Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano
L’esperienza
di Dario Culot
Mare e montagna - foto tratta da internet, si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti
6.- Da quanto detto in precedenza, mi sembra emerga con chiarezza che, a seconda di come è il Dio nel quale uno crede, ogni credente può farsi idee diverse su di Lui. Poi, a seconda delle premesse da cui uno parte, inevitabilmente anche la sua teologia sarà diversa da quella di un altro[1]. A maggior ragione ricordando che Gesù non propone mai una dottrina su Dio, non spiega mai qual è la propria idea di Dio[2]. Per Gesù Dio non è una teoria, è un’esperienza[3]. E, come sosteneva Raimon Panikkar, l’esperienza di Dio non può essere monopolizzata da nessuna religione, da nessuna cultura, da nessun sistema di pensiero[4].
Del resto, noi cristiani partiamo già con quattro vangeli che sono spesso diversi fra di loro. Come mai si accettano le differenze, che – se prese alla lettera - dovrebbero indurci a dire che i vangeli sono incredibili perché si contraddicono sui fatti?[5] Le differenze ci sono state fin dall’inizio del cristianesimo in quanto ogni comunità recepiva a modo suo il messaggio della Buona notizia e ogni comunità lo assimilava e lo testimoniava in maniera più o meno diversa[6]. Del resto, se l’essenza del cristianesimo è crescere nell’amore, se la vita non è che quel lasso di tempo concesso alla nostra libertà per imparare ad amare,[7] è evidente che, avendoci Dio creati diversi, non ci può essere un solo modo per amare, sì che è altrettanto evidente che ognuno deve essere cristiano come può e come si sente[8]. Diceva il vescovo brasiliano Camara:[9] “Che io non sia la porta per andare al mio prossimo, condurlo a me e obbligarlo a percorrere le mie strade, a far sue le mie entrate, a dipendere dalle mie chiavi. Se la mia porta è Cristo, l’importante sarà aiutare ogni fratello a camminare verso il Padre rimanendo sé stesso”. In altre parole, per il cristiano l’importante non è diventare tutti uguali, come fossimo modellati con lo stesso stampino, ma riconoscersi tutti come fratelli. E sappiamo che i fratelli sono uno diverso dall’altro. Questo è già sufficiente per farci capire come il cristianesimo sia ancora assai lontano dal suo compimento, perché il cristianesimo che pratichiamo oggi assomiglia assai poco a quello che Gesù ha detto e fatto nella sua vita.
Ancora quand’ero piccolo, si pronunciava la parola «Dio» con una sicurezza, partendo da una certezza che oggi non abbiamo più. In passato, la nostra strada aveva dei precisi paletti (paracarri), utili per il nostro cammino. Oggi questi punti di riferimento sono scomparsi, e forse dobbiamo tracciare strade nuove. Oggi il termine “Dio” non ci risulta più così univoco e chiaro. Come mai? Perché quando usiamo le parole “mare” o “montagna” e abbiamo visto il mare o la montagna (vedi foto iniziale), ognuna di queste parole ci dice qualcosa in forza dell'esperienza che abbiamo fatto in concreto; invece la parola “Dio” resta per noi un suono senza volto, perché la parola non rimanda normalmente ad alcuna esperienza specifica e concreta, sì che resta una parola vuota, senza contenuto; e proprio perché non conosciamo il contenuto, ognuno può intenderla e riempire questo vuoto a modo suo. Ecco perché, se credo al Dio misericordioso, sarò un credente diverso da chi crede al Dio giudice terribile e severo castigatore. Se credo a un Dio che mi vuole santo, sarò un credente diverso da chi crede che Dio mi chieda soltanto di occuparmi con misericordia degli altri.
Perciò non basta “credere” all’immagine che nella nostra mente ci siamo fatti di Dio per essere cristiani, perché di certo il cristianesimo non è un compendio di affermazioni intellettuali alle quali basta credere,[10] anche se molti sono convinti proprio di questo. Se il vangelo non lo si vive quotidianamente, se magari è solo un’appendice domenicale (o peggio ancora solo natalizia e pasquale) che non ha cambiato il nostro modo di vivere durante il resto della settimana, non si è cristiani, qualunque cosa uno dica di credere.
