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Icona della Resurrezione di Cristo -  15°/16° secolo - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Pasqua

di Dario Culot


Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/



Con la Pasqua celebriamo la risurrezione di Gesù. Fra gli ortodossi, il giorno di Pasqua ci si scambia questo augurio: “Cristo è risorto!” e l’altro risponde: “Veramente è risorto!” A dire il vero, la prova che Cristo è risorto dovrebbe essere la nostra vita, che dovrebbe essere, per l’appunto, una testimonianza gioiosa di vita. Ma spesso proprio i sedicenti cristiani sono portatori di una tristezza tale che viene da pensare che siano andati tutti al funerale di Cristo senza sapere che poi è risorto. Anche se la fede cristiana si fonda sulla Pasqua, cioè, da quello che si vede in giro, la fede dei cristiani nella effettiva risurrezione sembra piuttosto incerta, e allora il vero cristianesimo deve ancora arrivare.

La fede di sicuro non è conseguenza diretta della conoscenza di Gesù, tant’è che non tutti quelli che l’hanno visto con i propri occhi hanno avuto fede in lui. La fede non si fonda neanche sulla conoscenza delle dottrine insegnate dalla Chiesa. La fede si fonda sull’idea di risurrezione. E se non ci fosse stata questa conclusione, oggi non saremmo neanche a ricordare l’inizio della storia di Gesù, perché l’inizio conteneva premesse ma non ancora risultati. È stata la conclusione di Gesù che ha dato un significato forte a tutta la sua avventura terrena, e quindi anche alla sua nascita[1]. Il successo di Gesù non è il successo di una vita (in realtà finita presto e male) ma di un’auto-donazione.

Mi spiego: quando Gesù è morto ha lasciato i suoi discepoli delusi, disperati e scoraggiati, senza più speranza: questo prima della Pasqua. Poi, improvvisamente, li troviamo completamente trasformati e capaci perfino di affrontare la morte senza paura. Da discepoli sono diventati testimoni. Cosa sia veramente successo non si sa. Eppure, per esperienza, sappiamo che la disperazione è più solida dell’illusoria speranza, perché si basa su fatti concreti: se abbiamo toccato con mano che uno è morto, come possiamo sperare che sia ancora vivo? Tutto quello che possiamo dire è che qualcosa di notevole e non previsto deve essere accaduto nei discepoli[2]. Hanno preso parte all’evento indiscutibile della morte. Ma assodato che Gesù è morto, poco dopo, per alcuni, questo Gesù si presenta ricolmo di vita; Gesù è riuscito a ristabilire una comunicazione e i discepoli hanno percepito questa sua presenza. Come Dio ha reso presente Gesù risorto nei loro cuori non è chiaro: Gesù si lascia vedere (1Cor 5, 5-8)[3]. Quello che è certo, è che i discepoli hanno cominciato a vedere Gesù in maniera nuova e inattesa, e la sua presenza libera è diventata “contagiosa”,[4] per cui i discepoli sono andati in giro a testimoniare la storia di un uomo libero che li aveva resi liberi[5]. Ecco il passaggio dalla discepolanza alla testimonianza.

Ci dicono anche che, nel celebrare annualmente il mistero pasquale della morte e risurrezione del loro Signore, i cristiani fanno memoria della “follia della croce” (cfr. 1Cor 1,23-24);[6] ma personalmente la vera follia mi sembra proprio quella di credere che la vita sia più forte della morte, che la pienezza di quanto viviamo, delle nostre relazioni, delle nostre speranze e delle nostre fatiche sia così debordante da travalicare il limite (apparentemente insuperabile) della morte. Non a caso, quando gli ateniesi hanno sentito Paolo parlare di risurrezione dei morti, alcuni gli hanno riso in faccia; altri gli hanno detto: “Ti sentiremo su questo un’altra volta“ (At 17, 32) e se ne sono andati. Eppure è questa follia che i discepoli di Gesù di Nazareth hanno continuato a trasmettere di generazione in generazione, nella convinzione che non una briciola dell’amore che ciascun essere umano sarà stato capace di vivere andrà perduta[7].

Ma c’è subito una domanda su questa risurrezione: Gesù è risorto perché è Dio oppure è risorto perché ha amato? Qui penso si possa rispondere in base ai vangeli.

