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La Trinità - opera di Stan Musquer, Guadalupa 2016-2019, trittico, olio e oro su tela, ogni quadro 105x169 cm - immagine tratta da commons.wikimedia.org




Il peccato contro lo Spirito Santo


di Dario Culot

Gesù dice a un certo punto (Mc 3, 29; Mt 12, 31; Lc 12, 10) che qualunque peccato – anche la diffamazione e calunnia contro di lui - sarà perdonato (Mc 12, 32), ma il peccato contro lo Spirito Santo non sarà mai perdonato. Cos’è dunque questo peccato contro lo Spirito Santo?

Qual è il contesto in cui Gesù pronuncia queste parole? Con tutta una serie di atteggiamenti, Gesù ha già dimostrato alla folla che nessuno deve sentirsi escluso dall’amore di Dio, ma nel fare questo sta sovvertendo i valori tradizionali, tanto da essere considerato pazzo perfino dai suoi (Mc 3, 21), ed eretico dal potere religioso visto che non ha osservato il sabato, si è seduto a tavola con i peccatori, ha toccato gli impuri[1]. In Marco, per questo suo comportamento, da Gerusalemme parte una commissione di scribi per indagare (cioè dalla santa sede di allora arrivano gli infallibili teologi del Sant’Uffizio dell’epoca); in Matteo lo scontro è con i farisei (i credenti duri e puri). Di fronte alle evidenti guarigioni operate da Gesù non le possono negare, ma avvertono la gente di stare in guardia perché quelle guarigioni non vengono da Dio, ma da Belzebùl. Il Sant’Uffizio dell’epoca sta dicendo che Gesù agisce nel mondo come principe dei diavoli e non come portavoce di Dio; quello che alla gente sembra bene è un male che li distruggerà. Ed è in questa contesto che Gesù afferma che la loro affermazione costituisce il peccato contro lo Spirito Santo: pur constatando che Gesù fa del bene all’uomo, dicono che è male.

Non avendo però Gesù spiegato in cosa consiste questo peccato, il significato dell’ammonimento resta sempre enigmatico. Siccome, però, ciò che distingue ogni autorità religiosa è sempre l’assenza di qualsiasi dubbio, ci viene decisamente insegnato che il peccato contro lo Spirito Santo è il rifiuto del peccatore (e siamo tutti peccatori) di accogliere il perdono di Dio attraverso i suoi rappresentanti in terra (n.1864 Catechismo), cioè attraverso la Chiesa istituzione[2]. Se non ci si riconcilia in tempo con Dio attraverso la confessione (n. 1423ss. Catechismo) si finisce all’inferno quando si muore, perché chi rifiuta di accogliere, attraverso il pentimento, il perdono misericordioso di Dio pecca contro lo Spirito santo, e sarebbe questo particolare peccato, posteriore agli altri già commessi, il peccato imperdonabile (n. 1864 Catechismo). In estrema sintesi, per chi non riconosce il sacramento della confessione così come istituito dalla Chiesa è assicurato l’inferno.

Ora, se fosse così come insegna la Chiesa, si dovrebbe spiegare innanzitutto perché l’uomo deve perdonare chi lo ha offeso (Mc 11, 25) anche se l’offensore non gli ha chiesto scusa, mentre Dio non perdona se non gli si chiede scusa attraverso la confessione. Poi, si dovrebbe spiegare perché ogni offesa alle prime due persone della Trinità viene perdonata e perché il rifiuto di confessarsi e di accettare il perdono di Dio offende solo la terza persona e non le altre due. Ci è stato insegnato che fra Padre e Figlio c’è un amore che si dà e un amore che si restituisce, che in questa dedizione specifica non si opera nessun annullamento né dell’amore che si dà, né dell’amore che si restituisce, ma si consolidano entrambi assumendo un’ulteriore forma personale nello Spirito Santo[3]. In realtà, dunque, siamo davanti al rifiuto sempre dello stesso amore, che promana dal Padre, va al Figlio e ritorna. E allora questo rifiuto dell’amore misericordioso di Dio non dovrebbe offendere in primo luogo il Padre? Se si afferma che viene offesa la Trinità, si sarebbe dovuto parlare di peccato contro la Trinità, o più genericamente contro Dio. Perché è coinvolto solo lo Spirito Santo?