Forse papa Benedetto XVI non si è avveduto dell’inopportunità della sua proposta quando ha chiesto che nella Costituzione europea venisse inserito il richiamo alle radici cristiane,[11] perché secondo lui solo “il Cristianesimo ha permesso all’Europa di comprendere cosa sono la libertà, la responsabilità e l’etica”[12]. Forse perché abituata a vivere per secoli nella tranquillità della sua autorità imposta, solo una spropositata e ipertrofica considerazione di sé stessa non fa vedere alla gerarchia come i cambiamenti di valutazione da parte della Chiesa, nel corso dei secoli, sono avvenuti troppe volte in ritardo e controvoglia, quando a un certo punto era inevitabile l’accettazione del pregresso pensiero di laici, spesso non cristiani, o cristiani non sottomessi[13]. E se malauguratamente si inserisse il principio che il cristianesimo è alla base della nostra Costituzione, chi deciderebbe poi quale provvedimento sia cristiano e quale non lo sia per cui va contro la Costituzione e deve essere rimosso? Ovviamente questo vorrebbe farlo la Chiesa, ma sono convinto che nessun governo europeo sarebbe d’accordo.
Ai miei tempi, alle elementari, ci avevano fatto imparare a memoria parti dei Primi elementi della dottrina cristiana tratti dal Catechismo Maggiore di Papa Pio X. Le “Verità principali della fede” avevano domande e risposte chiare e semplici, adatte anche ai bambini:
1. Chi ci ha creato? Ci ha creato Dio.
2. Chi è Dio? Dio è l'Essere perfettissimo, Creatore e Signore del cielo e della terra.
3. Che significa perfettissimo? Perfettissimo significa che in Dio è ogni perfezione, senza difetto e senza limiti, ossia che Egli è potenza, sapienza e bontà infinita.
4. Che significa Creatore? Creatore significa che Dio ha fatto dal nulla tutte le cose.
5. Che significa Signore? Signore significa che Dio è padrone assoluto di tutte le cose.
Una volta imparate le risposte a memoria nessuno si poneva altre domande. Oggi i bambini sono probabilmente più svegli di quanto eravamo noi e comincerebbero subito a chiedere: come mai, se dite in continuazione che Dio è Amore, la parola amore non c’è nel Catechismo? E noi come ci poniamo rispetto a questo amore?
Oggi si dovrebbe probabilmente correggere il tiro e dire che Dio è Amore, e l’amore che Dio ci dona, quando si trasforma in amore comunicato agli altri, rende presente Dio in noi; quindi il vero cristiano si vede solo nella persona che ha cambiato la propria vita mostrando di essere sempre aperto e disponibile verso gli altri. Per essere sempre aperti è richiesto necessariamente un cambiamento della propria vita, al fine di operare e far fiorire la vita attorno a sé. E già ai tempi di Gesù molti di quelli che l’avevano seguito l’avevano di lì a poco abbandonato perché il cambiamento richiesto era così profondo e difficile che veniva considerato impossibile da mettere in pratica[14].
Oggi, rivolgendoci non a bambini ma a persone adulte, si potrebbe probabilmente dire che, con l’invito a cambiare vita, il Vangelo propone alle persone di perdere il proprio Io al fine di guadagnare un nuovo Sé (“chi vuol salvare la propria vita la perderà” – Mc 8, 35). Il Vangelo invita a morire fin da ora al proprio Io (egoistico) per esistere veramente come un Sé[15]. Il problema è che quasi nessuno, a meno di essere già un Sé, vuole perdere il proprio Io. È improbabile che, quando uno è sicuro dell’Io che crede di essere, decida di lasciarlo per un Sé che è tutto ancora da costruire, ma al quale – vien detto, - si è chiamati ad essere[16]. Ecco perché è così difficile cambiare e i veri cristiani restano un piccolo gregge: i più, anche se si dicono credenti, in realtà non vogliono cambiare: quindi non sono cristiani. I più preferiscono far dipendere Dio dalla loro teologia piuttosto che vederlo all’opera[17] (perché allora dovrebbero subito dopo mettersi anch’essi all’opera); preferiscono curare la propria santità, preferiscono amare astrattamente Dio che amare concretamente gli altri esseri umani, e credono di amare Dio obbedendo al magistero e credendo nei dogmi che questo magistero insegna. Del resto il magistero è convinto che il gregge (immaturo) ha bisogno d’esser tenuto a freno di continuo dalla sua autorità severa, per cui richiede obbedienza costante e inappuntabile alla dottrina, ai dogmi e a tutti i obblighi.
