Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Gesù e la donna di Canaan, Codex Egberti, Fol 35v - immagine tratta da commons.wikimedia.org




Gesù che fa i miracoli


di Dario Culot

È evidente che l’aspetto taumaturgico, su cui ha battuto per secoli il magistero, doveva contribuire alla costruzione di un’identità divina di Gesù: se con i miracoli s’infrangono e si sovvertono le leggi della natura viene provata la divinità di Gesù. Questo ci hanno insegnato e a questo si doveva credere.

Ma la prima domanda che dovremmo porci è: com’è possibile che in un brevissimo lasso di tempo, nella piccola Palestina, si siano verificati più miracoli di quanti ciascuno di noi riesce a trovare nella storia sua, in quella dei suoi genitori, in quella dei suoi nonni, in quella di tutto il suo Paese, di tutta l’Europa? Se solo leggiamo con un po’ di senso critico i vangeli scopriamo che:

a) Gesù non fa mai miracoli per sé: pensiamo alle tentazioni, quando il diavolo offre a Gesù la possibilità di diventare il leader e convincere tutti con dei miracoli eclatanti (tipo trasformare le pietre in pane, buttarsi dal pinnacolo del tempio senza spiaccicarsi al suolo - Mt 4, 5); oppure pensiamo all’invito a scendere dalla croce.

Deve allora essere chiaro da subito che l’idea in sé di miracolo (un evento contrario alle leggi della natura) va contro il concetto di fede suggerito da Gesù, che invece presuppone libertà di scelta[1]. Se infatti fede significa riporre fiducia in Dio per scelta personale, è chiaro che il miracolo invalida la fede perché non lascia all'uomo alcun margine di libertà, costringendo la sua ragione e la sua volontà a sottomettersi di fronte alla schiacciante prova che emerge dall’atto taumaturgico soprannaturale. Se avessimo visto con i nostri occhi il Mar Rosso aprirsi e lasciar passare il popolo ebraico e subito dopo rinchiudersi per annientare gli inseguitori cattivi, come avremmo potuto resistere a simile inoppugnabile sfoggio di potenza divina?

E allora, tanto per cominciare, notiamo che nei vangeli i cd. miracoli sono sempre e solo un servizio ai sofferenti, per dimostrare che Dio opera per venire incontro alla sofferenza. La gente deve capire che è Cristo la via, il pane di vita. Ma la fede ha come fondamento le parole, non i miracoli. Anzi Gesù rimprovera chi vuole miracoli. E Paolo ribadisce: noi predichiamo Cristo, i giudei vogliono miracoli (1Cor 1, 22s.). In effetti, se ci fermiamo a pensare al grande miracolo della moltiplicazione dei pani (Gv 6.1ss.) in realtà siamo davanti a un grande fallimento perché tutti si sono allontanati da Gesù. Ed è successo perché, dopo la moltiplicazione, lui ha detto: “ora vi spiego cosa è successo”; ma la gente ha risposto: “no, a noi interessano i miracoli, non le tue spiegazioni. Delle tue spiegazioni non sappiamo che farcene, ma i miracoli ci piacciono. Se fai ancora miracoli crederemo in te e ti seguiremo”. E Gesù chiede sconsolato agli apostoli: “volete andarvene anche voi?” (Gv 6, 67). In realtà, come spiegato in altra occasione,[2] il ‘miracolo’ non è la moltiplicazione. Il miracolo avviene prima: è la distribuzione; è la fine dell’egoismo. Le cose si possono usare per sé, ma si deve trovare il tempo per sé e per gli altri, e le cose sono per sé e per gli altri. Altrimenti il mondo non cambierà mai. Solo condividendo si otterrà la moltiplicazione dei pani, e dopo la condivisione potrà anche succedere che avanzino dodici ceste di pane. Come sempre, allora, dobbiamo cercare nel racconto il significato teologico, non siamo davanti a un fatto storicamente avvenuto. Calza a proposito la riflessione fatta, credo, da Goethe: non tutto ciò che viene raccontato come storia è veramente accaduto; non tutto ciò che è accaduto è accaduto come ci viene effettivamente narrato, e ciò che ci viene narrato è comunque solo una parte di ciò che è accaduto.

