Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano


Il vescovo di Tel Aviv


di 

Stefano Sodaro

 

Mons. Enrico Trevisi, Vescovo di Trieste - per gentile concessione della Diocesi di Cremona

La Comunità Monastica Benedettina della Dormizione a Gerusalemme - foto dal sito ufficiale

Miriam Camerini, studiosa di ebraismo e candidata al rabbinato - foto di Gianni Passante

Di chi vive in Israele in Italia sappiamo pochissimo se non quasi nulla. Nonostante cronache e pellegrinaggi.

Ad esempio, quasi nulla sappiamo delle Comunità Cristiane che vivono lì, delle diverse Chiese Cattoliche – melkita, armena, caldea, sira e non solo latina (quella a noi nota e familiare, per capirci) – e di tutte le altre Chiese Ortodosse e Riformate, ricomprendendovi, per dire, la Chiesa Luterana di Svezia e la Chiesa Ortodossa d’Etiopia.

Sempre ad esempio, che il 28 maggio prossimo riceva la benedizione abbaziale da parte del Patriarca Latino di Gerusalemme mons. Pizzaballa un monaco dell’Abbazia della Dormizione, padre Nikodemus Schnabel, eletto abate lo scorso 3 febbraio, è notizia di cui non s’è avvertita parola nel contesto italiano, non solo ecclesiale, con l’eccezione di Vatican News. Peraltro la stessa esistenza di una comunità monastica benedettina a Gerusalemme probabilmente è notizia sconosciuta. 

Israele non è mausoleo di presenze morte e sepolte, ma realtà viva, vivente, con i suoi drammi, persino tragedie, e la sua passione di dedizione all’Unico e il suo insegnamento della gioia che riporta direttamente al sapore/sapere biblico.

La notizia della morte del giovane avvocato italiano Alessandro Parini, avvenuta l’altro ieri a Tel Aviv, ci riconsegna la pressante attualità di un mondo, un pluriverso, che ignoriamo. Dovremmo riconoscerlo.

Ma oggi è la domenica di Pasqua per tutte le Chiese che seguono il calendario gregoriano.

Sono tantissimi i Cristiani che continuano a scavallare, a non considerare o – forse anche peggio - sottoconsiderare il dato, imprescindibile, ineludibile, oggettivo, indubitabile, dell’identità ebraica di Gesù di Nazaret.

Eppure per quella medesima Chiesa che oggi celebra la Risurrezione si tratta di attualizzare non solo una memoria, bensì proprio la vita di una persona concreta, creduta non più soggetta al limite della morte.

Dunque sarebbe legittimo chiedere a chi s’identifichi in quella Chiesa, in quelle Chiese, chi sia oggi - per lei, per lui - il rabbi di Nazaret di cui dicono che sia risorto. Dove abita? Dove vive? Dove sta? Che nome e cognome ha oggi? Quale la sua mail ed il suo numero di telefono cellulare?

La nostra opzione, diciamo pure “teologica” - ma non siamo teologi -, è che oggi quel Gesù di Nazaret sia una donna. Una donna d’Israele. Altro non sappiamo dentro di noi.

O forse ancora una cosa in realtà sì, la sappiamo. Come accadde duemila anni fa, la nostra contemporanea “Gesù di Nazaret” – chissà se esista una versione femminile del nome “Gesù” – è una capa comunità, che raccoglie attorno a sé amici, amiche, persone desiderose di conoscere la sua testimonianza, la sua parola, di conoscerla meglio anche nei suoi gesti quotidiani o festivi, come spezzare il pane e bere il vino nella coppa alla sera di inizio Shabbat.

Che sia, dunque, una “vescova” la nostra attuale Crista?

O una rabbi?

O una diacona?

O una reverenda presbitera della Chiesa Anglicana?

Non si tratta di provocare o di lasciarsi andare a boutade di dubbio gusto; si tratta di prendere sul serio una fede, una convinzione, una domanda, un canto, una Hallel, un nome, un volto.

Le parole del Papa ieri sera, durante la Veglia Pasquale nella Basilica di San Pietro, invitavano a tornare in Galilea, ognuno ed ognuna ha la propria Galilea. Il Papa ha detto testualmente: Oggi, in questa notte, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia Galilea? Dov’è la mia Galilea? La ricordo? L’ho dimenticata? Sono andato per strade e sentieri che me l’hanno fatta dimenticare. Signore, aiutami: dimmi qual è la mia Galilea; sai, io voglio ritornare là (...).

Se si può dubitare che la morte non sia l’ultima parola sulla vita, chiunque avverte che non è, non può essere, la conclusione dell’amore. Si ama anche dopo la morte di chi si è amato e amata e se ne vive a propria volta l’amore.

Il passaggio da una vita all’alta è il sentirsi ora a Gerusalemme, a Tel Aviv, nel silenzio e nella festa dei nostri amori.

Buona Pasqua!