Immigrati, diritto, cristianesimo
di Dario Culot
Un bellissimo esemplare di Ginko Biloba in autunno. Anch'esso un immigrato clandestino - foto tratta da internet, si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti
Tutta la travagliata questione della nave Diciotti (pattugliatore della Guardia costiera italiana), che ha innescato l’ennesimo scontro fra governo e magistratura e fra opposte partigianerie, nasce dal contrasto fra il diritto dello Stato di controllare per la sicurezza i propri confini e il diritto delle genti che, per ragioni di sopravvivenza, si spostano da un luogo all’altro della terra. In questo caso l’obbligo giuridico di rispettare le leggi dello Stato confligge con l’obbligo di trasgredirle in nome di un’etica superiore che si ispira a una solidarietà cosmopolita[1]. Trovare un equilibrio fra queste due linee è compito della politica, e il caso Diciotti mostra che la politica ha finora fallito.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza del marzo 2024, aveva negato un risarcimento ad alcuni migranti trattenuti a bordo della nave Diciotti (dal 16 al 25.8.2018), affermando che mancava prova del danno e della colpa della pubblica amministrazione, e affermando che l’operazione di soccorso in mare non crea un vero e proprio “diritto di ingresso al porto” o di “diritto di sbarco”; le Convenzioni internazionali SAR (acronimo di search and rescue) siglata ad Amburgo nel 1979 ed entrata in vigore il 22 giugno 1985, SOLAS (acronimo di Safety Of Life At Sea) del 1974, ratificata dall’Italia con legge 23 maggio 1980, n. 313, e le Linee guida IMO del 2004, non impongono agli Stati di consentire illimitatamente l’accesso ai propri porti per imbarcazioni soccorse in mare, mantenendo gli stessi il potere di regolare l’ingresso nei territori su cui esercitano la sovranità.
In data 7 marzo 2025, le sezioni unite della nostra Corte Suprema,[2] cassando la decisione della Corte d’appello, hanno condannato lo Stato a risarcire un migrante (l’unico ricorrente in Cassazione fra i 177 migranti accolti sulla nave) che non era stato autorizzato a sbarcare, sostenendo che l’obbligo di soccorso in mare prevale su tutte le norme e gli accordi finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare, e che il trattenimento dei migranti a bordo della nave Diciotti integra un’arbitraria violazione della libertà personale.
Innanzitutto la Cassazione afferma che l’obbligo del soccorso in mare deve considerarsi prevalente su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare, senza possibilità di alcuna valutazione discrezionale da parte dell’autorità. Ma non basta recuperare i naufraghi in mare: lo Stato responsabile del soccorso deve organizzare lo sbarco «nel più breve tempo ragionevolmente possibile» (Convenzione SAR, capitolo 3.1.9), fornendo un luogo sicuro in cui terminare le operazioni di soccorso; inoltre, solo con la concreta indicazione del porto sicuro e con il successivo sbarco dei naufraghi nel luogo sicuro designato, l'attività di Search and Rescue (cioè il soccorso in mare) può considerarsi conclusa.
Ai sensi della Risoluzione MSC.167(78) del 20 maggio 2004 (Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare) si esclude che una nave di soccorso possa essere «considerata un luogo sicuro basandosi unicamente sul fatto che i sopravvissuti non sono più in pericolo immediato una volta a bordo della nave. Una nave di soccorso potrebbe non avere strutture e attrezzature adeguate per supportare altre persone a bordo senza mettere a repentaglio la propria sicurezza o prendersi cura adeguatamente dei sopravvissuti[3]. Anche se la nave è in grado di accogliere in sicurezza i sopravvissuti e può fungere da luogo sicuro temporaneo, dovrebbe essere sollevata da questa responsabilità non appena possono essere prese disposizioni alternative»[4] (par. 6.13) (vedi in tal senso Cass. pen. 16/01/2020, n. 6626, relativa al “caso Rackete”).
A questo punto c’è nella sentenza questa affermazione fondamentale: sono invece da ritenere estranee a questo iter le valutazioni politiche connesse al controllo dei flussi migratori, e per "luogo sicuro" s’intende un "luogo" in cui sia garantita non solo la "sicurezza" – intesa come protezione fisica – delle persone soccorse in mare, ma anche il pieno esercizio dei loro diritti fondamentali, tra i quali, ad esempio, il diritto dei rifugiati di chiedere asilo[5]. Non può dubitarsi allora che la mancata tempestiva indicazione del porto sicuro, unitamente alla decisione di non far scendere i 177 migranti per cinque giorni sebbene la nave fosse ormai ormeggiata nel porto di Catania (e quindi non «nel più breve tempo ragionevolmente possibile»), costituisca una chiara violazione della predetta normativa internazionale.