Anche il cd. miracolo della guarigione del paralizzato da 38 (Gv 5,5ss.) non può essere il racconto di un fatto storico realmente accaduto[3]. È stato giustamente osservato che questi racconti di miracoli non possono al giorno d’oggi essere presi automaticamente come storici: chi è paralitico da 38 anni non ha muscoli per alzarsi, né equilibrio (quanto ci mettono i bambini per imparare a camminare?) per cui neanche allora il miracolato avrebbe potuto mettersi improvvisamente a saltare e a correre.

Ma già nel 1700 Gotthold Lessing aveva centrato il cuore vero del problema: per quanti miracoli abbia compiuto Gesù - la scienza storica potrà verificarli e confermali o meno - la questione dal punto di vista teologico resta una sola: che cosa significa tutto questo per me, che qui e adesso non osservo più miracoli? I vangeli devono essere una buona notizia anche per noi oggi, non per il solo infermo guarito allora. La guarigione di tante persone da parte di Gesù che senso avrebbe avuto, col passare dei secoli, per la vita dei lettori odierni? Nessuno. E allora?

Inoltre non dimentichiamo che le parole di Gesù, riportate nei vangeli, offrono piena libertà di scelta agli uomini, ma chiedono anche responsabilità e attivazione personale[4], e per questo sottolineano che Gesù ha sempre rifiutato di accreditarsi compiendo eventi soprannaturali miracolosi: Lc 11, 29-32: “Non darò alcun segno a questa generazione incredula”; Gv 4, 48: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”; o pensiamo anche alla diabolica tentazione sopravvista di buttarsi dall’alto del pinnacolo e farsi soccorrere dagli angeli prima di spiaccicarsi al suolo (Mt 4, 5). Ecco perché si può escludere che i “segni” compiuti da Gesù in vita possano essere contrabbandati come prove per costringerci a sottometterci alla sua autorità, che con i miracoli sarebbe apparsa subito di natura divina. Sarebbe perciò incoerente e contraddittorio che Gesù, espressamente richiesto di fare un miracolo capace di infrangere le leggi della natura per essere creduto, abbia sempre rifiutato, ma di tanto in tanto abbia smentito sé stesso compiendo proprio dei miracoli a caso, senza neanche un piano chiaro e ben definito.

b) Allora, se in passato i miracoli sembravano una cosa scontata e irradiata dalla divinità di Gesù,[5] è un dato di fatto che dall’Illuminismo in poi ai miracoli biblici è andata piuttosto maluccio, e gli stessi fatti accettati in passato vengono oggi contestati: se oggi nessuno riesce a camminare sulle acque, non può essere successo neanche allora; se oggi nessuno riesce a far tornare in vita un cadavere non può essere successo neanche allora[6]. Forse allora non erano miracoli? Non è un caso, pertanto, se le traduzioni di oggi del NT non parlano più di miracoli, ma di segni. E questo per il semplice fatto che ci si è accorti che gli autori dei vangeli, i quali avevano scritto in greco, pur avendo a disposizione la parola greca per dire “miracolo” (thauma), non l'avevano utilizzata;[7] da subito avevano già utilizzato la parola semeion, che significa appunto segno[8]. Quindi erano le traduzioni successive del magistero ad essere inappropriate, probabilmente perché – come detto,- miravano a rinforzare l’idea della divinità di Gesù attraverso i miracoli soprannaturali.

È scontato che se uno crede venendo messo di fronte a un miracolo divino è perché la potenza cosmica dell’intervento soprannaturale deve necessariamente essere riconosciuta, cancellando al tempo stesso ogni libertà di rischiare una relazione con chi compie quell’atto. Si evita di doversi fidare di qualcuno dandogli fiducia (ecco il rischio), perché il miracolo impone adesione, costringendoci per forza a credere. Ma se leggiamo i vangeli si vede che questa equazione logica (davanti a un miracolo non si può non credere) viene rovesciata. Nei vangeli il miracolo non induce affatto alla fede; al contrario, il vangelo ci fa capire che quando non c’è fede non ci può essere neanche il miracolo. Per fare un esempio, l’episodio del cieco dalla nascita (Gv 9, 1ss.), fatto apparentemente miracoloso perché non riguarda il corpo, e quindi un difetto fisico incurabile, non converte affatto i farisei, che deducono con assoluta razionale logicità: Gesù ha agito di sabato, quindi ha trasgredito alla legge, quindi ha peccato, se è peccatore non può venire da Dio e la guarigione non può essere opera di Dio.

