Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Non credo che Dio sia autore della Bibbia

di Dario Culot


Esemplare della Bibbia di Gutenberg, conservato nella New York Public Library - foto tratta da commons.wikimedia.org 

Gli articoli di questo mese saranno dedicati a tante cose insegnatemi dal catechismo alle quali non posso più credere.

L’arcivescovo Fernández, nuovo fresco prefetto del dicastero per la dottrina della fede, è stato sollecitato da papa Francesco a promuovere la conoscenza teologica piuttosto che a correggere gli errori dottrinali. Ebbene, di fronte a quest’apertura, sono sempre pronto a ricredermi se, con obiezioni logiche convincenti, mi verrà dimostrato che dottrinalmente i miei rilievi sono sbagliati.

Cominciamo oggi dalle Sacre Scritture, il tutto senza pretesa di poter esaurire tutti gli argomenti in un paio di battute, e senza dimenticare che tocca a chi afferma fornire la piena prova della sua affermazione: quindi, se la Chiesa afferma che la Bibbia ha Dio come autore, su di lei grava l’onere della prova.

 

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I musulmani ritengono che il Corano sia “disceso” su Maometto (Corano VI, 92), per cui non c’è alcuna possibilità di interpretazione critica o storica, neppure per quegli aspetti che appaiono con evidenza legati agli usi e costumi di un particolare momento storico e culturale[1]. Eppure anch’essi dovrebbero razionalmente riconoscere che, quand’anche Dio avesse parlato di persona, le parole divine riportate in seguito nel Corano possono essere solo un’approssimazione di quelle effettivamente pronunciate da Dio, perché queste parole sono state distribuite nell’arco di circa 8000 giorni (dal 610 al 622 d.C.), Maometto non ha lasciato niente di scritto, mentre è stato appena il terzo califfo Uthman (644-656 d.C.), una generazione dopo, a ordinare a sette[2] memorizzatori  (uomini, con tutti i limiti degli uomini inseriti nella cultura del loro tempo) di mettersi insieme e stilare in base ai loro ricordi la versione ufficiale del Corano. Ora, è pensabile che un essere umano possa pretendere di avere una memoria così perfetta da ricordare esattamente, a distanza di tanti anni, le testuali parole ascoltate magari una sola volta nel corso della sua vita? Quante belle prediche ho sentito in vita mia, ma mi sarebbe impossibile, dopo una ventina d’anni, ripetere parola per parola anche una sola di quelle prediche: al massimo potrei ricordarne il senso.

Anche se noi oggi ci sentiamo superiori e guardiamo con sufficienza all’Islam per questa sua chiusura che paragoniamo ad una vera e propria ottusità mentale, faremo bene a ricordarci che ci siamo macchiati della stessa ottusità. Infatti il concilio di Trento aveva solennemente dichiarato[3] che la Chiesa «con pari riverenza accoglie e venera tutti i libri, sia dell’antico che del nuovo Testamento. Dio, infatti, è autore[4] dell’uno e dell’altro ed anche delle tradizioni[5] stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate con successione continua nella Chiesa cattolica». E se uno osava dire pubblicamente di non credere a questa solenne statuizione? Semplice: finiva sul rogo. Solo poco più di mezzo secolo fa, col concilio Vaticano II, la Chiesa ha smentito il concilio di Trento che parlava di dettatura, azzardando che «Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacra Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo» [6].