Mi permetto di esprimere qualche perplessità, perché:
(a) è vero che l’art. 11 della convenzione SOLAS prevede che: “Ogni capitano è tenuto, in quanto lo possa senza serio pericolo per la sua nave, il suo equipaggio e i suoi passeggeri, a prestare assistenza a qualunque persona, anche nemica, trovata in mare, in pericolo di vita.” E questo principio è stato rispettato. Ma è anche da tener presente che la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare siglata a Montego Bay (UNCLOS, acronimo del nome in inglese Unite Natio Convention on the Low off the Sea, 1982), stabilisce che “Le navi di tutti gli Stati hanno diritto di passaggio inoffensivo attraverso il mare territoriale..fintanto che non arreca pregiudizio alla pace, al buon ordine e alla sicurezza dello Stato costiero[6]. Quindi non mi sembra esatto affermare che prevale sempre e comunque l’interesse individuale del migrante salvato in mare, mentre l’interesse pubblico è solo secondario. Non sarei cioè così tranciante, davanti alla necessità di soccorso in mare, nel sostenere che le valutazioni politiche connesse al controllo dei flussi migratori sono irrilevanti dal punto di vista giuridico, visto che la convenzione di Montego Bay dice il contrario, e visto soprattutto che il controllo giuridico dell’immigrazione compete allo Stato (Corte cost. sentenza n. 5/2004), a presidio di valori di rango costituzionale e per l’adempimento di obblighi internazionali. In più, determinare quale sia la risposta sanzionatoria più adeguata a tale illecito (penale o amministrativa) rientra sempre nell’ambito delle scelte discrezionali del legislatore, il quale ben può modulare diversamente nel tempo — in rapporto alle mutevoli caratteristiche e dimensioni del fenomeno migratorio e alla differente pregnanza delle esigenze ad esso connesse — la qualità e il livello dell’intervento repressivo in materia.
(b) Poi sono dell’idea che, quando sono state sottoscritte queste convenzioni del mare, si pensava al tipico naufragio di allora (è definito naufragio qualunque rottura della nave che la renda assolutamente inutilizzabile), non a naufragi dovuti all’uso di carrette del mare da parte di migranti, perché in allora la migrazione era un fatto occasionale e non strutturale come lo è oggi. Esattamente come il diritto d’asilo era stato pensato per poche persone ai tempi della cortina di ferro. L’asilo era per pochi casi d’emergenza, e l’emergenza è sempre temporanea. Se diventa permanente com’è ormai il caso dell’immigrazione, non è più emergenza. Ma se si continua imperterriti a parlare di emergenza, si finisce con l’affrontare il problema in modo ideologico[7] perdendo di vista la realtà[8].
Ecco un esempio di impostazione ideologica: c’è chi ha criticato duramente quei cattolici che sembrano incentrare il cristianesimo sull’aiuto ai migranti, perché focalizzandosi su di essi si finisce per mettere fra parentesi Dio e ridurre il cristianesimo a soccorso umanitario[9].
Forse si può rispondere a questa critica col vangelo alla mano, seguendo le spiegazioni del compianto teologo Castillo: Gesù andava per i paesi ed i villaggi curando ogni sorta di malattie e di infermità nel popolo (Mt 4,23). Solo dopo aver agito spiegava perché l’aveva fatto, come ad es. avviene nel racconto del grande banchetto (Mt 22, 1) che non è una solenne cerimonia religiosa rivolta a Dio, ma la favolosa, gioiosa e laica festa di nozze del figlio di un re, dove si mangia e si beve alla grande. Il fatto strano è che nella parabola non si guarda se gli invitati sono degni e meritevoli di partecipare o meno, perché entrano i cattivi e i buoni, e alla fine partecipano proprio coloro che la buona società esclude (come facciamo noi con i migranti). Questo significa che, per Gesù, la prima cosa è porre rimedio alle difficoltà della gente, poi spiegare perché porre rimedio alla sofferenza di queste persone è la cosa più importante da fare nella vita. E allora, tenendo presente che Gesù prima operava a favore della gente in difficoltà[10] e poi spiegava perché agiva così, ricordiamoci che secondo i vangeli le due cose più importanti per Gesù erano: 1) curare gli ammalati; 2) mangiare con tutte le categorie di persone, soprattutto con i poveri, i peccatori, i pubblicani, coloro che nessuno ama. Ciò significa che i problemi che più preoccupavano Gesù erano i due problemi della salute e del cibo, e non era di certo il problema di Dio. Erano i due problemi umani più elementari, presenti in tutto il mondo. Quindi, la cosa più importante per Gesù non è la salvezza religiosa, non è neanche Dio, ma il bisogno umano, e Gesù insegna che l’unica strada per incontrare Dio è attraverso l’incontro con l’essere umano (come risulta ancor più evidente nella parabola del buon samaritano - Lc 10, 25ss.). La prima cosa che Dio vuole non è che la gente sia più religiosa o sopporti con rassegnazione e pazienza i disiagi, le difficoltà e le umiliazioni che gli altri le impongono (come facciamo invece noi con i migranti). Quello che Dio vuole più di tutto è che noi ci diamo da fare affinché coloro che ci stanno vicini si sentano a loro agio, si sentano aiutati e siano felici,[11] o quanto meno sereni. Se, stando alla parabola, al banchetto di Dio entrano alla fine solo coloro che sono solidali e disposti a condividere – cosa che i ricchi non vogliono fare, essendo tutti concentrati sui propri interessi, - Gesù sta insegnando che questo è ciò che devono fare i cristiani: quindi il Regno di Dio non è affatto una cosa solamente (né principalmente) religiosa, ossia non consiste solamente nel fatto che la gente preghi, vada in chiesa e si concentri su Dio senza mai ‘metterlo da parte’. Il Regno di Dio, prima di ogni altra cosa, consiste nel fatto che la gente si voglia bene e si aiuti tanto da arrivare a condividere e diventare reciprocamente solidale in tutte le vicende della vita[12]. In più, visto che Gesù dice che il Regno di Dio è come trovare un tesoro o una perla di grandissimo valore (Mt 13, 44ss.), risulta evidente che non lo identifica con le preoccupazioni, le pene e le sofferenze, ma con la felicità che dà il ritrovamento[13]. Ecco allora che anche il soccorso umanitario rientra a pieno titolo nel cristianesimo.