Se, in effetti, Gesù fosse risorto perché era Figlio di Dio sostanzialmente uguale al Padre, cioè grazie alla sua natura divina, si tratterebbe di un “miracolo” che non tocca da vicino nessuno di noi;[8] né il credente né il non credente, visto che noi abbiamo solo la natura umana. Dunque, dove sta la Buona Novella per chi non ha natura divina, ma solo una misera natura umana, se Dio resuscita chi ha già una natura divina?

Stando ai vangeli, però, viene confermata la seconda ipotesi: Gesù è risorto perché ha amato fino alla fine. Vedrà il regno dei cieli colui che fa la volontà del Padre (Mt 7, 12) e la volontà del Padre è quella di soccorrere gli altri con amore misericordioso: infatti nel racconto del giudizio finale in Mt 25 ci vien detto che ci verrà solo chiesto con quale cuore ci siamo occupati degli altri, non di Dio. Oppure si dice che vedrà il regno dei cieli chi crede nella persona del Figlio (Gv 6, 40), e quando uno crede in qualcuno cerca di comportarsi come fa lui, e a quel punto prende per vera l’assicurazione da parte di Gesù che la morte chiuderà la parte biologica della vita, senza però esaurirla.

Se la risurrezione tocca noi tutti, c’è una seconda domanda: la morte biologica comporterà la perdita dell’“Io” oppure anche dopo la morte biologica continuerò ad essere “Io”? Personalmente mi è più facile immaginare la risurrezione come perdita dell’“Io” individuale. Arrivo cioè a immaginare la risurrezione come nell’esempio dell’onda. Ognuno di noi, sulla terra, è stato come le gocce di un’onda, che è una manifestazione dell’acqua del mare nel tempo e nello spazio. L’onda, però, non si separa mai dal mare, e in realtà non nasce e non muore perché quando s’infrange torna ad essere quello che era prima: la stessa natura l’aveva prima d’infrangersi e dopo che si è infranta. L’onda non può negare di essere acqua di mare. Ora, se paragoniamo l’uomo all’onda e il mare allo spirito, la nostra natura non cambia: eravamo spirito e restiamo spirito. Il peccato, allora, non consiste nella separazione dell’uomo da Dio perché neanche volendo ci si può separare dallo Spirito, proprio come l’onda non può separarsi dal mare. E se non ci può essere separazione neanche la salvezza può venire da fuori: l’onda non può e non deve essere salvata dal mare. Il peccato è semplicemente una mancanza di consapevolezza; come se l’onda – che in quel momento si trova orgogliosamente al di sopra del resto del mare - si convincesse di non essere più acqua di mare e si considerasse un assoluto in sé, slegata dall’acqua: “Io sono onda e sono più alta del mare, per cui non sono mare”. Il peccato dell’uomo, allora, è l’ego che si considera slegato dalla nostra vera identità e si considera un assoluto in sé, quando invece restiamo sempre della stessa sostanza. Spirituale. E anche se cerchiamo di definirci in altro modo, non ci stacchiamo dalla nostra natura originale: semplicemente non abbiamo consapevolezza della nostra vera natura. Spesso il nostro ego pensa di identificarci in base ai soldi che possediamo, al potere che abbiamo acquisito: come l’onda pensiamo di essere più in alto del resto dell’acqua e quindi migliori. In realtà siamo vita divina in forma umana, cioè circoscritta nello spazio e nel tempo. Siamo sostanzialmente spirito, energia, e non possiamo separarci dalla matrice divina, come l’onda non può separarsi dal mare. Finito il tempo e lo spazio, la nostra vera identità sarà quella di prima perché non possiamo separarci. Voler disperatamente essere qualcosa di diverso, al di fuori della nostra realtà, questo è peccato. Ma, in ogni caso, se solo facciamo arretrare il nostro ego, Dio, che era già in noi, torna a emergere: quindi, il divino, addormentato in noi esseri umani va semplicemente ridestato (Gal 2, 20: «non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me»). In questo modo è chiaro che, nella misura in cui ci riconosciamo creature, in cui ci relativizziamo perdendo di assolutezza, ridimensioniamo tutti i nostri problemi relativi alla sofferenza, alla paura e alla morte, perché ci rendiamo conto che non sarà per noi un problema stare a galla nell’oceano di acqua: neanche quando sbatteremo sugli scogli (con la nostra morte) non ci succederà nulla[9] perché saremo riassorbiti dal mare. Allo stesso modo l’onda che sta al di sopra del mare e vede che sta per infrangersi contro gli scogli non può aver paura: sa che sta per tornare acqua di mare, sa che non muore. Allora anche noi dovremmo pensare alla morte nello stesso modo: è come quando, dopo una lunga assenza, uno desidera vedere casa sua. Da un lato l’onda scompare, ma non scompare la sua essenza fatta di acqua. Così è la vita, anche quella dell’uomo; non si può tornare indietro, ma solamente andare avanti, e, fidandosi, avere il coraggio di ri-diventare oceano.