Più razionalmente mi sembra sia stato invece detto che la frase di Gesù ha forse una portata più ampia trascendendo l’occasione che l’ha suscitata sì che non è possibile dare una risposta con assoluta certezza[4]. Non a caso, dunque, sono state prospettate anche varie spiegazioni. Vediamone qualcuna.

a) una spiegazione[5] si collega a quanto detto nella lettera agli Ebrei (Eb 6, 4-6): «Quelli infatti che furono una volta illuminati, gustarono il dono celeste, diventarono partecipi dello Spirito Santo e gustarono la buona parola di Dio e le meraviglie del mondo futuro e che tuttavia sono caduti, è impossibile rinnovarli una seconda volta portandoli alla conversione, dal momento che per loro conto crocifiggono di nuovo il Figlio di Dio». Per Calvino, allora, il peccato contro lo Spirito santo era chiaramente l’apostasia, cioè la lucida e consapevole decisione di rifiutare il Vangelo dopo averlo conosciuto[6]. Ma abbiamo già visto che questo peccato, inizialmente ritenuto imperdonabile anche dalla Chiesa cattolica, era stato poi ritenuto confessabile e perdonabile.

b) Un’altra spiegazione prende le mosse dal contesto in cui la frase viene pronunciata, e che sostanzialmente si richiama alla totale malafede già ventilata dal profeta Isaia: “Guai a coloro che chiamano bene il male e male il bene, che scambiano le tenebre per luce e la luce per tenebra” (Is 5, 20). Anche dopo l’arresto di Gesù, sono sempre i capi religiosi che pur di riuscire ad assassinare un innocente, che però disturba, preferiscono far liberare Barabba, un conclamato assassino. Anche in questo caso si sono scambiate le tenebre per luce.

In Matteo e Marco (Mt 12, 31; Mc 3, 29) sembra allora che questo peccato irremissibile non venga visto come un peccato comune a tutti gli uomini, perché così facendo l’interpretazione resterebbe completamente slegata dal testo: questo è un peccato proprio ed esclusivo della categoria sacerdotale, che in quel momento sta contestando Gesù. Belzebùl, infatti, è la forma dispregiativa di Baal (Signore) Zebub (mosche), una divinità cananea[7] protettrice delle malattie portate dalle mosche[8]. Questo nome è antecedente a Gesù Cristo. C’era una divinità nel mondo fenicio chiamata Belzebub, il signore delle mosche: era il dio che proteggeva dalle malattie, proteggendo la gente da quelle mosche verdastre e ripugnanti che ancora oggi incontriamo in campagna sugli escrementi; già allora questi insetti erano stati individuati come fonte di malattia. Era una divinità molto importante, al punto che molti ebrei andavano in pellegrinaggio al suo santuario a chiedere la guarigione, quando non la ottenevano all’interno della propria religione. I farisei per frenare questo flusso (c’è scritto nella Bibbia che perfino un re ebreo andò a chiedere la grazia della guarigione a questo Belzebub: 2Re, 1, 2),[9] utilizzarono una tecnica che si usa anche al giorno d’oggi: cominciarono a denigrare questo dio deformandone il nome, e anziché Belzebub lo trasformarono in Belzebul (zebul con la elle finale significa letame, e quindi, letteralmente signore della merda). Quando (Mc 3, 22) i membri del Sant’Uffizio di allora, discesi da Gerusalemme accusano Gesù di guarire per mezzo di Belzebul e non per mezzo di Dio, giacché è risaputo che Dio non può operare di sabato (sì che è dimostrato che Gesù è chiaramente un peccatore visto che ha trasgredito il riposo del sabato), in realtà stanno dicendo alla folla che Gesù sembra guarirli dalle malattie, ma invece li sta infettando perché opera attraverso il dio del letame; invece del bene, Gesù avrebbe finito col portare il male ai creduloni che si affidavano a lui. Insomma stanno scomunicando Gesù attraverso la più sottile arte della diffamazione. Il peccato imperdonabile è allora il negare che lo Spirito agisse nel ministero di Gesù perché annulla come diabolica tutta l’opera e la rivelazione di Dio in Gesù. Pur di difendere il loro sistema teologico, negano la realtà. Pur di non riconoscere in lui un inviato da Dio che li avrebbe costretti a rivedere la loro posizione di casta privilegiata, a perdere gran parte del ruolo prestigioso di cui godevano, preferiscono negare che Gesù comunichi effettivamente vita.

