Una stronzata universale

di Paola Franchina

Oggi ci lasceremo condurre dal testo di Genesi in un racconto senza tempo.

Il lettore viene trasferito all’interno di una tela di Welzer Peter, Adamo ed Eva nel Paradiso Terrestre, nella quale, con straordinario naturalismo, sono raffigurati animali di ogni specie e, al centro, Adamo ed Eva.

La locuzione ebriaca gan ‘eden viene tradotta da Girolamo come paradisus voluptatis, ovvero paradiso di delizie. Gli studi più recenti propongono di far risalire l’etimologia di Eden dal sumerico edenu, che significa deserto. L’Eden, dunque, rappresenta le condizioni straordinarie di vita donate da Dio per l’uomo.

Secondo il racconto biblico, due alberi particolari sono collocati in questo giardino: quello della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. Il primo è immagine icastica dell’intenzione di bene di Dio per l’uomo, veicolo di una vita divina che non sia condizionata dal veleno della morte.

Invece, l’albero del bene e del male è un merismo - artificio retorico con il quale si intende esprimere tutto ciò che è compreso nei due estremi - mediante cui l’autore figura la possibilità di conoscenza assoluta.

Ad un lettore accorto non potrà sfuggire la struttura triadica della legge divina. In primo luogo si ribadisce il dono che precede ogni ingiunzione: all’uomo è stato offerto di mangiare da ogni albero del giardino: «Il Signore Dio diede questo comando all’uomo: “Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino”»[1].

Su quest’ordine positivo si innesta, in un secondo momento, un comando in negativo: «dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare»[2]. Alla raccomandazione di godere di quanto è stato donato da Dio, viene, ora, posto un limite: dell’albero della conoscenza del bene e del male, infatti, è proibito mangiare.

Importante è sottolineare che non si tratta di un’ingiunzione arbitraria che intende negare il desiderio umano: il limite trova una sua giustificazione nella motivazione. Tale atto, infatti, porterebbe alla morte: «perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti»[3]. Il confine costituisce un argine funzionale ad incanalare il desiderio per garantirne la continuità.

In questo contesto ameno ad un tratto compare un serpente. Si noti come l’antico testamento elabori la sua teologia in forma narrativa: per descrivere il mistero del male viene introdotto un personaggio. Il racconto di Genesi appartiene al genere letterario dell’eziologia metastorica; con questa espressione viene indicata la ricerca dell’origine: quest’ultima non va intesa in senso cronachistico, bensì intende esprimere il cuore della realtà rappresentata in forma di narrazione.

Ad essere introdotto è il serpente, in ebraico nahash, il quale viene presentato come il più astuto di ogni vivente del campo. Questo personaggio è funzionale a mostrare il mistero del male. Paul Ricoeur, in Come pensa la Bibbia, sottolinea che il ruolo del serpente non deve essere totalmente demitologizzato: occorre, pertanto, mantenere il residuo mitico funzionale ad esprimere il carattere insondabile che perverte il desiderio umano e conduce al male. Anche Kant, in La religione entro i limiti della sola ragione, attestava la presenza inspiegabile nell’uomo di una tendenza a pervertire la legge morale, il male radicale.

L’aggettivo attribuito al serpente, arum, può essere tradotto in due modi: nudo o astuto. Il serpente è l’animale più nudo del creato perché è costituito unicamente dal tronco. La sua astuzia, invece, si evince dall’arte oratoria con cui riprende le parole di Dio, sovvertendone l’ordine ed omettendone alcune parti. Tali espedienti sono funzionali a travisare il significato delle parole, insinuando il sospetto che Adonay sia nemico della nostra realizzazione.

Suggestivo, a tal proposito, il monologo di Al Pacino, nei panni di John Milton, nel film L’avvocato del diavolo:

Per chi è che ti incolli tutti quei mattoni, si può sapere? Dio? È così? Dio… Beh Kevin, ti voglio dare una piccola informazione confidenziale a proposito di Dio. A Dio piace guardare, è un guardone giocherellone, riflettici un po’… lui dà all’uomo gli istinti. Ti concede questo straordinario dono e poi cosa fa? Te lo giuro che lo fa per il suo puro divertimento… per farsi il suo bravo, cosmico spot pubblicitario del film. Fissa le regole in contraddizione, una stronzata universale. Guarda ma non toccare, tocca ma non gustare, gusta ma non inghiottire. E mentre tu saltelli da un piede all’altro lui che cosa fa? Se ne sta lì a sbellicarsi dalle matte risate! Perché è un moralista! È un gran sadico! È un padrone assenteista, ecco cos’è! E uno dovrebbe adorarlo?! No, mai![4]

Come si può evincere da questo discorso, ad essere in gioco è il volto promettente e benevolo di Dio. Una visione distorta della morale, che misconosce la ragione profonda della legge e la sua funzione di tutelare la promessa di bene che mi anticipa, compie lo stesso gioco del serpente, insinuando il sospetto che Adonay sia un tiranno capriccioso, nemico dell’uomo.


[1] Gen 2,16.

[2] Gen 2,17.

[3] Ibid.

[4] https://www.michailcechovstudio.com/post/l-avvocato-del-diavolo-monologo-di-john-milton-al-pacino


Numero 644 - 16 gennaio 2022