremo sospetto,[6] esattamente come il pio sacerdote rispettoso degli obblighi della legge avrebbe guardato con sospetto l’impuro samaritano che palesemente la violava toccando il ferito sanguinante (Lc 10, 25ss.). Insomma, secoli d’insegnamento religioso, secondo cui anche l’amore è osservanza delle leggi (Sap 6, 18), lasciano inevitabilmente il segno. Eppure dovrebbe essere pacifico che se Dio è Amore, qualsiasi messaggio imposto viene in realtà dalla religione, ma non può venire da Dio: quando due persone si amano non salterà mai loro in mente di stabile regole per precisare legalmente come devono amarsi;[7] le regole s’invocano quando ci si separa litigando.

Ricordiamoci anche di queste parole fondamentali dette da Gesù: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13, 34s.). L’amore non inteso come sentimento, ma come un modo di comportarsi che si riassume nella buona disposizione verso tutti e in tutte le circostanze. I veri seguaci di Gesù, cioè i veri cristiani, pertanto, non si caratterizzano, né si definiscono per “una determinata forma di religiosità” (credenze, osservanze, pratiche rituali), ma per “una profonda umanità”, che si concretizza nella più incondizionata “bontà” con tutti e in tutte le circostanze immaginabili[8].

Con Gesù non c’è più alcuna imposizione di una legge alla quale bisogna obbedire, ma c’è l’offerta di un amore da accogliere per poi riversarlo sugli altri. Gesù formulerà l’unico comandamento che vale per i cristiani: quello di amarsi gli uni gli altri «come io vi ho amato» (Gv 15, 12)[9]. E nonostante quello che si vede in giro, l’amore - che a differenza del male non fa notizia - ha evidentemente ancora il sopravvento nel mondo, perché (come Gandhi aveva fatto giustamente notare), se la somma delle attività umane desse un totale distruttivo, il mondo sarebbe già finito da un pezzo. Per fortuna l’amore, anche se non fa notizia, anche quando viene diffuso da non-cristiani, continua a sostenere questo pianeta. Purtroppo, noi cattolici siamo ancora eredi di un insegnamento religioso che sprigiona più paura di Dio che amore, in netto contrasto con quello che dicono i vangeli. Quindi, di nuovo, i cristiani veri seguaci di Gesù mi sembrano assai pochi, da quello che si vede in giro.

Nel Vangelo di Maria, Gesù, dopo aver dato queste scarne istruzioni (anzi: non-istruzioni, perché non si può comandare di amare), se ne va lasciando i discepoli soli, con tutta la loro responsabilità di adulti. Spetta a ognuno di loro discernere, come sollecita in continuazione papa Francesco, dove discernere significa fare le scelte oculate. Non spetta a Pietro, indicato presto come capo della Chiesa, discernere per tutti gli altri e quindi decidere per tutti[10]. Anche in Mc 10, 25 (nel guarire di sabato l’uomo dalla mano inaridita) Gesù fa notare che gli altri, nella sinagoga (cioè in chiesa) obbediscono alla legge del sabato “per la durezza dei loro cuori”: qui è chiaro che per Gesù bisogna affrancarsi dalla Legge spacciata per divina quando si è adulti, mentre chi segue la Legge - senza usare la propria testa - resta come un bambino. Eppure il Catechismo della Chiesa cattolica, con le sue centinaia di regole su cosa fare e cosa non fare, su cosa credere e cosa non credere, si rivolge dopo duemila anni ancora a noi come fossimo un gregge di piccoli bambini, incapaci di ragionare responsabilmente, invitandoci all’obbedienza senza pensare con la propria testa. L’autorità ecclesiastica di oggi – come quella dell’antico Israele - ha paura di perdere il proprio potere se uno pensa con la propria testa. Eppure, quando Gesù chiede “perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 57, 12), è chiaro che rifiuta di comandare, anzi invita ad essere liberi, a discernere in proprio, come si deduce ancor più chiaramente dal vangelo apocrifo di Maria Maddalena. E di nuovo, se uno pensa che un vangelo apocrifo non sia attendibile, anche nel vangelo canonico di Giovanni, Gesù se ne va lasciando soli i discepoli (Gv 16, 7: è bene per voi che me ne vada). L’abbandono di Dio (perché per l’insegnamento tradizionale Gesù è Dio), cioè lasciare a un certo punto che noi ce la sbrighiamo da soli, è indispensabile per farci crescere. Se Dio resta vicino a sostenerci diventa una stampella per tutta la vita, non sarà mai il Dio della maturità, ma solo un Dio-tutore, e gli uomini resteranno sottomessi ad altri uomini che scelgono di essere i nostri tutori; in effetti la Chiesa ha sempre cercato d’imporsi come nostra tutrice, o – visto che si autodefinisce Madre - come una madre iperprotettiva.