Nei vangeli, in realtà, le storie di guarigioni miracolose sono piuttosto storie di liberazione. Certo, come suggerisce il diavolo a Gesù, se lui agisse con dei miracoli sarebbe più facile far riconoscere alla gente che Dio sta dalla sua parte, e non a caso ancora oggi c’è chi insegna che i miracoli sono finalizzati a suscitare la fede, per cui si enucleano nei vangeli i miracoli-segni (come la moltiplicazione dei pani o le nozze di Cana), i miracoli-guarigioni (come la guarigione del paralitico o dell’emorroissa), i miracoli di esorcismo (come la liberazione degli indemoniati), i miracoli di risurrezione (come la risurrezione di Lazzaro)[9]. Ma si è visto come nei vangeli non ci sono miracoli in questo senso, perché Gesù ha scelto un messianesimo povero, fragile e non miracolistico. Gesù, sotto questo aspetto, non ha fatto niente di eclatante, non ha ragionato in termini di potere, di forze sovrannaturali, e in effetti i risultati finali sono apparsi scarsini: alla fine sono scappati tutti, anche gli apostoli. Com’è possibile che dopo aver visto tutti quegli esempi in cui Gesù avrebbe dispiegato una prodigiosa forza sovrannaturale neanch’essi si sono fidati di lui? Dal punto di vista del messianesimo proposto dal diavolo (che anche noi avremmo suggerito), Gesù non ha fatto niente. Ma per parafrasare Eduardo De Filippo: “La gente crede che sia facile non far niente. Gesù non ha fatto niente, ma quel niente lo ha fatto in modo perfetto,” perché poi il chicco marcendo è diventato spiga rigogliosa.

Le guarigioni, o dovremmo dire meglio le liberazioni, sono spesso di natura psichica, e anche quando sembrano essere di natura fisica possono essere spiegate come metafore, e non come fatti storici[10].

Gesù guarisce molti indemoniati, e sappiamo che gli indemoniati sono individui disturbati psichicamente, che interiormente seguono senza riserve un’ideologia distruttrice[11]. Spiega bene il biblista Maggi:[12] i demoni nei vangeli sono soprattutto le ideologie religiose che l’individuo ha accolto, facendole sue, e lo rendono quindi refrattario alla Buona Notizia; non a caso Gesù trova tanti indemoniati dentro alla sinagoga, cioè alla chiesa di allora. I demoni rappresentano tutte le ideologie che l’uomo accoglie, senza un minimo senso critico, che gli impediscono di essere libero[13]. Quando Gesù s’imbatte all’interno della struttura religiosa in uno spirito impuro, in un indemoniato, in realtà s’imbatte in persone che non ragionano con la propria testa, ma con la testa della classe dirigenziale religiosa che li comanda (Lc 4, 33-37): gli indemoniati sono le persone pie sempre obbedienti al clero. La differenza tra spirito immondo e indemoniato è che mentre l'uomo posseduto dal primo solo in particolari circostanze manifesta la sua condizione di posseduto, la condizione dell'indemoniato è evidente e continua[14]. Le persone possedute dal demonio, dunque, sono principalmente le persone possedute dalla religione. Sono talmente possedute dalla religione da non accorgersi di ciò che Dio offre loro e, in nome della religione, finiscono per rifiutare l’offerta d’amore di Dio. Queste persone però soffrono, non vivono bene, stanno male. Ora, sappiamo tutti che il dolore è soggettivo e modulabile. Tutti abbiamo anche sentito parlare dell’effetto placebo: si può cioè curare una malattia con un farmaco adeguato, ma anche attraverso meccanismi che generano fiducia[15]. Anzi, è stato ormai scientificamente dimostrato che l’effetto antidolorifico è migliore se insieme al farmaco si somministrano parole. Quindi abbiamo una situazione in cui, a un complesso psico-sociale A (vista, odore, parole, cioè suggestioni verbali positive), si aggiunge un farmaco B. È stato dimostrato che, con questa combinazione, qualcosa cambia nel cervello in base agli stimoli. Per studiare l’efficacia delle parole si dà una terapia finta, e il rituale dell’atto terapeutico cambia il cervello e le stesse vie biochimiche sono attivate sia dalla parola A che dal farmaco B.