Fra dettare e ispirare c’è una bella differenza, e penso che pochi ormai credano che questi libri provengano direttamente dal Cielo sotto forma di Rivelazione, dettata di giorno o sussurrata di notte in sogno a chi li ha poi materialmente scritti, sì che il copista si sarebbe limitato, come una penna nelle mani di Dio, a trascrivere parola per parola ciò che aveva sentito nella rivelazione. Quasi nessun cattolico crede che questi testi sacri siano (come invece gli islamici ritengono ancora oggi per il Corano) una trascrizione letterale di un testo “increato” che da sempre si trovava presso Dio, e per questo sacro, poi sceso in terra assumendo la forma di libri storici, dettati o almeno ispirati parola per parola. Insomma, se anche Dio stesso ha ispirato gli autori della Bibbia, la trasposizione non è stata poi rivista dall’Autore, e ne è venuto fuori quello che leggiamo, con tutte le contraddizioni[7] rimarcate – come vedremo in seguito - perfino dallo stesso Gesù. Il problema è che l’insegnamento che abbiamo ascoltato e assorbito fin da piccoli, alla lunga, resta dentro di noi; non stupisce più e soprattutto non stimola domande; si accettano le risposte ricevute come la cosa più naturale del mondo. Sarebbe bello se tutti i cristiani diventassero come bambini piccoli, e continuassero invece a chiedere instancabilmente ai loro presbiteri: “perché?”

Citando la Bibbia, la Chiesa ritiene invece di aver fornito argomenti decisivi per provare la verità di ciò che afferma. Poiché la Bibbia è stata dettata da Dio, l'autorità divina è garanzia di verità assoluta[8]. Chiaro che se i libri della Bibbia contengono solo verità rivelate da Dio qualsiasi critica nei confronti di quei libri è inammissibile, perché non è ammissibile criticare Dio.

A questo punto occorre però sapere che i 4 vangeli canonici sono già successivi grosso modo di una-tre generazioni a Gesù Cristo, sì che tutto quello che sappiamo di Gesù è stato scritto da persone che non erano state neanche testimoni oculari dei fatti:[9] il vangelo attribuito a Marco, il primo pervenutoci, oggi si ritiene sia stato scritto fra gli anni 50-70;[10] l’ultimo, quello attribuito a Giovanni, risale alla fine del I secolo[11]. Indicativamente, essendo morto Gesù attorno all’anno 30 (non sappiamo con esattezza neanche la data), si fa risalire al 51 d.C. il primo documento cristiano pervenutoci,[12] cioè la prima lettera di Paolo ai Tessalonicesi[13]. Lo scritto di Matteo va collocato fra gli anni 45-89 d.C.;[14] quello di Luca fra gli anni 55-62, e gli Atti degli apostoli (la continuazione del Vangelo di Luca, scritti sempre da Luca[15])  fra il 61-63[16]. Le lettere di Paolo fra il 50-67 (la lettera agli Ebrei, fin dall’inizio non ritenuta veramente di Paolo, fra il 64-69[17]); la lettera di Giacomo (probabilmente nessuno dei cinque Giacomi[18] dei vangeli, perché secondo la più recente critica l’autore è troppo ellenizzato) fra il 50-58;[19] la prima lettera di Pietro fra il 60-65, e la seconda fra il 70-80 (e anche qui ormai si ritiene che queste lettere non siano state scritte dall’apostolo[20]); la lettera di Giuda parimenti fra il 70-80 d.C.[21].

Oggi sappiamo che gli stessi nomi degli evangelisti (Matteo probabilmente uno scriba[22] - Mishnà, Berakot 1, 3 – Sir 39, 1-11; Marco seguace di Pietro – 1Pt 5, 13;[23] Luca medico personale di Paolo[24] – Col 4, 14; e Giovanni,[25] difficilmente il fratello di Giacomo, perché sarebbe sopravvissuto per una settantina di anni al Maestro) sono nomi probabilmente attribuiti in seguito. Oggi si pensa che quasi certamente ogni singolo vangelo non è opera di un solo uomo, perché ognuno di essi nasce in comunità di credenti che hanno cominciato a meditare su quello che Gesù significava per loro: in questa luce ogni comunità interpretava la storia passata di Gesù[26]. Se, ad esempio, Matteo fosse stato veramente il pubblicano diventato apostolo che ha seguito Gesù, avrebbe scritto in base ai suoi ricordi, e non avrebbe avuto bisogno di saccheggiare da Marco o di servirsi di altre fonti antiche[27]. Se poi il rapporto fra Pietro e Marco fosse stato così stretto come raccontano, risulterebbe strano che proprio Marco non abbia riabilitato Pietro alla fine del suo Vangelo, dopo l’avvenuto tradimento (Mc 14, 72). È più ragionevole pensare che se ci fu realmente quel rapporto tra Marco e Pietro di cui parlano le testimonianze più antiche, questo nacque dopo la compilazione del vangelo. L’anticipazione del loro rapporto, dovuta alla tradizione, si può ben spiegare col fatto che era molto più facile far accogliere nella Chiesa primitiva un vangelo di chiara derivazione apostolica:[28] attribuire cioè ad uno scritto origini nobili ne aumenta indubbiamente l’autorità[29]. Non c’è nulla di diverso da quanto era già successo con l’Antico Testamento: ad esempio, gli storici concordano sul fatto che il Deuteronomio sia stato scritto intorno al VII sec. a.C., ma per motivi di autorità e autorevolezza è stato attribuito a Mosè, vissuto – se mai veramente esistito – molti secoli prima. Prendendo il nome di autori molto antichi si finisce per beneficiare della loro autorità.