Ecco perché, fra la proposta di Pietro (seguita dalla Chiesa ufficiale) e quella che, per semplicità, indico come proposta di Maria Maddalena, trovo più coerente e appetibile la seconda: essere cristiani significa, per me, essere seguaci di Gesù, comportandosi da adulti, liberi e responsabili, attivi ma non sottomessi.

Quando Gesù cita il libro dei Proverbi (Prv 24, 12), «e renderà a ciascuno secondo le sue azioni» (Mt 16, 27), o – in altre edizioni – “secondo le sue opere,” sta dicendo che l’uomo sarà valutato per la vita che ha praticato, per le opere che ha fatto, e non per i dogmi o le dottrine religiose che ha professato. Viene nuovamente smentito il catechismo di Pio X, secondo il quale è credente chi osserva la dottrina insegnata dai legittimi pastori della Chiesa e si sottomette ad essi.  Perché in chiesa non ci viene detto invece che la vita di Gesù è stata uno scontro costante con “il rituale” e con “il sacro”, con gli osservanti della legge, delle norme, delle cerimonie e degli atti religiosi?[11]

Decisivo nella vita – lo è stato in quella di Gesù, e deve esserlo anche nella nostra – non è la sottomissione dell’“umano” al “divino”. Decisivo è che l’“umano” si liberi in noi dall’ “in-umano” fino al punto da far conoscere il “divino” nascosto in noi e che finalmente può rivelarsi nella “nostra umanità”. Vale a dire, si tratta di diventare ogni giorno più umani, più buoni, più tolleranti con tutti. La condizione umana non porta di per sé automaticamente a questo livello. In noi, l’“umano” è fuso con l’“inumano”. Ma per questo, quando nella vita noi incontriamo una persona profondamente umana, in questa umanità (liberata dall’ “in-umano”) scopriamo che è vero che esiste il “divino”[12].

Ecco perché mi ritrovo pienamente nella convincente teologia innovativa di Castillo[13] che qui cerco di riassumere in poche righe. Dire che Dio si è incarnato equivale a dire che si è umanizzato, sì che il punto d’incontro con Dio non è il divino, ma l’umano[14]. Se Dio lo incontriamo nell’umano, Gesù non è venuto a salvarci al fine di divinizzarci, ma per liberarci dalla nostra disumanità. In altre parole, Gesù è il rappresentante completo di ciò che è pienamente umano. E il minimo comun denominatore che accomuna indistintamente tutti gli esseri umani, ciò che li rende tutti uguali, è per l’appunto la nostra umanità, al di là di ogni credenza religiosa e di ogni cultura. Stante la trascendenza di Dio non possiamo incontrarlo nel sacro, ma solo nell’immanenza del profano. Si può perciò essere seguaci di Gesù solo a livello orizzontale in questo mondo, non in senso verticale cercando di scalare il cielo, che per noi resta irraggiungibile. Conseguentemente il cristianesimo non deve essere un progetto per divinizzarci, ma per umanizzarci, e Gesù è patrimonio dell’intera umanità, al di là della religione cristiana. Col che è sbagliata la teologia che porta ad amare più Dio che gli esseri umani; a rispettare più i diritti divini di quelli umani, più il sacro che il profano, più il celeste che il terreno, più lo spirito che la carne.