Ma tornando ai poveri migranti,[14] oggi si prevede che nei prossimi trent’anni almeno il 10% della popolazione mondiale si sposterà. E se queste sono le previsioni, la pressione migratoria che arriva e arriverà da noi e verso l’Europa non può essere considerata un’eccezione temporanea, ma una normalità sistemica, e sinceramente non credo che questo problema fosse stato preso direttamente in considerazione al momento della firma delle convenzioni del mare, perché all’epoca non era significante. Chiaro invece che i firmatari delle convenzioni di allora pensavano che, una volta recuperati i naufraghi del Titanic o dell’Andrea Doria, gli stessi – shockati e infreddoliti, - dovevano essere fatti sbarcare a terra il prima possibile.
Perciò propendo di più per la tesi della Corte d’appello: una volta che i migranti naufraghi sono al sicuro sulla nave che li ha recuperati, lo Stato riprende in pieno il potere di regolare l’ingresso nei territori su cui esercita la sovranità, come se essi fossero arrivati direttamente con una nave di linea (fatti salvi, ovviamente, casi particolari sanitari o di urgenza che inducono allo sbarco immediato). Altrimenti dovremmo dire che anche lo straniero irregolare che arriva con un volo o una nave di linea, e non viene fatto sbarcare, viene trattenuto illegalmente e privato dei suoi diritti. Se infine si afferma che il salvataggio “deve” concludersi sempre con lo sbarco in Italia, si offre un facile metodo per eludere ogni legge sull’immigrazione: basta imbarcarsi su una carretta del mare (ma col telefonino satellitare), chiamare soccorso col telefonino, farsi recuperare stante l’oggettivo pericolo di vita essendosi imbarcati su una carretta, e il gioco è fatto. L’immigrante che viene salvato perché si trova, per sua scelta, in pericolo di vita finisce per avere un trattamento migliore rispetto all’immigrante, sempre irregolare, che però arriva non su una carretta ma su una nave di linea.
Sulla cosiddetta irregolarità è stata fatta a suo tempo un’osservazione interessante da parte del dr. Schiavone che va presa in considerazione: «quando si sente parlare di migranti “irregolari”, si assiste a un fenomeno di distorsione linguistica, perché questo termine viene erroneamente associato a coloro che arrivano in un Paese per chiedere protezione, attribuendo loro una condotta irregolare, mentre invece queste persone stanno esercitando un loro diritto. La conseguenza diretta di questa distorsione linguistica è la limitazione della libertà dei richiedenti asilo per impedire loro l’accesso in uno Stato o per respingerli. Questo dovrebbe accadere solo in situazioni limite, invece è una pratica estesa a una pluralità di casi. Il rischio è che a essere privati della libertà siano coloro che chiedono asilo, pagando quindi per una condizione, non per una condotta, per il solo fatto di esistere».
A questa osservazione ha già risposto la Corte cost. con la sentenza n. 250/2010, in cui è stato precisato che la norma anti-immigrazione non punisce una “condizione personale e sociale” — quella, cioè, di straniero “clandestino” (o, più propriamente, “irregolare”) — e non criminalizza un “modo di essere” (cioè il fatto di esistere) della persona. Essa, invece, punisce uno specifico comportamento, costituito dal “fare ingresso” e dal “trattenersi” nel territorio dello Stato, in violazione delle disposizioni di legge. Si è quindi di fronte, rispettivamente, a una condotta attiva istantanea (il varcare illegalmente i confini nazionali) e una a carattere permanente di natura omissiva, consistente nel non lasciare il territorio nazionale.
Stando così le cose, mi sembra che il vero problema sia come coordinare il diritto di ogni straniero di poter chiedere asilo (diritto individuale previsto dall’art. 103 della Costituzione), col diritto dello Stato di regolare l’immigrazione, pure questo diritto costituzionale, come si è visto sopra.
Nel caso della nave Diciotti (i migranti già erano in territorio italiano perché la nave è italiana) ci si trovava in situazione analoga a quella in cui i migranti vengono rinchiusi in un centro italiano di accoglienza a terra con divieto di uscire. Il problema allora non è lo sbarco, ma la restrizione della libertà personale, assimilabile alla detenzione.
Dunque – han detto i giudici supremi, e su questo punto si fonda l’accoglimento della richiesta di danno civile, - non può nemmeno ipotizzarsi che il trattenimento sulla nave possa trovare copertura sovranazionale quale misura (assimilabile all’arresto o alla detenzione regolare) finalizzata a impedire l’ingresso illegale nel territorio. Viene richiamata in proposito la sentenza Khlaifia and Others v. Italy della Corte Europea dei diritti dell’uomo[15] dd. 15.12.2016, con cui l’Italia è già stata condannata sul presupposto che qualsiasi forma di detenzione deve avere una base legale e non arbitraria, anche alla luce dell’art. 13 della Costituzione italiana. L’insussistenza di un provvedimento giudiziario o di una successiva convalida delle scelte governative è di per sé sufficiente ad affermare l’arbitrarietà del trattenimento dei migranti ai sensi dell’art. 5 CEDU[16].
Ora, è un dato di fatto che spetta al giudice interpretare le leggi, dandone anche un’interpretazione estensiva, mentre spetta al legislatore e ai governi modificarle se sono nazionali, o attivarsi nelle sedi internazionali per modificare le norme internazionali, o migliorarne il coordinamento quando sono ambigue o contraddittorie, come nel caso in esame. Questo, almeno in uno Stato democratico che si basa sulla divisione dei poteri: legislativo, esecutivo, giudiziario.
Nel nostro caso la decisione dei giudici appare sostenibile dal punto di vista giuridico, ma mi sembra che rimanga irrisolto un più grave problema a monte.
