Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Come conciliare la legge umana con la legge e la misericordia divina (continua-5)



di Dario Culot




A questo punto dovremmo pur domandarci: ma allora qual è la vera parola di Dio? Quella del Dio che dona amore senza aspettarsi nulla in cambio, che vede tutto magnifico, perfino il sesso, o quella del Dio sessuofobico che vede tutto impuro ed è sempre in collera per i peccati dell’uomo che violano la sua legge? Quale dei due è veramente Dio? In quale Dio dobbiamo credere? Crediamo a un Dio che si sente un po’ in colpa per aver perduto quello che era già suo: una pecora, una monetina, un figlio un po’ scapestrato? Ovviamente niente a che vedere con l’Altissimo giudice che vede solo colpe in chi si perde e necessità inesorabile di castighi: “se l’è proprio voluta!” Crediamo in un Dio che vuole far festa in una casa piena di amici, e vuole che anche noi partecipiamo a questa gioia, vuole abbracciarci o scegliamo piuttosto un torvo giudice che sa solo castigare?

Evidente che, alla luce delle due differenti visuali, cambia anche il concetto di misericordia, perché solo il primo Dio può esprimere un amore veramente misericordioso.

Sappiamo bene che il nostro magistero ha scelto il Dio dei sacerdoti. Per molti, parlare di Dio vuol dire ancora oggi parlare soprattutto di sacrifici, castighi, minacce, paura, sesso solo a fini procreativi e privazioni[1]. Invece, oggi, più che mai, servirebbero profeti e il Dio dei profeti.

Ormai anche la gerarchia ecclesiastica avverte che qualcosa non funziona nel suo insegnamento, e sente la necessità di dover formulare in modo nuovo il vangelo, di esporre la fede in termini diversi, perché si rende ben conto che oggi, la testimonianza dei cristiani più duramente ortodossi (seguaci della linea sacerdotale) non è più efficace, anzi fa allontanare la gente dalla Chiesa. Non è più possibile credere a un Dio che benedice il presente soltanto quando è simile al passato, a un Dio che diffida delle novità della primavera[2] e di ogni cambiamento. Chi si limita a ricostruire il passato non riesce a vedere il futuro. Oggi, più che mai, occorre creare modalità nuove, ma questo non può avvenire da parte di coloro che si aggrappano al passato cercando di trattenerlo, bensì solo da parte di quelli che sono fedeli alla vita che procede incessantemente. Chi non è disposto a cambiare sé stesso si chiude all’esperienza di Dio, del Dio che viene.

In ogni caso, cosa possiamo dedurre da questo contrasto fra linea sacerdotale e linea profetica? L’unica cosa razionale da dire è che la Bibbia non può essere opera di un solo autore, ma di tanti autori con concezioni diverse di quell’unico Dio[3]. Infatti, se Dio è uno solo, non è ragionevole che si presenti come un Giano bifronte[4]. Questo Giano bifronte può averlo creato solo l’uomo, con la sua immaginazione, col suo pensiero, e questa incompatibile duplicità mi sembra già di per sé sola elemento sufficiente per escludere che sia stato Dio in persona l’autore delle Scritture sacre[5]. Invece anche il concilio Vaticano II, timoroso di smentire di colpo quanto la Chiesa aveva insegnato per secoli, ha ribadito che «Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che egli voleva fossero scritte», perciò tutto quello che gli autori ispirati o agiografi asseriscono è da ritenersi asserito dallo Spirito Santo;[6] e il n. 105 del Catechismo continua a sostenere che Dio è l’Autore della Sacra Scrittura, mentre gli scrittori umani sarebbero stati meri strumenti (matite inconsapevoli?) in mano di Dio[7].

