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Cristo e la Samaritana, anno 2001 - Carlo Maratta (1625-1713), Museo arcidiocesano di Varsavia - immagine tratta da commons.wikimedia.org





Perché Dio non ha mandato sulla terra una figlia?

di Dario Culot


Qualche tempo fa una docente di diritto canonico ed ecclesiastico era venuta al centro Veritas di Trieste a sostenere che la condizione giuridica e di sistema delle donne nei vari ordinamenti ecclesiastici (cattolici, protestanti, buddisti, induisti, islamici, ecc…) era in netto miglioramento, tanto da far presumere che le disparità di genere siano in via di rapido superamento.

Permettetemi di essere un po’ scettico su questa visione utopistica, perché credo che la strada sia ancora molto lunga prima che la voce delle donne rimbombi nelle alte sfere della Curia romana. Comunque quest’affermazione ha fatto nascere in me una domanda: perché Dio non ha inviato sulla terra una figlia, anziché un figlio? Sicuramente così avrebbe di colpo superato ogni discriminazione storica dell’uomo nei confronti della donna. Se Dio si fosse incarnato in una femmina, anziché in un maschio, necessariamente la Chiesa avrebbe dovuto essere radicalmente diversa.

Per prima cosa va detto che, essendo tutti i testi sacri, vecchi e nuovi, stati scritti in quella cultura mediterranea sempre e solo da uomini (non c’è una sola donna scrittrice), in una società già maschilista, da subito le incredibili aperture che Gesù aveva fatto verso le donne sono state radicalmente stravolte, con tutto quel che ne consegue... il che ha dato adito all’idea che anche Dio sia maschilista. Ma per la risposta non occorre scomodare Dio; basta il maschilismo terreno degli uomini.

Come ha detto una volta l’amica Vera Purini, se Dio avesse mandato una figlia, questa avrebbe dovuto essere una specie di zingara, perché al pari di Gesù avrebbe dovuto girovagare per tutta la Palestina; se non si fosse sposata e non avesse fatto figli avrebbe messo in crisi il ruolo femminile che quella cultura assegnava alla donna. E poi un uomo solo è un mito, una donna sola è poco seria. Insomma, una Figlia di Dio con figli e marito, come avrebbe dovuto fare? Se li sarebbe portati dietro, facendo fare anche a loro una vita da zingari? oppure li doveva lasciare a casa, facendoli curare ai nonni? Capite bene che, anche per Dio, era più semplice propendere per un maschio. Tanto più, all’epoca, le donne in Palestina non erano neanche soggetti di diritto, per cui non potevano testimoniare,[1] sì che una donna che avesse proclamato la Buona Novella non sarebbe stata seguita da nessuno.

Questa cultura, però, ha portato Paolo – e la Chiesa che lo ha seguito - su una strada ben precisa. Se Dio è visto come maschio,[2] se Dio viene visto come lo sposo e il suo popolo come la sposa adultera, lo sposo è la controfigura di Dio, per cui il maschio diventa Dio; lo sposo (cioè il maschio) diventa superiore,[3] diventa santo, diventa onnipotente, diventa lontano e quando si fa prossimo incute timore[4].

Non era questa l’intenzione di Gesù. Per convincersene basta riportare qualche esempio di come la Chiesa abbia presto offuscato l’ampio spazio e il ruolo che il Gesù storico aveva dato alle donne (l’ho in parte già commentato in passato per cui mi scuso nei confronti di chi ha già sentito queste cose).

· Leggiamo il famoso episodio delle sorelle Marta e Maria (Lc 10, 38-42). Stando attenti alla lettera, notiamo che anche se i discepoli accompagnano Gesù, solo Gesù entra nel villaggio (Lc 10,38), il che significa teologicamente che essi non sono ancora in grado ai seguirlo, anche perché il villaggio è il luogo dell’incomprensione, dell’immutabile tradizione difficile da modificare. Sappiamo che all’epoca non esisteva il termine discepola,[5] eppure Maria si mette lì ad ascoltare Gesù, mentre la sorella Marta è tutta affaccendata in cucina (Lc 10, 40), perché in quella società maschilista la donna doveva lavorare, possibilmente stando nascosta e invisibile. Maria qui si comporta come il maschio di casa che accoglie l’ospite e viene per l’appunto presentata come il modello del discepolo:[6] basta ricordare quanto è importante nella Bibbia stare in ascolto. Maria, pur comportandosi come un maschio, e non come la società si aspettava, riceve l’approvazione di Gesù. Invece Marta, apparentemente presentata come la regina della casa, è in realtà schiava della sua condizione. Grande è la vittoria del potere, osserva il biblista, quando riesce a dominare le persone illudendole di essere libere, e contrabbandando aglio e cipolle per latte e miele; e per Luca la situazione di Marta è drammatica appunto perché è come quella degli schiavi contenti di esserlo[7]. E di 12 apostoli dove sono? Sono indietro, non sono neanche riusciti ad entrare nel villaggio; devono farne di strada per diventare discepoli.