Torno a ribadire che ci sono ormai due letture della passione e morte di Gesù, che ci portano direttamente a due modi distinti e opposti di intendere e, soprattutto, vivere il cristianesimo. Un cristianesimo, quello dei vangeli, che ha il suo centro in “questa vita” e nell’impegno a rendere più degno e più giusto questo mondo. E un cristianesimo, quello di Paolo, che pone il suo centro nell’“altra vita” dove raggiungeremo la felicità piena che qui non si può raggiungere. Il fatto è che molti cristiani non si rendono conto dell’enorme importanza che ha la diversa spiegazione della morte di Gesù, l’interpretazione data da Paolo o, piuttosto, il racconto presentato dai vangeli. Perché, se uno si lascia guidare dal criterio di Paolo, la conseguenza che ne deriva è che Cristo, spargendo il suo sangue nel sacrificio della croce, ci ha redento dai nostri peccati (ed è questo che ancora insegna la Chiesa). Invece, se tutta la questione si pensa partendo dal racconto dei vangeli, allora ciò che ognuno trova in questo racconto è che Gesù, morendo come un sovversivo rifiutato dai poteri di questo mondo, ci insegna a vivere nella bontà, la quale antepone la lotta alla sofferenza a qualsiasi altra cosa, compresa la propria vita[15].

 

8.- Afferma sempre il citato art. 3 del Catechismo di papa Pio X che senza battesimo – il quale serve per cancellare i nostri peccati - non si può essere cristiani. Ricordo subito che la Shoah è venuta da parte di uomini battezzati; e che sempre battezzati erano gli occidentali che hanno sostanzialmente sterminato le popolazioni delle Americhe.

Anche questo punto non mi trova d’accordo e si possono trovare varie smentite già nelle Scritture, dove si può vedere che Gesù non ha mai collegato il battesimo al peccato. Quando Gesù ascende in cielo abbina il perdono dei peccati alla conversione (Lc 24, 47), non al battesimo: cioè per essere perdonati basta cambiare l’impostazione della propria vita. In At 13, 22 si parla di Giovanni Battista, ma mentre in passato si scriveva che aveva preparato la venuta di Gesù con un battesimo di “penitenza”, oggi la parola greca metanoia viene più correttamente tradotta con battesimo di “conversione”.

Il catechismo di Pio X affermava categoricamente al n. 566 che il battesimo è assolutamente necessario per salvarsi (e il n. 1257 del Catechismo attuale lo conferma)[16]. Gli osservanti delle regole religiose, sicuri di essere gli unici veri credenti, sono tuttora certi che se uno non è battezzato e non segue quanto indica il magistero non può essere credente, non può essere membro della Chiesa, su cui sentono di avere evidentemente un’esclusiva. Pietro in effetti predicava dicendo: «Pentitevi e siate battezzati ciascuno di voi nel nome di Gesù[17]. Riceverete il perdono dei vostri peccati e il dono dello Spirito santo[18]» (At 2, 38). Ma un giorno ecco lo sconcerto di Pietro e dei credenti che erano con lui: anche sui pagani si effonde il dono dello Spirito santo (At 10, 45). Cosa avevano fatto questi pagani per meritare il dono dello Spirito? Niente. Non erano stati battezzati, non si erano ancora convertiti, non erano pronti a seguire le regole dei primi cristiani, non stavano neanche pregando; semplicemente stavano ascoltando Pietro, il quale stava appunto insegnando loro che occorre prima battezzarsi nell’acqua per poi ottenere lo Spirito santo; ma mentre Pietro stava ancora parlando, lo Spirito santo ha interrotto brutalmente la sua dotta lezione di catechismo ed è intervenuto direttamente con il dono del suo amore: “infatti li udivano parlare le lingue e magnificare Dio” (At 10, 46; At 15, 8):[19] cioè questa gente riusciva a parlarsi col cuore. Dunque, Pietro dice una cosa e lo Spirito ne fa un’altra. Nell’ottica di Pietro (e oggi del magistero[20]) lo Spirito crea confusione, non segue le regole della retta dottrina che Pietro cerca con fatica di inculcare nelle teste degli altri, e questo povero san Pietro (come il nostro povero magistero dopo di lui) deve sempre rincorrerlo cercando di capire cosa deve veramente fare, perché lo Spirito soffia dove vuole (Gv 3, 8), ma alla fine è Lui che guida la Chiesa, anche se l’istituzione cerca continuamente di imporre la propria rotta[21].

