Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Adamo ed Eva rimproverati da Dio - Francesco Furini, 1630-1639, Firenze, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, immagine tratta da commons.wikimedia.org


Il patriarcato



di Dario Culot



Carla Lonzi, nel suo saggio Sputiamo su Hegel, scrive che Cristo rappresenta l’irreversibilità del senso di colpa su cui si fonda la potenza del padre, e quindi del patriarcato. Nel percorrerla fino in fondo egli acquista la certezza che, immolandosi, ne esegue la volontà e riscatta la comunità a maggior gloria del Padre. Dunque Gesù – secondo questa autrice - sarebbe perfettamente inserito nella cultura patriarcale.

Premesso che la cultura patriarcale è la cultura della presa del potere, e che anche il patriarcato ha avuto la pretesa di fondarsi su Gesù, personalmente credo che duemila anni fa Gesù sia stato l’uomo più lontano in assoluto dall’idea di sostenere il patriarcato, avendo sempre parteggiato per le donne e contrastato il potere. Il Gesù terreno si è focalizzato sul servizio, sulla bontà, sull’amore misericordioso da riversare gratuitamente sugli altri in questo mondo, e ha visto il potere come qualcosa di diabolico[1].

Certo che da una cultura già maschilista (ebraica[2] ed ellenistica) non poteva che nascere una religione maschilista. Perciò il magistero cattolico (presto formato solo da maschi) ci ha fatto intendere che Dio (padre) è maschio, sinonimo di potere, forza, capacità d’imporsi, giudicare, reprimere, castigare. Nella religione non abbiamo un padre e una madre, perché Dio lo rappresentiamo solo come padre. La carenza del femminile in Dio è supplita nel cattolicesimo con l’immagine della Madonna, che rappresenta ciò che non si può trovare nel padre[3]. Il padre, che s’impone e giudica, resta a distanza; possiamo avvicinarci solo alla madre, tant’è che nelle processioni si porta in baldacchino la Madonna, mai Dio Padre[4]. Eppure, in Dio dovremmo trovare sia l’amore saldo e sicuro del padre (Is 59, 16), sia quello gratuito e totale della madre (Is 49, 15-16), come aveva osato affermare Giovanni Paolo I: «noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile: è papà, più ancora è madre»[5].

È certo che non solo il cristianesimo, ma tutte le religioni abramitiche hanno maltrattato abbastanza le donne. Anzi, il cristianesimo non è neanche la peggior religione per le donne, visto che almeno, fin dall’inizio, ha ammesso uomini e donne allo stesso rito d’ingresso (si pensi alla differenza abissale fra battesimo cristiano e circoncisione ebraica riservata ai maschi), e non ha mai escluso le donne dall’ecclesia, dall’assemblea (anche se san Paolo ha presto imposto loro di tacere: 1Cor 14, 34[6]).

È stata sempre la teologia paolina a mettere l’uomo su un gradino più alto: “il capo della donna è l’uomo” (1Cor 11, 3), il tutto ammantato di richiamo alla sacra Bibbia, dove – secondo un filone che ha finito per prevalere – l’uomo è stato creato prima della donna (1Cor 11, 8). Quando Dio mette Eva di fronte ad Adamo, l’uomo si accorge di aver uno strano compagno di viaggio, che però non è lui. È vero che prima niente e nessuno erano di valido aiuto ad Adamo (Gn 2, 20), ma ora egli trova uno straniero davanti a lui, e questo straniero reclama una soggettività uguale alla sua, apparendo diverso, ma nello stesso tempo uguale: un vero e proprio interlocutore, non un aiuto subordinato per natura come è stato a lungo tradotto,[7] e men che meno una cosa data per utilità del maschio. La doppia creazione umana (seconda versione biblica della creazione, ma meno gettonata di quella della costola) dimostra una comunione fra uguali, ma al tempo stesso diversi, e questa versione è sempre rimasta in secondo piano rispetto alla versione della ‘costola’, perché crea più problemi,[8] e giustamente questo inquieta l’uomo fin dall’inizio,[9] che vuole le cose facili e ben chiare. Invece se Dio ha introdotto da subito la differenziazione maschio-femmina (Gn 1, 27), non la subordinazione, forse è per dirci che l’incontro diventa possibile solo là dove c’è diversità. Il porre Eva davanti ad Adamo, allo stesso suo livello, ha da subito implicazioni assai pesanti, perché a quel punto Adamo avverte di essere parziale; ognuno di noi, che è Adamo, avverte di essere parziale. Nessuno di noi è tutto, solo Dio è tutto. Già nel riconoscere l’esistenza dell’altro (non ancora la sua soggettività), automaticamente si annuncia la propria parzialità.