· Pensiamo alla frase “fate questo in memoria di…” cosa vi rammenta? Ovviamente l’istituzione dell’eucaristia[8].

In Mc 14, 9 (l’unzione di Gesù da parte di una discepola anonima, nella casa del lebbroso Simone, con gran quantità di costosissimo nardo) si legge: «In verità io vi dico, dovunque sarà proclamato il vangelo per il mondo intero, ciò che ha fatto sarà raccontato in memoria di lei». Innanzitutto c’è un solo gesto in tutto il vangelo che Gesù chiede espressamente che venga ricordato a beneficio di tutti i posteri, e l’unico gesto che Gesù vuole che venga ricordato è questo di una donna anonima[9]. Non fa questo riferimento al mondo intero neanche quando istituisce l’eucaristia. Non lo dice per alcun gesto degli apostoli, o di qualsiasi altro uomo. Ma cos’ha di così importante questo gesto fatto da una donna? Questo gesto – come spiega Alberto Maggi - è prova della sua risurrezione (cfr. Mc 14,8), che non è una questione da risolvere a livello storico o razionalmente logico, ma è qualcosa che si può vedere solo attraverso la fede[10] della comunità: come può la comunità rendere presente Gesù nella storia che va avanti? Come se fosse un profumo che si espande nella casa e che tutti possono percepire,[11] e questo avverrà solo quando la comunità sarà pronta a spendere la vita per gli altri, in piena imitazione di Gesù. La sequela di Gesù va testimoniata, non consiste nel credere ai dogmi insegnati dal magistero. In questo episodio c’è una parte minoritaria dei discepoli che dà piena adesione a Gesù in questa sua intenzione di donare la vita (e si tratta di donne). I discepoli maschi (compresi i 12, un po’ troppo esaltati dal nostro magistero nel corso dei secoli) continuano invece a non capire l’utilità di questa morte, infatti diranno: “cos’è questo spreco per il profumo”, e abbandoneranno Gesù al suo destino. Non a caso nessun discepolo maschio sarà sotto la croce, sempre secondo il vangelo di Marco (Mc 15, 40)[12].

Ma dal racconto si deve trarre anche un ulteriore insegnamento: la donna, la creatura umana più lontana da Dio, che la religione emargina e la società disprezza, dà una risposta di vita profumando Gesù (come sappiamo, è la morte che puzza). Versare il profumo sul corpo è allora una funzione profetica sacerdotale. Quindi, con questo flash, Gesù dovrebbe produrre un lampo di luce squarciando la cultura maschilista che, con questa novità, dovrebbe di per sé sola auto-correggere la sua misoginia di allora[13]. Sennonché questa ventata di novità, che conferisce alla donna il ruolo dell’annunzio di vita, riservato ai profeti, è durato assai poco nella storia della Chiesa[14].

Da notare inoltre che Marco dice che quella donna è entrata nella casa di Simone il lebbroso, il che conferma appunto che non apparteneva al gruppo dei discepoli più stretti che già erano con Gesù in quella casa e che si sono indignati per lo spreco di denaro (Mc 14, 4); quella donna anonima sta seguendo Gesù per conto proprio, e non si identifica affatto con la comunità rappresentata da Pietro e dagli altri apostoli. Quindi Marco ci sta dicendo che questa donna sta rappresentando un gruppetto di discepoli[15] che ha capito quello che Gesù sta per fare (sta per morire), è pronto a condividere la sua stessa sorte perché questi discepoli anonimi sono ormai in grado di vivere il messaggio radicale che Gesù ha trasmesso con la sua vita, cosa che né Pietro né gli altri apostoli hanno ancora capito[16].

