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Marta, Martina, Paola Franchina: le ragazze del ‘95 e i ceri di sr. Silvia


di Stefano Sodaro


Monastero di Bose e dintorni - foto del direttore

Oggi, pur essendo domenica – per la precisione la XIX del Tempo Ordinario dell’Anno B, secondo la liturgia romana –, il Santorale (della medesima liturgia) prevedrebbe la memoria di Santa Chiara di Assisi, compagna di Francesco. E le monache Clarisse di tutto il mondo – e non solo loro – solennizzeranno, nell’odierna domenica, tale memoria festosa e festiva. La figura di Chiara, del XIII secolo (in realtà nata addirittura nel 1194), conduce a chiedersi che ne sia, nonostante il tanto parlare, delle concrete presenze di donne non tanto nella Chiesa e nei suoi spazi pubblici, anche “ufficiali”, o “ministeriali” – su tale versante c’è il rischio di peccare di disperazione -, quanto nelle vite concrete di coloro che, uomini, maschi, ritengono, nella propria povertà, dunque con grande, sincera, umiltà, di riconoscersi in una fede condivisa, in uno scambio relazionale comunitario. Le donne nelle vite dei cristiani di sesso maschile, anzi – specifichiamo meglio -, proprio dei cattolici maschi.

Perché quel riconoscimento di fede, pur sincero, non sempre riesce a dare consapevolezza di un attraversamento, nelle concrete esistenze maschili, di donne con nomi e volti concreti.

La Comunità Monastica di Bose, da un anno “monastero sui iuris” della Diocesi di Biella, vede da sempre presenze oranti di uomini e di donne, accomunati/e dalla medesima vocazione, senza rigagnoli ideologici di presunte specificità di “genio femminile”, ma affratellati, assorellati, nella comune bellezza del canto, della lode, del silenzio, del lavoro, della liturgia appunto, che tuttavia non viene delegata ad altri, a riconosciuti “professionisti del sacro”, ma fatta propria, come proprio è il respiro che fa vivere. No, non sono professionisti e professioniste del sacro le donne e gli uomini di Bose. Sono uomini e donne – verrebbe da dire, soprattutto donne – che, nella ferialità, ordinarietà, laicità, semplicità del loro vivere lasciano trasparire una gioia che il pudore primaziale maschile stenta a generare. Il patriarcalismo è sempre in agguato, più vispo che mai.

C’è, però, qualcosa anche di più.

Gli spazi monastici di Bose consentono incontri nuovi, freschi, immediati, veri, che altrove paiono come impediti dai codici metropolitani. Incontri, come ormai si dice, “in presenza”, ma anche inveramento di incontri “a distanza” di presenze lontane, che vengono però coinvolte, magari tramite una normalissima, comunissima, chat di qualunque tipo, nella vita di chi, lì, sulla Serra d’Ivrea, nei pressi di Magnano, a Bose insomma, trascorre i propri giorni ferragostani, molti o pochi che siano.

E accade qualcosa di davvero inopinato.

Quelle donne non ancora trentenni, ma neppure più ventenni – dunque, per intenderci, ventinovenni – che si danno appuntamento a Bose, o per loro stessa iniziativa o perché “invitate” ad esserci, e sia fisicamente che virtualmente, danno scacco matto alle compiaciute saccenterie di molti maschi cinquantenni (tra i quali mi ascriverei, se non fosse che ormai i cinquanta son passati da un bel pezzo anche per il qui scrivente…).

De Gregori ha fatto una sua composizione su “La ragazza del ‘95”, cantando testualmente che

«Oggi é un giorno perfetto per volare

Per staccare l’ombra da questo cortile

La signora dei passaporti

Ha messo un timbro speciale

Oggi è un giorno perfetto per volare

Oggi è un giorno perfetto per non morire».

Bene.

Ma chi è che mette “il timbro speciale” ai passaporti delle nostre ragazze del ’95, incrociate, incontrate, proprio al Monastero di Bose in questi giorni, fisicamente o virtualmente – Marta, la giovane pedagogista, Martina, la giovane giurista, e pure la vicepresidente dell’Associazione Culturale “Casa Alta”, Paola Franchina, licenziata alla Gregoriana e la cui elaborazione teologica riserverà sicure sorprese a chi pensa che tutto sia già stato detto scritto -? Chi certificherà a loro – e dunque a noi, se ce la facciamo ad uscire dalla cappa afosa del maschilismo identitario – che “oggi è un giorno perfetto per volare”?

Un nome ce lo abbiamo. E non è un nome a caso.

Anche in tal caso, però, prendiamola larga.

Qualcuno dei nostri lettori – maschi, yes – ha mai visto, anzi: contemplato, quale meraviglia di manufatti siano i ceri pasquali prodotti dal e nel Monastero di Bose? Speriamo di sì. Ma le mani che producono quella emozionante bellezza non sono mani anonime: sono le mani, l’esperienza, la dedizione, la passione, la cura, l’intelligenza, di sorella Silvia Murrai, Responsabile delle Sorelle della Comunità Monastica. Il suo sguardo è come se raccogliesse, benché anagraficamente di altra collocazione temporale, gli sguardi, ma con ciò pure le istanze, le attese, i progetti, i desideri, fors’anche le delusioni, delle “ragazze del ‘95”.

I ceri pasquali di sorella Silvia di Bose sono attestazione di una verità concreta, per quanto parcellizzata, sbriciolata, epperò realizzata e non teorizzata, di giovani donne con reali nomi e cognomi.

Chiara d’Assisi questa domenica ha, dunque, nello stesso momento, l’età di Marta, Martina, Paola e di sorella Silvia.

Se le ascoltassimo e ci facessimo loro discenti, studenti, invece che sedicenti maestri, si sgretolerebbero secoli di oscuri pregiudizi all’insegna del predominio maschile. Quel maschile che, ad esempio, è addirittura divenuto sinonimo di riferimento universale: ce lo immaginiamo un prete (cattolico) che questa stessa domenica saluti tutti quanti ricorrendo al solo “sorelle”? Eppure l’espressione “fratelli” ha preteso di ricomprendere entrambi i generi: perché non dovrebbe ora essere cambiata e rovesciata?

Dentro la Chiesa (cattolica) pare che si sia appena agli inizi. Ma noi ci fidiamo delle “ragazze del ‘95”, della bellezza ammutolente dei ceri di sorella Silvia, ed alla loro scuola vorremmo imparare.

Buona domenica.