Comunque è in base alle convinzioni espresse dal concilio tridentino che, nel 1633, l’Inquisizione, convinta di possedere una fonte di conoscenza assolutamente superiore a quella di Galileo, grazie alla rivelazione biblica, affermava con assoluta certezza che Galileo sbagliava. Se la Bibbia dice che Giosuè ha fermato il sole (Gios 10, 12-14), era il sole a girare attorno alla terra, e Dio creatore non poteva non saperlo. Ma le conclusioni tratte da Galileo nascevano dall’osservazione e dal ragionamento; le conclusioni della Chiesa nascevano dal dogma.

Ma visto che la Chiesa è ancora convinta che le decisioni dei concili siano tutte supportate dallo Spirito santo, bisogna farle notare che anche questo Spirito santo sarebbe oggi sicuramente bocciato a un esame di zoologia, come ben spiega il matematico ateo Odifreddi,[30] in quanto classifica la lepre fra i ruminanti (Lv 11, 6; Dt 14, 7) ed il pipistrello fra gli uccelli (Lv 11, 19; Dt 14, 18). C’è poi da dire che la Bibbia parla di Europa, Asia, Africa, ma non conosce le Americhe, l’Australia e neanche l’Antartide. Strano per essere stata dettata da Dio, che non supererebbe un esame di geografia di V elementare. Ovviamente Dio sarebbe bocciato anche in astronomia, perché neanche la Chiesa più crede al fatto che la terra sia al centro dell’universo e che il sole giri attorno al nostro pianeta. Ciononostante, la Chiesa non ha mai abbandonato l’idea antropocentrica (cioè centrata sull’uomo) dell’universo, e continua a sostenere che l’universo sia stato creato proprio per l’uomo (art.358 Catechismo): «Qual è dunque l’essere che deve venire all’esistenza circondato di una tale considerazione? È l’uomo, grande e meravigliosa figura vivente, più prezioso agli occhi di Dio dell’intera creazione: è l’uomo, è per lui che esistono il cielo e la terra e il mare e la totalità della creazione». L’idea scientifica invece è che, anche se l’uomo non esistesse, l’universo andrebbe avanti lo stesso, senza neanche accorgersi della mancanza dell’uomo.

Anche dire che la Bibbia è parola dettata da Dio significa che Dio parla come gli uomini, e questo è di nuovo antropomorfismo[31]. Il teologo Gounelle afferma che se Dio incontra l’uomo, si farà per forza un discorso antropomorfico, il quale si deve servire di immagini e categorie umane per dirlo; non si può fare a meno di immagini per percepire l’invisibile. Tuttavia il teologo ammonisce che esse non vanno confuse con la realtà che evocano, ma non rappresentano. Le immagini sono necessarie, perché senza di loro non si vedrebbe nulla. Però, mentre si utilizzano, occorre saperle anche subito strappare, perché altrimenti le icone finiscono per trasformarsi in idoli[32].