La parzialità, la frammentazione è strutturale nell’uomo, ma questo crea insicurezza, e di fronte a questa insicurezza, l’uomo si rifugia nell’assoluto, cerca di non riconoscere pari soggettività alla donna e impone la società patriarcale, l’androcentrismo, il maschilismo: scambia il suo mondo con il mondo.

Oggi dovremmo renderci conto che se Paolo ha seguito la linea patriarcale (e la Chiesa, con decisione, è andata dietro di lui), Cristo non ha mai seguito la stessa linea. E su questo punto i vangeli dimostrano ancora una volta che Gesù è stato di una novità esplosiva.

Ma, stando ai vangeli, cosa avrebbe fatto di particolare Gesù per le donne? Il punto di partenza del cristianesimo è la resurrezione. Ora, se in retrospettiva si parte dalla passione di Cristo e si arriva alla resurrezione, si parte con una donna e si finisce con una donna,[10] e non certo con i 12 apostoli maschi.

In Mc 14, 3-9 – passo che può essere visto come inizio della passione - siamo in presenza di una donna anonima, ed ormai sappiamo che quando un personaggio è anonimo ognuno ha diritto di identificarsi in esso. In Giovanni, invece (Gv 12, 1-7) la donna viene identificata con Maria, sorella di Marta e di Lazzaro. Gesù dice che questa donna lo ha unto in vista della sua sepoltura (Mc 14, 8; Gv 12, 7), ormai imminente. Questa donna, versando il profumo, non cerca tanto di addolcire la fine imminente di Gesù, ma con quel gesto si dimostra disposta a donare la propria vita: la perdita del costoso profumo è perdita della vita, che però diventa lei stessa profumo di Cristo e di vita (2Cor 2, 15-16). Gli apostoli che accompagnano da sempre Gesù, ma non sono ancora capaci di seguirlo, trovano inutile la morte del maestro e restano indignati per tanto spreco ingiustificato: con i soldi del profumo si poteva fare ancora tanto in questa vita, e non a caso nessun discepolo maschio sarà sotto la croce (cfr. Mc 15, 40)[11]. Ma c’è anche dell’altro: Marco dice che questa donna è “entrata” in questa casa, quando gli altri già c’erano: è chiaro quindi che non apparteneva al gruppo noto dei discepoli; anche lei sta seguendo Gesù, ma non si identifica con quella comunità giudaica rappresentata da Pietro e gli altri apostoli. Insomma, Marco ci sta dicendo che questa donna sta rappresentando un gruppo di discepoli che ha perfettamente capito quello che Gesù sta per fare (sta per morire), e fa parte di un gruppo sparuto di discepoli pronto a condividere la stessa sorte di Gesù. I 12 apostoli non hanno ancora capito niente, tanto che dormiranno ancora durante l’agonia di Gesù nel Getsemani (Mt 26, 43).