Aggrappati alla certezza della loro ideologia negano l’evidenza e invertono i valori, chiamando il bene male e il male bene (Is 5, 20): potrebbe essere questo il peccato contro lo Spirito santo. Questa valutazione che essi fanno non dipende da un errore in buona fede, ma è suggerita dalla volontà di difendere con le unghie e con i denti la loro posizione di privilegio e di dominio, anche a costo di travisare i fatti[10]. Allora, siccome Gesù parla di questo peccato imperdonabile quando discute con gli appartenenti alla gerarchia ecclesiastica, si deduce che il peccato contro lo Spirito Santo può essere commesso solo dal clero: l’ammonimento è focalizzato sui preti. La bestemmia contro lo Spirito è quindi il rifiuto consapevole della verità, allo scopo di difendere la struttura di potere costruita nel tempo. È un attacco radicale e consapevole, da parte dei religiosi, alla realtà intima e profonda di Dio rappresentata dal suo Spirito[11].

Resta da chiedersi perché il peccato contro lo Spirito Santo non è perdonabile. È imperdonabile non perché Dio non lo vuole perdonare, ma per il semplice motivo che l’istituzione religiosa mai riconoscerà il proprio torto neanche di fronte all’evidenza, per cui anche Dio è impotente davanti alla caparbietà dell’ambiente religioso;[12] la classe privilegiata mai riconoscerà che avrebbero dovuto agire diversamente, e quindi mai si convertirà. Il perdono non sarà concesso perché, per propria scelta, coloro che si ritengono più vicini a Dio si mettono fuori dell’orizzonte della salvezza[13]. Anche ai credenti più integralisti di allora Gesù offre la pienezza di vita che ha appena offerto all’invalido impuro, e la offrirà in seguito perfino a Giuda, ma la risposta qual è? Decisero di ucciderlo (Gv 5, 18; Mc 14, 10). Questi scribi che – nei vangeli sinottici - denunciano Gesù come un agente di Belzebùl sono gli stessi che hanno sentenziato che Gesù stava bestemmiando quando ha cancellato le colpe del paralitico (Mc 2, 7), e poiché la bestemmia comporta legittimamente la condanna a morte (Lv 24, 11-14; Nm 15, 30-31), per volere di Dio in persona, non si fanno nessun scrupolo ad ammazzarlo in nome di Dio. Se uno è convinto di essere totalmente dalla parte della ragione, e vede l’altro totalmente dalla parte del torto, mai riconoscerà che l’altro può aver ragione, mai riconsidererà la sua posizione, mai potrà pentirsi. Questo era vero ieri, ed è vero anche oggi.

In conclusione, il peccato contro lo Spirito Santo è dire, in malafede, che ciò che è bene per gli uomini in realtà è un male; e viceversa, ciò che fa male è un bene, ma solo perché così la realtà viene piegata al proprio interesse, diventando un bene per chi detiene già il potere[14]. Pertanto, quando in Matteo Gesù parla di questo peccato, lo attribuisce alle sole autorità religiose (tant’è che si rivolge espressamente ad esse: «Per questo dico a voi» - Mt 12, 31), le quali rifiutano di ammettere di aver sbagliato; infatti, se riconoscessero di aver sbagliato una volta, a qualcuno potrebbe sorgere il dubbio che abbiano sbagliato anche altre volte o che potrebbero sbagliare in futuro: tutta l’autorità del loro insegnamento andrebbe in crisi. Giammai! il magistero non sbaglia mai, è infallibile, e un’ammissione dell’errore farebbe scricchiolare l’intero sistema. E allora, per non dover rivedere questo sistema, per non perdere il proprio prestigio, la propria credibilità, il proprio potere, l’autorità religiosa preferisce dire che il bene è male (a proprio vantaggio), e che il male è bene (a proprio vantaggio). La verità assoluta della dottrina insegnata dal magistero è più importante della verità che la vita propone di continuo. Se la gente apre gli occhi e vuol decidere in base alla propria coscienza, se non c’è più una verità dottrinaria da predicare e imporre e l’esperienza personale prevale sulla dottrina, diventa impossibile governare il gregge.

c) Con una piccola variante altri sostengono che la bestemmia o il peccato contro lo Spirito Santo va interpretato nel senso che vi sono da sempre alcuni i quali, pur riconoscendo l’azione dello Spirito di Dio nell’attività di Gesù, continuano a ritenerlo un diavolo, per cui la bestemmia consiste in questa possibilità demoniaca dell’uomo (di ogni uomo, e quindi non solo dei sacerdoti) di dichiarare guerra a Dio pur sapendo con precisione a chi sta dichiarando guerra, perché ormai è già stato sopraffatto dallo Spirito Santo,[15] e lo ha visto all’opera.