Ma aderendo a quest’idea, dovrebbero prima spiegarci se Dio vuole o non vuole cerimonie. Se vuole o non vuole sacrifici,[8] e se pensiamo che Dio non vuole sacrifici perché continuiamo a chiamare l’eucaristia (e la messa) il sacrificio sacramentale[9] (nn. 1366ss. Catechismo)? Dio castiga come un giudice severissimo oppure ama gratuitamente tutte le sue creature come fa una madre misericordiosa,[10] a prescindere dal nostro comportamento su questa terra? Se solo ci pensiamo, è abbastanza evidente che nell’amore non ci può essere condanna: solo amore. Se il Dio di Gesù è come quel re che perdona il debitore altrimenti perduto (Mt 18, 23-25), come quel pastore che cerca la centesima pecora (Mt 18, 12-14), come si può sostenere in contemporanea che il Padre ama con un amore infinito al punto di essere infinitamente disposto a perdonare l’umanità, ma al tempo stesso è così infinitamente giusto da reputare il peccato degli uomini un oltraggio infinito contro sé stesso, tanto da sacrificare il proprio figlio?[11] Nessuna madre terrena si comporta così, e come detto prima, quando noi ci sentiamo migliori di quel dio, non possiamo credere a quel dio.

Ci viene poi anche spiegato che, secondo la dogmatica cristiana, il sacrificio di Cristo (ossia la sua morte in croce) avrebbe donato agli uomini la giustificazione, il perdono, l’espiazione, la redenzione; ma anche qui c’è una contraddizione, perché l’atroce sofferenza dell’Innocente mette in evidenza tutta la gravità della colpa umana, sì che l’effetto di siffatta dottrina non è affatto una liberazione, ma al contrario produce gravi sensi di colpa. Chi di noi vorrebbe essere redento attraverso l’uccisione di un innocente,[12] grande o piccolo che sia? Chi di noi accetterebbe questo invito: “Guarda, sacrifichiamo sull’altare questo neonato che ti guarda sorridendo, e così sarai sicuro di avere ricreato un buon rapporto con Dio”. Quale giudice terreno condannerebbe a morte una persona certamente innocente, pensando così di pareggiare i conti con la colpa di altri che innocenti non sono? Di fronte alla sicura doppia affermazione del vangelo di Matteo (9,13; 12,7; cfr. Os 6,6) secondo la quale “Dio vuole misericordia e non sacrifici”, com’è possibile che ci venga ancora insegnato che Cristo ci ha salvati attraverso il sacrificio di sé stesso? (Ef 5,2; Eb 5,1; 8,3). Come può ancora esistere questa teoria crudele del sacrificio? È evidente l’insanabile esistenza di contraddizioni e cambiamenti d’impostazione[13] nelle Scritture (e nella loro interpretazione) che non possono venire direttamente da Dio, ed è altrettanto evidente che le due immagini di Dio sono fra di loro incompatibili, mentre Dio non può contraddire sé stesso in continuazione[14].

Dai tempi di san Paolo (Rm 4, 25) la dottrina ufficiale c’insegna che Gesù è morto per i peccati degli uomini[15] avendoli espiati al nostro posto; essendo tutti gli uomini peccatori, tutti abbiamo contribuito a crocifiggere Gesù, anche noi che non esistevamo duemila anni fa. Si omette però di spiegare quale grave peccato può aver commesso il neonato che muore a causa di un tumore, e come può aver contribuito alla crocifissione.

In realtà il volto amorevole di Dio che Gesù presentava, ed il suo messaggio di vita cozzava contro l’interesse dell’istituzione sacerdotale del tempo, e questo non era tollerabile. Gesù lo sapeva benissimo, tanto da raccontare che i vignaioli uccideranno il figlio del proprietario per interesse (Lc 20, 9-15), per poter prendersi tutti i frutti. Gesù, nei vangeli, per ben tre volte dice che va a Gerusalemme e lì sarà ammazzato, ma non dagli impuri peccatori; eppure imperterrito, ancora oggi, il magistero c’insegna che siamo stati noi, con i nostri peccati, a crocifiggere Gesù. Non occorreva neanche essere un gran veggente per immaginare come sarebbe finito Gesù: è chiaro che, continuando a proclamare che il dio proposto dalla religione era una maschera deturpata del vero volto di Dio, continuando a demolire la credibilità dell’istituzione religiosa, l’istituzione avrebbe reagito.