Se solo prendiamo in mano la Bibbia e cominciamo a leggerla dobbiamo per forza dare ragione al matematico Odifreddi[33] e chiederci perché mai l’autore onnisciente Dio, invece di far scrivere un’opera corretta, coerente e lineare,[34] avrebbe voluto che si scrivessero tante cose:

- errate scientificamente: ad esempio, si è già visto il campo della zoologia e dell’astronomia;

- riprovevoli eticamente: ad esempio, Dio accetta con compiacimento che Lamech uccida un uomo per ogni sua anche piccola ferita (Gn 4, 23); oppure dà ordini atroci a suoi profeti feroci, come quello dato a Saul, tramite Samuele, di uccidere uomini, donne, bambini e lattanti e tutti gli animali della città di Amalek  (I Sa 15, 3); oppure dà ad Ezechiele l’ordine di mangiare pane spalmato non di nutella, ma di merda (Ez 4, 15).

- contraddittorie logicamente: ad esempio, già all’inizio della Genesi ci troviamo con due storie contrapposte della creazione, in una delle quali l’uomo arriva in contemporanea alla donna (Gn 1, 27: il che comporta una totale parità fra i sessi), e nell’altra è inizialmente da solo, con Eva che viene creata più tardi usando una sua costola (Gn 2, 22: il che comporta la priorità e quindi superiorità del maschio): è evidente, come osserva sempre Odifreddi,[35] che due fonti separate non sono state fuse, probabilmente per non creare risentimento nella parte di popolazione a cui esse appartenevano, ma ciò ha creato chiare incongruenze.

Oppure come non richiamare anche quell’assurdo episodio del censimento: Dio, geloso del suo popolo aveva proibito di fare il censimento, ma poi ordina a Davide di farlo. Davide obbedisce, e a quel punto Dio dà fuori da matto e scatena contro il suo popolo una peste tremenda che fa strage di israeliti (2Sam 24,1-25). Qualche secolo più tardi, rendendosi conto che una storia così proprio non faceva fare una gran bella figura a Dio, ma anzi lo metteva in una luce sinistra (1Cr 21, 1), viene richiamato lo stesso episodio, ma questa volta chi scrive mette Satana al posto di Yhwh, e questa è l’unica volta che nell’Antico Testamento compare Satana come nome proprio di un essere spirituale maligno; ma è chiaramente in sostituzione di Dio,[36] essendo ormai del tutto indigeribile l’idea che Dio avesse comandato di fare una cosa che aveva appena proibito di fare, e poi uccida una marea di gente che non c’entra assolutamente nulla solo perché Davide gli ha obbedito.

 

                                                                                                                               (continua)

 

 



NOTE

[1]Così Samir Khalil Samir, Cento domande sull’Islam, ed. Marietti 1820, Genova, 2002, 14. Questo non era vero in passato, basta pensare ad Averroè, ma forse non avendo avuto l’illuminismo è tristemente vero oggi.

[2] Ricordo che il numero 7 indica perfezione, completezza.

[3] Concilio di Trento, Sessione IV, 8.4.1546, 1° decreto, in www.documentacatholicaomnia.eu.

[4] Il concilio vaticano II ha dato un colpo al cerchio e uno alla botte. Dapprima ha detto che «Le verità divinamente rivelate, che sono contenute ed espresse nei libri della sacre Scrittura, furono scritte per ispirazione dello Spirito Santo». Poi, quasi intimorita da quel passo in avanti, l’assemblea è tornata subito a fare un passo indietro, aggiungendo: «La Santa Madre Chiesa, per fede apostolica, ritiene sacri e canonici tutti interi i libri sia del Vecchio che del Nuovo Testamento, con tutte le loro parti, perché scritti per ispirazione dello Spirito Santo; hanno Dio per autore, e come tali sono stati consegnati alla Chiesa. Per la composizione dei libri sacri, Dio scelse e si servì di uomini nel possesso delle loro facoltà e capacità, affinché, agendo egli in essi e per loro mezzo, scrivessero, come veri autori, tutte e soltanto quelle cose che Egli voleva fossero scritte» (concilio ecumenico Vaticano II - Inizio del cap.III della Costituzione sulla Rivelazione – Dei Verbum 18.11.1965.