Questa idea si ricava in particolare da Luca (Lc 12, 10), dove l’ammonimento di Gesù è situato in un contesto differente: non c’è controversia fra Gesù e gli scribi ed i farisei a proposito della liberazione di un povero uomo sofferente, perché qui Luca si inserisce in un’istruzione data ai discepoli alla presenza di una grande folla (Lc 12, 1). Solo in questo testo, dunque, il peccato imperdonabile non è collegato direttamente a una controversia col clero, ma si dà un’avvertenza ai discepoli di non opporsi all’insegnamento di Gesù, visto che altri fanno opposizioni analoghe a quelle che faranno gli stessi discepoli,[16] opposizioni che però nascono sempre dalla ipocrisia dei farisei, dal loro lievito (Lc 12, 1) che è stato alla base dell’apprendimento religioso anche dei discepoli[17]. Dunque in base a questo vangelo potremmo anche concludere che il peccato contro la verità può essere commesso da chiunque, perché ognuno di noi – per il proprio tornaconto – può voler spacciare il bene per male, e viceversa.

d) Secondo un’altra interpretazione ancora, è imperdonabile non credere nell’amore di Dio. Il peccato contro lo Spirito Santo è non voler entrare nel luogo di festa, luogo di vita, preparato gratuitamente per noi (Mc 3, 29)[18].

Viene osservato che, in altra occasione, Gesù usa espressamente proprio la parola ‘peccato’ (gr. ἀμάρτανε) «Non peccare più perché non ti avvenga di peggio» (Gv 5, 14). Ora, mentre per le autorità gerarchica il peccato è andare contro la legge, per Gesù il peccato è andare contro la vita. La radice del peccato sta nel comportamento che porta ad agire ingiustamente creando rapporti dannosi per l’uomo e guastando la convivenza umana. L’adesione a Gesù pone fine a questa condotta di peccato, per cui il NT non chiama più i cristiani peccatori (Rm 1, 7; 1Cor. 1,2; 6, 1; 2Cor 1, 1; 13, 12) perché grazie allo Spirito rimangono fondamentalmente fedeli a Dio, procurando il bene degli uomini, pur attraverso errori, inciampi. Dio non si propone più all’uomo dal di fuori. Il disegno di Dio non si esprime con comandamenti esterni, ma esaltando l’aspirazione alla propria compiutezza; la meta è la perfetta somiglianza col Padre (Mt 5, 48) che viene equiparata alla condizione divina di Gesù. Il disegno di Dio colma l’ansia profonda dell’essere umano. Di conseguenza, il peccato contro lo Spirito consiste nell’impedire la realizzazione del disegno divino: la pienezza di vita dell’uomo (Gv 1, 4 parla di repressione della vita e Gv 1, 29 del peccato del mondo)[19]. Quando l’uomo va contro l’offerta di vita, vede che è buona, ma la rifiuta, pecca contro lo Spirito.

e) Ulteriore variazione del peccato imperdonabile che può essere commesso da tutti: si tratta del peccato dell’oppressore, e consiste nell’imporre i falsi valori che privano l’uomo della vita; ma pecca anche l’oppresso il quale accetta questi valori, rinunciando alla pienezza della vita. La società ingiusta richiede sottomissione e molti sono gli uomini che rinunciano alla propria libertà[20]. Il peccato è dare adesione al sistema ingiusto, impedendo così il proprio sviluppo umano; i peccati consistono nelle ingiustizie che si commettono applicando questi falsi valori, impedendo lo sviluppo negli altri (in questo senso: Gv 8, 21-24 parla di vostro peccato e di vostri peccati)[21].