Il problema a monte – che non può essere più nascosto e che è alla base dell’ormai costante scontro fra governo e magistratura sugli immigrati - è come far rientrare questa pressione immigratoria in un alveo di legalità, prima che diventi insostenibile per la tenuta della società, che ha pure i suoi diritti. Purtroppo, dopo tanti anni, il problema resta focalizzato sul dualismo ideologico, e invece occorre sottrarsi alla trappola paralizzante degli opposti estremismi:
(a) confini aperti per tutti i migranti, sia perché così ripaghiamo i danni inflitti per secoli dal nostro colonialismo,[17] sia perché oggi siamo i paladini della dignità e libertà di ogni singolo uomo;
(b) confini chiusi per tutti i migranti, perché la gente ha paura di questi flussi, ha paura che il proprio modo di vivere ne resti sconvolto[18].
Ora, è appurato che la gestione dei flussi migratori centrata solamente sull’accoglienza e incapace di garantire percorsi di reale integrazione ha al contempo favorito il diffondersi di sentimenti di insicurezza che costituiscono l’humus culturale della ricerca di una nuova supremazia nazionale dei cittadini autoctoni rispetto ai nuovi arrivati.
E poiché l’immigrazione sposta voti, quindi è tema trainante,[19] finché i partiti anti-immigranti erano all’opposizione, era facile per essi catturare voti propagandando idee semplici sul come risolvere un problema complesso:[20] facciamo un blocco navale sul mare, o un muro sulla terra[21]. In Italia, a ben guardare, il vero problema non sono neanche le navi Ong su cui si focalizza invece la maggior parte dell’attenzione, visto che fanno arrivare in Italia non più del 5% di tutti i migranti. I più arrivano con piccoli barchini o barche malandate: perciò anche fermando una nave Ong, e litigando su quello che si può o non si può fare, non si affronta il vero problema. Dopo anni di battage pubblicitario stando all’opposizione, essendo ora al governo e avendo constatato che le immigrazioni aumentano, anche la Meloni si è resa conto che da sola, l’Italia non riesce a risolvere nulla[22]. Ma la politica ha paura di dire la verità, perché dovrebbe cambiare radicalmente il suo modo di agire a livello nazionale e globale, e soprattutto perderebbe un bel capro espiatorio su cui scaricare tutti i problemi degli italiani.
Forse sarebbe ora di far capire alla gente che le migrazioni ci sono sempre state e nessuno ha mai potuto fermarle[23].
In un lontano passato le invasioni barbariche hanno contribuito a far crollare l’Impero Romano, troppo benestante e passivo per reagire alla famelica aggressività di chi cercava di migliorare il proprio tenore di vita. La differenza con oggi è che in allora gli stranieri arrivavano in grandi moltitudini ben armate, mentre per ora arrivano disarmati.
Si può dire che l’Italia stessa sia nata dalla mobilità migratoria. Enea (profugo per volere del fato) è arrivato da Troia; anche Romolo era un esule. L’Italia è nata dalla commistione e da innesti di popoli diversi (goti, longobardi, arabi, normanni, francesi, spagnoli, tedeschi, slavi, ecc.). Si calcola poi che dall’inizio del XIX secolo alla metà del XX dall’Europa si siano spostati verso altri continenti non meno di 50 milioni di persone (e l’Italia ha contributo con svariati milioni), anche se va considerato che una parte di essi è in seguito rientrata nei paesi di origine.
È dunque incontestabile che la mobilità ha sempre fatto parte del Dna dell’uomo. Tutti i fondatori delle religioni (Buddha, Abramo, Gesù, Maometto[24]) erano itineranti. Gesù appena nato è stato profugo in Egitto (Mt 2, 13s). L’essere umano, nato nomade, ha smesso di esserlo appena 10.000 anni fa, quando è nata l’agricoltura in Medio Oriente[25]. Se un gruppo di cacciatori-raccoglitori ogni 40 anni si divideva, e chi se ne andava migrava a 100 km più a oriente, dall’Africa alla Cina ci saranno voluti 10.000 anni[26]. Incurante dei tempi, l’uomo ha colonizzato l’intero mondo, e non lo hanno fermato né i fiumi, né i mari, né gli oceani.
È innanzitutto l’irrequietezza che fa muovere. Quando c’incontriamo con gli amici e diciamo “andiamo a bere una birra” la compagnia e la birra sono sempre le stesse; ciò che conta è il movimento. Ma diciamo anche: “andiamo a fare shopping” anche se non abbiamo bisogno di nulla; è sempre il movimento che conta. Solo se uno si muove lo racconta agli altri; se resta a casa, no. Ma oggi nella mobilità c’è una disuguaglianza strutturale. L’italiano può andare in Ghana col suo passaporto, senza visto, basta che prenda un aereo. Il ghanese no. Non può venire in Italia se non ha il visto. E noi non glielo diamo. Se potesse arrivare regolarmente in aereo, non sarebbe uno straniero irregolare e, poiché la criminalità prospera sull’irregolarità, le prosciugheremmo immediatamente una bella fonte da cui attingere la manovalanza. Temo abbia ragione chi ha sostenuto che ormai tecnica e mercato hanno già abbandonato l’idea di Stato, ma lo Stato continua ancora ad esistere per difenderci dai disperati della terra[27].