Infine, leggendo questo brano, dovrebbe suonare nell’orecchio un campanellino d’allarme, perché in memoria di lei (Mc 14, 9) fa da pendant per l’appunto con la frase eucaristica (Lc 22, 19: “fate questo in memoria di me,”[17] riportato anche in 1Cor 11, 25). Dunque, è stato argutamente osservato[18] che nei vangeli abbiamo in realtà due memorie: vi è la memoria di Gesù (quello che lui ha fatto per tutti), che tutti conosciamo perché ce l'hanno insegnato in riferimento ai 12 presenti all’ultima cena; ma vi è anche la memoria della donna anonima, vera credente (ciò che la donna ha fatto per Gesù), di cui quasi nessuno ha mai sentito parlare, perché non ce lo hanno mai insegnato. E mentre i vangeli intrecciano queste due memorie, mentre Gesù ha detto che solo la prima memoria (e non quella dell’eucaristia) dovrà essere ricordata dappertutto da tutti, la Chiesa le ha prontamente separate. La memoria di lei è stata rapidamente espunta e dimenticata, e la grande novità portata da Gesù è finita nell’oblio. Conseguenza di ciò? Nella Chiesa la donna ha altrettanto rapidamente perso quella posizione che le aveva conferito Gesù, e la forza dello Spirito Santo non è ancora riuscita – dopo duemila anni – a rovesciare questa barriera eretta dai maschi.

· Se si guarda al collegamento Maddalena-Magdala (in ebraico migdal significa “torre”), non è forzato dire che Maria Maddalena significasse la «alta», la «grande» o «illustre», un titolo che rivelava la sua importanza nella vita dei seguaci di Gesù. Non regge l’obiezione secondo cui i vangeli parlano di espressa chiamata soltanto per i Dodici, ma non per Maria Maddalena. È stato, mi sembra correttamente, replicato[19] che la chiamata (implicita) coincide con la sua guarigione dai sette demoni. Certamente questa Maria era presentata in questo ruolo fondamentale all’inizio della storia cristiana, fino a quando questa sua presenza in stretta associazione con Gesù cominciò a dare fastidio così profondo ai capi della Chiesa da indurli a distruggere la sua reputazione, definendola una prostituta[20]. Si è dovuto aspettare il 1969 perché, grazie al Concilio Vaticano II, nella revisione del Messale romano venisse rettificata l’immagine della peccatrice ribadendo che il giorno a lei dedicato, il 22 luglio: «Celebra solo colei a cui Cristo apparve dopo la risurrezione e in nessun modo … la peccatrice alla quale il Signore perdonò i peccati»?[21] La maggior parte dei cattolici è ancora convinta che Maria Maddalena sia la prostituta pentita. E una prostituta, seppur pentita, non può ovviamente stare alla pari con san Pietro e gli altri santi apostoli.

Inoltre, la prima persona in assoluto a parlare di Gesù risorto è stata questa donna, Maria Maddalena (Mt 28, 9-10; Mc 16, 9; Gv 20, 11-18). In Matteo, la Maddalena insieme ad un’altra donna sono mandate dall’angelo ad annunciare ai discepoli la resurrezione (Mt 28, 7)[22]. L’evangelista attribuisce a una donna, Maria di Magdala, non a Pietro, il ruolo del pastore che raduna le pecore che si erano disperse, come aveva predetto Gesù: «Viene l’ora in cui vi disperderete, ciascuno per conto suo» (Gv 16, 32). È lei, una donna, che lo va ad annunziare ai maschi, ancora chiusi in casa per paura (Mc 16, 10; Gv 20, 18). In Giovanni (Gv 20, 17), invece, è Gesù in persona a dare questo incarico a Maria Maddalena: «va’ dai miei fratelli, e di’ loro…». Dunque una donna viene espressamente incaricata di portare il messaggio della resurrezione a tutti i fratelli. E cosa è questa se non una missione apostolica? Questo incarico non viene dato a nessuno dei 12 apostoli. Lo ammette persino un papa notoriamente conservatore: “Maria di Magdala fu la testimone oculare del Cristo risorto prima degli apostoli e, per tale ragione, fu anche la prima a rendergli testimonianza davanti agli apostoli”[23]. Papa Giovanni Paolo II ha perciò ripreso l’appellativo di “apostola degli apostoli”, e anche Papa Benedetto XVI è ritornato sul titolo di apostola degli apostoli[24]. Torno a sottolineare che questo incarico che Gesù dà espressamente alla Maddalena non viene dato a nessuno dei Dodici Apostoli. Dunque, se si vuol parlare di successione apostolica nella Chiesa, essa non comincia da Pietro, perché il primo anello della catena è una donna, Maria Maddalena[25].