Invece non è così. Non è l’adesione ai dogmi che ci salva, perché è evidente che, seguendo questa linea, la salvezza dei dogmi diventa ben più importante della salvezza delle persone. Ed è altrettanto evidente che, ciò che allora veramente conta, non è Gesù ma il magistero della Chiesa che insegna questi dogmi. Sicuramente Gesù non ha mai insegnato alcun dogma. Gesù ha saputo generare vita attorno a sé, ha mostrato come rendere più umane le relazioni attorno a sé,[18] ma non ha mai insegnato o imposto alcun dogma, né alcuna dottrina salvifica. Pertanto, ciò di cui ha bisogno la vita umana non è tanto una salvezza divina attraverso il sacrificio espiatorio del Figlio di Dio, come insegnato dal magistero. Ciò di cui abbiamo tutti bisogno è piuttosto una vita così aperta, così libera, così piena, che quando la sperimentiamo siamo assorbiti nella realtà dell’amore. Siamo aperti alla sorgente dell’amore ed entriamo nella potente presenza dell’amore. Questa forza amorevole che ci attraversa è ciò che chiamiamo Dio,[19] senza poterlo identificare meglio. Noi non sappiamo niente di Dio come il neonato non sa niente dei genitori, però l’amore con cui è investito lo conduce ad abbandonarsi con fiducia. L’atteggiamento di fede-fiducia è proprio quello del bambino piccolo di cui parlano i salmi: l’abbandono di un piccolo nelle braccia della madre è lo stesso abbandono di fede in Dio[20]. Come fanno tanti che si dichiarano credenti ad essere così sicuri che tutto quello che ordina il magistero lo ordina Dio? Perché non si chiedono mai se invece ci sono cose piuttosto ordinate da coloro che si presentano come “rappresentanti di Dio”?
C’è un indubbio risvolto antropologico nell’insegnamento di Gesù il quale, più che dirci delle verità su Dio, ci ha fornito verità sulla nostra vita, sul modo migliore per vivere, per cui la centralità dell’essere umano prevale sulla stessa relazione con Dio. Per diventare figli di Dio (del Dio manifestato da Gesù) siamo semplicemente chiamati a scambiarci vita in continuazione, restando al livello umano. Questo Dio non può essere in disaccordo con “l’umano”, ma solo con “l’in-umano” che esiste in ciascuno di noi. Invece ci sono ancora tanti credenti i quali affermano che ciò che a loro interessa è “il divino”, anche se poi cercano di raggiungerlo a costo di sacrificare “l’umano”. Ma pensiamo invece al comportamento di Gesù, al suo agire ripetutamente di sabato (in violazione della legge divina che imponeva il riposo per glorificare Dio), oppure al giudizio finale in cui Dio sarà giudice solo del nostro effettivo comportamento fraterno. È su questo ‘fare’ che noi ci costruiamo il nostro “giudizio finale”. Il cristiano non è chiamato a salvare il mondo, ma ad amarlo ogni giorno trasmettendo vita a chi incrociamo e si trova in difficoltà.
Che Gesù non fosse come quelli di Qumran, che cercavano la santità ritirandosi nel deserto lontano dagli altri peccatori per non farsi contaminare, è comprovato dal fatto che Gesù è vissuto in mezzo alla gente, senza sottrarsi al male della società, e per lui Dio è santo non perché vive separato dagli impuri peccatori, ma perché è compassionevole con tutti. Ribadisco che la compassione è per Gesù l’unico modo di imitare Dio, di essere santi come Lui[21]. Per Gesù il santo non ha bisogno di essere protetto da una netta separazione (l’erezione di muri) per evitare ogni contaminazione; al contrario, è il santo a contagiare con la sua misericordia e a trasformare l’impuro migliorandolo (la costruzione di ponti[22]). Quando Gesù tocca il lebbroso, non è Gesù a restare impuro, ma è il lebbroso a restare purificato. Pensiamo allora a come viene trattato ancora oggi in chiesa il divorziato risposato, o l’omosessuale, cioè i lebbrosi di oggi; secondo l’insegnamento ortodosso della Chiesa tradizionale costoro vanno ancora tenuti a debita distanza, al di là del muro[23]. Fedeli di serie A e fedeli di serie B. Ma condotte del genere possono essere oggi definite cristiane, o dobbiamo ribadire che il cristianesimo deve ancora essere portato a compimento?
Quando, nel vangelo apocrifo di Maria Maddalena, Pietro le chiede di rivelare le parole segrete che Gesù avrebbe detto soltanto a lei, Maria risponde da un piano diverso: non si tratta di parole, ma di una visione che lei ha avuto del Maestro risorto. Questo significa che per Pietro la fede equivale a dottrina. Più dottrina conosce e più pensa di conosce Dio. Avendo messo Pietro a capo della Chiesa questa idea petrina ha fatto scuola: basta vedere per l’appunto il Catechismo di Pio X che – come visto,[24]- dà la definizione di vero cristiano.