Basta appunto leggere i vangeli perché emerga nitidamente una verità piuttosto diversa da quella insegnataci dal magistero: la triste realtà è che il mondo si regge su un sistema di potere che da sempre si oppone all’azione di Dio, ed è il Potere che ha ucciso Gesù (Mc 14, 1-2). Che sarebbe stata la classe dirigente a ucciderlo, Gesù stesso lo afferma più volte (primo annuncio della morte: Mc 8, 31; Mt 16, 21; Lc 9, 22; terzo annuncio della morte: Mc 10, 33; Mt 20, 18; in Lc 18, 31 si parla della consegna di Gesù ai pagani, ma è chiaro che quanti lo consegnano ai pagani romani hanno la responsabilità nella sua morte quali mandanti). Gesù non dice mai che morirà a causa dei peccati dell’umanità cattiva[16]. Invece dice ai suoi: “il mondo non può odiarvi (Gv 7, 7), perché non vede in voi nessun pericolo visto come siete tranquillamente sottomessi, assoggettati a questo sistema, senza osar contestarlo. Invece odia me”. Perché? “Perché io testimonio che le sue opere sono maligne”. L’odio del sistema di potere verso Gesù è dovuto al fatto che Gesù con le sue azioni e con il suo insegnamento smaschera davanti al popolo sottomesso e succube la condotta delle autorità, denunciando la loro opera maligna. Il termine ‘maligno’ indica il diavolo, l’oppositore che cerca di separare l’uomo da Dio. Quindi Gesù dice “Il Potere mi odia perché io smaschero questo sistema – ed egli parla del sistema religioso, non dell’impero romano – che non solo non proviene da Dio, non solo non favorisce la comunione con Dio, ma è uno strumento del diavolo”.

Se solo seguissimo anche noi il comportamento terreno di Gesù, la passione e morte di Cristo dovrebbe far sorgere in noi il ricordo pericoloso di quanto Gesù ha detto e fatto in vita. Invece avendoci il magistero prospettato la sua vita terrena come il sacrificio del nostro Divino Redentore, si è finito con l’anteporre il ritualismo solenne e sacro dei sacerdoti e dei templi alla bontà, alla misericordia del Vangelo, e soprattutto alla lotta che Gesù ha messo nella sua vita terrena contro la sofferenza e l’ingiustizia, e che pure noi dovremmo mettere nelle nostre vite se intendiamo veramente seguirlo. Ecco perché noi, non restando concretamente coinvolti nella lotta per la giustizia, per l’uguaglianza, non creiamo mai alcun pericolo per il sistema e nessuno viene a disturbarci, e così possiamo tranquillamente seguire la religione. Dunque ancora oggi, se non imbarazziamo nessuno, se la nostra vita non scandalizza chi ci incontra, non lo scuote e non lo fa pensare, non creiamo alcun pericolo per il sistema, che ci lascerà tranquilli.

Questo avviene perché, purtroppo, per troppi secoli questa Chiesa è stata un’istituzione integrata nel sistema, e dal sistema ha ricevuto riconoscimento legale, aiuti economici e privilegi fiscali. Perciò la Chiesa fa parte del sistema, è installata nel sistema. Chi è in disaccordo col sistema è in disaccordo anche con la Chiesa, ma conseguentemente il rifiuto del sistema diventa inevitabilmente rifiuto verso la Chiesa[17]. Nel tempo anche la religione cementa l’ordine sociale, mentre solo la spiritualità cerca di sfuggirgli, e sfida le credenze religiose. La società capitalistica come la nostra non può essere cristiana perché non prende in considerazione quelli che non hanno, non rendono, non posseggono[18]. Anche i poveri che premono alle nostre frontiere per entrare sono dei sovversivi, perché non producono e non consumano.

Abbiamo dimenticato che il centro del cristianesimo non sta nelle nostre dottrine, nell’accettazione dei dogmi, nel seguire i riti in chiesa, perché ciò che è decisivo è il nostro modo di vivere. Se il nostro modo di vivere non segue lo stile di vita che ha mantenuto Gesù, non siamo cristiani. E questo è vero anche se accettiamo tutti i dogmi e recitiamo ogni giorno con fede il rosario e il Credo. Finché il magistero c’insegna una dottrina, trasmetterà di sicuro anche una teologia ortodossa, ma non il Vangelo. E non dimentichiamolo mai: dal momento in cui la Chiesa non s’identifica col Vangelo, identificarsi con la Chiesa non equivale a vivere evangelicamente[19].