[5] Neanche la Tradizione è stata dettata, né si può dire che sia la sintesi di 2000 anni di storia della Chiesa. Va paragonata piuttosto a una foce a delta, a una rete di bracci fluviali che ora si avvicinano, ora si allontanano, senza che nessuno di loro possa pretendere di essere l'unico navigabile. Che la Tradizione abbia questo carattere è evidente fin dall'inizio, come mostrano, ad esempio, i disaccordi tra Paolo e la Chiesa di Gerusalemme (Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 11).

[6] Concilio ecumenico Vaticano II - Inizio del cap.III della Costituzione sulla Rivelazione – Dei Verbum 18.11.1965.

[7] Solo per richiamare un chiaro esempio di contraddizione: quali sono state le ultime parole pronunciate da Gesù sulla croce?

- “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mt 27,46 e  Mc 15,34),

- “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito” (Lc 23,46),

- “Tutto è compiuto” (Gv 19,30).

Evidente che si passa dal più totale sconforto alla soddisfazione per aver completato ciò che si doveva fare. Ma Gesù non può aver detto tutte queste frasi fra loro contraddittorie.

[8] Teniamo invece presente che per gli ebrei la Bibbia deve essere interpretata e ogni riga può avere decine di significati diversi: questo non li sconvolge. Paolo de Benedetti, profondo conoscitore dell’ebraismo, ha detto: “L’ebraismo mi ha insegnato a diffidare estremamente di tutti coloro che dicono ‘questa è la verità’: dal papa a chiunque altro. Ma soprattutto direi che ci sono quattro ‘stelle polari’, le regole ermeneutiche che definiscono l’essenza dell’ebraismo. La prima: vi è sempre un’altra interpretazione possibile, diversa dalla tua. La seconda: aggiungere sempre alle proprie affermazioni un “se così si può dire”, per attenuarne il valore. La terza: mettere un tempo di sospensione tra la domanda e la risposta. Non dobbiamo avere la pretesa di risolvere tutte le difficoltà. La quarta: insegna alla tua lingua a dire: “non so”, per non essere preso in seguito per mentitore. Queste regole valgono per l’ebraismo, ma anche per il cristianesimo. Ho notato che proprio il pluralismo ermeneutico ha salvato l’ebraismo dagli scismi e dalle eresie. E dal dogma” (in https://www.doppiozero.com/materiali/intervista-paolo-de-benedetti).

[9] Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, Mondadori, Milano, 2004, XII.  Né Marco, né Luca furono testi oculari. Forse lo fu il primo Matteo. Papia, vescovo di Hierapolis, oggi nell’odierna Turchia, verso il 120 d.C., nel suo ponderoso lavoro Spiegazioni sui detti di Gesù, accenna al fatto che Matteo aveva scritto in dialetto ebraico i detti di Gesù, che ciascuno aveva poi interpretato come poteva (così riporta Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica, III, 39, 1-16). Secondo lo stesso Eusebio di Cesarea, comunque, Papia non è molto attendibile. Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 220 aggiunge che anche Ireneo (Adversus Haereses III, 1, 1) conferma la circostanza asserita da Papia. Quel Matteo doveva essere stato teste oculare, ma non è il Vangelo di Matteo che abbiamo oggi, scritto in greco appena verso il 70-80 d.C., tanto che ha potuto arricchirsi con gli scritti di Marco, a quel tempo già pubblicato e ben conosciuto; l’originale perduto di Matteo risale forse al 45-50.

[10] Krosney H., Il Vangelo perduto, ed. National Geographic-White Star Spa, Vercelli, 2006, XVIII. Corso audio, lezione n.3, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org. Per uno studio approfondito sulla datazione, vedasi Carmignac L., La nascita dei Vangeli sinottici, Paoline, Cinisello Balsamo (MI), 1985.