Maria invece risponde in base al suo vissuto: la sua fede si fonda sull’esperienza. E questo vale non solo per Maria, ma dovrebbe valere per tutti i cristiani, mentre invece sembra sia valso solo per i mistici, visti sempre con sospetto dalla Chiesa. La mistica è conoscenza per esperienza; nella mistica non c’è dogmatismo, non c’è contenuto dottrinale. Mi si dirà che questo di Maria è un vangelo gnostico che non vale per il vero cristiano. Allora è importante far notare che questo dualismo (dottrina ed esperienza) si riscontra anche nel vangelo di Giovanni,[25] considerato canonico dalla Chiesa. Perciò, se non si crede al vangelo apocrifo di Maria Maddalena, si deve credere a quello canonico di Giovanni. Quando Gesù chiede per tre volte a Pietro se lo ama, Gesù non pone la stessa domanda all’altro discepolo, pure presente con Pietro: l’altro già vive nell’Amore di Dio e sa di essere un discepolo amato[26]. Analogamente non chiede all’altro discepolo di seguirlo, perché questo discepolo, a differenza di Pietro, già lo segue[27]. Solo a Pietro è domandato se ama e gli è detto di portare al pascolo le pecorelle, cioè di occuparsi degli altri. Fin dall’inizio, dunque, una parte di cristiani ha amato sentendo di essere amata; un’altra ha creduto di amare introducendo nell’amore dogmatismi coercitivi, strutture piramidali della Chiesa con al vertice il pontefice sovrano. Una porzione di cristiani è rimasta fedele alla legge e alle sue strutture (sostanzialmente maschiliste); un’altra, senza cercare sicurezza in strutture sociali e dottrinali, ha costruito la sua dimora nell’Amore ed ha cominciato a vivere, magari più rischiosamente, la nuova realtà spirituale[28]. Pietro e il discepolo amato rappresentano perfettamente questo dualismo ancora oggi presente nella Chiesa: Pietro rappresenta coloro che hanno mantenuto viva la lettera; il discepolo amato segue lo Spirito[29]. Ma cosa è lo Spirito, quello che il vangelo dice essere venuto su Maria (Lc 1, 35) per dar inizio a tutta questa storia che ancora ci coinvolge? Col termine Spirito indichiamo l’azione di Dio che si sviluppa nel tempo e introduce novità. Ma questa novità, questo di più che si sviluppa nel tempo, non si sovrappone alla nostra natura umana come fosse un abito soprannaturale che scendendo dal cielo si sovrappone al nostro abito naturale, lasciando intatta la nostra realtà naturale di fondo. Questo di più fiorisce dal di dentro, per azione interna, per cui l’azione dello Spirito non si esprime scendendo dal cielo e imponendosi, ma si esprime all’interno della nostra persona, all’interno della nostra comunità. Perciò l’azione dello Spirito diventa – se siamo aperti e accoglienti - pensiero nostro, sensibilità nostra, azione nostra, amore che possiamo esercitare[30]. Se Maria non avesse accettato e fatto propria questa possibile novità non sarebbe accaduto nulla: non c’è un portentoso intervento soprannaturale. Semplicemente Maria si è aperta a una forza più grande noi[31].
Ora, è assodato che l’osservanza letterale della legge dà sicurezza; seguire lo Spirito comporta molti più rischi. La Chiesa e la maggior parte dei cristiani hanno seguito Pietro, non il discepolo amato.
È un dato di fatto, però, che le affermazioni di principio, le più ardite dottrine fondate sulle sole parole, magari roboanti, oggi incantano sempre meno persone se non sono accompagnate da gesti concreti e sinceri. Per questo, forse, le mere formule dottrinali della fede cristiana (i primi elementi che ci venivano insegnati prima del concilio Vaticano II) non sono più uno strumento adatto alla trasmissione della fede, che passa da esperienza ad esperienza,[32] e non da una formulazione dottrinale a un’altra[33]. La fede va cioè trasmessa per contagio, non attraverso lezioni catechistiche, perché nessuna spiegazione può sostituire l’esperienza diretta, e la vitalità della fede non si misura con l’inflazione delle parole, ma solo se fa cambiare la propria vita[34]. Non s’insegna quello che si sa, ma solo quello che si è: se cioè i genitori dicono al figlio che bisogna rispettare ogni straniero, ma poi maltrattano a parole ogni immigrato che incrociano per strada, solo questo imparerà quel figlio[35] perché quello che si fa è espressione di quello che si crede[36].