Tuttavia qui c’è un ‘però’. Nella vita terrena si era come una goccia autonoma; se poi si torna a fare parte del mare si perde l’Io individuale? Sinceramente questo non mi entusiasma, perché mi piacerebbe reincontrare individualmente tutte le persone che ho amato, che mi hanno amato. Mi piacerebbe andare a prendere in buon “Prosecco” con amici che non vedo da tantissimi anni: quante cose avremmo da dirci. Mi piacerebbe perfino reincontrare il mio fantastico cane che aveva ricevuto il punteggio più alto all’esame di soccorso in montagna. Io, da conduttore, non ero stato alla sua altezza, per cui eravamo arrivati solo terzi; ma non per questo lui mi aveva tolto il saluto. Ha sempre continuato come se nulla fosse; mai una frecciatina, mai un rimprovero.

Come vedete, posso solo fantasticare sulla risurrezione, senza sapere in cosa consiste. Del resto questo è ovvio perché la risurrezione fa parte della trascendenza, che per noi è inconoscibile.

Una delle poche cose certe è che col cristianesimo la morte non è più vista come il peggior nemico dell’uomo. Come diceva san Francesco, la morte è sorella morte perché c'introduce alla vera vita, per sempre, cioè a una forma nuova di vita che scaturisce sempre dalla potenza di Dio[10]. Quella che sembra la fine di tutto è una nuova creazione,[11] una nuova nascita, un nuovo inizio. In altre parole, avendo vissuto una piena relazione con gli altri, siamo diventati veri viventi e questo ci permette di attraversare la morte da vivi e continuare a vivere. Se non abbiamo sviluppato questa capacità di vivere per gli altri, di auto-donarci, erroneamente ci consideriamo viventi, e non siamo in grado di superare quella linea rossa che chiamiamo morte. Non la superiamo perché sulla terra non abbiamo sviluppato quelle strutture spirituali che ci consentiranno di respirare l’aria definitiva, la vita eterna come la chiamava Gesù[12]. Non la superiamo perché già su questa terra siamo vissuti da morti.

In quest’ottica diventa particolarmente interessante il finale (originale, non la parte aggiunta) del vangelo di Marco (Mc 16, 6). È unanimemente riconosciuto che il vangelo di Marco terminava con le donne che fuggono impaurite dal sepolcro (Mc 16, 8), mentre i passi successivi dei versetti 9-20 sono appendici posteriori,[13] compilate ex novo, tanto che esistono varie versioni di queste appendici. In effetti, i due codici più antichi e importanti,[14] non riportano questa finale, ma terminano il vangelo con il versetto Mc 16, 8, che descrive lo stato d'animo delle donne le quali restano sconvolte e impaurite dopo aver ascoltato le parole dell'angelo presso il sepolcro di Gesù: un finale in apparenza assai poco trionfale, perché finisce con uno sbandamento generale. Dunque, questo vangelo da una parte dà l’annuncio della risurrezione, ma dall’altra la fuga delle donne dimostra che esse non hanno vissuto l’esperienza rassicurante della risurrezione, cosa che è sempre difficile da fare anche per noi. Da sottolineare, del resto, che nessun evangelista descrive la risurrezione perché è un evento che oltrepassa la nostra esperienza ordinaria e non lo si può rappresentare. Si è detto che la risurrezione, di per sé, non appartiene più a questo mondo[15]. Ma parlando dal nostro angolo visiutale, non ci saremmo aspettati che Gesù avesse manifestato al mondo la sua potenza e la sua gloria facendo assistere tanti alla sua risurrezione? Invece la risurrezione di Gesù Cristo non viene descritta neanche come un evento sfolgorante e glorioso, perché in tal caso Gesù sarebbe andato per prima cosa a trovare Caifa e subito dopo Pilato. Invece è tornato dai suoi discepoli fragili e incoerenti, perché restassero comunità,[16] per ricompattarli.

