Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Ritratto di Franz Liszt - opera di Auguste Alexis Canzi e József Heller, 1860s – National Portrait Gallery, Londra - foto tratta da commons.wikimedia.org

Lisztomania



di Stefano Sodaro


E il personaggio della foto qui chi sarebbe? Un prete pare. Giusto?

La risposta non è in realtà precisissima, ma cominciamo dal nome.

Per quanto forse – forse – possa sembrare sbalorditivo, questa fotografia ritrae il sommo pianista e compositore Franz Liszt. In abito talare, corretto.

Il 25 aprile 1865, infatti, a 54 anni suonati, ricevette la tonsura dall’arcivescovo, futuro cardinale, Gustav Adolf von Hohenlohe-Schillingsfürst, al tempo Elemosiniere di Sua Santità. Il successivo 30 aprile ricevette contemporaneamente, in Vaticano e sempre dal medesimo arcivescovo, tutti e quattro gli ordini minori di ostiario, lettore, esorcista e accolito.

Ma non basta. Liszt era a Roma per la speranza di vedere pronunciata la nullità matrimoniale che gli avrebbe consentito di sposare la donna che gli viveva accanto da quasi vent’anni, Carolyne zu Sayn-Wittgenstein, e che fu la sua compagna per altri venti ma che era già sposata, con una figlia.

E non basta ancora. Liszt era stato raggiunto, prima dell’incontro con Carolyne, nel 1835, dalla contessa Marie d’Agoult che per lui aveva lasciato il marito e le due figlie e che, dalla relazione con Listz, divenne madre di due figlie ed un figlio.

Al tempo dell’entrata nello stato clericale di Liszt Carolyne era rimasta vedova, ma viveva ancora con lui e tuttavia non giunsero alla celebrazione di alcun matrimonio.

Liszt ottenne persino, nel 1879, il canonicato di Albano e fu così soprannominato “l’abbè” Liszt, quantunque non fosse prete e non avesse assunto pubblicamente l’obbligo del celibato clericale che si contraeva soltanto con la ricezione dell’ordine maggiore del suddiaconato.

Al qui presente sottoscritto direttore de “Il giornale di Rodafà” una simile storia, scoperta quasi per caso in questa settimana, è parsa profilarsi all’orizzonte dell’incredibile. D’altri dettagli ed altri personaggi sarà il caso di parlare eventualmente in altre sedi, qui tuttavia forse si può solo accennare al fatto che, dopo una drastica rottura d’amicizia con il celebre pianista Hermann Cohen, omonimo del grande filosofo ma soprannominato “Puzzi” da una comune amica, la scrittrice George Sand (niente poco di meno…), i rapporti con “Puzzi” si ricomposero quasi al termine dell’esistenza del maestro, allorché – ecco l’altra svolta straniante - il grande, grandissimo, Franz Liszt, prese a passeggiare, in veste talare appunto, vicino al Colosseo con l’amico discepolo Hermann Cohen, incontrato di nuovo proprio a Roma e divenuto nel frattempo frate carmelitano.

E pure così non basta.

Gli psichiatri di metà Ottocento del secolo scorso dovettero infatti confrontarsi con un fenomeno di apparente inspiegabile isteria collettiva che coinvolgeva il pubblico che assisteva alle esecuzioni pianistiche di Liszt ed il termine di “lisztomania” fu inventato dal poeta Heinrich Heine nel 1844. Sembra che il fenomeno fosse da ricondursi ad una specie di effetto catartico, liberatorio, terapeutico, che la musica di Liszt provocava in chi l’ascoltava e non poteva dare sfogo alle emozioni che una vita in condizioni di oppressione e mancanza di libertà, sia politica che personale, comprimeva nella psiche e nell’anima.

L’emozione sopraffà. L’invito, rispettoso, è di ascoltare subito qualche brano delle composizioni di questo singolare e straordinario musicista che non cessò di amare, mai, neanche per un attimo. E che, in maniera davvero stupefacente, ad un certo punto unì afflato religioso e dedizione artistica. Che conosceva e frequentava le donne senza imbarazzi e che ora è ritratto qui in veste nera da prete senza essere prete. A norma di diritto canonico avrebbe potuto dismettere quell’abito in qualsiasi momento.

I mondi interiori sono capaci di capriole impensabili ed inaudite, di gesti esistenziali che lasciano di stucco.

Di più.

La vita di Franz Liszt interseca assetti istituzionali ben consolidati, persino costrittivi – i matrimoni altrui, le procedure canoniche di nullità matrimoniali, l’entrata nello stato clericale -, e tuttavia respira dimensioni anti-istituzionali, a partire ovviamente dalla sua stessa musica “che fa impazzire”.

Un lascito a noi?

Lasciamo la domanda aperta. Farsi domande è più importante del darsi risposte.

Buona domenica.