Che l’esperienza dell’uomo sia più importante di qualunque dottrina, di qualunque dogma – come ha inteso Maria Maddalena, - lo affermano fra le righe anche i vangeli canonici, dove si vede che l’amore del Padre non si manifesta mai nella dottrina, ma si dimostra solo nella vita[37]. Già molti anni fa il cardinal Tonini aveva ammonito che la gente ha bisogno di vedere preti che ci credono, non di preti che insegnano. L’insegnamento deve venire dalla vita, non dai libri di teologia. Il prete che parla deve ricordarsi di essere un testimone, non un insegnante, per cui non conta tanto la verità di quel che dice, ma se quel che racconta riflette la sua vita[38]. E il vangelo di Giovanni porta chiari esempi della supremazia della propria esperienza e quindi della propria libera coscienza sull’autorità dottrinale del magistero docente[39]. Ad esempio, nell’episodio del nato cieco, dopo che questi ha riacquistato la vista grazie al “peccatore” Gesù il quale ha operato di sabato in violazione della Legge, i capi religiosi fanno pressione sull’ex cieco affinché dia adesione al dogma del riposo del sabato: «Da’ gloria a Dio! noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore» (Gv 9, 24). Come oggi, anche il magistero di allora non accettava il dissenso e pretendeva che nessuno potesse andare contro la verità di un suo enunciato dottrinale;[40] ma il guarito risponde in base alla sua esperienza senza entrare nel campo dottrinale (per lui conta la prassi, non l’ortodossia) e ribatte «Se sia peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo» (Gv 9, 25), cioè: “io di leggi e di teologia non capisco niente, ma so che prima non ci vedevo, mentre adesso ci vedo, per cui, per me, va bene così” (Gv 9, 25). Il guarito decide in base alla sua esperienza, non seguendo, ma anzi disobbedendo a ciò che dicono i legittimi pastori della Chiesa (di allora). Ogni magistero, ancora oggi, va normalmente avanti con le sue certezze dogmatiche, con la sua verità, certo che essa corrisponda alla realtà effettiva; ma di fatto si disinteressa della realtà: «noi sappiamo» e altro non interessa; «noi sappiamo» e siamo stati costituiti da Dio per essere i legittimi pastori per tutti gli altri[41]. In questo modo non si presta attenzione a ciò che gli occhi pur dovevano vedere: la guarigione e la fine della sofferenza di quella persona handicappata. Cioè per difendere il proprio sistema teologico si preferisce by-passare la realtà (molto più importante) della guarigione; per glorificare il proprio dio che è interessato solo all’osservanza della Legge, non ci si cura della sofferenza degli uomini. Il cieco guarito ha invece sperimentato sulla sua pelle la misericordia di Dio,[42] conseguentemente si è fatto una sua idea su Dio e dalla sua esperienza trae le sue conclusioni: «una cosa io so», infischiandosene del rapporto fra peccato e Legge che sta a cuore al magistero: «Se sia peccatore, non lo so». L’esperienza concreta dell’uomo è più importante di qualunque verità dottrinale calata dall’alto. E rendiamoci allora conto che il pericolo più grande che ogni dogma porta con sé è che – purtroppo - cancella la libertà di pensiero. Per fortuna, da sempre è esistita gente che segue Gesù il quale ha detto: “Perché non giudicate da soli ciò che è giusto?” (Lc 12, 57).
A coloro che sono invece ancora convinti che la fede consiste nel credere alla dottrina insegnata dal magistero, per cui chi non obbedisce all’autorità del magistero deve essere allontanato dalla Chiesa, ricordo semplicemente questo: il cieco nato, una volta guarito e cacciato dalla sinagoga (cioè dalla chiesa di allora) perché non ha voluto ammettere pubblicamente che Gesù era un peccatore avendolo guarito di sabato, incontra nuovamente Gesù e fa l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38). E allora, se il Vangelo ci sta dicendo la verità, arriviamo a questa conclusione tremenda: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla religione ufficiale[43].
Il motore del cristiano è dunque la fede che nasce dall’esperienza, non dalla dottrina appresa al catechismo. Dunque uno non è cristiano semplicemente perché crede a una determinata descrizione della natura divina, mentre un altro è ateo perché non ci crede. La credenza non cerca tanto di essere vera quanto di essere creduta (ad es. un Gesù che cammina miracolosamente sulle acque: se ci credo credo anche che è Dio perché nessun uomo può camminare sull’acqua), mentre la fede non cerca tanto di essere creduta quanto di essere vera, perché sperimentata sulla propria pelle. La credenza non si nutre della fede, non cerca in essa il suo motore[44].
Dunque, ritengo che se non si fa un’esperienza concreta non si può essere veri credenti; ossia si può credere solo a una dottrina, ma questo non è ancora essere cristiani.
(continua)
NOTE
[1] E questo valeva già nell’ebraismo ai tempi di Gesù, per cui non si può parlare di contrapposizione fra Gesù e l’ebraismo di per sé, visto che, all’epoca, tanti erano i movimenti dell’ebraismo diversi fra di loro. Ad es., da dove arriva il male? Dal libero arbitrio dell’uomo, o da una ribellione cosmica? Se il male viene dall’uomo deve essere lo stesso uomo a rimediare (così pensavano i farisei). Se il male non viene dall’uomo occorre un intervento soprannaturale (così pensavano gli apocalittici), Perciò per i farisei il Messia poteva essere umano, per gli apocalittici il Messia doveva necessariamente essere escatologico, un Messia celeste (Boccacicini Gabriele, Gruppi e correnti del pensiero del giudaismo del secondo Tempio, in “Chi era l’uomo Gesù” giornata di studi a cura di Un Mare di archeologia, Trieste, 28.5.20224).