Poi Gesù aggiunge non solo che questo sarà l’unico episodio di tutto il vangelo che dovrà essere ricordato in tutto il mondo, sì che questa donna fa ormai parte integrante del vangelo (cosa che non viene detta per nessun apostolo, neanche per Pietro), ma soprattutto che ciò che questa donna ha fatto «sarà ricordato in memoria di lei» (Mc 14, 9). Nell’orecchio dovrebbe suonare un campanello d’allarme, perché in memoria di lei fa da pendant con la frase eucaristica (Lc 22, 19: fate questo in memoria di me, e anche 1Cor 11, 25). Dunque, è stato argutamente osservato[12] che nei vangeli abbiamo in realtà due memorie: vi è la memoria di Gesù (quello che lui ha fatto per tutti), che tutti conosciamo; ma vi è anche la memoria della donna anonima, vera credente (ciò che la donna ha fatto per Gesù), di cui quasi nessuno ha sentito parlare. E mentre i vangeli intrecciano queste due memorie, la Chiesa ha presto dissociato queste due memorie. La memoria di lei è stata espunta e presto dimenticata (1Tm 2), e la grande novità portata da Gesù è finita nell’oblio. Conseguenza di ciò? Nella Chiesa la donna ha presto perso quella posizione che le aveva dato Gesù, e la forza dello Spirito Santo non è ancora riuscita – dopo duemila anni – a rovesciare questa barriera maschilista eretta da una Chiesa-istituzione fatta di soli maschi. Quando non si resta nella memoria di un elemento fondante, si perde la rotta. Pensiamo alla liberazione del popolo ebreo in Egitto. Il popolo, piegato in schiavitù, non chiedeva nulla; è Dio che unilateralmente ha preso l’iniziativa e lo ha liberato con la collaborazione di Mosè. Ma non basta essere tirati fuori dell’Egitto se poi si ricostruiscono le stesse dinamiche che già esistevano in Egitto: gli ebrei perdono la memoria di essere stati schiavi in Egitto e di cosa significava l’Esodo; finirà che la terra promessa non verrà mai veramente abitata, visto che è come se fossero ancora in Egitto: il popolo continua a morire (in guerre varie), continua a servire una casta dirigenziale, tradendo l’Esodo che li aveva chiamati alla libertà. La perdita di memoria ha vanificato la libertà. Nel vangelo di Luca (Lc 13, 10-13), al posto del popolo piegato in Egitto c’è una donna piegata in una sinagoga[13]. Di fronte all’indignazione del capo della sinagoga perché Gesù, tanto per cambiare, ha effettuato la guarigione di sabato, Gesù spiega a tutti cosa ha fatto: “Se questa donna è una figlia di Abramo, non doveva essere sciolta anche lei?” (Lc 13, 16) sottintendendo “come Dio ha sciolto Isacco”. È chiaro allora che il raddrizzamento della donna che torna eretta non è guarigione da un’infermità fisica, visto che nella spiegazione Gesù parla di sciogliere una donna legata, ma è liberazione da un demone; il demone per le donne è il maschilismo segregante; infatti non appena sciolta la donna comincia a proclamare che Dio libera (Lc 13, 13)[14]. Anche qui, se la donna perdesse la memoria della sua liberazione, tornerebbe a piegarsi sotto il peso della tradizione maschilista.

Ma ancora non è tutto qui. Sappiamo che ai tempi di Gesù non esisteva la discepola, ma solo il discepolo maschio[15]. Gesù, in maniera del tutto inedita e scandalosa per i benpensanti di allora crea una piccola comunità mista: uomini e donne: c’erano, sì, i dodici apostoli, ma anche donne guarite dai demoni e altre che sostenevano economicamente la piccola comunità (Lc 8, 2-3). E sappiamo quanto essenziale è avere almeno un po’ di denaro per vivere. Tutte le donne fanno parte integrante della comunità: non sono ausiliarie di secondo piano. Si obietterà che Gesù ha chiamato solo i dodici apostoli tanto che i vangeli hanno dato a ciascuno un preciso nome, mentre non ha chiamato nessuna donna. È stato, mi sembra correttamente, replicato[16] che la chiamata (implicita) coincide con la guarigione e l’immediata sequela (pensiamo solo alla Maddalena).

