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La Risurrezione, di Juan Giralte - Museo delle Belle Arti di Siviglia - foto tratta da commons.wikimedia.org


Pasqua

di Dario Culot

Pasqua è il passaggio dalla morte alla vita; per gli ebrei ricordava il passaggio dall’Egitto alla terra promessa, dalla schiavitù alla libertà. Questa esperienza di libertà, ottenuta per un intervento divino, ha fatto loro credere in Dio. Nei vangeli Gesù viene presentato come l’agnello il cui sangue libera dalla morte, ma non dalla morte biologica, bensì dalla morte definitiva[1]. Quindi resta sempre presente questo passaggio dalla morte alla vita, seppur inteso in maniera diversa, per cui Pasqua è la festa che dà senso alla nostra vita e ci fa ricordare questo dono che viene da Dio.

Quando la folla acclama Gesù che entra a Gerusalemme (Gv 12, 13), nell’imminenza della Pasqua, vede in lui il Figlio di Davide, il Messia liberatore e trionfatore in questa vita perché caccerà i romani e instaurerà il nuovo regno d’Israele, ed è pronta a sottomettersi ad un Messia potente accettando il dominio sulle proprie vite, passando senza fiatare da un dominatore a un altro, cioè dai romani a Gesù. A nulla rileva che egli abbia scelto un mite asinello e non un focoso destriero per entrare a Gerusalemme, cercando di far capire che egli è, sì, il Messia, ma non quel Messia che tutti si aspettano. Zaccaria (Zc 9, 9) aveva indicato un Messia contrario alla tradizione, sopra un asino, ma la sua profezia - che Gesù fa diventare realtà - viene completamente ignorata, tanta è la voglia di rivalsa.

La folla spesso non capisce. Ad esempio ricordiamo anche le difficoltà incontrate da Mosè per liberare il suo popolo dall’Egitto. Il Popolo dell’Alleanza non aveva alcuna ferma volontà di uscire dall’Egitto e più volte in cammino verso la libertà si era rivoltato contro Mosè dicendo: “perché ci hai portati in questo deserto a morire, quando potevamo vivere servendo gli egiziani” (Es 14,11-12). Nel deserto sono stufi di mangiare sempre manna, e tornano con la mente ai bei tempi passati quando, da schiavi in Egitto, avevano lì a disposizione latte e miele (Nm 16, 13): in realtà avevano poco più che cipolle e poco altro (Nm 11, 5), ma il ricordo del passato è sempre roseo. Dunque la loro croce si chiamava deserto; nel deserto sono liberi, ma si chiedono se il gioco valeva la candela, o se il prezzo che stanno pagando per fame, fatiche, e ristrettezze è eccessivo.

Non capendo, la folla cambia anche velocemente di umore. Qui, a Gerusalemme, con Gesù, la folla non fa altro che rinnovare le seduzioni del Satana (Mt 4, 1ss.). “Mostrati finalmente in tutta la tua potenza, fa miracoli e allora tutti ti seguiranno! Altrimenti, è meglio che te ne torni a casa tua!” Quindi si parte con un: “Osanna al Figlio di David!” (Mt 21, 9). Ma non appena la folla si accorge di avere sbagliato persona, che Gesù non si comporta come un Figlio di Davide capace d’imporsi con la forza e soprattutto di conquistare il potere a Gerusalemme sbaragliando i nemici, la stessa folla, che ha appena gridato “Osanna al Figlio di David!”, cambia umore e griderà “crocifiggilo!” (Mt 27, 22-23). La folla è aleatoria e non ama mai i perdenti, e Gesù era ormai uno che davanti alla folla aveva fallito.

