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Maqbool Fida Husain



di Dario Culot



Questo autorevole vegliardo, fotografato a quasi novant’anni di età, si chiamava Maqbool Fida Husain ed è sostanzialmente sconosciuto in Italia, ma è stato il più celebre pittore indiano del ‘900, denominato il ‘Picasso indiano’. Ha iniziato la sua brillante carriera negli anni ’30 (era nato nel 1915) dipingendo manifesti cinematografici che oggi vanno a ruba. È riuscito a vendere alle aste londinesi i suoi quadri anche per 1,5 milioni di euro. Però, nel 2006, è dovuto fuggire a Dubai, perché in India c’era un’appetitosa taglia per chi lo avesse ucciso e una inferiore, comunque invogliante[1] di soli €10.000, per chi gli avesse tagliato il braccio con cui dipingeva. Come mai?

Sostanzialmente è stata emessa contro di lui quella che noi chiamiamo una fatwā (leggi: fàtuaa). La fatwā è più propriamente un termine che indica un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto. In Italia la parola ha avuto notorietà per l’uso restrittivo con cui è stata intesa nel linguaggio dei giornali che la riferirono alla condanna a morte in contumacia pronunciata nell’anno 1989 dall’ayatollah Khomeinī contro lo scrittore Salman Rushdie, ritenuto reo di sacrilegio verso la religione musulmana per il suo libro The Satanic Verses (Versetti satanici).

Ora, mentre l’islam fa da noi sempre notizia (soprattutto in negativo), credo che nessuno abbia mai sentito parlare della fatwā indù. Ovviamente il termine viene qui utilizzato impropriamente ma la taglia, che è stata effettiva, è stata stanziata dal leader del movimento nazionalista Hindu Shiv Sena, e anche qui siamo formalmente davanti a una condanna per motivi religiosi, come per Rushdie[2].

Visto che nessuno era riuscito ad uccidere o a mutilare il pittore, si è provveduto a denunciarlo in molti tribunali indiani per aver offeso la sensibilità induista con quadri osceni: divinità indù dipinte nude e addirittura una donna nuda con la forma della mappa geografica indiana, chiamata Madre India, come si vede qui sotto.


Squadre di integralisti indù hanno nel frattempo vandalizzato i suoi quadri esposti in India, per cui nessun gallerista ha più osato aprire una mostra con i suoi quadri. A Bangalore è stata bruciata in pubblico la sua effigie.

Da notare che agl’integralisti indù, i quali avevano giustificato la decisione punitiva sostenendo che è riprovevole dipingere donne nude (vedono in questo la fine della famiglia tradizionale indiana) ed è sacrilego dipingere dee nude, Husain, che non era indù ma musulmano, aveva così risposto: “Nella religione induista la nudità è una metafora della purezza; e non solo il celeberrimo manuale di filosofia dell’amore Kama Sutra è stato scritto nell’India nel IV secolo, ma gli stessi templi indù (che i musulmani non sono riusciti a trovare quando hanno cercato di islamizzare forzatamente l’India, e che avrebbero raso al suo se li avessero trovati) hanno abbondanza di dee nude, perfino in posizioni erotiche: segno che la religione induista aveva un approccio disinibito al sesso.

In effetti, gli antichi templi indù di Khajurhao, Tiraputi e Mahabalipuram, che attirano ogni anno frotte di turisti, sono ricchi di sculture di formose donne nude,[1] anche in posizioni erotiche. Quindi significa che l’erotismo indù nel passato era vissuto con naturalezza e gli eventuali integralisti fustigatori della moralità non avevano voce in capitolo. Quindi Husain aveva ragione, ma è noto che quando si discute con gli integralisti non basta aver ragione.

In tutto questo – come nel caso di Rushdie,- non c’è stata grande sollevazione da parte dei giornali e degli intellettuali occidentali, che forse preferiscono non affrontare di petto comunità che spesso si sono mostrate integraliste, violente e pericolosamente vendicative.

Fra i pochi a muoversi, è stato il settimanale ‘India Today’ che ha denunciato il potere minaccioso e crescente di queste frange integraliste che si auto-proclamano sacerdoti della moralità e perseguitano tutti coloro che non si adeguano alle loro regole[2].

Il pittore indiano è morto nel 2011 di morte naturale, in esilio. A Salman Rushdie, aggredito nel mese di agosto del 2022 durante una conferenza, è andata peggio perché è stato ferito abbastanza gravemente e ha perso un occhio.

Cosa se ne può dedurre?

1. La prima domanda che dovremmo porci è: come mai veniamo informati di tutte le malefatte che vengono compiute da estremisti islamici, e che ci mettono in ansia, mentre difficilmente si sente parlare delle malefatte analoghe che vengono fatte da integralisti di altre religioni, in altre parti del mondo, per cui non sapendo nulla non entriamo in ansia? Il caso dello scrittore Rushdie e del pittore Husain sono emblematici in tal senso.

