Foto di Paola Cazzaniga




Il tempo è invito


di Miriam Camerini



Finito il periodo dell’Omer, finita la guerra, ricevuta la Torah a Pentecoste, concluso il Ramadan, anche la pandemia sembra avviarsi alla conclusione, con la vaccinazione di quasi tutti e tutte, pare che a Gerusalemme si torni alla vita “normale” e io non so se esserne spaventata o contenta.

Secondo il Talmud babilonese (TB), principale testo dell’ebraismo rabbinico (V sec d.C.), il Messia nasce il giorno della distruzione del II Tempio di Gerusalemme, ad opera dei romani, nel 70 d.C.

Da allora siede alle porte di Roma, fra i lebbrosi con i piedi piagati, e aspetta che noi umani ci meritiamo la sua venuta, mentre noi umani - specularmente - attendiamo lui. (TB Sanhedrin 98a e altre fonti).

Catastrofe delle catastrofi, fine di tutto ciò che era stato prima, inizio dell’esilio e della diaspora che caratterizzerà la vita ebraica per i successivi duemila anni, la distruzione del Tempio è uno spartiacque senza ritorno fra il prima e il poi, fra il mondo di ieri e quello del sempre.

Il fatto che la tradizione rabbinica collochi la nascita del figlio di Davide", del redentore, di colui che realizzerà la promessa divina alla fine dei tempi, ponendo fine alla dispersione, nel giorno della massima catastrofe, è significativo del rapporto che l’ebraismo intrattiene fra fine e inizio.

Un altro esempio, questo liturgico: appena conclusa la lettura annuale della Torah, il Pentateuco, che viene letto brano dopo brano, settimana dopo settimana, nelle sinagoghe e nelle case di tutto il mondo, da un autunno all’altro, appena conclusa la lettura dell’ultima parola del Deuteronomio, dunque, si riavvolge da capo il rotolo della Torah e senza alcuna interruzione si ricomincia a leggere: Bereshit, In principio Dio creò il cielo e la terra....

Questa è la visione ebraica, circolare, eternamente ritornante, del tempo che si svolge, si compie e si riavvolge, senza interruzione, con saggezza.

Tutto ciò che fu è ciò che sarà, ciò che si è fatto è ciò che si farà, e non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Succede che si dica di qualcosa: ecco una novità! Ma era già successa in altri tempi, prima di noi. (Qohelet 1:9-10, trad. Amos Luzzatto). Non c’è vita nuova che non sia anche vecchia, antica, già vissuta.

Ogni morte è anche risurrezione e ogni distruzione è promessa di rinascita.

Chadesh yamenu kekedem, chiediamo all’Eterno ogni Shabbat, ogni sabato, riponendo il rotolo della Torah nella sua arca: Rinnova i nostri giorni come prima.

Il tempo in ebraico è un invito (la parola ebraica per tempo è zeman, che condivide la radice con l’ebraico per invito).

Il nostro tempo è un invito: a non scoraggiarci, a guardare avanti, a Non disprezzare nessuno e non discriminare nulla, poiché non c’è persona che non abbia la sua ora e non c'è cosa che non abbia il suo posto. (Mishna, Avot 4:3).


Foto di Paola Cazzaniga