E non basta: emerge perfino un primato delle donne che normalmente non viene fatto notare. Si è visto che il primo divulgatore della Buona Novella è il lebbroso guarito. Ma questo lebbroso annuncia la buona notizia fra i giudei. La prima missionaria in terra non giudaica è la samaritana incontrata da Gesù al pozzo (Gv 4, 28-30; 4, 40-41). Cosa avevano fatto nel frattempo i 12 apostoli? Niente. Erano andati in città a far compere, a svolgere incombenze – queste sì – secondarie. Sicuramente non avevano evangelizzato nessuno, mentre la samaritana tornando in città porta il pane di vita eterna e converte molti.

O ancora: leggiamo il famoso episodio delle sorelle Marta e Maria (Lc 10, 38-42). Stando attenti alla lettera, anche se i discepoli accompagnano Gesù, solo Gesù entra nel villaggio, il che significa teologicamente che essi non sono ancora in grado di seguirlo, anche perché il villaggio è il luogo dell’incomprensione, come detto più volte. Abbiamo appena detto che non esisteva il termine discepola, eppure Maria si mette lì ad ascoltare Gesù, mentre la sorella Marta è tutta affaccendata in cucina (Lc 10, 40), perché in quella società maschilista la donna doveva lavorare, possibilmente stando nascosta e invisibile dietro alle quinte. Maria invece si comporta come il maschio di casa e viene presentata come il modello del discepolo:[17] basta ricordare quanto è importante nella Bibbia stare in ascolto. Maria, pur comportandosi come un maschio, riceve l’approvazione di Gesù. Invece Marta, apparentemente presentata come la regina della casa, è in realtà schiava della sua condizione tradizionalmente assegnatale. Grande è la vittoria del potere, osserva il biblista, quando riesce a dominare le persone illudendole di essere libere, e contrabbandando aglio e cipolle per latte e miele; e per Luca la situazione di Marta è drammatica appunto perché è come quella degli schiavi contenti di esserlo[18]. E di 12 apostoli dove sono? Sono indietro, non sono neanche riusciti ad entrare nel villaggio; devono farne di strada per diventare discepoli.

Ma non basta ancora. Si è già detto di Maria Maddalena. In Matteo la Maddalena insieme ad un’altra donna sono mandate dall’angelo ad annunciare ai discepoli la resurrezione (Mt 28, 7) Le donne sono le prime a credere alla resurrezione. Anche in Marco (Mc 16, 7) la Maddalena insieme ad altre due donne viene mandata dall’angelo ad annunciare ai discepoli la resurrezione. Anche in Luca sono sempre la Maddalena insieme ad altre donne ad annunciare per prime la resurrezione (Lc 24, 9-10). Gli apostoli, invece, all’inizio non ci credono (Lc 24. 11). In Giovanni (Gv 20, 17), in particolare, Gesù dà un incarico ben preciso a Maria Maddalena: «va’ dai miei fratelli, e di’ loro…». Dunque una donna viene espressamente incaricata di portare il messaggio della resurrezione a tutti i fratelli. E cosa è questa se non una missione apostolica? Questo incarico non viene dato a nessuno dei 12 apostoli. Dunque, se si vuol parlare di successione apostolica, essa non comincia da Pietro, perché il primo anello della catena è una donna, Maria Maddalena[19]. In Matteo (Mt 28, 9) lo stesso incarico viene dato a Maria Maddalena e all’altra Maria che era con lei (Mt 28, 1-9).