Nei vangeli, inoltre, viene detto esplicitamente qualcosa che non siamo abituati a sentir dire in chiesa: se in retrospettiva si parte dalla incarnazione di Cristo e si arriva alla resurrezione, si parte con una donna (Maria) e si finisce con una donna (Maria Maddalena) e non con i 12 apostoli maschi[26]. Le donne sono le grandi testimoni dell'incarnazione e della resurrezione, e fra le donne Maria di Magdala ha il ruolo che compete a Pietro fra gli apostoli[27].

· Numerose altre volte dai vangeli emerge un primato delle donne, cosa che normalmente non ci viene fatta notare in chiesa. Sappiamo che il primo divulgatore della Buona Novella è il lebbroso guarito (Mc 1, 45). Ma questo lebbroso annuncia la buona notizia fra i giudei. La prima missionaria in terra non giudaica è la samaritana incontrata da Gesù al pozzo (Gv 4, 28-30; 4, 40-41). Cosa avevano fatto nel frattempo i 12 apostoli? Niente. Erano andati in città a far compere, a svolgere incombenze – queste sì – secondarie. Sicuramente non avevano evangelizzato nessuno, mentre la samaritana tornando in città porta il pane di vita eterna.

Ma non basta ancora, perché Gesù ha fatto ancora molto altro per le donne:

a) Guardiamo all’episodio dell’emorroissa (Lc 8, 43ss.). Per la legge divina di allora, ogni ammalato era impuro (Lv 13, 1ss.); la donna, poi, era impura già per conto suo (cfr. Lv 12 e 15); inoltre questa donna, perdendo sangue che è vita, è come se stesse perdendo la vita. Pertanto, se Gesù fosse stato veramente una persona pia e religiosa, osservante della legge generale e astratta, l’avrebbe dovuta evitare come la peste, visto che la legge religiosa sosteneva che toccandola ne sarebbe stato a sua volta contaminato (vedasi ad es. Lv 14, 46; 15, 19-24). Gesù invece capovolge la previsione di legge divina: tocca la donna impura e anziché restare contaminato la guarisce.

b) Nell’episodio dell’adultera colta in flagrante (Gv 8, 1ss.), per la quale la legge prevedeva la pena di morte, Gesù capovolge di nuovo la legge divina, e perdona l’adulterio femminile senza neanche chiedere alla donna se si è pentita. A differenza di tanti confessori moderni, nemmeno indaga sul come, sul perché, né va a frugare per dettagli scabrosi. «Va e non peccare più» (Gv 8, 11). Tutto qui. Ma anche qui, il termine “peccare” non rende in senso dell’invito. Sappiamo che peccare significa mancare il bersaglio: quindi Gesù non invita a smetterla di andare con altri uomini perché è sposata, ma a rendersi conto che l’amore nella vita è altra cosa, che occorre centrare il bersaglio.

c) Nell’episodio della prostituta (Lc 7, 36-50), in cui Gesù si lascia toccare, baciare, creando scandalo nel padrone di casa e fra gli altri commensali, viene semplicemente cancellato quello che per la Chiesa è il peccato dei peccati: quello sessuale. «Ha molto amato» (Lc 7, 47) la giustifica Gesù. Chi ha amato? Non evidentemente chi la pagava per servirsi del suo corpo, permettendole così di sopravvivere. Ha molto amato Gesù. Siamo davanti ad un esempio in cui l’amore venale viene trasformato in personificazione dell’amore gratuito. Quando Gesù pronuncia queste parole, non ha ancora perdonato la prostituta (Lc 7, 48), quindi non è il sapersi perdonata che ha fatto scattare nella donna l’amore verso Gesù.