Di più: la somministrazione delle parole può aver effetti positivi (placebo), ma anche negativi (nocebo). Gli studi scientifici hanno dimostrato che il cervello produce una sostanza simile alla morfina e alla cannabis (endorfine) sotto suggestioni verbali positive. Tuttavia l’effetto placebo positivo si può bloccare con un farmaco (naxalone), bloccando i ricettori delle endorfine. Il cervello, che si era attivato come se avesse avuto un farmaco vero, può anche essere bloccato farmacologicamente. All’opposto, in natura lo stimolo ansiogeno mette in moto meccanismi nel cervello che liberano gli ormoni che provocano malessere. Se la suggestione è negativa viene liberato naturalmente un diverso ormone, ma anche questa emissione può essere bloccata sempre con un farmaco (proglemide)[16].

La chimica del corpo umano è dunque assai più complicata di quello che normalmente si pensa. Esiste, ad esempio, anche l’analgesia da stress: pensiamo al fatto che spesso i soldati in azione non sentono il dolore di una ferita anche grave finché restano sotto stress; siamo cioè in presenza di un effetto evolutivo, a dei meccanismi naturali che bloccano il dolore. Allo stesso modo esiste anche l’analgesia da fattori socio-culturali che mette in moto le endorfine, cioè sistemi inibitori del dolore: si pensi al rituale doloroso per diventare adulti di certe tribù[17].

Dunque è ormai assodato che farmaci e stimoli culturali passano attraverso le stesse vie biochimiche. Il placebo funziona per l’effetto psicologico che avviene nel cervello: avviene cioè quello che la persona si aspetta, grazie alle parole convincenti di chi offre la cura: queste parole funzionano come un’iniezione di fiducia e di speranza. E al contrario, dando di nascosto una terapia vera, ma in totale assenza di rituale medico dell’atto terapeutico, cioè senza il contesto psico-sociale (ad es. l’infermiera entra in stanza, lascia la pillola sul comodino e se ne va senza profferire parola e senza rivolgere uno sguardo al paziente), l’azione del farmaco è inefficace per il dolore: manca l’aspettativa del miglioramento.

Questa facile influenzabilità del cervello, che sfugge alla nostra razionalità, non deve stupirci: pensiamo a come il nostro cervello cambia, e manda certi impulsi, solo vedendo una persona che succhia un limone. Si può concludere allora che la relazione fra paziente e medico (nella nostra cultura) o paziente e sciamano (in altre culture) sono simili, anche se noi riteniamo di essere nettamente superiori a quelle culture che consideriamo primitive. Spiritualmente sono invece forse più avanti di noi.

Perciò oggi possiamo leggere le azioni guaritrici operate da Gesù alla luce di questi dati ormai scientificamente appurati: si trattava di guarigioni naturali, non soprannaturali.

“Ma i miracoli in cui non c’entra la psiche? Se uno è cieco è cieco fisicamente, e nessuna parola convincente lo potrà guarire?” Anche qui può esserci la spiegazione non biologica. Si è visto che più si è lontani dal dio della religione e più è facile accogliere questo messaggio; più si è immersi in un mondo sacrale, in un mondo religioso, e più si è refrattari. Quante volte Gesù dice: «Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite» (Mc 8, 18), ma sta parlando di cecità e sordità mentali. Anche nel caso del cieco nato, dopo averlo guarito (liberato) quando Gesù lo ritrova nel Tempio lo rimprovera e gli dice di non peccare più (Gv 5, 14): essendo escluso che Gesù consideri il peccato causa della malattia (Gv 9, 3; Gv 11,4)[18], come accade anche col lebbroso (Mc 1, 40ss.),[19] questo significa che Gesù sta associando l’idea di peccato alla frequentazione del Tempio,[20] al rimanere sottomesso all’istituzione religiosa: quindi siamo sempre davanti a un caso che blocca la mente, e per vedere chiaramente la realtà bisogna abbandonare quella religione opprimente. Piuttosto diverso da quello che c’insegna anche oggi buona parte del magistero, non vi sembra?