E perché non ricordare che dagli Atti degli apostoli emerge che a Gerusalemme, fin dall’inizio, dopo l’uccisione di Stefano e la dispersione di molti credenti, si era prodotta una spaccatura in seno alla Chiesa primitiva: gli apostoli, i non toccati dalla persecuzione, che avevano costituito la Chiesa di Gerusalemme, erano rimasti là (At 8, 1);[20] altra parte della comunità cristiana, più aperta al mondo pagano, si riuniva nella casa di Maria, forse la madre dell’evangelista Marco[21]. Quindi fin dall’inizio a Gerusalemme si formano due comunità: una quella ufficiale dove la gerarchia prende rapidamente il sopravvento, retta dagli apostoli e dai farisei (NB: sono proprio quelli che avevano collaborato attivamente nel far ammazzare Gesù, e che ora invece occupano i posti dirigenziali nella prima Chiesa di Gerusalemme); e un’altra che oggi potremo chiamare, con un linguaggio moderno, una comunità di base[22]. Ora, Pietro, notoriamente indicatoci come il capo della Chiesa, una volta che si è liberato,[23] non ha esitazione: non torna nella comunità ufficiale, nella chiesa ufficiale, quella retta dagli apostoli di cui lui stesso era stato dirigente, ma avendo capito che Dio “mi ha liberato dall’aspettativa dei giudei” (At 12, 11) compie una scelta clamorosa, al punto che sembrerà incredibile: lascia la Chiesa ufficiale di Gerusalemme ormai retta e governata dal duro Giacomo,[24] non cerca di rientravi e di riprendersi il potere, ma sceglie di entrare nella seconda comunità di Gerusalemme, va nella comunità di base retta dall’amore di una donna (e l’amore della madre, a differenza di quello del padre, è gratuito perché accetta il figlio per quello che è, senza aspettarsi niente da lui), fondata sui vangeli (Marco) perché una comunità, se non è centrata sul Vangelo, non è una comunità di Gesù, dove si presta il servizio (Rode). Ripeto: la vera comunità cristiana che segue i Vangelo di Gesù è solo quella fondata sull’amore gratuito e servizievole, non quella costruita gerarchicamente dove alcuni comandano e altri obbediscono. E solo alla fine (At 12, 5 e 12) si scopre anche che questa è stata anche l’unica chiesa a pregare per la sua liberazione[25]. Ma obietterà qualcuno: “Una comunità che è composta da tre persone? Impossibile”. Ovviamente questa Chiesa retta da una donna appare insignificante, ma qui il numero 3 va letto in senso simbolico e non storico, e come sappiamo il n.3 indica completezza, sì che l’evangelista ci presenta il modello di vera comunità cristiana[26]. È l’amore servizievole, non l’ortodossia,[27] che deve presiedere la comunità cristiana, e nelle Scritture l’unica vera Chiesa è quella retta da una donna, non quella retta da Pietro: emerge dunque un ennesimo primato delle donne.

E Gesù ha fatto ancora molto altro per le donne:

a) Sappiamo che, nella mentalità di allora, una donna che perde sangue è impura; nessuno deve toccarla per non restare contaminato (ad esempio una donna mestruata Lv 15, 19). Nell’episodio dell’emorroissa Gesù capovolge la previsione di legge: tocca la donna impura e anziché restare contaminato la guarisce. La reintegra a pieno titolo nella società che l’aveva emarginata.

b) Nell’episodio dell’adultera colta in flagrante, per la quale la legge prevedeva la pena di morte, Gesù capovolge la legge divina, e perdona l’adulterio femminile senza neanche chiedere alla donna se si è pentita. A differenza di tanti confessori moderni, nemmeno indaga sul come, sul perché, né va a frugare per dettagli scabrosi. «Va e non peccare più» (Gv 8, 11). Tutto qui. Ma anche qui, il termine “peccare” non rende la traduzione. Peccare significa mancare il bersaglio: quindi Gesù non invita a smetterla di andare con altri uomini perché è sposata, ma a rendersi conto che l’amore nella vita è altra cosa, che occorre centrare il bersaglio.

