Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Vagliate tutto / Ritenete il buono)

n° 11


LA BUONA INTERIORITÀ


Marija Skobcova




di Guido Dotti

Fotografia di Marija Skobcova tratta da commons.wikimedia.org

L’interiorità che permette all’uomo di avvicinarsi maggiormente e con più attenzione all’altro, che gli rivela le intime cause e i motivi del comportamento dell’anima altrui, che crea un ponte tra lui e il suo prossimo, che insegna l’amore per il prossimo: questa è una “buona” interiorità.

Nina Kauchtschischwili, Mat’ Marija. Il cammino di una monaca, Qiqajon, Bose 1997, p. 148.




C’è interiorità e interiorità, ci ricorda questa donna che scavando nella propria interiorità è passata da membro dell’aristocrazia a rivoluzionaria a contemplativa nell’azione, fino a dare la vita per salvare la vita e la dignità di chi era trattato come essere subumano. Se è vero che “il viaggio più lungo è il viaggio interiore” (Dag Hammarskjöld) e che la conversione, il cambiamento di rotta e di mentalità per tornare al Signore, è la cifra della vita cristiana, sia individuale che comunitaria, allora Mat’ Marija – che di “conversioni” ne ha conosciute tante, senza mai perdere la bussola dell’amore – testimonia qual è l’elemento decisivo per la qualità, la bontà della nostra interiorità: l’amore per il prossimo. Ci testimonia cioè che il criterio per scendere dentro di sé e guardare nel proprio intimo è quello di uscire verso l’altro, di avvicinarsi – di farsi prossimo, letteralmente – di costruire ponti tra rive opposte, di mettersi alla scuola dell’amore. E, prima ancora di esser criterio, l’amore per il prossimo è la condizione indispensabile perché un’interiorità non sia fuga dal mondo, dalla condizione umana, dal mistero dell’incarnazione, dall’assunzione delle proprie responsabilità, ma sia invece interiorità evangelica, alla sequela di Cristo.

Come il singolo battezzato non può rivendicare spazi individuali chiusi, refrattari all’amore per Dio e per il prossimo, così le comunità cristiane, le chiese non possono ambire a essere o restare luoghi inaccessibili, roccaforti che si difendono da un nemico esterno. Spazi aperti, strade, ponti verso i più piccoli, gli ultimi, gli scartati: questo sono chiamate a essere le nostre comunità. Le uniche mura, le uniche difese inviolabili sono quelle che proteggono e alimentano la carità, noin la lasciano raffreddare, mantendo viva e calda la fiamma dell’amore e le consentono così di sprigionarsi con forza sempre rinnovata.

Cosa cerchiamo allora quando ci rifugiamo nella nostra interiorità? E, al contrario, cosa ci spinge a rifuggirla come condizione angosciante? Da cosa fuggiamo quando la viviamo come uno spazio e un tempo “contro” gli altri? Da noi stessi? Da Dio, come Adamo ed Eva nel giardino dell’Eden? Dal prossimo che il Signore ci ha messo accanto o verso il quale ci ha attirato per le imperscrutabili vie della storia umana?

Marija Skobcova (Elizaveta Jur'evna Pilenko, Riga 1891- Ravensbrück 1945), detta anche Madre Maria di Parigi, nobildonna russa, artista e poetessa, rivoluzionaria bolscevica, madre di tre figli, nel 1932 divenne monaca stabilendosi a vivere in una casa in affitto che trasformò in cenacolo intellettuale e al contempo in luogo di aiuto per rifugiati e bisognosi, fino a diventare riferimento e riparo per ebrei perseguitati e partigiani. Arrestata e internata a Ravensbrück, morirà nella camera a gas il 31 marzo 1945, Sabato santo. Canonizzata come martire della fede dal Patriarcato ecumenico di Costantinopoli il 16 gennaio 2004.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org