Per fare la loro esperienza le donne vengono invitate ad andare in Galilea (Mc 16, 7). La Galilea è il luogo del quotidiano: quindi è un invito a tornare all’inizio del vangelo, ma a quel punto occorre cominciare a viverlo. Si tratta di un messaggio che ovviamente è rivolto a tutti, e non solo alle donne di allora, e si tratta di un messaggio che si oppone a coloro che pensano in automatico di aver ormai capito tutto. Dopotutto  molte di quelle donne avevano seguito e servito Gesù dalla Galilea (Mc 15, 41). Erano sue discepole, sue seguaci. Eppure anch’esse non avevano capito molto. Quindi, come loro, tutti dobbiamo sempre ricominciare  dall’inizio. Il cammino per essere seguaci è lungo: non basta esserlo per un giorno, ma ogni singolo giorno occorre ricominciare il proprio cammino avendo consapevolezza di dover quotidianamente accogliere l’azione di Dio che ci permetterà di diventare figli suoi.

La spiritualità cristiana ha la caratteristica di inserire le persone nella storia: noi siamo in un processo e non possiamo realizzare tutto in un istante. Ma se non cambiamo mai, come può entrare la novità di Dio nella nostra vita?[17]

Solo così – ci fa capire Marco, - si potrà fare esperienza della risurrezione. Inutile invece guardare il cielo, aspettando fiduciosi qualche segno: dall’alto non scende nulla.

E se risurrezione volesse allora dire solo questo: vivere qui sulla terra da vivi, e non vivere da morti, perché chi vive da vivo è già risorto?

Pensiamo al pazzo furioso di Gerasa - Mc 5, 1ss. - che viveva fra i sepolcri, viveva cioè fra i morti come un morto[18]. Avvicinato da Gesù torna in vita, cioè incontrando Gesù ha fatto esperienza di un uomo che fa rifiorire la sua vita[19]. Chi incontra Gesù rivive, risorge. Perciò si può dire che Gesù è effettivamente risorto solo per chi a sua volta risorge[20].

Quante altre persone, entrando in contatto con Gesù, hanno fatto esperienza di un uomo che ha fatto rifiorire in loro la vita? Lo hanno chiamato Figlio di Dio perché quest’uomo era così umano da far fare loro proprio un’esperienza del divino: e tanta umanità poteva venire solo dal divino. Gesù è stato inteso come risorto da chi, avendolo frequentato, ha fatto la singolare esperienza di essere lui risorto per primo, grazie a una relazione che però era esclusivamente umana.

Se guardiamo in effetti ai primi insegnamenti cristiani, su cui oggi si sorvola, non si diceva che noi saremmo risorti dopo morti, ma che già si viveva qui da risorti (1Gv 3, 14: “siamo passati dalla morte alla vita”). Questo lo avevano ben presente i primi cristiani, i quali non credevano che i morti sarebbero tornati in vita, ma credevano appunto che i viventi non sarebbero mai morti perché erano già risuscitati, ed erano in grado di passare indenni attraverso la porta della morte. Questo in linea con quanto aveva affermato fin dall’inizio anche Paolo, quando aveva scritto che non solo Lazzaro ma tutti, da morti che eravamo in vita, siamo stati già risuscitati (Ef 2, 6: «ci ha risuscitati»). In diverse lettere di Paolo troviamo delle espressioni che a noi possono sembrare piuttosto strane (Ef 2, 6: «ci ha risuscitati»; Col 2, 12: «Siete stati sepolti con lui nel battesimo, nel quale anche siete risuscitati»; Col 3, 1: «Se dunque siete risorti con Cristo»)[21]. Anche il Vangelo apocrifo di Filippo, §90, è della stessa idea: “Chi dice: prima si muore e poi si risorge, erra. Se non si risuscita prima, mentre si è ancora in vita, morendo, non si risuscita più”. Ne consegue che, secondo questa linea di pensiero, Dio non risuscita i morti, ma comunica la sua stessa vita ai viventi che così non conoscono la morte: quindi il Dio di Gesù è il Dio dei viventi e non il Dio dei morti. Sembra insomma che, se solo viviamo secondo il Vangelo, abbiamo già una qualità di vita indistruttibile, che proseguirà dopo la morte biologica (anche se non sappiamo in quale forma).