In Giovanni si rinviene un messaggio analogo, ma in forma ancora diversa, dove si parla del peccato del mondo (Gv 1, 29). In Gv 5, sotto i 5 portici della piscina di Bethesda dove s’insegnavano i 5 libri del Pentateuco, si trovano solo persone che non riescono a vedere Dio (ciechi), che non sono autonome (zoppi), che non hanno più energia (rinsecchite). Ecco l’effetto perverso dell’imposizione della legge divina che toglie la vita: le persone sono invalide come nella valle coperta di ossa, dove non si vive; occorre ascoltare di nuovo la vera parola di Dio (Ez 37, 1-5). Gesù risana una persona rinsecchita ormai da una vita, e lo invita a disobbedire alla legge divina, portando un peso di sabato (Gv 5, 8-9). Ma questo andava contro quella che si sapeva essere la volontà di Dio, contro l’ammonimento del profeta Geremia (Ger 17, 21ss.): “se ci tenete alla vostra vita state attenti a non portare di sabato nessun peso”. E ricordate il terrorismo con il quale questa legge era stata imposta? Le 52 maledizioni del capitolo 28 del Deuteronomio che avrebbero colpito chi osava trasgredire la legge. E invece? Invece l'azione sanante di Gesù viene resa possibile solo se l'uomo osa trasgredire; la trasgressione porta all’uscita dalla soggezione della gerarchia ecclesiastica (l’infermo che cammina è ovviamente figura di tutto il popolo oppresso), e alla liberazione dalla schiavitù perché a quel punto l’uomo libero decide da sé il suo cammino (Gv 5, 1-9)[22]. Poi perfino lo ammonisce: «ecco che sei diventato sano: non peccare più perché non ti avvenga di peggio» (Gv 5, 14). Gesù dice proprio: “non peccare!” Come mai Gesù rimprovera l’uomo che si è recato nel Tempio santo per ringraziare della grazia ricevuta? Qualsiasi persona religiosa si sarebbe complimentata con lui perché era andato piamente a ringraziare Dio per questa inaspettata guarigione. Perché, per Gesù, tornare dentro il recinto del Tempio di Gerusalemme significa tornare ad accettare di essere sottomesso e narcotizzato nel nome di Dio da quelle stesse autorità religiose che facevano della legge uno strumento di potere, di dominio e di oppressione sulle persone. Per l’evangelista, tornare lì, significa vanificare la liberazione operata da Gesù. Tutte le guarigioni di ciechi, sordi, inariditi, gobbi (come ad esempio nel caso della donna fedele, ma piegata sotto il peso della legge: Lc 13, 11-17) sono liberazioni delle persone dal peso della religione. La religione impone pesanti leggi divine, ma Dio non fa leggi; Dio è amore e l’amore non può essere codificato, per cui Gesù è un liberatore. Gesù dice al guarito: “Ora che ti ho liberato, non rifiutare la pienezza di vita che ti ho offerto. Se torni nel luogo dove impera la legge accetti volontariamente di essere sottomesso all’istituzione. E ti può capitare qualcosa di peggio dell’invalidità: la morte”. Infatti, dopo 38 anni di Esodo (e quest’uomo era paralitico da 38 anni, cioè da una vita, visto che quella era la durata media della vita in allora), tutta la generazione uscita dall’Egitto era morta, senza essere entrata nella terra promessa (Gios 5, 6). Prima la gente era schiava del faraone; ora, però, era schiava della legge che aveva fatto credere che il futuro dipendeva dall’obbedienza ad essa. Dunque, per Giovanni, il peccato del mondo che si può identificare col peccato contro lo Spirito santo è la volontaria rinuncia alla vita, alla luce (perché Gesù non lotta contro il male, fa luce, splende: Gv 1, 9-13). Anche qui, però, il rifiuto della pienezza di vita che Dio offre all’umanità viene principalmente dalla casta sacerdotale, la quale, lungi dal rallegrarsi perché un uomo era stato sanato, essendosi Gesù occupato con successo del bene di un uomo, si interessa solo alla legge: Gesù mostra allora che chi obbedisce alla legge resta infermo, senza vita, mentre chi accoglie il suo invito alla disobbedienza comincia a camminare con le proprie gambe. All’autorità non interessa che la gente cammini con le proprie gambe, non interessa la guarigione; interessa l’obbedienza alla legge anche se questa impedisce la vita, perché l’obbedienza dà all’autorità potere e dominio sulle persone. Gesù ha detto all’invalido che se vuol guarire deve trasgredire la legge (portare un peso, il suo lettuccio, di sabato); l’autorità gli dice, al contrario, che non gli è lecito trasgredire (nessuno può portare un peso di sabato), anche se l’obbedienza gli costasse la morte.

f) Viste le tante interpretazioni, pur convergenti sotto alcuni aspetti, mi permetto di offrire anche una mia. A volte Gesù scuote la gente con parole veramente dure.