[11] Pesce M. Le parole dimenticate di Gesù, Mondadori, Milano, 2004, XVIII.

[12] Laux J., Introduction to the Bible, Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 266.

[13] A Corinto venne trovata una stele che dava Gallione lì come proconsole negli anni 51-52 d.C. Dagli Atti degli apostoli (At 18, 12) risulta che Paolo fu a Corinto già un po’ prima. Con queste date si è ricostruito il prima e il dopo di Paolo.

[14] Vari studiosi pensano che, verso il 45 d.C. ci fosse stata una prima versione ebraica di Matteo, non pervenutaci. Quindi questo sarebbe un vangelo antecedente anche a quello di Marco (vedasi anche decreti 19.6.1911 e 26.6.1912 della Pontifica commissione biblica, in www.vatican.va/Curia­_romana/Pontificia_commissione_biblica), che per noi resta invece il più antico dei quattro canonici. Forse questo è il motivo per cui Matteo è sempre il primo nella raccolta dei 4 Vangeli. Secondo la maggioranza degli studiosi, però, il Vangelo di Matteo fu molto più usato e commentato, mentre all’inizio quello di Marco venne ritenuto piuttosto povero e scarno; di qui l’onore del primo posto per Matteo. Sempre la maggioranza degli studiosi ritiene il Vangelo di Matteo una composizione degli anni 80, e ciò in base all’analisi critica: la costituzione dell’autorità apostolica (Cap.10), l’organizzazione comunitaria (Cap.18), l’attrito insanabile fra sinagoga e cristiani (Cap.23), la dipendenza da Marco.

[15] Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 231. Vedasi anche decreti 19.6.1911 e 26.6.1912 della Pontifica commissione biblica, in www.vatican.va/Curia_romana/Pontificia_commissione_biblica.

[16] Secondo altri, fra l’80 e il 90 d.C. (Romanello S., Prime comunità cristiane, Newsletter del centro Veritas di Trieste, nov. 2012, 6).

[17] C’è chi la data molto più tardi, verso il 90 d.C.; ma il riferimento al culto del Tempio come fosse ancora contemporaneo, induce a ritenerla scritta prima della distruzione di Gerusalemme avvenuta nel 70 d.C.

[18] Giacomo il piccolo (Mc 15, 40); Giuda figlio di un Giacomo non meglio identificato (At 1, 13); Giacomo apostolo, fratello di Giovanni, figli di Zebedeo (Mt 4, 21; 10, 2), che però venne martirizzato già nel 44 d.C.; Giacomo di Alfeo (Mt 10, 3); Giacomo il fratello del Signore (Mc 6, 3), che resse la prima Chiesa di Gerusalemme (At 15, 13), senza essere stato né apostolo, né discepolo di Gesù (Gal 2, 9).

[19] La maggior parte dei protestanti la colloca in epoca ancora più tarda.

[20] O’Donnel C., Ecclesia, A theological Encyclopedia of the Church, ed. The Liturgical Press, Collegeville (Minnesota, USA), 1996, 361.

[21] Corso audio, lezione n.3, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org. Altri indicano la 2^ lettera di Pietro come l’ultimo scritto del canone.

[22] Che Matteo fosse probabilmente uno scriba si ricava dal cap.13, 52 del suo Vangelo, oltre che da tutti i richiami al Vecchio Testamento che solo una persona erudita poteva conoscere così bene. Per Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012,22O, invece, Matteo s’identifica con Levi.

Lo scriba non era un semplice scrivano, ma era un teologo ufficiale ordinato in età matura, la cui parola aveva lo stesso valore della parola di Dio - Mishnà, Berakot 1, 3 – Sir 39, 1-11. La Mishnà è la Torah orale, quindi una seconda legge, una raccolta codificata di materiale giuridico della legislazione ebraica, dal 50 a.C. al 200 d.C., contenente anche molte massime sulla vita, e suddivisa in oltre 60 trattati. Berakot è uno di questi.

