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SInagoga di Trieste - foto di Stefano Sodaro

Per una teologia sabbatica


di Stefano Sodaro


Nella domenica della Trinità secondo il calendario liturgico cattolico di rito latino, doversi confrontare con Tre piuttosto che con Due mette addosso qualche imbarazzo emotivo ancor prima che razionale.

Dell’Uno poi nemmeno è il caso di parlare, dal momento che monoteiste si presentano sia il Cristianesimo che l’Ebraismo che l’Islam.

Due sarebbe ancora accettabile – ad esempio, la coppia Dio/Uomo, o la coppia Cielo/Terra, o Parola/Silenzio, o Uomo/Donna, o Madre/Figli, o Padre/Madre -, ma Tre? Tre non sembra avere alcun diritto di cittadinanza nella comune, celebratissima, visione binaria degli affetti, ad iniziare dall’apologia della coppia di moglie e marito. Più Due del Due matrimoniale non è possibile pensare.

Bene.

Eppure quel “come se”, di cui parla oggi, in questo nostro 665° numero, Miriam Camerini, nel suo contributo per la rubrica “The Rabbi is in”, sembra far intravedere prospettive meno scontate, benché assolutamente rispettose d’ogni vissuto umano.

Dio sembra esattamente “il Terzo”. Così come il Sabato sembra declinazione terza del tempo davanti alla semplice alternativa di feriale e festivo. Shabbat non è riconducibile alla sola versione “da weekend” della settimana lavorativa, che si tramuta in evasione. Di Shabat c’è da fare il non-fare. C’è da assumere in sé una dimensione, appunto, completamente diversa, “terza” rispetto alle nostre abituali categorie non solo mentali, ma anzi – prima di tutto -, come dire?, “viscerali”.

C’è Altro. Lo afferma proprio Miriam.

Questo Altro resta irriducibile alla semplice, scontata, identità di Uno davanti a Due. Assume piuttosto quasi le sembianze del paradosso, della provocazione, dell’evocazione di qualcosa che ci sfugge eppure ci abita, non capiamo eppure avvertiamo di desiderare molto.

La guerra, orrenda più che mai, è pure inveramento mostruoso di una visione puramente binaria, come negazione della pace. Ma lo Shalom è ben Altro rispetto alla mera assenza di conflitto, non è corrispondente ad un “cessate il fuoco”, che pure tutte e tutti auspichiamo il più presto possibile in Ucraina.

Una “teologia sabbatica” all’interno della stessa Comunità Cristiana è ancora assente, o quanto meno carente.

Il “Sabba” nelle versioni inquisitoriali era addirittura un convegno di streghe ed indemoniati, da perseguire e reprimere in forma radicale.

L’eccesso dell’Altro, dell’Altra, è agli opposti della pretesa violenta del Due, che al Tre non lascia spazio.

L’Associazione Culturale “Casa Alta” propone, tra due settimane, un sabato ed una domenica da trascorrere assieme, nel Monastero delle Clarisse – ah no, errore: delle Sorelle Povere – di Sassoferrato, in provincia di Ancona, nelle Marche.

Uno “Shabat in Monastero” è proprio l’irruzione dell’Alterità come salvezza della nostra storia quotidiana.

Alle due giorni è possibile partecipare, del tutto liberamente, inviando una mail a: casa.alta@virgilio.it

Il nostro Settimanale promuove tale iniziativa, alla quale proprio Miriam Camerini sarà presente e di cui sarà regista.

In Libano udii, decenni fa, una frase rivelativa (a proposito di rivelazione…): nessuna casa è mai troppo piccola per grandi amici.

Vi aspettiamo, dunque.

Buona domenica.






Ted Neeley e Yvonne Elliman in una foto promozionale per Jesus Christ Superstar (1973) - tratta da commons.wikimedia.org

Lo Shabbat di tutti, con Miriam Camerini

Il monastero di Santa Chiara di Sassoferrato, ingresso (foto del direttore)