Insomma, è ora di rendersi conto che l’immigrazione c’è, nessuno può fermarla,[28] e noi possiamo solo cercare di regolamentarla possibilmente a livello europeo. Tanto più che si sostiene che l’Europa avrebbe bisogno di ben 3 milioni di persone all’anno solo per mantenere invariata la popolazione che invecchia velocemente; e fino a 8 milioni per mantenere il lavoro e la produzione al livello attuale[29]. I richiedenti asilo sono una piccola quota rispetto ai migranti economici:[30] a noi servono proprio tanti migranti economici ma li respingiamo. Da notare che anche gli Stati stranieri hanno interesse a far emigrare i propri, perché sono interessati alle loro rimesse: se arrivano qui regolarmente e trovano lavoro, rimettono sempre parte dei soldi guadagnati da noi a casa loro. Perché allora non preparare sia professionalmente sia con corsi d’italiano tanti giovani già nei loro Paesi e poi farli arrivare per canali ufficiali, essendo a quel punto più facilmente integrabili?[31]
È assodato che accanto a umanità-dignità non si può rinunciare a legalità-sicurezza, perché senza sicurezza non ci può essere pace in una società. Umanità e misericordia senza ordine non bastano, perché si arriva facilmente al disordine. Però neanche l’ordine, duro e repressivo, da solo, serve, perché crea solo tensioni nella comunità e soprattutto non basta per fermare le immigrazioni. Perciò una mera sicurezza fisica dei cittadini che camminano per strada, senza una sicurezza sociale, non risolve la situazione critica in cui stiamo vivendo. Ecco perché occorre predisporre per le migrazioni un piano ben preciso e non limitarsi a trattarlo come fosse un’emergenza momentanea.
Ritengo pertanto che non si possa affrontare il problema immigrazione solo sul piano dei diritti umani, com’è avvenuto con la sentenza della Corte Suprema,[32] ma neanche omettendo ogni intervento a livello integrazione per poi usare il tema della sicurezza come spauracchio al fine di raccogliere voti. Far entrare tutti in nome della pari dignità degli uomini, senza riuscire ad integrare chi entra significa dare la stura a nuovi e sempre più gravi problemi. È scontato invece che il Paese che meglio integra sarà anche il più sicuro. Superfluo anche ricordare come i terroristi che hanno insanguinato l’Europa in questi ultimi anni con gli attentati più devastanti non venivano dal Medio Oriente o dall’Africa, ma erano già cittadini europei, evidentemente non integrati. Come ha scritto Alessandro Campi[33] il malcontento, spesso violento, dei nuovi francesi di passaporto, ma tuttora frustrati perché emarginati nel loro desiderio di ascesa sociale e spesso abbandonati senza lavoro nei loro ghetti metropolitani, si è così sommato al malcontento dei vecchi francesi di cultura che sempre più avvertono il sentimento di sentirsi stranieri in casa propria, vogliono sentirsi sicuri quando escono per strada e temono di perdere la propria identità. Evidente che se un francese non si sente più francese, o se un italiano non si sente italiano, lo Stato perde la sua identità perché viene a mancare quella coesione dovuta al comune senso di appartenenza, ai valori comuni[34]. Perciò a furia di enfatizzare i diritti degli immigrati, si corre effettivamente il rischio di non ascoltare le paure degli italiani di più antica data, e quindi di lacerare il patto di convivenza su cui si fonda la nazione. Ma è altrettanto vero che l’alterità culturale – senza alcuna intermediazione da parte della politica - mette in crisi la nostra società, perché a loro volta gli immigrati con culture differenti si sentono emarginati[35] e non ascoltati. Questo nodo va sciolto – lo ripeto - innanzitutto a livello politico/amministrativo, non dalla giurisprudenza, ma non può essere adeguatamente affrontato finché lo si considera un’emergenza, e in vent’anni e passa nessun governo è stato capace di affrontare con una seria programmazione questo problema. Di tanto in tanto scoppia un caso eclatante, ma a quel punto le vicende non hanno da noi uno sviluppo normale (fa parte forse del nostro carattere): esplodono istericamente e dopo poco scompaiono[36]. Al popolo italiano piace fare casino, ma solo per un po’. Poi ognuno torna alle proprie faccende nel più assoluto silenzio, mentre il problema resta irrisolto fino al prossimo scoppio.
Temo però che, nonostante la passività del governo che non vuol affrontare a fondo la soluzione, dopo questa sentenza della Corte di cassazione, avrà gran fortuna (in termini di voti) la presidente del consiglio Meloni, la quale ha detto che, “per effetto di questa decisione, il Governo dovrà risarcire con i soldi dei cittadini italiani onesti che pagano le tasse persone che hanno cercato di entrare in Italia illegalmente, cioè violando la legge. Non sono queste le decisioni che avvicinano i cittadini alle istituzioni”[37]. È vero, ma dare la colpa ai giudici che hanno applicato la legge vigente e nascondere il fatto che la politica non è stata capace di affrontare a fondo il problema in generale più a monte,[38] crea a sua volta un distacco fra cittadini e istituzioni[39]. Non spetta alla magistratura risolvere il problema a monte, e se il governo invece di affrontarlo si limita ad attaccare la magistratura, distrae l’attenzione dal vero problema e non rende un buon servizio alla collettività.
Ci vuol tanto per mettersi tutti insieme al tavolino, dialogare su come risolvere questo enorme problema dell’immigrazione, e poi far pressione perché le conclusioni raggiunte in Italia vengano accolte anche in Europa?
(continua)
NOTE
[1] Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 424.
[2] Cioè il massimo organo della giustizia italiana, il quale deve assicurare l’uniformità dell’interpretazione del diritto, quando in precedenza vi sono stati decisioni difformi.
[3] Mi risulta, però, che nel caso in esame le persone fragili erano state tempestivamente sbarcate e non è mai stato detto che la nave non aveva strutture e attrezzature adeguate per supportare le altre persone a bordo per qualche giorno.