E, se guardiamo attentamente, chi ha convertito Pietro facendolo diventare finalmente vero cristiano? La risposta ce la dà sempre il prosieguo del vangelo di Luca: gli Atti degli Apostoli ci fanno capire la difficoltà enorme che ha avuto fin dall’inizio la comunità cristiana a comprendere l’insegnamento di Gesù, e a prendere atto che spesso l’aiuto a diventare cristiani è arrivato dall’esterno, dai senza Dio, dagli impuri peccatori. Basta vedere come i pagani, dai quali i primi discepoli credevano di dover tenersi lontani, sono quelli che hanno aiutato la comunità cristiana a essere tale, «perché sono io che li ho mandati» dice lo Spirito santo (At 10, 20). In realtà è stato appena scritto che era stato il centurione pagano Cornelio a inviare questi messaggeri, pure loro pagani, a Pietro, ma subito dopo lo Spirito dice che è stato lui stesso a inviarli. Dunque, Cornelio e i suoi inviati, i pagani peccatori da evitare come la peste, avevano agito mossi dalla Forza di Dio, esattamente come i profeti biblici. Attraverso la concomitante azione di Dio, con la tovaglia scesa dal cielo con i cibi impuri, e del centurione romano che lo chiama nella sua casa, Pietro giunge improvvisamente a una conclusione per lui assolutamente nuova: «Dio mi ha mostrato che non si deve evitare nessun uomo come impuro» (At 10, 28). Da notare che non è una sua conclusione, ma è Dio stesso che gli ha insegnato questa verità. È un’esperienza concreta (tovaglia e centurione) che fa capire a Pietro quello che in precedenza aveva ascoltato cento volte senza capire. Solo ora Pietro finalmente capisce, e quello che capisce è esattamente l’opposto di quanto insegna ancora oggi la religione, la quale si fonda su un pilastro indiscutibile: la divisione fra puri e impuri; o, se si vuole, fra degni di Dio e non degni di Dio, fra peccatori e non peccatori; “tu sei un peccatore per cui devi starmi lontano;[22] tu invece puoi avvicinarti”. Invece Dio insegna a Pietro che nessuno, qualsiasi sia il suo comportamento (etico, sessuale, morale), può sentirsi escluso dall’amore di Dio. È la religione, allora, che va contro Dio quando impone queste divisioni, e Dio è contro la religione quando la stessa tiene lontani gli uomini da Lui. Ancora adesso è opinione comune e dominante che sia stato Pietro a convertire i peccatori pagani[23]. Invece l’evangelista Luca ci dice esattamente il contrario: per convertire chi noi credevamo già un autentico credente (tanto che presto è diventato papa), lo Spirito santo si è servito di un centurione pagano. Ci rendiamo conto di quello che sta dicendo Luca? Per convertire Pietro lo Spirito si serve di un sacerdote? di una persona pia e religiosa e soprattutto battezzata? No: per convertire il futuro papa lo Spirito si è servito di uno straniero pagano;[24] si è servito della persona che nel mondo religioso di allora si riteneva la più lontana da Dio: un impuro pagano destinato inesorabilmente alla perdizione. Certo che la fantasia dello Spirito santo è incredibile. Ma altrettanto certo è che la Parola di Dio risuona in noi solo quando diventa finalmente nostro pensiero, nostra decisione, nostra azione. Altrimenti non facciamo altro che ripetere parole antiche, magari anche belle, però insufficienti per il futuro che richiede sempre novità[25].

Ora, neanche sappiamo se Pietro è stato alla fine battezzato. Sicuramente quel bagno sacramentale[26] è diventato presto un segno esterno dato a terzi i quali vogliono proclamare davanti a tutti di voler aderire a Gesù, ma poi quello che conta è la vera rinuncia personale all’Io egoista, al male:[27] questa è la conversione, la quale non ha nulla a che fare con l’accettazione dei dogmi insegnati dal magistero. Non è cioè pensabile di riformare la propria vita partendo dai dogmi. Il cristianesimo o lo si vive, o non è. O riusciamo a vedere tutti gli altri come fratelli, o non siamo veri cristiani. E forse è ancora più difficile vivere il cristianesimo nella nostra epoca, che qualcuno ha denominato “Egocene”, centrata com’è sulla preminenza di ciascun Io[28]. Basta guardare la pubblicità alla televisione per vedere come tutto è incentrato sul proprio benessere, sul proprio Io.