A lungo nessuno dei discepoli ha capito quello che Gesù diceva riguardo a coloro che la società considerava i più insignificanti (i “piccoli”, i garzoncelli), che invece in realtà erano per il maestro i più vicini a Dio. Nessuno degli apostoli pensa sia diretto a lui l’ammonimento secondo cui si diventa vere e proprie pietre di inciampo (scandalo - σκάνδαλον) quando col proprio comportamento irresponsabile si rende manifesto che anche nella nuova comunità prevalgono sempre le stesse vecchie dinamiche di potere e di successo proprie di ogni struttura di potere; nessuno capisce che questo scandalo diventa causa di allontanamento da Dio di questi “piccoli” fragili nella fede (fa perder loro la fede), che speranzosamente si erano avvicinati al nuovo gruppo, pensando di trovarvi fraternità e comprensione[23]. Allora, dice Gesù, chi fa inciampare queste piccole nullità insignificanti, è meglio che sia buttato a mare con una macina legata al collo (Mc 9, 42; Mt 18, 6). Ora, nella cultura dell’epoca, gli ebrei avevano il terrore di morire affogati perché si credeva che la resurrezione sarebbe stata possibile soltanto se si veniva sepolti in terra di Israele. Ecco perché Giuseppe, nel libro del Genesi, dice: “quando sarò morto portate le mie ossa in terra di Israele” (Gn 50, 25). Ecco che Ezechiele minaccia: “morirai della morte degli uccisi in mezzo ai mari” (Ez 28, 8). Si pensava allora che, non potendo recuperare il corpo del malcapitato morto in mare, lo stesso non avrebbe partecipato alla resurrezione finale perché senza il corpo materiale la resurrezione era impossibile. Quindi siamo davanti a una sorta di scomparsa piena, totale e definitiva per coloro che sono causa di scandalo. Ecco allora che far cadere i piccoli potrebbe essere il peccato imperdonabile, che comporterebbe la stessa fine temuta di chi sparisce in mare. In entrambi i casi saremmo davanti a una condanna di per sé eterna, che riguarda sia i presbiteri che i laici. Ma riguarda sempre e solo coloro che si dichiarano credenti, perché solo coloro che fanno parte della comunità cristiana, per cui dovrebbero distinguersi dalle altre comunità e attirare a sé nuovi adepti, possono scandalizzare. Dovrebbe allora essere ormai chiaro che essere credenti (cattolici) non dipende da quello che si crede, da quello che si dice o si dichiara, ma da quello che si fa agli altri[24]. Credere deve cioè comportare una “svolta” di tutto l’uomo che da quel momento in poi struttura stabilmente la sua esistenza in una specifica direzione. Credere si manifesta attraverso una conversione, un cambiamento del proprio modo di essere[25], del proprio modo di vivere, perché la fede è un modo di vivere diverso. E allora, se uno si presenta come se avesse aderito all’offerta che Gesù fa nei vangeli, ai valori insiti nel suo messaggio, ma poi si limita a seguire alcuni riti e ad alcune vaghe ed astratte attestazioni di fede, e quotidianamente si comporta in modo da smentire quei valori che a parole professa, non è affatto credente, e anzi crea scandalo. Quindi siamo davanti a un forte richiamo ad essere coerenti, perché il nostro comportamento può creare grave danno a chi ci crede cristiani mentre non ci comportiamo come tali; e per di più creiamo questo scandalo e questo danno senza rendercene conto.

Ritengo però che anche in questo caso Gesù abbia parlato usando una forma orientale di esternizzazione, come quando ha detto che chi non odia suo padre e sua madre non lo può seguire (Lc 14, 26). Qui siamo chiaramente davanti a un’esigenza sostanzialmente impossibile[26] perché noi in realtà pensiamo che è perfettamente possibile essere seguaci di Gesù e continuare ad amare padre e madre. In realtà quello che Luca ci vuol far capire è che nessuno di noi, proprio nessuno, può vantarsi di essere vero seguace di Gesù. Le esigenze della sequela sono talmente radicali, che Luca ci tarpa le ali e sta semplicemente ponendo tutti su un piano di uguaglianza; tarpa le ali soprattutto a coloro che dichiarano apertamente di essere veri credenti: infatti, anche quelli che noi consideriamo peccatori, impuri, sbagliati, sono allo stesso livello dei ‘veri’ credenti; o meglio, i ferventi credenti sono uguali a loro. Nessuno può credersi migliore del suo confratello o, come diceva De Mello, non è che stando in cima al grattacielo uno può pensare di essere più vicino al sole rispetto a chi abita al piano terra.