Sono tutti episodi che dimostrano come, duemila anni fa, Gesù ha combattuto contro tanti tabù che inchiodavano le donne in una posizione subalterna al maschio[28]. E non è male ricordare che molti dei numerosi femminicidi che abbiamo in Italia, fino a circa quarant’anni fa sarebbero passati come delitti d’onore (o per lo meno gli avvocati avrebbero cercato di farli passare come tali). Anche l’abolizione di questa ‘tradizione’ secolare non è merito della Chiesa, ma dello Stato laico. Il debito della Chiesa verso i vangeli e verso le donne sembra ancora notevole.

d) Nel vangelo di Luca (Lc 13, 10-13), al posto del biblico popolo piegato in Egitto c’è una donna piegata in una sinagoga[29]. Di fronte all’indignazione del capo della sinagoga perché Gesù, tanto per cambiare, ha effettuato la guarigione di sabato violando ostentatamente davanti a tutti i fedeli la legge voluta da Dio, Gesù spiega a tutti cosa ha fatto: “Se questa donna è una figlia di Abramo, non doveva essere sciolta anche lei?” (Lc 13, 16) sottintendendo “come Dio ha sciolto Isacco”. È anche chiaro che il raddrizzamento della donna che torna eretta non è guarigione da un’infermità fisica, visto che nella spiegazione Gesù parla di sciogliere una donna legata, ma è liberazione da un demone; il demone per le donne è il maschilismo segregante, infatti non appena sciolta la donna comincia a proclamare che Dio libera (Lc 13, 13)[30]. Anche qui, se la donna perdesse la memoria della sua liberazione, tornerebbe a piegarsi sotto il peso della tradizione.

e) Leggiamo ora Mt 8, 14-17: «Entrato Gesù nella casa di Pietro vide la suocera di lui che giaceva con la febbre. Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo».

Gesù che è la manifestazione di Dio vitale e creatore, ridona vita là dove c’è l’infermità. Dunque, toccandola, Gesù comunica vita, la donna viene guarita, e per prima cosa «si mise a servirlo» (Mt 8, 15). Come mai l’evangelista non adopera il plurale? Come mai, se la donna è guarita e può tornare alle sue faccende domestiche, non serve anche gli altri uomini in casa, gli apostoli? Siamo nuovamente davanti a un racconto teologico e non storico, tutto a favore delle donne. Il verbo greco usato, da cui poi deriva la nostra parola “diacono” (diakonìa significa servizio), è un termine tecnico che indica il servizio-sequela di Gesù. Il seguace di Gesù si pone a servizio degli altri, ma nel Vangelo di Matteo questo termine è particolarmente interessante perché l’evangelista l’aveva già usato dopo che Gesù aveva superato le prove nel deserto: «ed ecco gli angeli gli si avvicinarono e lo servivano» (Mt 4,11). Dio era considerato inavvicinabile e inaccessibile nell’alto dei cieli. Nella mentalità di allora c’erano 7 cieli; al terzo c’era il paradiso (2Cor 12, 2-4); al di sopra del settimo cielo c’era Dio (ancora oggi diciamo di essere al settimo cielo quando siamo molto felici). Attorno a Dio c’erano 7 angeli (Tb 12, 15), chiamati gli angeli del servizio divino che avevano l’unico compito di glorificare e lodare il Signore (vedi anche Ap 8, 2, dove i 7 angeli del servizio provengono dalla tradizione ebraica). Nel deserto, dopo la faticosa prova, gli angeli che servono Dio servono ora Gesù. In questo episodio l’evangelista afferma che la donna, ritenuta dai maschi la più lontana da Dio, compie lo stesso servizio che era prerogativa esclusiva e privilegio degli esseri ritenuti più vicini a Dio, cioè gli angeli del servizio.

Dunque, non solo – come si è visto sopra - sono le donne ad accogliere e rispondere al messaggio di Gesù ben prima degli uomini, ben prima di Pietro e degli apostoli, ma Gesù attribuisce alla donna la stessa dignità dell’angelo. In soldoni, visto che l’angelo è superiore all’uomo, si mette in evidenza una superiorità della donna sull’uomo. Inaudito e inaccettabile per tutti i macho-men di allora, e probabilmente anche per tanti uomini di oggi che, al più, sono capaci di vedere un’angelicità della donna solo finché è vergine. Invece fin dall’inizio la partita volge già 1 a 0 a favore delle donne. E poi prosegue su questo binario, ma gli uomini – e quel che è peggio gli uomini di Chiesa – non ne hanno mai voluto sapere. Il magistero, fatto da soli uomini, ha arbitrato la partita ma non restando neutrale, bensì parteggiando per la squadra dei maschi.

f) Senza la pretesa di voler esaurire tutti i punti evangelici che segnalano la preminenza delle donne, segnalo quest’altro punto assai significativo: i vangeli sono pieni di nemici di Gesù; però stranamente si deve notare che nessuna donna (neanche la moglie di Pilato – Mt 27, 19) è nemica di Gesù. Sembra proprio che le donne arrivino alla fede per intuizione ben prima degli uomini. Ciononostante la Chiesa le ha estromesse da ogni incarico di un certo rilievo.