c) Nell’episodio della prostituta (Lc 7, 36-50), in cui Gesù si lascia toccare, baciare, creando scandalo nel padrone di casa e probabilmente fra gli altri commensali, viene semplicemente travolto il peccato dei peccati: quello sessuale. «Ha molto amato» (Lc 7, 47) la giustifica Gesù. Chi ha amato? Non evidentemente chi la pagava per servirsi del suo corpo. Ha molto amato Gesù. Siamo davanti ad un esempio in cui l’amore venale viene trasformato in personificazione dell’amore gratuito. Quando Gesù pronuncia queste parole, non ha ancora perdonato la prostituta (Lc 7, 48), quindi non è il sapersi perdonata che ha fatto scattare nella donna l’amore verso Gesù.

d) Mt 8, 14-17: «Entrato Gesù nella casa di Pietro vide la suocera di lui che giaceva con la febbre. Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo». In questo episodio l’apostolo non chiede l’intervento di Gesù a favore della suocera ammalata; Pietro neanche la guarda, neanche la vede, neanche se ne accorge. È Gesù che si accorge della donna (la vede a letto), e questo resterà l’unico caso nel Vangelo di Matteo in cui egli guarisce di sua iniziativa un ammalato, senza che l’ammalato gli venga presentato o senza che la guarigione gli venga richiesta. Matteo sta scrivendo per gli ebrei e proprio con una stilettata attacca la loro mentalità maschilista mettendo in rilievo questo aspetto negativo della loro mentalità: non interessarsi alla salute della donna, e men che meno chiedere a Gesù la guarigione di un essere sub-umano qual era considerata una donna. Non sfiorava neanche la testa dei maschi scomodare Gesù, l’uomo-Dio, per curare e guarire una donna. Si può chiedere a Gesù di guarire i ciechi, i muti, i paralitici, si può chiedergli di resuscitare i morti, ma non la guarigione di una femmina impura. Visto che neanche il negativo Pietro[28] si interessa e si prende cura di questa donna, è Gesù a prendere l’iniziativa. Questo “vedere” da parte di Gesù è lo stesso verbo usato nella Genesi per la creazione. Per sette volte Dio crea, comunica vita e “vede” che era opera buona. Gesù che è l’uomo-Dio, la manifestazione di Dio vitale e creatore, ridona vita là dove c’è l’infermità. Dunque, toccando la donna, Gesù comunica vita, e la donna viene guarita; allora per prima cosa «si mise a servirlo» (Mt 8, 15). Come mai l’evangelista non adopera il plurale? Come mai, se la donna è guarita e può tornare alle sue faccende, non serve tutti gli altri uomini? Siamo nuovamente davanti a un punto teologico, tutto a favore delle donne. Il verbo greco usato, da cui poi deriva la nostra parola "diacono" (diakonìa significa servizio), è un termine tecnico che indica il servizio-sequela di Gesù. Il seguace di Gesù si porrà a servizio degli altri, ma nella sequela di Gesù.

Sono tutti episodi che dimostrano come, duemila anni fa, Gesù ha combattuto contro tanti tabù che inchiodavano le donne in una posizione subalterna al maschio[29]. Risultato? Purtroppo scarso, se già Tertulliano, [30]- il primo autore importante a scrivere in latino e non in greco - scriveva nel secondo secolo: «Non sai, donna, che anche tu sei Eva? In questo mondo è ancora operante la condanna di Dio contro il tuo sesso; è necessario che duri anche la condizione di accusata [...] Tu sei la porta del diavolo! Sei stata tu a circuire colui che il Demonio non era riuscito a raggirare![31] Tu hai distrutto l’immagine di Dio, l’uomo! A causa di ciò che hai fatto, il Figlio di Dio è dovuto morire!»[32].