E lo stesso avviene col paralitico, pure lui bloccato dalla religione. Gesù lo convince a disobbedire alla religione: basta che decida di alzarsi, che decida di prendere il suo lettuccio, e può andarsene essendo tornato libero (Mc 2, 3ss.). Ma a quel punto deve andare a casa sua (Mc 2, 11: “vattene a casa tua”), perché se rientra sotto il controllo dell’istituzione perde di nuovo la libertà che ha appena ottenuto.

Per quel che riguarda le risurrezioni dei morti, rinvio alle due conferenze di padre Alberto Maggi:[21] I dieci miracoli di Gesù nel Vangelo di Giovanni del 1997, e La resurrezione di Lazzaro del 2003, lunghette ma esaurienti. Qui mi limito ad annotare che Gesù, alla notizia della morte del suo amico Lazzaro (Gv 11, 1ss.) non si muove per qualche giorno, nonostante lo avessero scongiurato di accorrere già prima che Lazzaro morisse. Ciò dimostra chiaramente che Dio non elimina il normale ciclo biologico, nel senso che non ci libera dalla morte biologica. Gesù (e quindi Dio) non prolunga a nessuno la vita fisica. Comunque, anche in questo episodio non interessa l’aspetto storico della vicenda, cioè cosa è realmente accaduto. Il messaggio che ci viene trasmesso – come anche nel caso della vedova di Nain (Lc 7, 11-17),- è che Gesù sta facendo rifiorire la vita anche dove stava prevalendo la morte. Per l’appunto anche nel caso della vedova di Nain non viene riportato alla vita biologica il cadavere del figlio, ma Gesù riesce a far capire alla gente del villaggio che Dio compassionevole offre a tutti una pienezza di vita anche dopo la morte biologica. A Nain s’incontrano due cortei, quello di Gesù portatore di vita e quello di morte che esce dalla città. Tutta quella gente che accompagna il morto non fa che ripetere riti di morte, propri di una religione di morte. Gesù viola la Legge e tocca la bara, e invece d’infettarsi fa esplodere la vita: dimostra ancora una volta che l’osservanza della Legge non serve al bene dell’uomo, ma è un precetto inutile di una religione di morte. Qui il vero risuscitato non è tanto il giovanetto, quanto il popolo che giaceva in una condizione di morte, di tenebre, e Gesù, il liberatore, è venuto a risuscitarlo.

In conclusione, non è ricorrendo ai cosiddetti miracoli descritti nei vangeli che viene dimostrata con sicurezza la divinità di Gesù.






NOTE


[1] Cfr. l’articolo Cosa è la fede?, al n. 498 di questo giornale, https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-498---31-marzo-2019/cosa-e-la-fede.

[2] Come spiegato nell’articolo I miracoli di Gesù, al n. 503 de Il giornale di Rodafà, https://sites.google.com/site/archivionumeri500rodafa/numero-503---5-maggio-2019/i-miracoli-di-gesu.

[3] Esattamente lo stesso avviene quando si parla delle forze del male, alle quali viene dato un nome, un volto, un'organizzazione, una sede. Ora il male è certamente reale, ma non induce automaticamente a pensare che siano reali anche i personaggi che causano questo male. Il male è oggettivo; Satana potrebbe essere il tentativo di dare una spiegazione al male, ma non è detto che sia la risposta giusta. E se Satana fosse un comodo pretesto per coprire il proprio disimpegno e la propria cattiveria? (Ortensio da Spinetoli, Bibbia e Catechismo, ed. Paideia, Brescia, 1999, 61s.).

[4] Se uno vuole venire dietro di me (Mt 16, 24; Mc 8, 34; Lc 9, 23).

[5]Ancora oggi molti studiosi ritengono che Gesù abbia compiuto veri e propri miracoli (cfr. in Stegemann W., Gesù e il suo tempo, ed Paideia, Brescia, 2011, 407ss.).

[6] Lohfink G., Gesù di Nazaret, ed. Queriniana, Brescia, 2014, 167.

[7] Schillebeeckx E., Gesù, la storia di un vivente, ed. Queriniana, Brescia,1976, 184.