· In Luca 11,27 leggiamo: “Mentre diceva questo, una donna alzò la voce in mezzo alla folla e disse: beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” Voleva essere un complimento per la madre di Gesù, ma come ha osservato il biblista Alberto Maggi, la risposta di Gesù è un rimprovero: “beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano e la mettono in pratica”. Quindi Gesù non accetta che nella società si riduca la donna a una fattrice, a un oggetto, a una merce per procurare figli al marito. Questo, Gesù non lo ritiene accettabile nella comunità. Per cui, che una donna procrei, abbia figli o non abbia figli resta degnissima come un’altra, cioè non è più la procreazione quello che deve distinguere il ruolo della donna all’interno della comunità, all’interno del matrimonio,[31] all’interno del regno, ma il suo ruolo è di compiere la volontà del Padre, alla pari con tutti i maschi.

Quest’osservazione è estremamente importante perché per la donna l’unica possibilità per ottenere un minimo apprezzamento era quello di sfornare figli. Gesù restituisce alla donna la dignità della Genesi: ‘uomo e donna li creò’ (Gn 1, 27), contemporaneamente e in piena uguaglianza. Da notare per l’appunto, che in Mt 19, 4, Gesù riprende proprio questa versione della creazione dell’uomo, e non quella più conosciuta in cui Eva viene tratta dalla costola di Adamo (Gn 2, 21), il che comporta la superiorità del maschio.

Il messaggio di Gesù era troppo avanzato per la società di allora, che non era pronta a un’uguaglianza vera fra uomo e donna. Lo siamo noi oggi? Non credo, e se oggi non accetteremmo ancora facilmente una Figlia di Dio inviata sulla terra, immaginarsi duemila anni fa.



NOTE


[1] Ravasi G., I teli e il sudario tra i segni della resurrezione, “Famiglia Cristiana”, n.2/2014, 102.

[2] Non a caso nella nostra religione non abbiamo un padre e una madre, perché per secoli Dio lo abbiamo rappresentato sempre e solo come padre. La carenza del femminile in Dio è supplita nel cattolicesimo con l’immagine della Madonna, che rappresenta ciò che non si può trovare nel padre. Il padre che s’impone e giudica, resta a distanza; noi possiamo avvicinarci solo alla madre, tant’è che nelle processioni si porta in baldacchino la Madonna, mai Dio Padre (Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 168s.).

Oggi pensiamo che in Dio dovremmo trovare sia l’amore saldo e sicuro del padre (Is 59, 16), sia quello gratuito e totale della madre (Is 49, 15-16), come ha osato affermare per la prima volta solo Giovanni Paolo I appena nel 1978: «noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile: è papà, più ancora è madre» (Riportato in Madre nostra dove se nei cieli?, in “La Repubblica”, 43).

[3] Così la teologa Mary Daly, richiamata da Sebastiani L., Coscienza, libertà profezia di fronte alla legge, in A partire dai cocci rotti, ed. Cittadella, Assisi, 2001, 180 s.

[4] Maggi L., Altissimo, potentissimo, tremendissimo, “Rocca”, n.6/2012, 56.

[5] Ai tempi di Gesù non esisteva la discepola, ma solo il discepolo maschio, tanto che nella lingua ebraica non esiste un termine per indicare discepolo al femminile (Maggi A., I volti delle scritture – Donne fra fede e sacrilegio, conferenza tenuta a Vicenza nel 2009, in www.studibiblici.ti/Scritti/Conferenze).

[6] Maggi A., Le cipolle di Marta, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 86.

[7]Maggi A., Le cipolle di Marta, ed. Cittadella, Assisi, 2007, 86ss. E pensiamo a quante donne credenti sono ancora oggi contente del proprio ruolo subordinato che svolgono all’interno della Chiesa, perché così pensano di seguire fedelmente le indicazioni di Gesù, mentre seguono solo le indicazioni dei preti.