Ecco il vero pericolo della religione, oppio dei popoli come diceva Marx,[20] che è insito nella sua struttura, perché facendo parte del sistema lo protegge e cerca di calmare la gente davanti alle ingiustizie di questo mondo con solenni cerimonie alle quali le persone semplici sono incapaci di resistere; promettendo un felice al-di-là se faranno i bravi nell’al-di-qua, ma non agendo mai concretamente nell’al-di-qua per far cambiare la situazione, anestetizza realmente le persone che subiscono ingiustizia.

Già Pascal, nel 1600, aveva capito che la gente è facilmente manipolabile, aveva colto perfettamente la psicologia della gente spiegando come limmaginazione spodesta frequentemente la ragione, per cui chi esercita il potere deve paludarsi: «i nostri magistrati hanno ben compreso questo mistero. Le loro toghe rosse, gli ermellini in cui sinfagottano come gatti impellicciati, i palazzi dove tengono udienza, i fiordalisi, tutta questa messinscena è assolutamente necessaria; così, se i medici non portassero camici e pantofole, e i professori berretti quadrati e vesti troppo ampie sui quattro lati, mai avrebbero ingannato la gente, incapace di resistere a questa autentica parata. Se i giudici rappresentassero la vera giustizia, e se i medici conoscessero la vera arte di guarire, non avrebbero bisogno di berretti quadrati; la dignità di queste scienze sarebbe venerabile per se stessa, ma essendo scienze immaginarie è inevitabile che si servano di questi vani strumenti per colpire limmaginazione con cui hanno a che fare, ed è ciò appunto che procura loro rispetto»[21].

Non si può dire esattamente lo stesso del clero quando si copre di vesti solenni e sfarzose, che richiamano gli abiti delle corti romane imperiali, ma non di certo le vesti dei pescatori del Mar di Galilea?

(continua)



[1] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 162.

[2] Gauthier R., Preghiere per le esigenze del cuore, ed. Cittadella, Assisi, 1998, 45.

[3] Così si spiega anche come le stesse parole possono assumere significati diversi in diversi autori (Théron Michel, Piccola enciclopedia delle eresie, ed. il melangolo, Genova, 2006, 18).

[4] Giano aveva due facce opposte, e il suo tempio aveva due porte che si aprivano ciascuna su una delle due facce: a volte era aperta la porta che dava sulla faccia della pace, a volte questa era chiusa e veniva aperta l’opposta che dava sulla faccia della guerra. Giano bifronte, quindi, indica i cambiamenti da uno stato all’altro.

[5] Alcuni pensano che le inconciliabilità siano dovute a mani diverse che hanno scritto il testo (Brown R., Introduzione al Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2007,267).

[6] Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione – Dei Verbum § 11 – del 18.11.1965.

[7] In tal senso anche Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1965, 120.

[8] Ora, che in realtà i 22 libri della Bibbia ebraica – 22 come le lettere dell’alfabeto ebraico - fossero una raccolta di secoli di riflessioni su quello che aveva detto i profeti ed i sapienti, emerge già da una lettura letterale del testo. Si legga, ad esempio, il Salmo 51. Il versetto 18 rende evidente che Dio non ama ricevere né sacrifici, né offerte. Chiaramente il versetto è in linea con quanto proclamavano i profeti prima dell’esilio di Babilonia quando contestavano il clero e il suo culto ipocrita. Ma se passiamo ai versetti 20-21, dobbiamo per forza pensare di essere davanti ad un’aggiunta fatta dopo il ritorno dall’esilio di Babilonia, quando i sacerdoti cercavano di dare speranza a chi era tornato, perché si afferma che, con la ricostruzione delle mura di Gerusalemme, Dio avrebbe improvvisamente (e chissà perché) gradito i sacrifici che solo due versetti prima odiava.

[9] Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 32.

[10] Di fronte al timore per il Padre ecco la crescita incontrollata della venerazione per la Madonna. Il suo compito è l'intercessione, anche se Gesù aveva chiarito che il Padre è nel segreto, nell'intimo di ciascuno di noi - Mt 6, 4.18 – per cui non serviva l'intercessione (Mancuso V. Dio e il suo destino, ed. Garzanti, 2015, 287s.).

[11] Drewermann E., Funzionari di Dio, ed. Raetia, Bolzano, 1995, 74s.

[12] Idem, 203.

