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Quel Concilio che ci precede



di Silvano Magnelli



Può un evento lontano 60 anni da noi, e quindi del passato, di fatto invece stare davanti a noi? La risposta dovrebbero darla tutti i cristiani impegnati e, forse, molto di più, quelli disimpegnati. La provocazione appartiene ad un gigante della Chiesa, ovvero il Cardinale Carlo Maria Martini, che appunto sosteneva come quel Concilio ci precedesse, e di molto. Appuntava infatti che c’è un ritardo delle comunità cristiane nel capire questo nostro tempo, nel collocarsi dentro di esso, mancando una più chiara consapevolezza sia del ritardo sia delle scelte da fare per viverlo e non per evitarlo accuratamente.

La risposta, che egli ci suggeriva, era quella di un umile riconoscimento di sbagli, abbagli, incoerenze, chiusure, rigidità e altro ancora, ma non per amareggiarsi, bensì per ripartire, Vangelo alla mano, verso un approccio di servizio e di fraternità universale, diventando la casa di tutti gli uomini, non solo di alcuni. Volendo seguire il suo ragionamento, siamo chiamati oggi, 60 anni dopo il suo inizio, a ripensare alle forti sollecitazioni, che ci ha dato e che spesso restano una meta da raggiungere e non ancora un compito svolto.

A mio avviso, tra i tanti nuovi scenari di quel Concilio, tre sembrano i più audaci, e forse i meno compresi, seppure i cambiamenti del Concilio abbiano comunque portato già risultati evidenti.

La Buona Notizia, prima di tutto, riscoperta attraverso nuovi studi biblici, che hanno meglio chiarito chi è il Dio di cui parlava Gesù. E soprattutto la sua applicazione nella nostra vita personale, comunitaria, sociale, educativa. La Parola di Dio, infatti, o diventa vita o resta cembalo che suona. E poi la scoperta gioiosa e piena di speranza di una penetrazione nella realtà del tempo storico e nel rispetto dell’autonomia delle realtà terrene, e quindi la scoperta delle vocazioni laicali, dove libertà e responsabilità si sposano e danno riscontri sorprendenti di pace e di servizio altruistico, mescolandosi con tutti gli uomini, con tutte le diversità e con tutte le convinzioni, religiose oppure no. E ancora il dialogo come mezzo indispensabile a coltivare salutari passioni per l’incontro col mondo, non più visto come nemico di Dio, ma anzi come il luogo teologico preferito da Dio, che vuole portarci a vivere ed a convivere, innamorati come Lui degli esseri viventi e non distanti, disinteressati o infastiditi. Occorre perdere molto di preconfezionato e di suprematista, certo, ma per ritrovare molto di più, grazie a quel respiro rasserenante e umile, che fece dire a Giovanni XIII alla sera di quell’11 ottobre 1962 di inizio del Concilio: “Tornando a casa, portate una carezza e dite che è la carezza del Papa, è un fratello che vi parla…”.