Si può forse rispondere dicendo che l’islam ha fatto del ripudio della contaminazione culturale occidentale e della recriminazione sulle colpe storiche dell’Occidente i suoi cavalli di battaglia,[3] e allora noi per ritorsione mettiamo in evidenza le sue gesta negative e non quelle degli altri? O forse si vuole creare paura nella gente ed erigere muri, perché funzionale alle politiche di tanti nostri governanti? O forse siamo eredi della storia nata in Grecia, dove lo storico Erodoto per primo ci ha parlato dello scontro di civiltà, fra l’Oriente (allora la Persia) retto da un malvagio tiranno e l’Occidente fondato sulla libertà e sulla democrazia, e questa idea – meglio sarebbe dire pregiudizio[4] - si è profondamente sedimentata in noi tanto che l’illuminista Montesquieu[5] parlava ancora di ‘dispotismo orientale’ e Hegel affermava che solo l’Occidente era il motore del progresso? O forse noi oggi temiamo che i musulmani (non gli indù, non i buddhisti) vengano a conquistarci religiosamente proprio perché loro credono in Dio, mentre noi non ci crediamo più? Però allora, a guardar bene, il vero problema “non è tanto nella forza dell’islam, quanto nella debolezza del cristianesimo in Europa”.[6]

Sinceramente non so rispondere. Ma posso dire che:

2. Gli integralisti[7] sono da sempre presenti in tutte le religioni e se il cristianesimo nel mondo non usa più il rogo dell’Inquisizione è perché la società è diventata da noi laica e pluralista. Solo la società laica e pluralista tiene a freno con le sue leggi gli estremisti, che se fossero liberi di intervenire eliminerebbero ancora oggi con piacere la zizzania (il male) dalla faccia della terra e, visto che ci siamo, anche le persone che, a loro avviso, lo esprimono. Per fortuna in Italia, se un gruppo religioso si fosse comportato come l’ayatollah Khomeinī o come l’associazione Hindu Shiv Sena, sarebbe stato immediatamente sciolto e i capi sarebbero finiti sotto processo.

3. Come già detto nell’articolo sull’integralismo, quando l’integralismo sfocia nella teocrazia, sì che la religione comanda sulla società civile, è una disgrazia per tutti. Per il semplice fatto che ogni teocrazia difende innanzitutto i diritti di Dio: ecco perché in Iran la polizia morale[8] uccide tranquillamente una ragazza che ha offeso gravemente Dio non coprendo adeguatamente col velo i suoi capelli. Evidente che per gl’integralisti i diritti di Dio valgono ben più della vita di questa ragazza; i diritti di Dio valgono ben di più dei diritti di tutti gli esseri umani, per cui s’impicca facilmente un uomo con l’accusa di aver mosso guerra contro Dio, anche se – naturalmente - sono sempre altri uomini a stabilire quali sono i diritti di Dio. E quel che peggio quei pochi uomini, che non sono angeli, ma che decidono qual è la volontà di Dio, poi hanno il coraggio di invocare il Bene Supremo per giustificare il male che compiono con sempre maggior violenza, sì che a quel punto non c’è neanche alcun limite al male.





NOTE

[1] Pensiamo che in India uno stipendio medio mensile è di circa 120 euro al mese.

[2] Probabilmente così non è visto che la fatwā non è stata tolta neanche dopo che lo scrittore anglo-indiano aveva chiesto scusa. Forse, per essere perdonato, avrebbe dovuto appoggiare in pieno la linea dell’ayatollah Khomeinī.

[3] Come si può vedere anche in internet.

[4] Rampini F., La speranza indiana, Mondadori, Milano, 2007, 145.

[5] I fischi dei tifosi tunisini all’inno francese (nella partita di calcio, ai mondiali del 30.11.22) è forse una chiara prova di quanto sto dicendo.

[6] Perché, ad esempio, non studiamo a scuola che, mentre in Italia, nel ‘600, l’Inquisizione cattolica condannava al rogo Giordano Bruno, in India l’imperatore musulmano moghul Akbar, al potere dal 1556 al 1605, ripudiava la guerra santa e la legge coranica, aboliva il concetto di religione di Stato sostituendola con i principi di tolleranza, dialogo e uguaglianza tra le fedi. Sopprimeva il divieto religioso contro le belle arti. Affermava che non si deve interferire con le scelte che ciascun uomo fa riguardo alla religione, a ognuno è consentito aderire alla fede che preferisce (noi cattolici abbiamo dovuto aspettare il concilio Vaticano II per sentirci dire questo). Questo musulmano illuminato è stato in pratica l’inventore dell’ecumenismo avendo anche creato la Casa dei culti dove teologi di tutte le religioni potevano discutere liberamente fra di loro. Ha fatto tradurre in persiano i testi sacri indù. Nel 1579 aveva invitato i gesuiti da Goa, nella convinzione che nessuna religione ha il monopolio della verità e tutte esprimono in modi diversi la stessa tensione umana verso l’eternità.

[7] Voltaire e Schopenhauer invece sono stati più critici verso il cristianesimo e l’eurocentrismo che verso l’Oriente.

[8] A dirlo è stato il cardinale svizzero Kurt Koch, presidente del Pontificio consiglio per la promozione dell'unità dei cristiani, in http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/07/20/islam-europa-religione-cristiana-koch-schonborn___1-v-144632-rubriche_c227.htm.

[9] Come spiegato nell’articolo Integralismo e Fanatismo, dell’11 dicembre 2022 su questo giornale, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-691-11-dicembre-2022/dario-culot-il-fanatismo?authuser=0.

[10] Ma non dimentichiamo che nella Firenze rinascimentale venne istituita una forza di polizia (chiamata ‘ufiziali di notte’) col compito di andare per strada e controllare i vestiti delle donne, che non dovevano portare bottoni – tranne fra il polso e il gomito per le nobildonne; inoltre venivano emanate in continuazione disposizioni sui gioielli, sul colore dei vestiti – solo tinta unita se non si era dame; ecc. (Parks T., La fortuna dei Medici, Mondadori, Milano, 2006, 35s.). L’unica cosa è che a Firenze i divieti non erano contrabbandati come volere di Dio. Però anche qui, quando nel 1437 venne interdetto ai cristiani di prestare su pegno, e il divieto venne confermato dalla Chiesa, prestatori di pegno rimasero solo gli ebrei e così tutto il risentimento della comunità dei poveri venne riversato sugli ebrei (Parks T., Op. cit., Mondadori, Milano, 2006, 31).