Tutti abbiamo sentito parlare delle tentazioni di Gesù nel deserto. Ma forse non tutti hanno sentito raccontare in chiesa che non solo in quel momento, ma per tutta l’esistenza Gesù è stato in continuazione tentato e sedotto per prendere il potere. Il diavolo[2] aveva tentato Gesù portandolo sulla città santa (Lc 4, 9); ma questa identica tentazione continua ancora fino all’ultimo con l’atteggiamento della folla, che per l’appunto rappresenta il diavolo quando Gesù entra a Gerusalemme. Dal pulpito, forse, non vi hanno messo abbastanza in evidenza che i discepoli hanno preso i mantelli e li hanno messi sull’asina manifestando per un attimo la loro adesione e disponibilità (non ancora definitiva, però) ad accettare un messia di pace.[3] Ma la folla, no. La folla non accetta il messaggio debole di pace. Parlando di pace non si dà mai un segnale forte. Già nella sinagoga di Nazareth, a casa sua, Gesù aveva provato, e in risposta, la folla aveva tentato di buttarlo nel dirupo (Lc 4, 28-29). Quando non c’è un atteggiamento ricettivo, l’azione dell’amore risulta impossibile. Il Dio, che c’insegnano essere forte e onnipotente, fallisce. Nella sinagoga della sua Nazareth, di fronte alla mancanza di fede dei suoi concittadini, Gesù è impossibilitato ad agire (Mc 6, 5-6). Analogamente accade col ricco angosciato (Mc 10, 21-22). A Gerusalemme la folla chiede e vuole il Messia di cui hanno sentito parlare dai propri padri, un Messia violento, forte e perciò vincitore, al quale è pronta a sottomettersi. Per questo prendono i mantelli e li mettono sulla strada (Mt 21, 8). Il mantello rappresentava la persona stessa, e porlo sulla strada e farci cavalcare sopra il re significava accettare di essere sottomessi dal re. Era tipico, quando un nuovo re saliva sul trono, che la gente mettesse i propri mantelli sulla strada dove il re passava. Calpestando i loro mantelli accettavano di essere sottomessi a quel re[4] (2Re, 9, 13). È questo che il popolo vuole. Il popolo non vuole la libertà, ne ha paura. Il popolo vuole sicurezza, e accetta di essere sottomesso in cambio della sicurezza e della protezione. L’esodo è stato il passaggio dalla schiavitù imposta dal faraone, alla libertà, intesa però come sottomissione a Dio: allora non più servi del faraone, ma servi di Dio. Questo ha insegnato la religione,[5] e questo la gente ha accettato: sicurezza in cambio della propria libertà. Ricordiamo cosa ha detto il Grande Inquisitore a Gesù, quando gli ha dato una vera e propria lezione di filosofia del potere:[6] l’unica preoccupazione degli uomini è davanti a chi genuflettersi e consegnare la propria libertà; consegnare a qualcuno la propria libertà è considerato urgente ed è idea condivisa dalla massa delle persone. Tre sono le forze che regolano l’umanità: il miracolo, l’autorità e il mistero. Gesù, ingenuamente, si è invece appellato alla coscienza di ciascuno individuo e alla sua libertà, ha parlato di servizio e non di servitù, riuscendo con ciò solo ad aggravare i tormenti dell’uomo. Ora, il mistero ti consegna o alla libertà o all’autorità; si può dire che tutte le religioni[7] sono riuscite a portare con abilità nella direzione dell’autorità: “Tu fidati di noi, obbedisci e vivrai in tranquilla sicurezza”. Ma questo non è cristiano, visto che Gesù ha invitato a una piena indipendenza di giudizio: “Perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?” (Lc 12, 57). Vuol dire che Gesù predicava libertà e indipendenza per tutti.