[4] In proposito ricordo la sollevazione di scudi quando il Governo ha detto che, effettuato il primo salvataggio, la nave doveva navigare immediatamente verso il porto assegnato, che non necessariamente era il più vicino. Posto che da un lato le Ong chiedono che la nave debba andare al porto più vicino per non affaticare troppo i naufraghi già stressati, ma dall’altro si lamentano del fatto che effettuato il primo salvataggio non possono perlustrare ulteriormente il mare alla ricerca di altri naufraghi, c’è da chiedersi: com’è che i naufraghi non vengono affaticati se la nave salvatrice continua a perlustrare il mare in attesa di soccorrere altri natanti in pericolo, e in tal caso i naufraghi restano tranquillamente a lungo a bordo del battello che li ha salvati senza subire alcun stress?
[5] Però è anche vero che la gran maggioranza di coloro che chiedono asilo lo fanno per poter restare in Italia approfittando della lunghezza dell’iter burocratico, e non perché hanno diritto all’asilo. La maggioranza dei migranti arriva infatti per motivi economici.
Ma se voi guadagnaste 600 euro all’anno (meno di due dollari al giorno), e vi dicessero che dall’altra parte del mare potete guadagnare 750 euro al mese, rifiutereste con indifferenza l’idea di partire e andare dall’altra parte del mare? Scontato allora che lo straniero pensi quello che ognuno di noi pensa. Insomma, il migrante ha una spinta fortissima: il desiderio e la speranza di un futuro migliore.
[6] In base all’art. 21.1 viene riconosciuto che lo Stato costiero può emanare leggi e regolamenti, relativamente al passaggio inoffensivo attraverso il proprio mare territoriale, in merito a:…h) prevenzione di violazioni delle leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari o di immigrazione dello Stato costiero.
[7] Chiamiamo ideologia il rendersi autonomo di un complesso di idee in cui una determinata visione del mondo, non disgiunta da un determinato sistema di valori, trova la sua formulazione teorica. L’ideologia muore quando non riesce più a spiegare l’accadere del mondo (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 211s.).
[8] Veneziani M., Dispera bene, Marsilio, Venezia, 2020, 28. osserva criticamente che la retorica umanitaria verso i migranti trascura il grosso dell’umanità: i restanti. Tra i restanti ci sono molti più bisognosi e disperati che tra i migranti, perché molti di loro, se pure lo volessero, non avrebbero le risorse, l’età, la forza per partire. Se i migranti sono milioni, i restanti sono miliardi. La Chiesa non dovrebbe occuparsi prima di loro? Lo stesso vale quando si pone l’accento sui diversi. E della gente comune, delle famiglie comuni, chi si occupa? Se è per questo, si può rispondere che neanche Gesù si è fatto carico di tutti. Ognuno deve semplicemente farsi carico degli altri. E gli altri sono quelli che l’intreccio del caso ci mette sulla nostra strada. Quando avviene l’incontro, e come se Dio ce li avesse messi là. E come se Dio ci dicesse: “vi aspettavo!” Ecco l’incontro con Dio. E c’è chi incontra il disperato fra i migranti, chi lo incontro nell’appartamento a fianco del suo.
[9] Idem, 27: la religione cattolica che affronta la situazione invocando un nuovo umanesimo incentrato sui migranti e sull’ambiente, ridotta a soccorso umanitario ed ecologico, mette tra parentesi Dio e i credenti, per occuparsi dell’uomo in generale e dei migranti in modo speciale. Il nuovo umanesimo di Bergoglio ricorda il Nuovo cristianesimo di Saint-Simon che nel 1825 prospettò un cristianesimo senza Dio, risolto nell’amore del prossimo. È simile all’utopia comunista e marxista che oggi torna nelle vesti papali.
Forse si può obiettare a questo autore che papa Benedetto cerca di contrastare il fatto che un immigrato da noi non è un uomo interessante, e solo se diventa un mezzo di profitto diventa improvvisamente interessante. Per papa Bergoglio, invece, l’uomo, ogni uomo, dovrebbe essere sempre il fine, mai il mezzo. E, allargando lo sguardo, pone come obiettivo primario del cristiano perseguire il rispetto del creato e della persona umana, dei fratelli, soprattutto dei più fragili.
[10] Gesù non è mai entrato in un palazzo di potere, se non quando è stato portato dal sommo sacerdote in ceppi.
[11] Castillo J.M., Teologia popolare II. Il Regno di Dio, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2025, 20ss.
[12] Idem, 25s.
[13] Idem, 30.
[14] Dico poveri, perché nessuno respinge il ricco straniero. L’immigrato carico di soldi viene accolto e può perfino acquisire la cittadinanza in vari Stati europei; il povero senza soldi viene escluso. Evidente che in questo modo l’uomo non è considerato un valore in sé, a differenza del denaro. E ciò in barba ai nostri conclamati diritti umani individuali.
[15] Nel marzo 2015 la Spagna ha adottato una legge che legalizzava l’immediato rinvio forzato di migranti e rifugiati effettuati dalla Guardia Civil spagnola a Ceuta e Melilla, le enclave spagnole situate in Marocco. In seguito a condanna da parte della Corte europea, il Tribunale Superiore dell’Andalusia, in data 27.3.2025, ha affermato l’illegalità di questa procedura confermando che si deve applicare la procedura ordinaria per un’eventuale espulsione con tutte le garanzie
[16] Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, ratificata in Italia con l. 4.8.1955, n.848. Il 15 dicembre 2016, nella sentenza Khlaifia v. Italia, la Grande camera della Corte europea dei diritti umani ha condannato l’Italia per aver detenuto per diversi giorni persone appena approdate in Italia, senza una base legale e senza la possibilità di ricorrere contro la detenzione. La Corte di cassazione, temendo una nuova condanna ha confermato che nessuna detenzione de facto, sottratta a controllo giurisdizionale, è compatibile con lo scopo dell’articolo 5 CEDU.