Invece quante volte, purtroppo, nella realtà noi soffochiamo la vita invece di aiutarla a crescere, perché ci comportiamo ingiustamente o non ci opponiamo alle altrui ingiustizie che uccidono la vita. Perciò dobbiamo renderci conto che un atto, che magari noi riteniamo anche sacro perché eseguito in nome di una religione, è sempre blasfemo se distrugge la vita (pensiamo al patriarca Kirill che invita i giovani russi ad andare in guerra con l’assicurazione che, se moriranno, andranno in paradiso). Ma possiamo consolarci credendo che il male ha molto potere, ma solo fino alla morte biologica. Al di là della morte ha potere solo l’amore insondabile di Dio[22].

Potremmo continuare a scervellarsi sulla risurrezione, perché comunque stiamo parlando di qualcosa che non riusciamo pienamente a comprendere, né quindi a spiegare. Se qualcuno ha altre idee da suggerire sarei lieto di sentirle.

Per intanto fermiamoci qui e accontentiamoci di tanti auguri di una Buona Pasqua!

 

 



NOTE

[1] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 221.

[2] Van Buren P., The secular Meaning of the Gospel, SCM Press, Londra, 1963, 128.

[3] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 475.

[4] Idem, 131ss.

[5] La figura di Gesù emerge allora come quella di un essere umano straordinariamente libero. Gesù era completamente libero per il prossimo, ed era un uomo completamente libero di darsi agli altri, e di liberare gli altri perfino dalla schiavitù della legge mosaica (Gal 2, 19; 3, 10-13; 4, 21-31; 5, 1-4), come dice Paolo. E per gli altri, la risurrezione sta semplicemente a significare liberazione dalle preoccupazioni, dalle miserie, dalle angosce, dai desideri, dal peccato e dalla morte (Robinson J.A.T., Dio non è così, Vallecchi, Firenze, 1965, 102; Bonhoeffer D., Lettere e appunti dal carcere, Bompiani, Milano, 1969, 252.).

Teniamo infatti presente che Gesù libera senza legare, senza impossessarsi di chi ha liberato; come si vede fin dall’inizio del vangelo di Marco, Gesù dopo averli liberati lascia andare sia l’indemoniato della sinagoga, sia il lebbroso, sia l’indemoniato di Gerasa. L’opposto di quanto aveva detto il Dio biblico, che avendo liberato gl’israeliti dalla schiavitù egiziana, li considerava suoi servi (Lv 25,55: «Poiché gli Israeliti sono miei servi; miei servi, che ho fatto uscire dal paese d'Egitto. Io sono il Signore vostro Dio»).

[6] La morte in croce è di per sé uno scandalo perché è morte di un innocente, che per di più era il Figlio prediletto di Dio , ma è anche una follia perché solo i maledetti da Dio – secondo gli ebrei,- finivano in croce. E allora, o questa morte significa anche la morte definitiva del Dio proclamato da Gesù, oppure questo fallimento fa parte in qualche modo del progetto di Dio e va inteso come ultimo atto di servizio posto in essere da Gesù, in attesa dell’arrivo del regno di Dio. Se tutto fosse terminato con la morte in croce (salvi gli atti di amore misericordioso compiuti in vita) non potremmo vedere Gesù come Salvatore e i suoi assassini avrebbero avuto l’ultima parola. Soltanto la risurrezione dà credibilità al fatto che il progetto del Dio di Gesù prosegue.

[7] Dotti G., Parola folle di Christian Bobin, nel n. n.709/2023 di questo giornale.