[8] Garbini G., Vita e Mito di Gesù, ed. Paideia, Brescia, 2015, 131: se le donne accompagnavano Gesù e lo hanno seguito fino al Calvario, è chiaro che anche loro erano presenti all'ultima cena, soprattutto se si trattava di una cena pasquale, alla quale partecipava tutta la famiglia. Alla cena pasquale ebrea partecipavano tutti, anche le donne.

Dopo che Gesù è stato sepolto, Maria Maddalena va alla tomba e pensa che l’uomo visto sia il giardiniere (non aveva l’aureola). Invece quando quest’uomo la chiama per nome (Maria) lei subito riconosce Gesù. E proprio a lei Gesù affida la notizia della risurrezione in una società le donne non potevano neanche testimoniare in giudizio. Perché la donna non potrebbe presiedere all’eucaristia? Da dove si ricava che Gesù ha escluso le donne dai ministeri? Quando Gesù equipara la donna agli angeli, cerca di togliere la religione dalle mani dei sacerdoti maschi: non ci è riuscito.

Insomma, in base ai Vangeli, la donna sembra essere più del prete: è l’annunciatrice della comunità, come risulta dalla samaritana al pozzo, e da Maria di Magdala che viene inviata da Gesù dopo la resurrezione.

[9] Nel vangelo di Giovanni, è Maria, sorella di Lazzaro, che versa il profumo, mentre Marta – come al solito,- è indaffarata a servire il pranzo (Gv 12, 2-3). Ma ricordiamo che Maria è indicata nell’episodio precedente come il modello di discepola, così come lo è la donna anonima. E tutti possiamo identificarci nel personaggio anonimo, e quindi diventare perfetti seguaci di Gesù.

[10] La risurrezione non può essere dimostrata con argomenti storici perché ciò che accade dopo la morte non è più storia. San Paolo ha detto che se Cristo non è risorto la nostra fede è vana (1Cor 15, 14); ma così ha cercato di dimostrare un fatto storico mediante la fede. L’unico fatto storico è la fede dei discepoli.

[11] Maggi A., Roba da preti, Cittadella, Assisi,2003, 105ss.

[12] Maggi A., Come leggere il Vangelo e non perdere la fede, ed. Cittadella, Assisi, 2009, 154s.

[13] All’opposto del Gesù storico, è la dottrina di Paolo ad aver preso piede nella Chiesa: «Voglio che sappiate che capo di ogni uomo è Cristo e capo della donna è l'uomo e capo di Cristo è Dio...L'uomo non deve coprirsi il capo, essendo immagine e gloria di Dio, mentre la donna è gloria dell'uomo. Poiché non l'uomo deriva dalla donna ma la donna dall'uomo; né l'uomo fu creato per la donna ma la donna per l'uomo. Per questo la donna deve portare un segno di dipendenza sul capo» (1Cor, 11 3; 11, 7-10). «Le donne siano soggette ai loro mariti come al Signore, poiché l'uomo è capo della donna come anche il Cristo è capo della chiesa, lui, il salvatore del corpo. Ora come la chiesa è soggetta al Cristo, così anche le donne ai loro mariti in tutto» (Ef 5, 22-25).

Anche per i musulmani «Gli uomini sono un gradino più in alto (delle donne), e Dio è potente e saggio» (La Sura della vacca, II, 228). «Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle; le donne buone sono dunque devote a Dio e sollecite della propria castità, così come Dio è stato sollecito di loro; quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele» (La Sura delle donne, IV, 34).

[14] Perché la donna fa tanta paura nella chiesa? Perché è la cosa più vicina a Dio e alla vita. Alla donna è affidata la custodia e la cura della vita in modo del tutto speciale. E il nome di Dio è Colui che si prende cura (Buccheri L., intervista a Ermes Ronchi, in “Fraternità di Romena”, n.4/2010, 21).

Eusebio di Cesarea, Storia della Chiesa,Libro VIII, cap.14, in www.documentacatholicaominia.eu, riporta che l’insegnamento della Parola Divina avveniva all’inizio sia attraverso donne che uomini. Dunque, nel primo periodo, lo Spirito Santo poteva parlare attraverso chicchessia. Ma via via che il cristianesimo s’inquadrò in una leadership gerarchica, vennero accettati i criteri generali della società, nella quale i maschi sono i leader, mentre le donne vengono rapidamente silenziate. La Chiesa si adegua a Paolo, il quale aveva sostenuto che le donne devono tacere in assemblea (1Cor 14, 34).