Il vero battesimo di Gesù è invece l'amore, tanto che quando ha voluto indicare il modello di credente non ha indicato una persona pia e religiosissima, men che meno ha indicato una persona già battezzata, ma un samaritano, cioè un impuro peccatore eretico secondo la religione, sicuramente mai battezzato[29]. La parabola del buon samaritano[30] (Lc 10, 30-37) ci fa capire che a Dio non interessa un bel niente se questa persona che si prende cura di un’altra appartiene al nostro Credo religioso o meno; se è stato battezzato come vuole il catechismo, o meno; se crede e professa la dottrina insegnata dai legittimi pastori che rappresentano Dio su questa terra, come vuole il catechismo; se obbedisce o meno ai legittimi rappresentanti di Dio in terra, come vuole il catechismo.  Il cristianesimo non si spiega allora a partire dal rituale religioso di purificazione, bensì a partire da un nuovo modo di vivere. L’essenza del cristianesimo sta nel vivere in un certo modo: cosa si dice infatti al momento del giudizio finale? “Venite benedetti dal Padre...” (Mt 25). Perché? Perché siete stati battezzati, avete accettato la dottrina e i dogmi che vi sono stati insegnati e avete obbedito al magistero, come voleva papa Pio X? No! nulla di tutto questo.

Gesù è Salvatore nel senso che ciò che Gesù ha indicato con la sua vita è valido per tutti (tutti devono imparare ad amare di più, a condividere, a perdonare, a fidarsi di Dio). Allora l’importante non può essere il battesimo, ma una dinamica di vita capace di diffondersi sulla terra. Il battesimo è solo un segno attraverso cui la comunità s’impegna a testimoniare questa scelta che cambia la vita e ci farà crescere come figli di Dio. In effetti lo stesso san Paolo aveva scritto (1Cor 1, 17) che Cristo non lo aveva mandato a battezzare, ma a predicare il Vangelo.

Allora a me sembra chiaro che la distinzione fra ateo non credente e cristiano credente non è una distinzione di linguaggio, ma di essenza. In questo sta la base minima per dirsi cristiani, non nella recita del Credo[31]. La fede cristiana non è l’adesione a una dottrina, a verità oggettive a noi esterne, e non è neanche la partecipazione a un serie di segni esteriori (i sacramenti). Invece è un’avventura in un mondo segnato dalla presenza di Dio, è un scelta di fiducia che fatalmente spiazza chi crede di poter donare ai bambini la salvezza col battesimo, perché solo un adulto consapevole può fidarsi consapevolmente[32].

Ecco perché si può affermare che l’uomo avido di potere, desideroso di successo, di affermazione di sé stesso, di ricchezza (quindi egocentrico), anche se religioso, anche se sacerdote, anche se papa che cerca di rendere la Chiesa una vera e propria potenza al pari degli altri Stati, anche se è battezzato, resta un ateo non credente, perché desidera qualcosa che è fuori dell’onda di Dio, perché è fuori dall’onda di amore servizievole di cui ci ha parlato sempre Gesù. Ricordiamoci infatti che il Vangelo è esercizio di “servizio”, non di “potere”. Chi cerca il potere, proprio strutturalmente, ontologicamente, è ateo. Invece chi cerca di servire, chi impegna le sue qualità (il carisma, dice 1Cor 12, 4-11) per dare all’uomo la possibilità di crescere nella verità, nella conoscenza e nella libertà, costui, anche se dice di essere ateo, ontologicamente è credente[33] perché segue (magari anche inconsapevolmente) il messaggio di Gesù. E chi lo segue, può essere considerato sempre un inviato da Dio.