[2] Per l’uomo, Dio può essere solo un’idea, perché cosa sia Dio in sé, nessuno lo può dire ((Mancuso V., Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano,2023, 88).
[3] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009 338.
[4] Richiamato da Pérez Prieto V., Dios, Hombre, Mundo, ed. Herder, Barcelona, 2008, 14.
[5] Ad esempio, chi portava la croce? Simone di Cirene (Mt 27, 32; Mc 15,21; Lc 23,26); Gesù stesso (Gv 19,16-17). Oppure, quali sono state le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce? “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27, 46; Mc 15, 34). “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23, 46). “Tutto è compiuto” (Gv 19,30). Oppure ancora: quali donne erano andate a visitare il sepolcro? Maria Maddalena e l’altra Maria (Mt 28, 1). Maria Maddalena e la Maria madre di Giacomo e Salome (Mc 16, 1). Maria Maddalena, la Maria madre di Giacomo, Giovanna e altre donne (Lc 24, 10). Solo Maria Maddalena (Gv 20, 1) .
[6] Gallazzi S., Il Vangelo delle comunità di Marco, ed. San Lorenzo, Reggio Emilia, 2023, Introduzione: «La chiave di lettura dei quattro vangeli canonici si trova proprio nel loro ultimo capitolo. Ecco perché abbiamo quattro memorie totalmente differenti circa la risurrezione di Gesù, fatto centrale della nostra fede. In comune hanno solo che, il primo giorno della settimana, delle donne (una, due, tre o varie) hanno trovato un sepolcro vuoto e visto qualcuno in forma angelica che ha parlato con loro. Per il resto, ogni comunità ha una memoria completamente differente. Il motivo? Gli evangelisti non si sono preoccupati di descrivere che cosa sia avvenuto quel primo giorno della settimana, come se volessero fare una cronaca, ma hanno annunciato il “Gesù vivo” presente nelle diverse comunità e ci fanno capire come, a partire dalla loro realtà e dalle loro problematiche, le comunità devono vivere per “testimoniare” la loro fede nel Gesù vivo che, come ci dice Marco, ci precede in Galilea, dove lo vedremo (16,7). Per comprendere, allora, ciò che era “Vangelo” per le comunità di Marco dobbiamo partire proprio dall’ultimo capitolo».
[7] Abbe Pierre riportato in Verdi L., La realtà sa di pane, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2008, 3 s.
[8]Ognuno a suo modo, è il motto inciso sul campanile di Coazze (TO), e ripreso da Pirandello nella sua pièce teatrale “Ciascuno a suo modo” (Antonioli F., Un eremo è il cuore del mondo, ed. Piemme, Milano, 2011, 149).
[9] Câmara H., Mille ragioni per vivere, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 108.
[10] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT) 2009, 188.
Condivido perciò quanto aveva affermato Bultmann: “La fede non è l’affermazione di speculazioni metafisiche sulla divinità di Cristo e sulle due nature. La fede non è altro che la fede nell’azione di Dio nel Cristo” (Bultmann R., Gesù, ed. Queriniana. Brescia, 1975, 87). Quindi nulla a che vedere col dogma unità e trinità di Dio.
[11]Benedetto XVI, discorso del 12.6.2010 alla Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, in www.ratzingerbenedettoxvi.com. La richiesta è stata poi fatta propria da alcuni partiti nel nostro Parlamento con un emendamento, come riportato su “Avvenire” 26.1.2012, 7.
Più correttamente in un’intervista al quotidiano francese La Croix (9 maggio 2016), Papa Francesco aveva spiegato che Chiesa ed Europa sono due entità diverse; per questo lui non parla di radici cristiane dell’Europa, perché teme il tono con cui se ne parla, che può essere trionfalista o vendicativo. Infatti, nella storia della Chiesa, vi sono state esperienze di missioni inquinate dal processo di espansione commerciale, militare ed economica, e questo è un impedimento e crea un sospetto nel Terzo Mondo (Fabbris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 77). Nulla, per di più, a che vedere col Vangelo. Il rapporto della Chiesa con l’Europa - ha aggiunto il papa - consiste nella lavanda dei piedi, cioè nel servizio. “Il dovere del cristianesimo per l’Europa è il servizio” (in http://it.radiovaticana.va/news/2016/05/16/papa_la_croix_il_cristianesimo_per_leuropa_%c3%a8_servizio/1230301). E qui ha fatto una citazione che è un po’ la chiave di volta per mettere in chiaro il suo pensiero: ha citato il gesuita Erich Przyvara, grande maestro di grandi teologi moderni, il quale ha scritto che “l’apporto del cristianesimo a una cultura è quello di Cristo con la lavanda dei piedi, ossia il servizio e il dono della vita”. Tradotto, vuol dire che l’Europa cammina nella storia e la Chiesa dovrebbe lavarle i piedi e donarle vita. A leggere la storia europea del passato non sembra sia stato così. Meglio quindi lasciar fuori le radici cristiane dalla Costituzione.