Che la nostra vita sia poi immersa nel mistero, è percepito da tutti, atei e religiosi; che la religione si fondi sull’autorità lo vedremo meglio nei prossimi articoli in cui si parlerà ancora del Credo e della Chiesa. La riprova è che qui a Gerusalemme, in questa massa di gente che si aspetta che il Messia s’impossessi del potere da un momento all’altro, Gesù viene preso come in ostaggio, viene trascinato dalla corrente della folla. Non è più Gesù che a quel punto determina il suo cammino ma, come il satana nel deserto lo ha preso e, portandolo sulla città santa lo ha invitato ad agire secondo quello che si aspetta la gente, nell’identico modo ora la folla lo circonda, lo sospinge lungo la strada e lo invita a mostrarsi in tutta la sua potenza, a dimostrare di essere veramente il Messia che tutti si aspettano. Ripeto che qui si ha esattamente lo stesso effetto con la folla che si era già visto nel trasporto di Gesù effettuato da parte del diavolo, per cui questo trasporto rocambolesco sul pinnacolo della città santa ben può essere inteso in senso solo metaforico, e non come fatto storico realmente accaduto. La folla vuole prendere Gesù per farlo re e sottomettersi a lui, e non ha capito che il potere sottomette, mentre l’amore libera, ma non sottomette. Ecco il diavolo, che – come sempre - è il lato oscuro dell’uomo, non chissà quale spiritello maligno e invisibile. Va anche qui sottolineato che, proprio come nell’episodio delle tentazioni (Lc 4, 3ss.) in questa entrata trionfale a Gerusalemme la folla-satana non si presenta a Gesù come un rivale che lo tenta per fargli compiere personalmente il male. No. Satana, già collaboratore di Dio come si legge all’inizio del libro di Giobbe, continua a voler sempre collaborare con Dio alla riuscita del suo programma,[8] solo che lo invita a usare la tradizionale strada della forza, del potere e del denaro, e non capisce che Gesù vuole adoperare la via dell’amore servizievole: Gesù, dicendo «Io sono la via» (Gv 14, 6) è venuto a inaugurare un regno dove il re non esercita il dominio, ma l’amore; dove non usa alcun tipo di violenza, e non ha servi in quanto egli stesso è servitore dei suoi[9]. Noi, dopo duemila anni, facciamo ancora fatica a comprendere che si dovrebbe seguire questa via, per vivere meglio.

La strada della guerra violenta in Ucraina scelta da Putin (che si dichiara cristiano al pari di vari nostri politici piuttosto rissosi) dimostra quanto siamo ancora lontani dalla via indicata da Gesù. Ci sembra tuttora più logica e convincente la strada indicata dal diavolo. Però facciamo anche fatica a comprendere chi è questo diavolo, il satana. Chi è il diavolo? Dio è amore che si mette al servizio degli uomini, il satana è potere che domina[10]. Il diavolo è colui che intende tracciare la strada del Signore, sicuro che il Signore lo seguirà. E, come sappiamo, il primo peccato consiste nel sostituire Dio con io[11].

Ogni anno si continua a celebrare la Pasqua, e Pasqua di resurrezione dovrebbe coinvolgerci nel far noi risorgere Dio per gli altri. Far risorgere Dio significa far riscoprire chi è veramente Dio-Amore. Purtroppo, però, non sembra che noi cristiani siano bravi a testimoniare questo Dio.

Il grande teologo Bultmann[12] aveva giustamente affermato che, come evento storico, possiamo valutare solo la fede pasquale dei primi discepoli, ma non la resurrezione in sé di cui non abbiamo elementi storici sicuri di riscontro. È allora comprensibile che alcuni in buona fede concludano che gli apostoli sono persone degne di fede per cui ritengono avvenuta la resurrezione; altrettanto comprensibile che altri, sempre in buona fede, concludano che non si può credere alla resurrezione senza maggiori prove evidenti e schiaccianti. L’atto di fiducia resta un atto libero, perché solo la prova evidente non richiede fiducia; ma non si può neanche tacciare di irrazionalità ed illogicità chi presta fede agli apostoli, divenuti fonte primaria della tradizione orale e scritta, e sia convinto che essi abbiano riferito bene quanto Gesù ha detto e fatto, nonché la sua resurrezione che ha cambiato loro la vita, rendendoli finalmente veri seguaci di Gesù.