[8] La risurrezione come miracolo avrebbe rinviato a una nuova religione. La risurrezione come segno rinvia a un nuovo modo di esistenza (Yannaras C., Contro la religione, Qiqajon, Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 58).

[9] Scquizzato P., È lo Spirito che vivifica e ci accompagna,  relazione tenuta a Nocera Umbra, per conto dell’associazione Liberare l’Uomo, 1.7.2022.

[10] Che Dio abbia resuscitato Gesù dai morti (Rm 10, 9), oppure abbia esaltato Gesù elevandolo alla sua gloria e facendolo sedere alla sua destra (Fil 2, 6-11; Tm 3, 16), è sempre un’azione di Dio che riscatta dalla morte e introduce nella pienezza di vita (Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009,464).

[11] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 470.

[12] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 188.

[13] Mateos J. e Camacho E., Marco, ed. Cittadella, Assisi, 1996, 69 s.; Mancuso V., L’anima e il suo destino, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2007, 181; Benedetto XVI, Gesù di Nazaret, II parte, ed. Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2011, 290 s.

[14] Il codice vaticano ed il codice sinaitico risalenti al IV secolo, custoditi rispettivamente in Vaticano e al Boritisi Museo di Londra.

[15] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 469.

[16] Florio G., Kenosis, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2023, 88.

[17] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 261s.

[18] Un’interessante spiegazione del racconto si trova in Corallo A., Gesù oltre gli stereotipi patriarcali, La Meridiana, Molfetta (BA), 2022, 49ss.: Gesù incontra un maschio ferito, che abita fuori del contesto umano. Ferito perché la società lo obbliga al maschilismo. L’uomo parla stranamente di ‘Legione’ perché i soldati opprimono, violentano, fanno soprusi. Un maschio deve essere forte fino alla violenza, ma questo maschio non regge e si autopunisce. Gesù gli parla e gli permette di esprimersi; guarisce il maschile, il patriarcato che opprime e costringe a ruoli stereotipati.

[19] Dopo aver guarito l’indemoniato di Gerasa, gli abitanti vedendo che quel concittadino pazzo furioso è tornato sano e normale decidono di riprenderselo (Mc 5, 20), però non sono disposti a pagare alcun costo per questa liberazione, per cui avendo subìto un bel danno economico con la perdita della mandria di porci contro la loro volontà, invitano caldamente Gesù ad andarsene da un’altra parte (Mc 5, 17), prima di subire altri danni. Far del bene a una persona toccando però il patrimonio di altri non è ben accetto. Lo ricordava anche il Machiavelli (Il principe, 17[3]: gli uomini dimenticano più facilmente la morte del padre che il furto del proprio patrimonio). E noi non pensiamo lo stesso quando si devono spendere i soldi pubblici (che sono sempre pochi rispetto alle tante necessità) per accogliere dignitosamente gli immigrati?

Ovviamente, se prendiamo il racconto alla lettera, come un fatto storico realmente accaduto, siamo davanti a un racconto grottesco, non essendo credibile che un’intera mandria di porci corra per chilometri e si getti in mare (Guerriero A., Quaesivi et non inveni, Mondadori, Milano, 1973, 246), o meglio nel lago di Tiberiade.

[20] Scquizzato P., Ripensare la risurrezione, Zoom 31.3.2021 www.unachiesaapiùvoci.it.

È pacifico che la qualità di amore espressa da Gesù apparve ai discepoli, da un lato, come totalmente inaudita e, dall’altro, come assolutamente straordinaria, sì che essi dedussero che era impossibile che l’uomo di Nazareth potesse aver trovato simile capacità di amore nelle povere ‘riserve’ della sua natura umana. Conclusero allora che questa capacità gli venisse da Altrove, che Dio fosse in lui (Mori B., Per un cristianesimo senza religione, Gabrielli editore, San Pietro in Cariano (VR), 2022, 204).

[21] Strano poi che lo stesso Paolo, in 2Tm 2, 18, critichi Imeneo e Filete che vanno dicendo che la resurrezione è già avvenuta. A dimostrazione che anche in Paolo vi sono contraddizioni, o che sotto il nome di Paolo si riuniscono più autori.

[22] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 488.