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Gerusalemme, The Golden Gate - foto tratta da commons.wikimedia.org

Extra Ierusalem nulla salus

prima puntata


di Stefano Sodaro


Al n. 36 del Documento, intitolato “Perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili” (Rm 11, 29). Riflessioni su questioni teologiche attinenti alla relazioni cattolico-ebraiche, della Commissione per i Rapporti Religiosi con l’Ebraismo del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, pubblicato nel 2015, si legge testualmente: «Il fatto che gli ebrei abbiano parte alla salvezza di Dio è teologicamente fuori discussione, ma come questo sia possibile senza una confessione esplicita di Cristo è e rimane un mistero divino insondabile.»

Forse simile affermazione è scivolata via, nella riflessione pastorale delle Comunità Cattoliche, senza considerare le immense implicazioni, non solo teologiche, che essa ha.

La Commissione della Santa Sede afferma, in sostanza, che è possibile non confessare esplicitamente la fede in Cristo ma essere ugualmente “cristiani”, vale a dire: esiste una messianicità, diciamo “cristica” più che “cristiana”, che appartiene tutta soltanto ai progetti di Dio e che non concerne una già avvenuta incarnazione. Diciamo meglio, e forse pure di più: aver parte alla salvezza di Dio, dal punto di vista della teologia cattolica, significa sic et simpliciter partecipare dei doni di grazia propri della rivelazione di Gesù di Nazaret; ebbene questi doni sono presenti presso gli Ebrei che pur non confessano affatto la messianicità di Gesù. Il teologo cattolico si chiede – proprio a livello di stretto, “tecnico”, ragionamento teologico -: com’è possibile? Com’è possibile che vi sia salvezza senza il salvatore?

Abbandoniamo, però, il campo teologico, che doverosamente lasciamo agli specialisti e ai competenti – ai quali non appartiene il qui scrivente -, e transitiamo piuttosto al piano dell’etica, che non è proprio l’esatto sinonimo di “morale”, anzi: moralizzare l’etica è questione assai pericolosa. Passiamo dunque, proviamo a dir così, al piano dei comportamenti coerenti, responsabili, e rileviamo che, sostituendo l’espressione “salvezza di Dio” con “bene” o “verità”, esiste dunque, o esisterebbe, dentro la comprensione cattolica di tale bene e/o di tale verità, un altro modo di vivere questo bene e di riconoscere la verità.

Se poi riflettiamo sul fatto che l’Incarnazione è stata sovente interpretata come uno sposalizio, nella carne di Gesù di Nazaret, tra Dio e l’uomo, ma che la stessa storia del Popolo d’Israele è storia di sponsalità tra Dio e la Sua gente eletta, ne deriva che esistono dunque altri “matrimoni possibili”, e leciti, non semplicemente a livello interpersonale, tra due individui, ma tra Popoli, tra Storie, tra Fedi.

Altri modi di essere sposati. E non per finta.

Tremano le vene e i polsi: è come se dall’ “extra Ecclesiam nulla salus”, superato dall’ “extra Christum nulla salus”, si giungesse oggi, ormai, ad un assoluto, impressionante “extra Deum nulla salus”, o forse, ancor più precisamente, facendo riferimento al Documento citato all’inizio, ad un: “extra Ierusalem nulla salus”. Laddove “Gerusalemme” indica lo stesso mistero di Dio non, appunto, individualizzato, ma “fatto regno”, “fatto popolo”.

Bisognerà ritornarci.

È di importanza capitale.

Buona settimana.