La resurrezione non è allora un miracolo che dovrebbe dimostrare che Gesù è realmente risorto, quanto il rinnovamento di vita e la fede pasquale vissuti dai discepoli dopo la morte del Maestro: quindi siamo davanti a un atto di fede perché testimoniato con la propria vita da altre persone, perché la resurrezione è dimostrata come avvenuta appunto nella vita dei discepoli credenti, non nella persona di Gesù. Quella che chiamiamo Parola di Dio sarebbe un'espressione simbolica dell’avvenuto rinnovamento di vita dei discepoli, rimasti ispirati dal Gesù terreno. I discepoli hanno acquisito una nuova fede, che non avevano finché Gesù era presente e vivo con loro. Resurrezione e fede nella resurrezione non sono la stessa cosa[13]. È accaduto qualcosa, nelle loro vite, che ha fatto vivere loro l'esperienza della presenza di Gesù in mezzo a loro (la quale viene espressa soprattutto con le apparizioni), e riescono a ri-vivere in modo nuovo gli anni che avevano passato accanto a Gesù[14]. I discepoli che si erano dispersi non si raccolgono di nuovo solo nel nome di Gesù, ma è come se Gesù fosse ancora in mezzo a loro: questa è l'esperienza pasquale (dove due o tre sono raccolti nel suo nome, Gesù è in mezzo a loro, si finirà col dire nel vangelo – Mt 18, 20). Questo ci fa anche intendere che il significato della sua resurrezione può coinvolgere anche le nostre vite, e che non è un mero episodio storico, ormai irripetibile, avvenuto duemila anni fa. C’è in continuazione una rinnovata offerta di salvezza per cui ci si può sempre raccogliere di nuovo (o essere-chiesa)[15].

E le prime a capire questo sono state le donne, non i 12 apostoli. Altro elemento che non sarebbe mai stato inserito nei vangeli se si voleva veramente dare ad essi un’impronta di credibilità: Maria di Magdala (Maddalena) è la prima testimone della gioia pasquale[16]. Ma per l’epoca questo era semplicemente assurdo, visto che le donne, non essendo soggetti di diritto, non potevano neanche testimoniare[17]. Ricordiamoci, anzi, che la loro nascita era talmente mal vista che venivano facilmente abbandonate subito dopo il parto (Ez 16, 1-6 accenna proprio all’abitudine di esporre le bambine). Solo i maschi avevano qualche valore.

Quindi il vangelo sta offrendo un elemento che per noi oggi non è sconcertante, ma in allora era del tutto inconsistente per affermarne la credibilità; anzi era controproducente; il che può essere certamente interpretato come prova di autenticità (hanno veramente riportato fedelmente cos’era successo). E cosa hanno capito per prime le donne? Che la scelta (valida anche oggi per noi, perché il messaggio evangelico è sempre attuale) si ripropone sempre, perché dobbiamo sempre scegliere fra una schiavitù magari con abbondanza di cose, e una libertà con privazioni e fatiche (la croce). «Se oggi scegli la schiavitù delle cose (un mondo che ti lega sempre di più con le sue comodità, con le sue proposte di vita facili, zuccherose, ma superficiali) perdi la libertà. Se scegli la libertà, e abbandoni le tante proposte di senso della vita che ti offre il mondo, trovi tanta fatica. Ma una è la strada della vita, l’altra è la strada della morte. La strada della schiavitù è spesso comodamente facile; la strada della libertà è in salita, e sempre difficile»[18]. O si è al servizio del progetto di Dio e si diventa vivi, o si è schiavi delle cose, degli idoli, del diavolo, e si perde la vita. Quando ci è chiesta la vita, non possiamo offrire le cose, e la vita sanno offrirla solo coloro che non l’hanno affidata agli idoli[19]. E perché la croce può ancora oggi liberare tutti noi?

1) Perché tutti noi siamo sempre tentati dal potere, dall’essere grandi, ricchi, potenti, rispettati e magari temuti. La croce, invece, ci dice che la strada giusta è l’altra, quella della fatica di vivere.

La fede è oggi forse più difficile di una volta, perché oggi, almeno nel mondo occidentale, c’è una grande abbondanza di cose belle. Si sta bene in questo nostro mondo occidentale, comodo, che ci coccola, ma che ci rende difficile imboccare l’altra strada. Basta solo vedere come abbiamo paura di restare un po’ al freddo se ci sospendessero le forniture di gas dalla Russia.