[15] Ricordo che ai tempi di Gesù non esisteva la discepola, ma solo il discepolo maschio, tanto che nella lingua ebraica non esiste un termine per indicare discepolo al femminile (Maggi A., I volti delle scritture – Donne fra fede e sacrilegio, conferenza tenuta a Vicenza nel 2009, in www.studibiblici.ti/Scritti/Conferenze).

[16] Nel Vangelo di Giovanni la donna non è anonima, ma è Maria (vedi nota 9); ma anche il quarto evangelista ripete qualcosa di analogo a proposito degli apostoli: «Non avevano compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20, 9). C’è sempre questa incomprensione fra Gesù e il gruppo dei dodici che pur l’hanno seguito da vicino fin dall’inizio.

[17] Fare qualcosa in memoria di Gesù non è ricordare solo quello che lui ha fatto duemila anni fa. È rivivere nella nostra vita quello che egli ha vissuto, assumendo i valori evangelici, disposti a dare il nostro sangue e la nostra vita perché gli altri abbiano la vita. Chi non è pronto a dare la vita per coloro che non hanno accesso alla vita stessa non dovrebbe avere diritto ad accostarsi alla mensa eucaristica (altro che impedirlo ai divorziati o agli omosessuali!). C’è comunione con Gesù se c’è impegno di giustizia verso i più poveri, perché – come dice Giovanni (1Gv 4,20) - “chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (in http://paroledivita.myblog.it/2010/06/19/fare-comunione-frei-betto/). In altre parole, il richiamo a una semplice memoria del passato vuol dir solo “sapere”; invece la convinzione di voler vivere come visse Gesù, che sfocia in una condotta e in un modo di vita nuovo, è vera fede (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 44).

[18] Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[19]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[20] Spong J.S., Il quarto Vangelo, ed. Massari, Bolsena, 2013, 326s.

È stato papa Gregorio Magno, nel VI secolo, che ha cominciato a identificare Maria con la peccatrice (Gregorio Magno, Omelia, II, XXXIII, 1, in Opere di Gregorio Magno, II. Omelie sui Vangeli, a cura di Cremascoli G., ed. Città Nuova, Roma 1994, 422-423). cfr. anche Gregorio Magno, Lettera, VII, 22, in Opere di Gregorio Magno, V/2. Lettere, a cura di Recchia V., ed. Città Nuova, Roma 1996, 450-453.

[21] Calendarium Romanum generale (cioè il calendario liturgico ufficiale della Chiesa Cattolica), Roma, giorno 22 luglio.

[22] Anche in Marco (Mc 16, 7) la Maddalena insieme ad altre due donne viene mandata dall’angelo ad annunciare ai discepoli la resurrezione. Anche in Luca sono sempre la Maddalena insieme ad altre donne ad annunciare per prime la resurrezione (Lc 24, 9-10). Le donne sono le prime a credere alla resurrezione. Gli apostoli, invece, all’inizio non ci credono (Lc 24. 11).

[23] Giovanni Paolo II, Lettera 15.8.1988, Mulieris dignitatem, 16, in www.vatican.va.

[24]Le donne al servizio del Vangelo, udienza generale 14.2.2007, in www.vatican.va.

[25]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[26] Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013)

[27] Daniélou J., La risurrezione, ed. Borla, Torino, 1970, 16.

[28]Ricca P., Gesù e le donne nei vangeli, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[29] E qui, a conferma dell’inesauribile ricchezza dei vangeli, si può cogliere una chicca, perché la sinagoga, lo spazio sacro dove ci si dedica a Dio, la chiesa di allora, viene equiparata all’opprimente Egitto.

[30] Maggi L., Le donne nella chiesa, ieri e oggi, relazione tenuta al Centro Schweitzer A. di Trieste, l’8.11.2013.

[31] Ancora nel XX secolo veniva condannato dal Sant’Uffizio il libro del tedesco Doms Herbert il quale aveva osato affermare che finalità principale del matrimonio non era la procreazione, bensì la comunione profonda degli sposi (riportato da Sebastiani L., Coscienza, libertà profezia di fronte alla legge, in A partire dai cocci rotti, ed. Cittadella, Assisi, 2001, 189).