[13] Teniamo ad es. presente che, com’è cambiata nel tempo l’immagine che ci siamo fatti di Dio, è cambiato anche il significato delle parole. Prendiamo, ad esempio, il concetto di vendetta. Se leggiamo il discorso di Lamech (Gn 4, 23), vediamo che siamo davanti a una vendetta privata senza limite che Dio stesso approva: per un livido Lamech uccide un ragazzo; per una ferita uccide un uomo. E gli altri cosa faranno? A quel punto è scontato che le faide fra clan non finiranno più, col rischio di distruggere l’intero clan. Il re babilonese Hammurabi, inserì nel suo codice il famoso principio del taglione: “occhio per occhio, dente per dente” (Enciclopedia storica L’uomo e il tempo, ed. Mondadori, Milano, 1972, vol.2., 151). Noi oggi consideriamo questo principio barbaro e violento, ma nel 1800 a.C. questo era un grandissimo principio di civiltà, perché poneva un preciso limite alla vendetta: se uno ti ha rotto un dente, puoi solo rompergli un dente, non puoi staccargli un braccio o ammazzarlo. La Bibbia accolse questo principio e lo inserì nel più vasto sistema della giustizia retributiva. Ma in seguito l’idea di vendetta è ulteriormente progredita. Se leggiamo il Salmo 83 vediamo una preghiera collettiva che esprime rabbia e desiderio di vendetta; se leggiamo il Salmo 109 troviamo un’analoga preghiera, ma questa volta personale. Ora, a parte il fatto che questi salmi riescono ancora a trasmetterci dopo decine di secoli tutta la forza del dolore sofferto da chi recitava questa preghiera, quello che deve essere sottolineato è che, in entrambi i salmi, la vendetta viene delegata a Dio. Non è più l’uomo che reagisce perché colpito nella sua carne: siamo davanti a un ulteriore passo modificativo. La vendetta personale deve essere abbandonata perché c’è la convinzione che Dio non lascia nulla impunito, e che non c’è scampo alla giustizia divina: neanche se uno cercasse rifugio in alto fra le stelle (Abd 1,4). A livello individuale, la vendetta è la forza che Dio esercita per ristabilire la giustizia. A livello collettivo, i crolli di Tebe (capitale d’Egitto) nel 663 a.C. o di Ninive (capitale degli Assiri) nel 612, cioè nell’arco di una generazione, sono interpretati come segno della giustizia di Dio, il quale non tollera che queste nazioni abbiano oppresso e perseguitato così a lungo il popolo ebreo (I vostri nemici saranno distrutti… ti libererò dal dominio dei nemici e spezzerò le tue catene: Na 1, 12-13). Dunque, il vendicarsi diventa semplicemente ristabilire la giustizia, ristabilire l’armonia originale, e questo lo può fare solo Dio.

[14] Su questo punto è d’accordo pure papa Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 155, quando parla di coscienza e dice che Dio non può ispirare una cosa ad una coscienza ed un’altra contraria a un’altra coscienza.

[15] Vedasi ancora di recente Matino G., Ora il cielo è aperto, “Famiglia Cristiana”, n.23/2011, 10.

[16] Cosa invece affermata, in contrasto con i vangeli, da vari visionari: vedasi, ad es., la veggente coreana Kim che, a metà del secolo scorso, raccontava di aver avuto la visione di Cristo, il cui cuore sanguinava per colpa dei peccati degli uomini (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013,63).

[17] Castillo J.M., Vittime del peccato, ed. Fazi, Roma, 2012, 232s..

[18] Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 376.

[19] Castillo, J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2019, 94.

[20] Marx K., Critica della filosofia del diritto di Hegel, in Scritti politici giovanili, ed. Einaudi, Torino, 1975, 394-412: “La religione è il gemito della creatura oppressa, l’animo di un mondo senza cuore, così com'è lo spirito di una condizione di vita priva di spiritualità. Essa è l’oppio del popolo”.

Insomma, finché la religione insegna che, anche se la gente si sente sfinita per le ingiustizie che patite, deve tirare avanti lo stesso e consolarsi pensando alla felicità futura in paradiso, ha ragione Marx a parlare di oppio narcotizzante.

[21] Pascal B., Pensieri, n. 235 L’immaginazione, ed. Einaudi, Torino, 1962, 112.