[23]Laux J., Introduction to the Bible, ed. Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012,225, è quello di cui si parla negli At 12, 12.

[24]Da Spinetoli O., Il Vangelo di Natale, Borla, Roma, 1996, 48: ma sempre di più si dubita di quest’ipotesi per la troppa distanza di mentalità, di situazioni spirituali e di strutturazione ecclesiale fra i due.

[25] Luca e Giovanni sono così indicati nel canone muratoriano contenente la più antica lista dei testi canonici pervenutaci; è un documento di ignoto autore, compilato in un latino grossolano verso il 180 d.C. e scoperto nel 1740 da Ludovico Antonio Muratori nella biblioteca ambrosiana di Milano (AA.VV, Il cristianesimo questo sconosciuto, Didaskaleion, Torino, 1993, 59 s.). Laux J., Introduction to the Bible, Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012,245.

[26] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, Cittadella, Assisi, 1997, 217. Da Spinetoli O., Il Vangelo del Natale, Borla, Roma, 1996, 241ss.

[27]Laux J., Introduction to the Bible, Tan Books, Charlotte (North Carolina - USA), 2012, 217 ritiene che sia stato Marco a copiare da Matteo, e non viceversa, visto che segue la tesi che Matteo fu il primo evangelista.

[28] Mateos J. e Camacho F., Il Vangelo di Marco, Cittadella, Assisi, 1997, 7.

[29] Per questo stesso motivo si attribuì la fondazione delle maggiori chiese occidentali direttamente agli apostoli.

[30] Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi, Milano, 2007, 60.

[31] Ancorché il magistero ci insegni che Dio è invisibile, senza volto e senza figura, poi in realtà abbiamo dato a Dio una costituzione identica a quella umana, dipingendolo per lo più come un vecchio con la barba, che parla, si adira, ecc.

Se le mucche possedessero qualche conoscenza di Dio, non potrebbero immaginarlo che a partire dal loro essere mucche. Un dio privo di qualsiasi somiglianza con esse non potrebbe essere il loro dio (Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 36ss.).

Del resto già il poeta e filosofo dissacratore Senofane, nel VI secolo a.C., nelle sue Elegie richiamate da Clemente Alessandrino (Stromata, VII, 4, 22, 1, in http://linclass.classics.unibo.it/Didattica/download/lingua_greca_2008_9/Elegia.pdf) aveva messo in evidenza che gli Etiopi dicono che i loro dèi sono camusi e neri, mentre i Traci li immaginano con occhi azzurri e capelli fulvi: quindi vi è un’evidente concezione antropomorfica del divino, sì che sono gli uomini a creare gli dèi a propria immagine e somiglianza.

[32] Gounelle A., Parlare di Dio, Claudiana, Torino, 2006, 74 s.

[33] Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi, Milano, 2007, 28 s.

[34] Sia ben chiaro, anche nel Corano troviamo molte contraddizioni. Ad es. nella sura della vacca (Corano 2, 256) si legge: “Non via sia costrizione alcuna per la religione”; nella sura di Giona (Corano 5, 99): “Se volesse il Signore, tutti quelli che sono sulla terra crederebbero. Ma tu non puoi prendere la gente per il collo perché creda”.  Però nella sura del pentimento (Corano 9, 5.29) si legge all’opposto un’incitazione a uccidere gli infedeli e a dominare le altre civiltà; e nella sura del bottino (Corano 8, 12) sta scritto nuovamente che è lecito togliere la vita agli infedeli. Anche nel Corano, poi, ci sono immagini antropomorfe di Dio: assiso sul trono (Sura 57, 4), ha gli occhi (52, 48), ecc.

[35] Odifreddi P., Perché non possiamo essere cristiani, Longanesi, Milano, 2007, 25.

[36]Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, Vol. II, 74: è chiaro che satana non appartiene alla storia originale, ma è stato introdotto nella versione come emendamento. Troppo grave attribuire a Dio il male.