Il paradosso dell’amore


di Paola Franchina

Passeggiando per New York, sulla cinquantatreesima strada, tra la Quinta e la Sesta Avenue, ci imbattiamo nel MoMa: il museo di arte moderna.

All’interno del Museum of Modern Art sono conservati capolavori dell’arte moderna e contemporanea mondiale.

All’occhio dell’osservatore non può sfuggire il suggestivo quadro di Magritte dal titolo, Les Amants, grande capolavoro del surrealismo onirico.

Nell’opera, i due amanti sono tratteggiati nell’atto di baciarsi, sorprende, però, il fatto che la loro fusione sia impossibilitata da un velo. Ad essere messo in scena è il paradosso, dal greco parà e doxa, ovvero qualcosa di singolare che sfugge ad una prima opinione superficiale.

Magritte sovverte i nostri canoni di realtà e, attraverso un effetto straniante, insinua dubbi sull’effettivo.

Il velo impedisce agli amanti di toccarsi, di essere unità e giungere al sogno romantico di fusione totale dell’anima e del corpo.

I due, sia pur travolti dalla passione, subiscono un annebbiamento della sensibilità a motivo del panno bianco che si insinua tra i loro corpi e che rende impossibile una reale conoscenza. Lo strato, infatti, non solo impedisce ai due innamorati di toccarsi realmente, ma anche di guardarsi nel volto e conoscersi in profondità. La reale identità dell’altro sfugge ad ogni ingabbiamento, ad ogni tentativo di assorbire la diversità all’interno di un orizzonte di precomprensione.

Il marcato panneggio del drappo va a suffragare il senso di mistero che avvolge i due protagonisti.

Il velo, inoltre, non solo funge da ostacolo per una conoscenza reciproca dei due innamorati, ma anche per l’osservatore, il quale non potrà mai giungere ad una spiegazione definita del quadro, ma sarà costretto ad accettare la possibilità dell’ambiguo.

La conoscenza appare una meta asintotica che continuamente sfugge nella sua sovrabbondanza inafferrabile.

Dinnanzi al presentarsi del mistero dell’altro, risulta fallimentare ogni tentativo di possesso.

Alla mente giunge il comando radicale di Dio rivolto al patriarca Abramo di sacrificare l’oggetto del suo amore nell’episodio del sacrificio di Isacco.

L’imperativo sollecita la rinuncia al dominio del figlio yahid, affinché questi sia riconosciuto come segno di una relazione e non come oggetto di possesso.

All’ordine divino corrisponde la prontezza dell’esecuzione da aprte di Abramo, il quale, senza neppure lasciar passare la notte, si alza di buon mattino e giunge al monte che Dio gli aveva indicato.

Ciò che rende Abramo un personaggio simpatico è proprio la sua umanità: egli, infatti, sebbene da un lato non obietti al comando divino ed esegua in modo solerte i preparativi, nelle azioni messe in atto non è privo di quelle ambiguità proprie di un padre che è legato al figlio.

Giunti nel luogo del sacrificio, il narratore biblico, sapientemente, lascia grande spazio alla 'aqad, ovvero la legatura del figlio, quasi a suggerire l’idea di un vincolo soffocante dal quale Isacco deve essere sciolto per poter vivere la sua esistenza liberamente come soggetto distinto dal padre.

L’episodio consente al patriarca di giungere ad una conoscenza di se stesso e delle disposizioni profonde che animano il suo cuore.

In affidamento al Padre, Abramo rinuncia al possesso bramoso del figlio e al desiderio di volersi assicurare autonomamente il proprio futuro. Interessante far notare una piccola sottigliezza, al termine del racconto Abramo libera un ariete che era rimasto intrappolato in un cespuglio.

Questa immagine intende suggerire una paternità, di cui l’ariete è figura, che viene svincolata dalla propria possessività.

L’episodio del sacrificio di Isacco custodisce ancora oggi la sua intensità e bellezza in virtù della capacità di illuminare il cuore dell’uomo e offrire una promessa eterna.

Come gli amanti nel quadro di Magritte, l’uomo non può possedere l’oggetto del proprio desiderio, non può assicurarsi la garanzia del proprio compimento: il comando divino a liberare Isacco, dunque, appare provvidenziale.

L’ingiunzione senza tempo è rivolta ad ogni uomo e sollecita alla rinuncia della pretesa di possesso sull’altro e sul futuro, affinché essi siano ricevuti come dono.

Curioso notare che al termine dell’episodio della legatura di Isacco, dopo che Abramo torna a Beèr-Shèba, il figlio non venga più nominato.

Il lettore è, così, chiamato ad intuire in questo gap narrativo una lacuna che suggerisce l’atto di slegatura che finalmente è compiuto.

Abramo può amare Isacco poiché lo lascia libero, nella sua assoluta alterità, rinunciando alla bramosia del possesso. Così gli amanti di Magritte potranno finalmente amarsi, quando si lasceranno condurre dalla pedagogia del Padre in un percorso che riconosca in primo luogo il velo che copre sia l’altrui che la propria identità, con la consapevolezza che solo a Dio è dato custodire l’insondabile profondità del mistero umano.

Numero 670 - 17 luglio 2022