Quasi certamente non era cristiano quell’ignoto giovane cinese di piazza Tienanmen che, in maniche di camicia, da solo, con in mano i sacchetti della spesa si era messo davanti a una colonna di carri armati fermandoli. Non sappiamo neanche il suo nome ma, come ha detto il teologo Paolo Ricca, costui è stato veramente un’icona della Chiesa cristiana, perché col suo corpo si è inserito fra i contendenti. Ogni singolo cristiano che vuole veramente la pace (non limitarsi a pregare per la pace in un posto sicuro come fa la maggior parte dei pacifisti nostrani che si dichiarano cristiani[34]) deve mettere il proprio corpo, evidentemente con tutti i rischi che questo comporta.

In sintesi, si può essere credenti non cristiani, ma anche cristiani battezzati e non credenti. È per questo che Giovanni dice nella sua lettera che chi ama conosce Dio (1Gv 4, 7); non dice che chi conosce Dio ama. Spesso noi diciamo di credere, ma non amiamo; invece quello che ama, anche se dice di non credere, sta collaborando con Dio. Pertanto, ogniqualvolta uomini e donne, non importa in quale emisfero della terra e qualunque sia la loro bandiera, lottano per ciò che costituisce la causa di Gesù (la giustizia, la pace, la fraternità, la riconciliazione, la vicinanza di Dio, il perdono …il Regno di Dio), essi possono essere considerati di fatto seguaci di Gesù (che poi noi, ma non Gesù, abbiamo chiamato cristiani), anche senza saperlo, anche senza essere battezzati, anche se non vivono obbedendo al magistero e se non recitano il Credo. Al contrario, non ogni volta che le persone si dicono cristiane, che recitano il Credo ritenendo fermamente vero tutto quello che lì sta scritto, realizzano l’amore, la giustizia…la causa di Gesù. Talvolta è perfino in nome di Gesù che si oppongono alla sua causa (pensiamo al patriarca Kirill che inneggia alla guerra santa contro l’Ucraina[35]).

Per questi motivi non ritengo che il battesimo sia la conditio sine qua non, cioè la condizione senza la quale non si può essere cristiani. La stessa Costituzione dogmatica sulla Chiesa – Lumen Gentium § 16, del 21.11.1964 - ha concluso che anche senza il battesimo le persone possono accedere alla vita eterna presso Dio, volendo Dio che tutti gli uomini siano salvi (1Tm, 2, 4).

Concludendo questo punto, non credo che l’identità cristiana si ottenga col battesimo, che diventa spesso solo un leggero strato di vernice superficiale posto sul livello di appartenenza del soggetto,[36] destinato però a screpolarsi in poco tempo, come ogni vernice, alla luce della vita vissuta. L’identità cristiana si ottiene solo vivendo in un certo modo.

                                                                                                                                               (continua)




NOTE

[1] Di cui ho già parlato nel n.758 del 24 marzo 2024 di questo giornale.

[2] Curtaz P., Commento al Vangelo secondo Mt 25, 31-46 del 23.11.2023.

[3] Per fare un solo esempio: l’origine del mondo deve essere oggi spiegata scientificamente, e non è più possibile ricorrere semplicemente a un creatore, ubicato a un alto livello soprannaturale, e pertanto scientificamente indimostrabile. Altro esempio: nessuna morale può pretendere di essere l’unica corretta appoggiandosi solo all’autorità della rivelazione.

[4] Maggi A., Gesù ebreo per parte di madre, ed. Cittadella, Assisi, 2006, 133 s. Basta ricordare come si è difeso Eichmann nel 1960 processato in Israele, o Priebke per l’eccidio delle fosse ardeatine, o come si è difeso anche l’ultimo nazista chiamato a rispondere della strage di oltre 1200 persone; il ritornello è sempre lo stesso: “ho solo eseguito gli ordini” (“La Repubblica” 9.5.2011, Ungheria – Processo al boia di Novi Sad, 48).