[17] Ad esempio, il senso di colpa è aggravato dal fatto che sono in molti a pensare che la schiavitù degli africani sia nata col colonialismo europeo, e quindi sia colpa esclusiva dell’uomo bianco occidentale. Invece ci si dimentica che gli arabi e gli stessi regni africani vi parteciparono attivamente, per cui le colpe vanno ben condivise:
- ad esempio, l’imperatore Haile Selassie aveva tentato di abolire la schiavitù appena negli anni ’20 del secolo scorso (quando in Occidente era stata abolita e sanzionata nel 1800), e gl’italiani avevano ribadito formalmente l’ordine dopo la conquista dell’Etiopia. Ma evidentemente non si era riusciti a debellare completamente questa triste piaga, visto che il 26 agosto 1942, l'imperatore, ritornato al potere dopo la nostra sconfitta, ha deciso di emanare l’editto n. 22 per abolire di nuovo la schiavitù.
- Qualche anno fa, il Benin aveva chiesto la restituzione dei cosiddetti “bronzi rubati” dagli inglesi alla fine del 1800, quando il Benin era diventato protettorato inglese. Mentre i musei occidentali erano pronti alla restituzione, la restituzione da parte del Metropolitan Museum di NY è stata sospesa su iniziativa legale di neri americani, i quali hanno contestato che la ricchezza del Benin era dovuta al commercio degli schiavi organizzato proprio dal re del Benin.
[18] Qualche migliaio di immigrati non regolari che si ammassano a Lampedusa, rappresenta in miniatura la temuta invasione dell'intero territorio nazionale.
[19] Graziano M., Disordine mondiale, Mondadori, Milano, 2024, 32: quando i politici prendono iniziative per ostacolare l’immigrazione nei propri paesi, lo scopo è vincere le elezioni, non salvare i propri paesi dal catastrofico declino demografico in cui sono precipitati. È difficile per i leader guardare al di là del soddisfacimento del proprio interesse personale, col risultato di perdere di vista l’interesse sociale o nazionale che avrebbero dovuto difendere.
[20] Sempre di più oggi la democrazia richiederebbe un’opinione pubblica competente stante la complessità dei problemi che la politica deve affrontare. Altrimenti prevale il populismo che tende a semplificare la complessità, offrendo facili slogan accattivanti, facendo credere al popolo che bastano soluzioni semplici per risolvere problemi complessi. Tanti politici hanno capito che prendono voti sfruttando l’incompetenza della gente che, non sapendo come risolvere problemi complessi, si affida volentieri a chi le dà l’impressione di semplificarli.
Rendere comoda la realtà, semplificandola, è tipico degli individui psichicamente fragili, i quali non accettano che il mondo sia complesso. Da qui nasce l’accettazione facile del populismo che semplifica questioni incomprensibili al grande pubblico con slogan brevi, efficaci e ad alto impatto emotivo (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023,31). La complessità disturba per cui sono proprio i più fragili ad aderire più facilmente degli altri alle ideologie estremiste che appaiono più rassicuranti, perché garantiscono loro che il mondo è semplice: bianco o nero. Così come tanti cristiani e musulmani fondamentalisti sono convinti che basta eliminare la zizzania, i cattivi, gli impuri, e il bene trionferà automaticamente, allo stesso modo in tanti sono convinti che basta impedire gli sbarchi (come non si sa) e il problema dei migranti sarà automaticamente risolto.
[21] Così sembra voler fare, ad esempio, anche il presidente americano Trump al confine col Messico. Ma già la governatrice dell’Arizona, Janet Napolitano, aveva osservato: “L’esperienza insegna che quando si costruisce un muro di 3 metri qualcuno costruirà subito una scala di 4 metri.
In precedenza anche in Italia la destra gridava: dateci il voto e fermeremo del tutto l’immigrazione; diceva che bastava picchiare i pugni sul tavolo in Europa, che bastava il blocco navale e rimandare indietro gli irregolari; una volta al governo si è accorta che non è possibile fare né una cosa, né l’altra, perché il blocco navale è illegittimo in base alle leggi internazionali, e il rimpatrio richiede la piena cooperazione degli Stati di partenza e tempi lunghi per rispettare i diritti dei singoli migranti.
[22] Umberto De Giovannangeli, “Unità” 3.9.2024, 1: sono due gli elementi che hanno favorito l’avanzata dall’Afd in Germania: tutta la destra gioca in maniera irresponsabile con la xenofobia e la paura delle migrazioni. Ma la sinistra sul punto è debole, e non riesce a presentare un suo progetto. Si accontenta di inseguire il centro, che a sua volta si accontenta di inseguire la destra, la quale insegue la destra estrema.
In Francia, la Le Pen e Bardella hanno inventato, per le elezioni europee i tre colori del semaforo (verde per Erasmus; giallo per la libera circolazione che va fortemente limitata per gli stranieri; rosso per la difesa comune, per la sanità e l’immigrazione gestite dall’Europa). Almeno hanno avuto il coraggio di esprimere chiaramente la loro posizione. Ma come risolvere la questione se uno passa col rosso? Neanche loro hanno proposto una soluzione fattibile.
E anche in Italia c’è una evidente contraddizione: il governo di centro-destra è ideologicamente critico nei confronti dell’Europa, ma è costretto a ricorrere all’Europa per risolvere i problemi dell’immigrazione e della sicurezza.