Ricordo infine che in Italia, l’omicidio per causa d’onore commesso dal parente stretto nei confronti della donna adultera (moglie, sorella, figlia) è stato abolito appena con legge 5 agosto 1981, n.442, e senza che la Chiesa avesse mai avuto nulla da obiettare per la perdita delle vite di quelle donne, che evidentemente non erano sacre quanto, oggi, quelle dei feti.

Il debito della Chiesa verso i vangeli e verso le donne sembra ancora notevole. Correttamente, allora, papa Francesco ha riconosciuto che la tentazione del maschilismo non ha lasciato molto spazio alle donne nella Chiesa[33], e che la Sacra Scrittura cristiana è molto più femminile di quanto ci hanno finora insegnato[34].




NOTE

[1] È vero: in un passo Gesù sostiene che il proprio potere gli viene da Dio, e in più occasioni mostra il suo potere messianico compiendo segni importanti: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28, 18); ma questa spiegazione avviene dopo essere risorto, mentre morendo è apparso a tutti come totalmente privo di ogni potere. Quando Gesù muore sulla croce è assolutamente solo, privo di ogni potere: i discepoli l’hanno abbandonato. Cosa gli resta? Sicuramente l'umanità, non certo la divinità. Sulla croce non si può vedere neanche un filo di divinità. Gesù è morto credendo di aver ragione, ma senza averne la garanzia provata, e per questo è antesignano della fede (Eb 12, 2) (Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 116).

[2] Il maschilismo domina anche nella Bibbia che è pur sempre Parola di Dio, ma incarnata nelle coordinate della storia e non è un perfetto manuale di verità piombato dal cielo (Ravasi G., in Famiglia Cristiana n.47/2019, 96).

[3] Anche se a volte, la Madonna è stata presentata come una guerriera. A parte l’appoggio dato agli invasori spagnoli contro gli Incas, si narra anche della volta in cui, davanti a Costantinopoli, la Madonna avrebbe fatto sollevare una tremenda tempesta che affondò la flotta di coloro che avevano assalito i cristiani (Camilleri R., Le lacrime di Maria, ed. Mondadori, Milano, 2013, 117s.). Questo fa da perfetto pendant col Kamikaze, il vento divino che affondò la flotta mongola che cercava di invadere il Giappone. E in Giappone non erano cattolici.

[4] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 168s.

[5] Riportato in Madre nostra dove se nei cieli?, “La Repubblica”, 43.

[6] San Paolo ha scritto anche in Efesini 5, 22-31 “Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto”. Chiaro che se si legge il testo alla lettera e si segue l’interpretazione fondamentalista, la società non può evolversi verso costumi più paritari e più liberi, con gran gioia dei maschi.

[7] Un aiuto può essere anche una serva o una colf. Un interlocutore è allo stesso livello. Non più Adamo + Eva, ma Adamo & Eva.

[8]Morra S., La presenza femminile nelle chiese cristiane, relazione tenuta al Convegno del centro Studi Schweitzer A. di Trieste, il 9.11.2013.

[9] Pensiamo oggi al fenomeno dell’immigrazione. Per ora gli immigrati arrivano in Europa inermi e stanchi. Ai tempi della caduta dell’impero romano gli stranieri arrivavano armati, non si lasciavano sottomettere e anzi cercavano di sottomettere: allora chiamavamo queste immigrazioni invasioni barbariche.

[10]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[11] Maggi A., Come leggere il Vangelo e non perdere la fede, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 154s. Sul fatto che non ci sia stato Giovanni, il quale non s’identifica col discepolo amato, vedi l’articolo al n.505 del 25.5.2019, alla lett. (c).

[12]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[13] E qui, a conferma dell’inesauribile ricchezza dei vangeli, si può cogliere una chicca, perché la sinagoga, spazio sacro, viene equiparata all’opprimente Egitto.

