Editoriale straordinario - 14 ottobre 2025
In questo numero, salve le immagini fotografiche di paesaggi, tutte le altre sono create tramite IA e non riproducono pertanto, in nessun modo, persone reali, cui possono - eventualmente - solo ispirarsi
Immagine generata tramite IA
Trump e la pace impossibile: il broker che ha zittito le armi
di Stefano Sodaro
Donald Trump ha fatto la pace tra Israele e Hamas. Non l’ha chiesta, non l’ha negoziata, non l’ha implorata. L’ha imposta.
Come?
Parlando come un broker.
E oggi, parlare come un broker è un valore assoluto. Chi non sa neppure cosa sia un broker, mal gliene incolga, malissimo, e non si lamenti se il mondo gli passa sopra. Si informi, si aggiorni, o si rassegni: il tempo dell’ignoranza compiaciuta è scaduto.
Non c’è ironia in questa affermazione, di nessun tipo. C’è solo la constatazione che il romanticismo ideologico, sia pure quello israeliano o palestinese, non porta più a nulla. Vince chi ha le capacità professionali di un intermediario finanziario altamente specializzato. Che capisce al volo contesti, occasioni, opportunità. Spazi nei quali inserirsi subito, e massimizzare ogni profitto possibile in ogni modo possibile, purché lecito. Lasceremo mica la scena a milioni di manifestanti in giro per il mondo?
Trump ha colto, in un lampo - per quanto mortifero -, che la guerra aveva smesso di produrre vantaggi.
Israele era militarmente vincente, ma diplomaticamente isolato.
Hamas era militarmente sconfitto, ma ancora capace di simbolica potenza.
E allora ha fatto ciò che nessun diplomatico europeo avrebbe osato: ha semplificato.
Due fasi. Due scambi. Due garanzie. Ostaggi contro prigionieri. Cessate il fuoco contro ritiro parziale. Ricostruzione contro disarmo.
Ha parlato come un mediatore d’affari, non come un profeta. E ha ottenuto ciò che i profeti non riescono più a ottenere: il silenzio delle armi. Oggi abbisogniamo di mediatori di affari, non di profeti. O, peggio che mai, di poeti.
La sua forza, di Donald, non è stata la visione, ma la funzione. Ha telefonato, ha minacciato, ha promesso. Ha escluso Macron, ha ignorato l’ONU, ha scelto il Qatar. Ha trasformato la pace in un evento mediatico, in una narrazione epica, in una candidatura al Nobel. In un affare.
E qui sta il punto: è il capitalismo che vince. Punto e basta. Punto e a capo.
Così come vinse portando al crollo del Muro di Berlino, alla ricomposizione artificiosa di varie paci nei Balcani, e persino in Russia con Putin, dove è verosimile che solo un capitalismo uguale e contrario a quello dell’attuale Zar possa far cessare il conflitto.
Socialisti, utopisti, filosofi, letterati, giuristi, persino psicologi e psicanalisti si mettano l’animo in pace. La pace non nasce più dai sogni (se mai dai sogni sia nata). Nasce dai calcoli. E Trump, piaccia o no, ha saputo calcolare meglio di tutti. Bravo!
Ma è una pace bellissima, come il contenuto dei complimenti rivolti dal Presidente USA alla nostra Premier?
Non saprei, rispondete voi.
Ci vediamo questa sera, su Zoom, con Brunetto Salvarani.
urbi et orbi et immerdati - disegno di Ugo Pierri
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