Analogo discorso sembra fare Gesù quando raccomanda ai suoi discepoli di intervenire rapidamente e drasticamente, se nei loro comportamenti vedono un chiaro motivo di caduta dovuto ad ambizione o al desiderio di prevalere sugli altri esercitando il potere. L’invito caldo è di amputare con decisione l’arto che li porta sulla via sbagliata (Mt 18, 7ss.). Anche qui si paventa uno scandalo, nel senso che Gesù indica che questi tre organi (mano, piede ed occhio) possono diventare causa di scandalo, facendo allontanare i piccoli, facendo cadere le persone più vulnerabili. In che modo? Perché la mano è collegata con l’attività, con il modo di agire e rapportarsi con gli altri; il piede ha a che fare con il cammino, con la posizione che uno raggiunge nel corso della sua vita e in questo senso anche il piede riguarda il modo di rapportarsi con gli altri; l’occhio ha a che fare con il desiderio o il disprezzo. L’invito, dunque, è quello di eliminare questi comportamenti,[27] non gli organi. Siamo sempre davanti a un discorso metaforico. Se con la propria azione negativa si diventa una persona che crea scandalo perché invece di farsi servo di chi è già piccolo, lo si sfrutta, lo si umilia, allora occorre eliminare drasticamente questo modo di comportarsi, di vedere, di desiderare, di guardare il mondo, altrimenti si è uomini fatalmente destinati alla rovina totale[28] ed eterna; si vivrà una vita del tutto inutile perché si finirà nella Geenna, immondizia per l’inceneritore di Gerusalemme: in altri termini si vivrà una vita che non sviluppandosi e non arricchendo gli altri non avrà alcuna possibilità di futuro. Noi ci scambiamo vita gli uni gli altri e così ci aiutiamo a crescere; ognuno è perciò responsabile dello scambio di vita, cioè della trasmissione di quell’energia di fondo che per il credente è espressione dell’azione creatrice di Dio[29].

E teniamo presente che questo messaggio era doppiamente duro per chi ascoltava Gesù. Infatti in Israele gli imperfetti, i ciechi, gli zoppi, gli amputati erano categoricamente esclusi dalla vita religiosa, e non potevano neanche entrare nel sacro Tempio (Lv 15, 31; 2Sam 5, 7s.). Gesù invece fa capire che non è vero che Dio esclude qualcuno, e anzi afferma che si è integri dinnanzi a Lui anche con la menomazione fisica, che invece impediva l’ingresso al Tempio. Scandalosa piuttosto era la ricerca della perfezione spirituale, perché si finisce col mettere sulle spalle degli altri pesi insopportabili (Mt 23, 4). In tutti gli esseri umani c’è l’imperfezione perché la creatura non può cogliere l’azione creativa di Dio per intero in un solo istante (questa sarebbe la perfezione). Perciò non dobbiamo preoccuparci delle nostre imperfezioni (Gv 15, 2: sarà il Padre che penserà a potare le nostre imperfezioni; Mt 13, 30: non siamo noi a dover strappare la zizzania). Quello di cui dobbiamo preoccuparci è di dare vita agli altri, dimenticandoci di noi stessi perché – come diceva il Manzoni,- si deve pensare più a fare bene che a stare bene.

Però, se in tutti questi casi viene data la possibilità di ravvedersi, non vedo perché non sia possibile farlo anche nel caso in cui, con grave scandalo per i piccoli, si è peccato contro lo Spirito santo. Insomma, la misericordia di Dio sembra prevalere sempre.

NOTE


[1] Il messaggio di Gesù non sta aggiungendo nuovi peccati alla già lunga lista ecclesiastica, anzi sta sfrondando questa lista. Ed è strano come questo peccato imperdonabile (Mc 3, 29) non sia poi inserito da Gesù nella sua lista di peccati (Mc 7, 21).

[2] Dopo la morte e la resurrezione di Cristo il disegno di Dio è stato completamente svelato e messo in opera, per cui opporvisi significa bestemmiare lo Spirito Santo. Tradire la testimonianza di Gesù equivale a tradire l’opera salvifica di Dio, il che equivale a bestemmiare lo Spirito Santo (Congar Y., La bestemmia contro lo Spirito Santo, in “L’esperienza dello spirito”, ed. Queriniana, Brescia, 1974, 34 e 39). Siamo ancora piuttosto nel vago, perché tradire il disegno di Dio vuol dire non credere che il Padre ha mandato a morte suo Figlio per riscattare i nostri peccati, oppure vuol dire non credere che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi? Qual è il progetto che non si deve tradire?

[3] Mondin B., La Trinità: mistero d’amore, ed. ESD, Bologna, 1993, 85.