[12] Benedetto XVI, discorso del 12.6.2010 alla Banca di Sviluppo del Consiglio d’Europa, in www.ratzingerbenedettoxvi.com.
[13] Come infatti non ricordare che nella prima metà del 1800 papa Gregorio XVI, nel 1832 con l’Enciclica Mirari vos, riteneva ancora “assurdo delirio” la libertà di coscienza, oltre che “errore velenosissimo” la libertà di pensiero e di stampa propugnata dai liberali tanto da scomunicare Félicité de Lamennais, il quale aveva osato sostenere sul suo giornale la libertà di coscienza in materia religiosa? Che nella seconda metà del 1800 il Sillabo dei principali errori della nostra età, promulgato da Papa Pio IX condannava la libertà di religione (Cap. III, XV), e condannava pure la libertà di opinione e pensiero (Cap. X, LXXIX)? Che ancora nel 1888 papa Leone XIII, nell’enciclica Libertas condannava la libertà di coscienza? Che nel 1930, con l’Enciclica Casti connubii papa Pio XI condannava coloro che “audacemente affermando con leggerezza essere indegna la servitù della moglie al marito, pretendevano invece che i diritti tra i coniugi dovessero essere tutti uguali”? Che fino al 1966, abolizione dell’Indice dei libri proibiti, la lettura volontaria di un libro proibito comportava scomunica?
[14] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 50.
[15] O, come altrimenti detto: si deve iniziare a pensare non più a sé stessi bensì sé stessi; quando cioè il sé, da complemento di termine a cui tutto deve terminare, inizia a diventare un complemento oggetto da oggettivare e così analizzare (Mancuso V., Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano,2023, 15).
[16] Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 89s., 60ss. 95.
[17] Idem, 150.
[18] Perciò la verità è data nella relazione (Rienzi D., Dio rimane, Cittadella, Assisi, 2023, 28).
[19] Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, Massari, Bolsena, (VT), 2010, 213.
[20] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 227.
[21] Lc 6, 36: siate misericordiosi come il Padre vostro è misericordioso.
[22] Va ricordato che il titolo di pontefice, attribuito al papa, viene dal latino ed era attribuito a quel sacerdote che fungeva da ponte fra l’umano e il divino. L’essenza del pontefice, dunque, è quella di unire, mai quella di dividere. Quanti papi hanno diviso il popolo dei credenti?
[23] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 220s.
[24] La si trova nell’articolo Gesù, il Tempio e l’insegnamento del magistero, al n.774 del 14.7.2024 di questo giornale.
[25] Non per niente il vangelo di Giovanni venne a lungo combattuto, perché tacciato di gnosticismo.
[26] Il discepolo amato è stato a lungo identificato con l’evangelista Giovanni. Già da decenni buona parte della dottrina ritiene che il discepolo prediletto corrisponda semplicemente al prototipo dei discepoli, nel quale ogni lettore può riconoscersi (Fabris R., Giovanni, ed. Borla, Roma, 1992, 73; Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 109 s.; Wengst K., Il Vangelo di Giovanni, ed. Queriniana, Brescia, 2008, 776; Maggi A., Il mandante, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 37s. Ravasi G., Il discepolo amato figura del vero credente in Cristo, “Famiglia Cristiana”, n.46/2013, 116). Ma già nel 1982 era stato osservato che
il Quarto Vangelo delinea a parte la figura di un discepolo prediletto (Gv 13,23; 19,26; 20,2; 21,7.20), innominato, che ha certamente un valore esemplare, come tipo del discepolo perfetto. Anzi, sembra persino che tra lui e Pietro l’evangelista suggerisca un antagonismo a tutto favore suo. Solo lui, infatti, è in intimità con Gesù nel momento dell’ultima cena (13,23-25); poi lo segue, lui solo, fino ai piedi della croce, dove riceve la madre di Gesù come propria madre (19,25-27); inoltre il giorno di Pasqua, benché accompagnato da Pietro in una corsa fino al sepolcro di Gesù, si dice solo di lui che, giunto per primo al sepolcro, “vide e credette” (20,8); infine è lui che svela a Pietro l'identità di Gesù al lago di Tiberiade (21,7). Questa figura, comunque si voglia risolvere la questione della sua identificazione storica, ha un particolare spessore simbolico e tra le righe l'evangelista invita i suoi lettori a immedesimarsi in lui percorrendo lo stesso itinerario, che non è solo di fede ma anche e soprattutto di comunione con Gesù. Sì che in quel discepolo ci sono tutti gli altri che sarebbero venuti dopo di lui (Cfr. Brown R.E., La comunità del discepolo prediletto, Assisi 1982).