Se si vuol andare più indietro nella storia, l’eresia càtara venne eradicata in Francia da Papa Innocenzo III con una sanguinosa crociata che segnò anche la fine della civiltà occitana (dove si parlava la lingua d’oc). Nell’estate del 1209 venne investita la città di Béziers, abitata vuoi da eretici, vuoi da cattolici (circa 20.000 persone, di cui circa il 5% càtari). Avendo ottenuto un netto rifiuto da parte degli assediati di consegnare gli eretici, il giorno seguente la città venne espugnata e l’intera popolazione massacrata. Secondo il cronachista cistercense Cesario di Heisterbach, quando prima dell’assalto venne chiesto al legato pontificio (Arnaud Amaury abate di Citeaux) come distinguere gli eretici dai non eretici, questi ordinò di uccidere tutti indiscriminatamente, con la famosa frase: «Caedite eos! Novit enim Dominus qui sunt eius» (Uccideteli tutti! Dio riconoscerà i suoi), (in www.cathar.inf, in www.hisotira.fr, in www.occitania.it e anche altri siti).

[5] Diceva Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, ed. Einaudi, Torino, 1993, 343: “Gli uomini si sono rallegrati che di nuovo (la chiesa) li conducesse come un gregge, e che dai loro cuori fosse stato tolto, finalmente, un dono tanto tremendo, che aveva arrecato loro tanto tormento”: la libertà portata da Gesù.

[6]  Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 287 e 290 s.

[7] Idem, 316.

[8] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 49.

[9] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

[10] Sull’interpretazione del famoso “Tu sei Pietro” – che non va inteso come nomina di Pietro a capo della futura Chiesa - vedasi l’articolo al n.479/2018 di questo giornale: https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-487---13-gennaio-2019/guai-a-voi.

[11] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 109.

[12] Idem, 25.

[13]  Per capirla appieno rinvio al suo profondo e puntuale libro L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019.

[14] In tal senso anche Panikkar R., La pienezza dell’uomo, ed. Jaca Book, Milano, 2000, 224: Il luogo dell’Incarnazione è l’uomo, anzi la carne. Il luogo dell'uomo è la terra, anzi la chiesa-comunità nel suo cammino, e non certo la chiesa-istituzione. La meta di questo cammino è la pienezza dell’uomo e non il nulla.

[15] Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 65s.

[16] Questa convinzione viene da una lunga tradizione. Il concilio di Firenze del 1442 aveva affermato di fermamente credere, professare e insegnare che nessuno di quelli che si trovano fuori della Chiesa cattolica (cioè dei non battezzati) potrà salvarsi e quindi aver parte alla vita eterna.

[17] NB.: non nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito santo.

[18] E cosa è lo Spirito? Lo Spirito è la forza di Dio che si fa presente nel nostro spirito. E si fa presente nella nostra vita affinché noi ci comportiamo come Gesù si comportato nella sua (Castillo J.M., Teología popular, III, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2013, 90).

[19] Ovviamente non vuol dire che alcuni parlavano latino, altri greco, altri aramaico, ma che la lingua che tutti siamo destinati a parlare in modo fluente e convincente è la nostra esperienza di Dio, quella cui abbiamo accesso quando ci sentiamo amati per quello che siamo (Pasolini R., Saper decifrare la forza dell’amore, “Famiglia cristiana”, n.19/2024, 92).

[20] Il nostro magistero si ritiene successore degli apostoli. Infatti gli apostoli, affinché l'Evangelo si conservasse sempre integro e vivo nella Chiesa, lasciarono come loro successori i vescovi, ad essi «affidando il loro proprio posto di maestri» (Costituzione dogmatica sulla divina Rivelazione del 18.11.1965 - Dei Verbum §7). Ma se Pietro sbaglia e non è infallibile, perché i suoi successori dovrebbero esserlo? E poi san Paolo non ha avuto l’investitura da nessun apostolo, eppure anche lui ha lasciato vescovi pur non facendo parte del gruppo dei 12.

[21] Il problema di fondo, in tutto questo racconto, sta nel fatto che né a Pietro (ma neanche agli altri apostoli) entrava in testa che Gesù potesse salvare il mondo proprio passando per il rifiuto frontale della religione e dei suoi responsabili. Il peggio di tutto questo è che ancora a molti di noi credenti capita quello che è successo a Pietro e agli apostoli. Amano più la religione, i suoi dogmi ed i suoi riti che Gesù ed il suo messianismo. In allora i sacerdoti avevano rifiutato Gesù; stiamo attenti a non rifiutarlo oggi anche noi, che dovremmo rispondere storicamente a ciò che lui ha detto, e non solo a ciò che metafisicamente hanno detto i concili.