[8] Anche se il segno non è una prova definitiva che obbliga a credere; è solo una base, un appoggio sufficiente per dare la propria adesione (Da Spinetoli O., Il Vangelo del Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 292s.). Il miracolo, per la sua straordinaria unicità, dovrebbe invece obbligare a credere, senza se e senza ma.

[9] Crepaldi G., I miracoli di Gesù, i miracoli della fede, Messaggio per la Quaresima, §§5ss., allegato a “Vita Nuova”, n.4464 del 15.2.2013.

[10] Lo stesso papa emerito oggi ammette che non tutti i passi del Vangelo di Matteo narrano eventi storicamente avvenuti (ad es. alla condanna di Gesù non era presente tutto il popolo ebraico, per cui non è pensabile condannare l’intero popolo ebraico per la sua morte; anche se papa Paolo IV aveva creduto il racconto realmente storico, oggi è caduta l’equazione racconto evangelico = racconto storico reale; e se anche una sola volta viene meno questa certezza, il dubbio può sorgere anche tante altre volte.

[11] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 163.

Va ricordato che nei vangeli nessun indemoniato è posseduto dal diavolo, ma solo dai demoni. Gli evangelisti, che già ai loro tempi non credevano a tante superstizioni come nel passato, usano il termine demonio appunto come immagine di tutto ciò che poteva influire negativamente sulla vita degli uomini, ed impediva all'uomo di essere libero: siano pregiudizi, siano strutture mentali ereditate. Non avendo però le nostre conoscenze scientifiche, per indicare che un uomo non era libero mentalmente, si diceva che era posseduto da un demonio. Oggi noi useremmo probabilmente altre espressioni, altre immagini per indicare questi stati (ad es. diremmo che uno è plagiato dai suoi pregiudizi religiosi; diremmo che siamo di fronte a una crisi emozionale negativa che non si sa come indirizzare).

[12] Maggi A., Spiritualità per insoddisfatti, relazione tenuta ad Assisi, 2008, 9., in www.studibiblici.it/ Scritti/ conferenze.

[13] Maggi A., Ecce Homo, relazione tenuta ad Assisi nel 1999, in www.studibiblici.it/ Scritti/ conferenze.

[14] Maggi A., Gesù e Belzebù, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 80s.

[15] Benedetto Fabrizio, L’effetto Placebo, ed. Carrocci, 2018.

[16] Cfr. sempre nota 15.

[17] Vedi sempre il testo richiamato a nota 15.

[18] Nell’Antico Testamento, quando Maria, l’ambiziosa sorella di Mosè, pretende il posto di Mosè, Dio la castiga con la lebbra (Nm 12,9-10). Quindi la malattia era una punizione divina causata dal peccato dell’uomo.

[19] Gesù, dopo essersi commosso, dopo aver toccato e guarito il lebbroso, rimproverandolo lo condusse fuori. Fuori da dove? Non lo si dice. Evidentemente quel fuori sta per fuori dell’istituzione religiosa. E perché Gesù lo rimprovera? Perché costui è uno che aveva accettato e credeva che la propria condizione di emarginato religioso fosse voluta da Dio. Gesù lo rimprovera per aver creduto a questi principi basilari e non negoziabili sostenuti dal clero, per aver accettato questa immagine di Dio deformata dalla religione, e lo conduce fuori dell’istituzione religiosa, incompatibile con la visione e la presenza del vero Dio. Ma non basta ancora: Gesù prima lo conduce fuori e poi gli dice di andare dai sacerdoti e sperimentare quello che gli faranno seguendo la legge divina di Mosè (Mc 1, 43), e cioè il controllo minuzioso, umiliante che ha prescritto Mosè. Ha sperimentato l'amore gratuito di Dio? Ora sperimenti quello niente affatto gratuito della religione, e capirà che quando l’amore di Dio viene compravenduto, siamo di fronte alla prostituzione dell’immagine di Dio. I sacerdoti mica certificavano gratis l’avvenuta guarigione!

[20] Castillo J.M., Simboli di libertà, ed. Cittadella, Assisi, 1983, 44.

[21] www.studibiblici.ti/ Scrittti/ Conferenze.