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Regno di Dio e religione
di Dario Culot
Cosa è per Lei il Regno di Dio? Nella Redemptoris missio Papa Giovanni Paolo II afferma che il Regno di Dio non può essere separato dalla Chiesa (§ 18) e mostra chiaramente di temere una marginalizzazione della Chiesa (§§17s.), nella convinzione che solo la Chiesa possiede la totalità dei mezzi di salvezza.
Con tutto il rispetto per il papa polacco, a me sembra che per Gesù si entra nel regno con un atto di fede in Dio e con un atto d’amore, cioè con la conversione del cuore (il che implica un coinvolgimento personale), mentre è irrilevante per l’ingresso, l’appartenenza a un determinato gruppo etnico o religioso[1] (Chiesa cattolica compresa): quindi non conta l’aver vissuto una vita di sacrifici auto-imposti per diventare l’incarnazione vivente di una dottrina monolitica, non basta il presentarsi come l’ortodossia vivente in piena obbedienza al magistero.
Gesù ha chiamato Regno questo stato di comunione-unione,[2] di integrazione, di non esclusione di nulla e di nessuno da parte di quell’Essere che chiamava Abba[3]. Oggi in particolare può essere fonte di speranza l’enorme sforzo per la giustizia, per la cura del pianeta, per l’uguaglianza di genere, per l’accoglienza dei migranti e rifugiati, compiuto sia da credenti che da non credenti. Lì c’è amore. C’è amore anziché odio. C’è uno sforzo condiviso senza distinzione fra atei, agnostici e credenti. Una confluenza di religioni e umanesimi. E questo è il Regno di tutti[4].
Fin dall’inizio, poi, il regno di Dio non era qualcosa di esterno, di osservabile (come le trasformazioni dell'Apocalisse), ma qualcosa che riguardava la trasformazione personale interna (Lc 17, 20-21). Quindi il futuro non va passivamente atteso, come l’arrivo della neve d’inverno che non dipende da noi; ma può cominciare subito se cambio io, se cambi tu; quindi è sempre e solo un affare nostro. Il futuro dipende dall’uomo, non dal destino. Solo se noi umani saremo capaci di orientarci verso questo tipo di futuro sopraggiungerà il Regno[5].
Ricordiamoci che Gesù non ha conquistato gli apostoli con discorsi profondi, di stampo razionale e filosofico. Gesù ha vissuto in un certo modo, e per questo molti hanno creduto in lui. Gesù ha incarnato questo futuro atteso da tutti. Altri lo hanno seguito non per come esponeva le sue idee, non perché come annunciatore del regno parlava bene; ma perché vedevano in lui il figlio di Dio in quanto rendeva già presente con la sua vita questo regno, in quanto attualizzava il futuro tanto atteso.
Bruno Mori, a mio avviso, descrive assai bene la sensazione che la gente provava avvicinandosi a Gesù: quello di Gesù era un messaggio che offriva a tutti la promessa e la possibilità di una miglior realizzazione personale; la prospettiva di un mondo talmente diverso dal solito; il sogno di una società animata da altri principi, altre priorità, altri valori e dove tutti, d’ora in poi, avrebbero potuto abitare insieme come fratelli nell’uguaglianza, nel rispetto reciproco, nella giustizia; in questa comunità tutti avrebbero trovato il loro posto e il pieno riconoscimento della loro dignità. Era un messaggio che aveva il sapore di una buona notizia, soprattutto per i poveri, gli oppressi e i perduti della terra. Era un messaggio che rivelava un altro Dio, un altro modo di relazionarsi con Lui, un altro modo di essere umani. In questo nuovo mondo sognato da Gesù, l’energia che faceva funzionare tutto era esclusivamente quella dell’amore. Proprio a partire da questa profonda e avvincente esperienza spirituale e personale di Gesù i suoi discepoli hanno cominciato a sentire, a pensare e infine a convincersi che tutto questo era troppo nuovo, troppo originale, troppo bello, troppo meraviglioso per venire da un uomo comune. E che forse in quest’uomo il cielo era sceso a toccare la terra e lo Spirito di Dio abitava in lui e parlava attraverso di lui[6].