[23] L’origine del castagno viene collocata in Turchia, e l’albero è arrivato in Italia ben prima di Enea; poi attraversando le colonne d’Ercole è arrivato fino in Inghilterra. L’acero è arrivato dall’Asia, e più recentemente è arrivato dalla Cina il Ginko Biloba (vedi foto iniziale). Se sono migrati gli alberi, che in teoria hanno radici e non possono muoversi, pensate di poter fermare le migrazioni degli uomini?
Ma teniamo presente che anche i problemi ambientali sono ormai strettamente legati alla migrazione. Una volta i cambiamenti climatici avvenivano lentamente. L'aumento odierno della temperatura è di almeno dieci volte maggiore di quello registrato in passato, sì che, per stare al passo, gli organismi dovrebbero migrare (o adattarsi) a una velocità dieci volte maggiore (Kolbert Elisabeth, La sesta estinzione, Neri Pozza, Vicenza, 2014, 198). Perciò, se ad es. gli alberi abituati a vivere in una certa zona non riusciranno a spostarsi (migrare) velocemente in un’altra più idonea dal punto di vista climatico, periranno.
Dunque ha ragione papa Francesco a dire che tutto è connesso: ad es., lo sconquasso ambientale porta a sconquasso sociale, e crea i migranti climatici (cfr. i ripetuti richiami nell’Enciclica Laudato sì, del 24.5.2015).
[24] Ricordo che Egira significa emigrazione, avvenuta quando Maometto abbandonò La Mecca per andare a Medina, nell’anno 622 d.C.
[25] Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 60 e 105.
[26] Idem, 67.
[27] Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 53.
[28] Vedi precedente nota 23.
[29] Gli italiani vorrebbero usare gli immigrati senza vederli, e tremano per la propria identità insidiata. Tutti li sfruttano, ma nessuno li ama (badanti, operai edilizi, camerieri, personale di pulizie, raccoglitori di pomodori sono le braccia senza le quali non mangeremmo pomodori, frutta o la pagheremmo 3-4 volte tanto).
[30] Se qualcuno ha visto il recente film “Io capitano”, capisce come i più arrivano in Europa non spinti da persecuzioni politiche o religiose.
[31] La Confindustria del Nordest sta sperimentando la formazione in Ghana di giovani ghanesi che, una volta terminati i corsi professionali e d’italiano base possono arrivare qui per vie legali ed essere immediatamente assorbiti dalla nostra industria (cfr. Il Gazzettino del 27.11.2024; Il Piccolo 16.3.2025, 23).
[32] Naturalmente il giudice deve risolvere il caso particolare e concreto che gli viene sottoposto. Non spetta a lui, ma alla politica, risolvere i problemi generali e predisporre un piano per l’immigrazione.
[33] Campi A., Le politiche migratorie con i confini degli altri, Il Messaggero, 2.10.2023, 14.
[34] I valori condivisi fanno vivere la comunità con la minor conflittualità possibile. Ma la stessa idea di Stato fa sì che la propria identità preveda la logica del nemico esterno, che spesso sfocia in guerra e che ormai è inconciliabile con la tutela e la promozione della vita. Se non si va oltre la propria etnia e la propria religione, se non si estende a tutta l’umanità quel sentimento di fraternità che, per quanto invocato non ha ancora trovato applicazione, se non s’integrano i diritti umani fondamentali con i diritti fondamentali della natura, quegli stessi diritti umani saranno fattore di disgregazione e porteranno il genere umano all’autodistruzione (Galimberti U., L’etica del viandante, Feltrinelli, Milano, 2023, 56ss.).
[35] Marramao G., Dopo il Leviatano. Individuo e comunità, Bollati Boringhieri, Torino, 2013, 74.
[36] Forse già quando uscirà quest’articolo i più neanche si ricorderanno della nave Diciotti.
[37] L’affermazione è stata immediatamente confermata ad es. dalla lettera intitolata Solco incolmabile tra giudici e cittadini su Segnalazioni de “Il Piccolo” del 15.3.2025, e altra su “Il Piccolo del 19.3.2025. Ma va ribattuto ai cittadini arrabbiati per le sentenze cervellotiche dei giudici che il giudice non è tenuto a confermare il comune sentire (concetto quanto mai soggettivo, vago e quindi pericoloso se dovesse venire applicato), ma è tenuto ad applicare le leggi, in primis quelle internazionali che prevalgono sulle leggi interne. Quindi eventuali critiche alla sentenza andrebbero fatte a livello giuridico, ad es. spiegando che l’interpretazione data dal giudice a quella legge che ha applicato è sbagliata. Criticarle perché il cittadino comune ha un “sentire” diverso da quello che dicono le leggi è irrilevante. Al massimo il cittadino comune, riunendosi ad altri che la pensano come lui, dovrebbe far pressione sul potere legislativo per far cambiare la legge che ritiene sbagliata. Chi ha fatto quelle leggi? Non certo i giudici. Per cui non è colpa loro se quelle leggi sono oggi incomplete per affrontare i casi concreti che si presentano con sempre maggior frequenza.
[38] Cioè regolamentare il fenomeno generale dell’immigrazione, in armonia con quanto afferma la normativa europea.
[39] Come ha ricordato l’amico Silvano Magnelli, buttarla in scontro sistematico tra chi governa e chi applica le leggi è deleterio sul piano etico e sul piano giuridico; inoltre aumenta i solchi, che devono invece essere colmati con l’apporto di tutti, perché alimenta le distanze non solo tra cittadini e potere giudiziario, ma anche tra il potere politico esecutivo e la cittadin
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/