La croce ci indica la scelta della fatica, delle decisioni importanti: farci carico dei problemi degli altri, farci disturbare dagli altri, accettando anche le conseguenze. La gioia sta nella lotta, nella fatica, nell’essere riusciti a fare cose importanti con le nostre forze: in questo senso ogni cristiano deve portare la sua croce. Ma per fare questo occorre abituarsi alla fatica, occorre educare le persone alla fatica. Esattamente il contrario di quello che stiamo facendo con i nostri bambini, che poi - non avendo il senso della fatica - si arrendono davanti al primo ostacolo, perché li abbiamo cresciuti troppo fragili. Tutti capiscono e tutti sanno bene che nessun genitore riuscirà ad evitare ai propri figli l’incontro con momenti duri di fatica e di dolore. Eppure la maggior parte dei genitori educa i propri figli cercando di appianare loro la strada, di togliere loro ogni ostacolo. Ma così non si educa alla vera vita. Alla fine saranno anche ragazzi pieni di nobili sentimenti, ma a cosa servirà, se poi si arrenderanno di fronte alle prime difficoltà? Occorre rieducare alla fatica, perché solo dalla fatica e dalla sofferenza si può far nascere la resurrezione e la vita.

Questo è il primo significato della croce, che credo possa essere capito e condiviso anche da chi non è affatto credente.

2) C’è poi un secondo aspetto, forse più religioso. Il senso di autosufficienza tipico dell’uomo di oggi, tipico soprattutto del non credente, porta alla sconfitta. È Dio che prende l’iniziativa di darci una mano, perché da solo, nessuno di noi può farcela. Ciascuno di noi ha bisogno dell’aiuto di Dio. Assieme a Lui si potrà fare qualsiasi cosa, perché è la forza di Dio che ci attraversa, attraversa tutti noi e poi opera nel mondo. Penso a Madre Teresa di Calcutta, che era alta 150 centimetri, ma che sembrava fatta di ferro, che ha cominciato da sola (dopo essere uscita dalla sua congregazione), con pochi spiccioli in tasca, e poi ha fatto quello che ha fatto. Non è lei che ha fatto. Per il cristiano è Dio che, attraverso di lei, ha fatto. Ciascuno di noi deve farsi recipiente, per essere riempito della forza di Dio. «Sei Tu, Dio, che devi farcela in me»[20]. Anche questo è la croce.

3) Infine, come cristiani, dovremmo essere convinti che niente di esterno può togliere il senso della vita che ciascuno di noi vive e che, come il Padre del figliol prodigo, Dio ci aspetta alla fine della nostra vita non per punirci, ma perché ci ama. Ogni uomo deve cercar di diventare più uomo, ma per far questo non può vivere solitario; ha bisogno dell’aiuto di altri per diventare uomo; l’uomo cresce nelle relazioni con gli altri, e nessun uomo ha vissuto inutilmente se almeno una volta ha alleviato il peso di qualcun altro: per quest’altro, lui resterà un angelo mandato da Dio; e quando lui morirà, chi ha ricevuto quest’aiuto potrà dire: “Addio, amico mio! Sono più ricco perché ti ho conosciuto.” La vita ha allora un senso perché è nelle mani di Dio, e nessuno – qualunque cosa ci facciano - può rubare questo senso, anche se si fa una fine orribile, perché la Buona Novella ci garantisce che la morte fisica non è la fine di tutto, visto che la nostra vita continua.

Ovviamente possiamo adeguarci a una fede ragionevole e onesta, socialmente approvata e ben tollerata. Possiamo diventare i buoni cattolici che vanno a messa a Pasqua e Natale, che non rubano e non uccidono, e che firmano l’otto per mille alla Chiesa cattolica. Brava gente. Oppure possiamo non accontentarci, e diventare veri discepoli,[21] cioè seguaci di Gesù, tessere relazioni sempre più ricche e spenderci con fatica per gli altri. A noi la scelta.

Buona Pasqua!


NOTE

[1]Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze.

Quando Giovanni Battista indica Gesù come l’agnello di Dio, sta annunziando una nuova Pasqua di liberazione di Dio dalla schiavitù e dalle tenebre.

[2] Nei vangeli satana è la figura del potere che domina le persone, e viene sostanzialmente sempre individuato in altre persone in carne ed ossa: Pietro (Mt 16, 23) e Giuda (Gv 6, 70; 13, 27), o lo scriba tentatore (Lc 10, 25) o i fratelli di Gesù (Gv 7, 3-5), o come qui: la folla seduttrice.