Ecco perché la religione cristiana non può essere intesa come un insieme di credenze, regole, riti e cerimonie che ci servono per tranquillizzare la coscienza e ci aiutano a farci sentire soddisfatti e persone rispettabili. È chiaro a tutti che è assai diverso se intendiamo e viviamo la religione come la ricerca di Dio che non conosciamo, ma di cui abbiamo bisogno perché dia senso alla vita e conservi in noi la speranza che la vita non termina con la morte. Se intendiamo Dio e lo viviamo come lo ha inteso e vissuto Gesù,[7] come il Dio che incontriamo negli altri essere umani, soprattutto in coloro che soffrono, nei più abbandonati ed esclusi dalla vita (Mt 25, 31-46), il fatto religioso viene vissuto con onestà, coerenza, trasparenza, come lotta per la giustizia, per i diritti umani, per la felicità di coloro che soffrono, per la felicità condivisa. Questo è il modello di religione vissuto da Gesù,[8] questo è il modello da seguire ed è l’unico – a mio avviso - che ci permetta di veder realizzarsi il regno di Dio.
Per secoli la sequela di Gesù si è concentrata nell’imitazione di Cristo. Ma se si vuole imitare veramente Cristo, ricordiamoci che Gesù non è stato cristo-centrico, bensì regno-centrico: è venuto per farci entusiasmare e lottare per la causa del regno, mentre tanti cristiani si sono fermati a mirare estasiati i suoi occhioni, come se Cristo fosse l’assoluto[9]. Così hanno limitato la spiritualità a un dialogo personale fra loro e Gesù-Dio. Il resto del mondo, gli altri, la natura, sono rimasti fuori.
NOTE
[1]Dupuis J., Perché non sono eretico, ed. EMI, Bologna, 2014,100s. Cfr. anche Mt 21, 43, ove si afferma che l'appartenenza al popolo di Dio non dipende più dalla nazionalità, ma dall'impegno a far fruttificare il regno di Dio.
[2] Ogni messa che celebriamo dovrebbe suscitare in noi comune-unione.
[3] Martinez E. e al., “Uno in Tutto e Tutto in Uno”, in Quale Dio, quale cristianesimo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 158.
[4] Villamayor S., Per orientare l’evoluzione verso il Regno, in Quale Dio, quale cristianesimo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 200.
[5] Ringwald R., La difficile ricezione dei nuovi paradigmi in Francia, in Quale Dio, quale cristianesimo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 175.
[6] Mori B., Per un cristianesimo senza religione, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 65.
[7] Il regno di Dio predicato da Gesù è qualcosa di completamente diverso dal regno di Davide predicato dagli scribi e dai farisei nello stesso periodo. A giustificazione dell’immagine di Dio pensata dagli scribi e dai farisei, c’è da dire che Mosè aveva una sua logica nell’insistere sull’osservanza della legge: emarginando il lebbroso, voleva preservare la comunità dai rischi sanitari. Lo stesso nell’impedire di mangiare carne di maiale, che col caldo poteva essere pericolosa per la salute. Ma Gesù segue una strada diversa, la strada della misericordia e dell'integrazione: vuole reintegrare (salvare) gli emarginati, e non ci pensa un secondo a toccare e guarire il lebbroso (Mt 8, 3). Chiaro che così facendo «Non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma rimaneva fuori, in luoghi deserti» (Mc 1,45), perché anche lui era ormai visto a quel punto come un impuro. Questo significa che, oltre a guarire il lebbroso, Gesù ne ha preso su di sé anche l’emarginazione che la legge di Mosè imponeva (cfr Lv 13,1-2.45-46). Ma Gesù non ha paura del rischio di assumere la sofferenza dell’altro, e ne paga fino in fondo il prezzo (cfr. Is 53,4).
Siamo davanti a due logiche di pensiero religioso e quindi di fede contrapposte: la paura di perdere i salvati (perché gli israeliti si ritenevano il popolo eletto e quindi già salvato) e il desiderio di Gesù di salvare i perduti. Anche oggi accade, a volte, di trovarci nell’incrocio di queste due logiche: quella del clero e dei credenti fondamentalisti, che ancora pensano di allontanare il pericolo emarginando la persona impura (il divorziato, l’omosessuale, ecc.), contagiata, e la logica dei profeti i quali pensano che Dio, con la sua misericordia, abbraccia e accoglie reintegrando e trasfigurando ogni male in bene.
[8] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclèe De Brouwer, Bilbao, 2018, 261s.
[9] Vigil J.M., Desafíos más hondos a la vida religiosa, in «Diakonía» XXIX-113 (gennaio-marzo 2005)28-39 UCA, Managua, Nicaragua.