[4] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 49.

[5] Schillebeeckx E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 130.

[6] Ricca P., Ego te absolvo, Claudiana, Torino, 2019, 97.

[7] Proch U., Breve dizionario dei termini e dei concetti biblico-teologici più usati, ed. Elle Di Ci, Torino, 1988, 21.

[8] Maggi A., Gesù e Belzebù, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 108 ss.; Ravasi G., Belzebul, “Famiglia Cristiana”, n.15/2012, 133.

[9] Nulla di nuovo sotto il sole: anche noi, quando non troviamo miglioramento evidente nella medicina ufficiale, ci rivolgiamo alle medicine alternative.

[10] Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982, 423.

[11] Ravasi G., Bestemmiare lo Spirito, “Famiglia Cristiana”, n.17/2012, 125.

[12] Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 74 s. AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 355.

[13] Ravasi G., Bestemmiare lo Spirito, “Famiglia Cristiana”, n.17/2012, 125.

[14] Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 50.

[15] Schweizer E., Il Vangelo di Marco, ed. Paideia, Flero (BS), 1971, 94.

[16] Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 75.

[17] Va però detto che le difficoltà dei discepoli sono anche le nostre:

- quando Gesù tocca le nostre agiatezze, diventiamo anche noi come il ricco angosciato (Mc 10, 22). Come noi, il ricco pensa di essere a posto con Dio seguendo i rituali, ma in realtà ama la sua condizione di vita agiata e non si interessa degli altri.

- quando vediamo uno che non è dei nostri prendere un’iniziativa di cui pensiamo di avere il monopolio, cerchiamo di vietarglielo (Mc 9, 38s).

[18] Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 125.

[19] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi,1989, 75s.

[20] Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo,ed. Cittadella, Assisi,1989, 76.

[21] Mateos J. e Camacho F., Il figlio dell’uomo, ed. Cittadella, Assisi, 2003, 192.

[22] Mateos J. e Barreto J., Il Vangelo di Giovanni, ed. Cittadella, Assisi, 1982, 403.

[23] Pulcinelli G., Il verme che non muore, “Famiglia Cristiana”, n. 7/2012, 13.

[24] In un’altra parabola Gesù presenta due figli che all’invito del padre, di andare a lavorare nella vigna, rispondono in maniera opposta. Il primo inizialmente rifiuta, ma poi pentitosi ci va. Il secondo, obbediente, risponde: “Sissignore! Vado subito”, ma poi non ci va. Allora Gesù chiede ai capi religiosi quale dei due ha compiuto la volontà del Padre, ed essi rispondono: “ovviamente il primo” (Mt 21,31). E nel comportamento del primo figlio, quello che nicchia ma poi obbedisce, si può vedere l’atteggiamento dei pubblicani e delle prostitute che avevano creduto alla Buona Novella, mentre nel secondo, l’ubbidiente solo a parole ma non nei fatti, Gesù sta denunciando il comportamento dei capi religiosi ortodossi, che con le labbra onoravano il Signore, ma non col cuore ne restano lontani (Mt 15,8).

Ancora oggi ci sono tante persone che si definiscono cristiane ma non accettano l’idea che per il Dio di Gesù è preferibile vivere anche disastrosamente, se alla fin si fa ciò che Dio chiede, piuttosto che vivere apparentemente come persone pie, seguire il culto, ma rifiutare di fare la volontà di Dio (Mt 21, 28-32). Detto con le crude parole della parabola evangelica del figlio apparentemente disobbediente e dell'altro apparentemente obbediente, è preferibile essere prostitute o ladri (come lo erano i pubblicani), e magari anche drogati, se alla fine ci si converte, piuttosto che essere vescovi, sacerdoti o riveriti membri della santa Chiesa incapaci di convertirsi perché convinti di non aver bisogno di conversione (Sicre Diaz J., Los gais e lesbianas os llevan la delantera, in http://elevangeliodeldomingojlsicre.blogspot.it/2014/09/los-gais-y-lesbianas-os-llevan-la.htm).

[25] Così lo stesso papa Ratzinger J., Introduzione al Cristianesimo, Queriniana, Brescia, 2000, 80.

[26] Gallazzi S, Cap. 14 e 15 il tavolo al quale ci sediamo o no, in https://www.youtube.com/watch?v=zkNl2EX0iMk&feature=youtu.be

[27]Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 25ss.

[28] Maggi A., Parabole come pietre, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 98s.

[29] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 109 e 114.