[3] Non si deve credere, però, che con questo gesto i discepoli abbiano finalmente compreso appieno e accettato Gesù. Di lì a poco, Pietro non solo lo tradirà, ma prima cercherà di difenderlo con le armi: scegliere quella via sarebbe adottare ancora una volta la linea di violenza. L’adesione a Gesù è lenta, faticosa, piena di alti e bassi. Gesù allontana la tentazione di chiedere al Padre di mettere la sua potenza al proprio servizio per annientare gli avversari e sottolinea che, per compiere il disegno del Padre (la salvezza dell’umanità) non vi è altro cammino che quello dell’amore, che non si arrende neanche davanti alla morte: Gesù è vita anche in condizione di morte (Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, Cittadella, Assisi,1989, 103s.). Di lì a poco, anche gli altri apostoli dimostreranno di aver veramente sempre creduto nell’efficacia del potere più che nella forza dell’amore, per cui fuggono (Mateos J. e Camacho F., L’alternativa Gesù e la sua proposta per l’uomo, Cittadella, Assisi,1989, 125). Ma, alla fin fine, è consolante anche per noi, che sicuramente non avremmo fatto niente di diverso, vedere che la fede non piove dal cielo, e il percorso per raggiungerla è lungo e faticoso per tutti, anche se resta accessibile a tutti.

[4] Mateos J. e Camacho F., Il Vangelo di Matteo, Cittadella, Assisi, 1995, 292.

[5] E continua a insegnare, visto che dice che l’uomo deve amare e servire Dio (n. 358 del Catechismo).

[6] Dostoevskij F., I fratelli Karamazov, Einaudi, Torino, 1993, 335ss.

[7] Per fare esempi al di fuori della Chiesa cattolica, si pensi all’estromissione di Tolstoj nella Chiesa ortodossa; all’espulsione di Spinoza da parte del magistero rabbinico per aver sostenuto che la Bibbia non rappresenta alla lettera la parola divina; alla condanna al rogo di Serveto da parte dei protestanti. E non è che, nel campo della politica, sia andato diversamente: si pensi al fascismo, al nazismo al comunismo di Stalin o del cambogiano Pol Pot. Quando l’uomo cerca di realizzare da sé l’utopia della perfezione dell’uomo nuovo, della pienezza della vita, di solito combina disastri.

[8] Proprio come Satana-Pietro, che non vuole assolutamente che Gesù vada a Gerusalemme per morire, ma per uscirne vittorioso (Mt 16, 23). E Gesù lo blocca: «…vattene satana, torna a metterti dietro di me».

[9] Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 56.

[10] Maggi A., Pietro, un diavolo in paradiso, Padova, 20.8.2013, in www.studibiblici.it/scritti/conferenze. Vedi anche nota 2.

[11] Sirboni S., Libertà dello spirito, “Famiglia Cristiana” n.14/2010, 11.

[12] Bultmann R., Nuovo Testamento e mitologia. Il problema della demitizzazione del messaggio neotestamentario, Queriniana, Brescia, 1973, 170 s.

[13] Schillebeecks E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia,1976, 682s.

[14] In Lc 22, 8, Gesù manda Pietro e Giovanni a preparare la cena di Pasqua: ma essi pensano a un cena pasquale normale, non alla condivisione dei pani, non alla lavanda dei piedi, non al servizio amorevole. Solo dopo la morte di Gesù rielaboreranno questi avvenimenti dando loro una nuova interpretazione. La fine di Gesù sulla croce fa chiarezza, perché è proprio attraverso questa lacerazione che gli apostoli ritroveranno una fede che li renderà finalmente liberi. Fino a che sono saliti con Gesù a Gerusalemme erano ancora tutti presi dai loro sogni di grandezza e di trionfo.

[15] Schillebeecks E., Gesù, la storia di un vivente, Queriniana, Brescia,1976, 685.

[16] Benedetto XVI, La gioia della fede, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2012, 109s.

[17] Ravasi G., I teli e il sudario tra i segni della resurrezione, “Famiglia Cristiana”, n.2/2014, 102.

[18] Tor C., C’è vita e vita, EMI, Bologna, 2000, 85.

[19] Molari C., Per una spiritualità adulta, Cittadella, Assisi, 2008, 190.

[20] Tor C., C’è vita e vita, ed. EMI, Bologna, 2000, 86 s.

[21] Curtaz P., Gesù incontra, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2013, 49.