Oggi, ogniqualvolta un personaggio evangelico è privo di nome, tutti possono immedesimarsi in quel personaggio, e non dobbiamo essere noi a dare un nome al personaggio anonimo.
[27] Schnackenburg R., Il Vangelo di Giovanni, ed. Paideia, Brescia, 1977, P.III, 611.
[28] Fratelli e sorelle, noi abbiamo paura a pensare a una giustizia così misericordiosa. Andiamo avanti: Dio è misericordia. La giustizia sua è misericordiosa. Lasciamoci prendere per mano da Lui. Noi pure, discepoli di Gesù, siamo chiamati a esercitare in questo modo la giustizia, nei rapporti con gli altri, nella Chiesa, nella società: non con la durezza di chi giudica e condanna dividendo le persone in buone e cattive, ma con la misericordia di chi accoglie condividendo le ferite e le fragilità delle sorelle e dei fratelli, per rialzarli. Vorrei dirlo così: non dividendo, ma condividendo. Non dividere, ma condividere. Facciamo come Gesù: condividiamo, portiamo i pesi gli uni degli altri invece di chiacchierare e distruggere, guardiamoci con compassione, aiutiamoci a vicenda. Chiediamoci: io sono una persona che divide o condivide? Pensiamo un po’: io sono discepolo dell’amore di Gesù o un discepolo del chiacchiericcio, che divide? Il chiacchiericcio è un’arma letale: uccide, uccide l’amore, uccide la società, uccide la fratellanza. Chiediamoci: io sono una persona che divide o una persona che condivide? (Angelus di papa Francesco dell’8.1.2023).
[29] Vannucci G., Pellegrino dell’Assoluto, ed. Cens, Liscate (MI), 1985, 59 ss.
[30] Molari C., Amare fino a morirne, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2024, 58.
[31] Sia ben chiaro: questo non significa che Gesù è nato per una forza soprannaturale senza intervento di un uomo naturale. Cfr. sul punto il mio Gesù, questo sconosciuto, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2024, 197ss.
[32] Enciclica Lumen Fidei, §37 di Papa Francesco, in www.vatican.va: La fede si trasmette, per così dire, nella forma del contatto, da persona a persona, come una fiamma si accende da un’altra fiamma.
[33] Ravasi G., Spiritualità e Bibbia, Queriniana, Brescia, 2018, 106: il dolore in bocca agli amici era un oggetto di discussione teorica. In Giobbe invece era carne e sangue. Lo stesso deve tenersi presente quando si parla di aborto o di fine vita. In altre parole, le dottrine teologiche astratte, per le quali molti credenti combattono lancia in resta, sono sempre frutto di puro intelletto, mentre solo nella carne può venire la rivelazione sorprendente e vera che parla ad ogni essere umano perché prende avvio da ciò che è (Rienzi D., Dio rimane, Cittadella, Assisi, 2023, 22).
[34] Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 140.
[35] Culot D., Gesù questo sconosciuto, Il Pozzo di Giacobbe, Trapani, 2024, 63.
[36] Castillo J.M., I poveri e la teologia, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 381.
[37] Maggi A., Cos’è il peccato, incontro di Assisi 2013, in www.studibiblici.it/Multimedia/audio_conferenze.
[38] Parole del Cardinal Tonini riportate in “Il Piccolo” 29.7.2013, 5.
[39] Maggi A., Noi sappiamo che quest’uomo è un peccatore, in www.studibiblici.it/Multimedia/audio_conferenze/tre_giorni_biblica_2012.
[40] Per usare oggi le parole usate dal papa al fine di negare che la propria coscienza possa validamente ancorarsi alla propria esperienza, pretendendo che essa si ancori sempre all’insegnamento del magistero (Ratzinger J. – Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, ed. Cantagalli, Siena, 2009, 117).
[41] Ci sono persone che ritenendo di sapere tutto non ascoltano più niente e nessuno, se non quanto basta per criticare l’interlocutore. Avviene così che il sapere si trasforma in supponenza (Mancuso V., Non ti manchi mai la gioia, Garzanti, Milano, 2023, 17).
[42] È stato fatto notare come una creazione senza male manifesterebbe la bontà e la sapienza di Dio, ma non manifesterebbe pienamente la sua misericordia (Congar Y., Il problema del male, in “Dio, l’uomo e l’universo,” a cura di de Bivout de la Saudée, ed. Marietti, Genova, 1952, 574).
[43] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 119.
[44] Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 121.
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/