[14] Maggi L., Le donne nella chiesa, ieri e oggi, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[15] Nella lingua ebraica non esiste un termine per indicare discepolo al femminile (Maggi A., I volti delle scritture – Donne fra fede e sacrilegio, conferenza tenuta a Vicenza nel 2009, in www.studibiblici.ti/Scritti/Conferenze).

[16] Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[17] Maggi A., Le cipolle di Marta, Cittadella, Assisi, 2007, 86.

[18] Idem, 86ss. E pensiamo a quante donne credenti sono ancora oggi contente del proprio ruolo subordinato che svolgono all’interno della Chiesa, perché così pensano di seguire fedelmente le indicazioni di Gesù.

[19]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[20]Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, vol.VI, 111.

[21] Ravasi G., Gynê: donna, “Famiglia Cristiana”, n.33/2022, 82.

[22] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

[23] Pietro (At 12, 12) viene liberato dalla prigione esterna di Erode, ma anche dalla prigione interna (l’aspettativa dei giudei) che lui stesso si era costruito, tant’è che Luca non a caso scrive che lo stesso Pietro teneva le sue catene con le sue stesse mani. E qual è l’aspettativa del popolo dei giudei? L’arrivo del Messia figlio di Davide, quindi un Messia di potere, vittorioso (Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze).

[24] La Chiesa di Gerusalemme era retta dal duro e puro osservante dell’ortodossia Giacomo, il quale entrava solo nel Tempio e lo si trovava ogni volta in ginocchio a implorare perdono per il popolo, al punto che le ginocchia gli si erano fatte dure come quelle di un cammello per il continuo prosternarsi a Dio in adorazione e chiedere perdono (Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, Libro II, Cap.23 Martirio di Giacomo, chiamato il fratello del Signore, in inglese in www.documentacatholicaomnia.eu, sotto Eusebius Caesariensis).

[25] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/Scritti/conferenze.

[26] Maggi A., L’ultima trasgressione – La cena del Signore, incontro tenuto a Padova, maggio 2011, in www.studibiblici.it.

[27] E di questo si trova conferma nel rimprovero che nell’Apocalisse Gesù in persona muove alla Chiesa di Efeso, la quale, ritenendosi investita del dovere di investire gli altri con la propria verità, dimenticava di convertirsi. Questa Chiesa si distingueva proprio per lo zelo nel difendere l’ortodossia, ma mancava di amore (che invece è prioritario), sì che Gesù rammenta a questa Chiesa che se non si converte rimuoverà il candelabro (Ap 2, 4-5). Rimuovere il candelabro significa che questa chiesa si spegne e non sarà più in grado di fare luce per gli altri, uscendo così dal circuito vitale (Pérez Márquez R., L’Apocalisse della Chiesa, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 42 ss.). Anche se difende strenuamente l’ortodossia diventa un ostacolo alla fede.

[28] La negatività viene confermata dal fatto che l’apostolo viene chiamato Pietro e non Simone: cfr. l’articolo Il primato di Pietro al n. 477 del 4.11.2018 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ultimotrimestre2018rodafa/numero-477---4-novembre-2018/il-primato-di-pietro-nel-nuovo-testamento).

[29]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[30] Tertulliano, Apologeticum,4, 5, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[31] Ma già Sant’Ambrogio, se ben ricordo, aveva replicato a Tertulliano che se Eva era caduta di fronte a uno spirito potente, paragonabile all’angelo, l’uomo Adamo era caduto di fronte a una donna, per cui non poteva certamente vantare alcuna superiorità rispetto alla donna, neanche morale.

[32] Tertulliano, De Cultu Feminarum , I,1 - 2

[33] Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n. 3918/2013, 466.

[34] Il termine greco ‘donna’ (Gynê) è una parola usata ben 215 volte, il che dimostra che Gesù, nella sua vita, è stato accompagnato da tantissime donne e il Nuovo Testamento è molto più femminile di quanto spesso si creda (Ravasi G., Gynê: donna, “Famiglia Cristiana”, n.33/2022, 82).