[22] Ha scritto ancora non molto tempo fa un noto teologo domenicano, frequentatore di Radio Maria: “Possiamo avvicinare i peccatori a patto che non rechino danno alla nostra anima, che si mostrino pentiti dei loro peccati” (Cavalcoli G., L’inferno esiste, ed. Fede&Cultura, Verona, 2010, 35).

[23] Vedasi, ad es., Come si diffuse il Vangelo, “National Geographic Italia”, n.3/2012, 29. Benedetto XVI, La gioia della fede, ed. San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 51ss.

[24] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

[25] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 52.

[26] Inizialmente il battesimo si faceva per immersione: si moriva alla vecchia vita e s’iniziava una nuova vita uscendo dall’acqua, simbolo di purificazione.

[27] Negli Usa ci sono, stando alle statistiche 120 armi per 100 abitanti. Ciò significa che l’Io del singolo si sente minacciato dalla voracità di altri Io (Mancuso V., Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano, 2023, 53).

[28] Dice bene Vito Mancuso nel suo libro Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano, 2023, 66ss., 79 e 87: senza Dio nel senso teologico si può vivere, ma si vive male perché viene a mancare un orientamento complessivo, una direzione. Si vive alla giornata. Noi però non siamo fatti per vivere alla giornata, altrimenti non avremmo costruito le piramidi, il Partenone, le sinfonie, gli inni o tutte le altre meraviglie nelle quali ci identifichiamo. Questo bisogno strutturale di Dio è dimostrato dal fatto che oggi la divinità non è per nulla scomparsa, ma si è trasformata da metafisica in fisica: l’Io. I nostri giorni sono il tempo del Dio Io, del Super Io. Ego-latria. E il libro sacro dei nostri giorni è il vangelo dell’economia e del profitto. Ma puntando tutto sull’Io ci mostriamo ancora come orgogliosi tolemaici: non più la Terra, ma noi siamo il centro attorno cui tutto deve gravitare. Eppure sappiamo che il sistema tolemaico era sbagliato ed era frutto d’ignoranza., nel senso che ci rendeva incapaci di vedere la situazione com’è in realtà. Vediamo questo nel cosmo; quale Galileo ci serve per vederlo anche nel nostro piccolo?

[29] Accorrevano al Giordano per farsi battezzare da Giovanni Battista, da Gerusalemme e dalla Giudea (Mt 3, 5; Mc 1, 5) ma non dalla Samaria (odierna Cisgiordania).

[30] Di cui parleremo più a fondo la prossima settimana,

[31] Tanto più che – come osserva il teologo Vito Mancuso (Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano, 2023, 76) - il nostro Credo è totalmente dedicato alla dogmatica ed è privo di una sola parola di ordine etico, del tutto all’opposto dell’insegnamento di Gesù.

[32] Squizzato G., Vivere, per assoluta fiducia, l’obbedienza al Mistero, in Quale Dio, quale cristianesimo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 177.

[33] Vannucci G., Esercizi spirituali, ed, Comunità di Romena, Pratovecchio (AR), 2005, 147s.

[34] La preghiera non è una sollecitazione che noi facciamo a Dio perché compia qualcosa che non sta facendo e che noi vorremmo che facesse. Nella preghiera non chiediamo a Dio di fare qualcosa, ma di diventare noi capaci di fare ciò che è richiesto. In questo senso vedi Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 88s.

[35] A fine marzo del 2024 il patriarca Kirill ha detto che “L’operazione militare speciale è una Guerra Santa, nella quale la Russia e il suo popolo, difendendo l’unico spazio spirituale della Santa Rus’, proteggendo il mondo dall’assalto del globalismo e dalla vittoria dell’Occidente caduto nel satanismo” perché è l’occidente la forza misteriosa del male che cerca di togliere di mezzo chi vuole impedirla (cfr. 2Tessalonicesi 2,7).

[36] Collin D., Il cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 22.