Foto di Paola Cazzaniga





...Voglio vivere così!


di Miriam Camerini



Quanto mi piace questa vita qua, quanto l’ho portata nel cuore per mesi (non voglio dire “mi è mancata”, perché non è del tutto vero: ho goduto moltissimo anche questo tempo diverso), ma ero certa che sarebbe tornata, che avremmo ricominciato a vivere così.

Questa settimana sono tornata a cantare e a parlare in giro per l’Italia, ho ricominciato ad attraversare la penisola che amo, in treno, da sempre uno dei miei mezzi di locomozione prediletti, sparandomi con nonchalance un Milano - Salerno - Vicenza che a me passa via veloce come a un’altra tre fermate di metro.

E’ stato bello riprendere quella routine di piccole – grandi cose: il volontario col nome al collo che ti aspetta sorridente in stazione, due chiacchiere nel breve tragitto fino all’albergo per sapere come sta andando quest’anno il festival, se c’è gente, come risponde la città, che cosa dicono i giornali. Il trolley da aprire in camera, il vestito “buono” (quello per lo spettacolo” da appendere nell’armadio, l’aria condizionata da spegnere, le finestre da aprire, vedere se danno sul campanile o sul cortile. Guardare il programma, uscire, ritrovare le amiche e gli amici, andare a conoscere la relatrice e l’artista nuovi che ti intrigano, cenare sotto le stelle a tarda sera e fare pranzi lunghissimi e pieni di parole, chiacchiere, idee nuove che poi porterai a “casa”, ovunque essa sia. La promessa di ritrovarsi presto, chissà dove, fare altre cose assieme. Questa settimana sono tornata “a casa”, per circa un giorno e mezzo: ho fatto due pomeriggi di prove a Milano con il mio amico e chitarrista di una vita Manuel Buda: pur non lavorando assieme dal vivo da tempo, i video concerti/lezioni ci hanno tenuti vicini, ci siamo poi ritrovati a Zurigo poche settimane fa - non ci vedevamo da Dicembre - ma la sensazione è sempre quella di non essersi lasciati un giorno: il tempo di un abbraccio e si sta già suonando assieme. Venti e passa anni di amicizia e di lavoro sono forti, più forti dei teatri chiusi e dei concerti annullati, della mia partenza per la Francia e poi per Israele, come della sua per Croazia e Ungheria. Avevamo un programma nuovo da preparare per un bel festival letterario a Salerno: avevo deciso di dedicarlo a storie e canzoni di cibo e di seduzione nella Bibbia... Eva che si lascia facilmente incuriosire dal serpente, spirito di vita e desiderio di azione, più che impulso malvagio. Il frutto non è una mela, ma il desiderio di conoscere, interpretare, scegliere. Non a caso, sapere / conoscere, ossia ladàat, in ebraico significa anche amare, unire le carni e gli spiriti. Il Cantico dei Cantici ci fa – giustamente – da “colonna sonora”: molte delle canzoni che scegliamo per accompagnare la mia narrazione sono tratte da lì, melodie sul testo del Cantico, composte in Israele fra gli anni ’40 e ‘50 – in alcuni casi quindi anche prima della fondazione dello Stato nel ’48, nel tentativo di “inventare” una tradizione musicale “mediorientale” per un Paese che la geografia ha collocato fra Mediterraneo, Negev e Sinai, ma la cui anima musicale pulsa di Bach, Brahms, Schubert, Smetana, Stravinsky..

La serata salernitana è dolce, la luna è piena, la piazza sembra una cartolina di bellezza del Sud. Bello, bello bello stare di nuovo sul palco, in Italia, fra la gente che ascolta e suda, ride e bisbiglia, sogna e guarda il cellulare, pensa al gelato che si prenderà ancora fra poco, in piazza, prima di andare a dormire.

Da Salerno arrivo a Vicenza in tempo per lo Shabbat. In treno Manuel e io ci siamo mangiati pane, pomodori e mozzarelle, scarole cotte con capperi e olive, torte di fiori di zucca: il baccalà già mi strizza l’occhio, ma lasciando il sud uno ha sempre quella tentazione di portarsi via le provviste per una settimana intera, come se altrove non ci fosse da mangiare, non così bene, almeno. A Vicenza ritrovo amici che non vedo da un anno o più, che è bellissimo ritrovare... Persone che qui mi hanno sentita cantare o parlare oramai due anni fa, che hanno seguito in video le mie lezioni dell’ultimo anno. Con Davide Assael, amico, filosofo, conduttore del bel programma di Radio 3 (sempre sia lodata!) Uomini e Profeti, parliamo, sotto le stelle, a Shabbat uscito, di che sia la fratellanza nel testo biblico e nei commenti rabbinici: parlo in particolare di Giuseppe che cerca i suoi fratelli, i quali però – come gli dice l’angelo – “sono usciti da questo”, cioè appunto dal senso di fraternità che dovranno reimparare a costo d’esilio. L’esilio è d’altra parte da sempre il prezzo della rottura della fratellanza, castigo di Caino che uccide Abele a seguito di quella conversazione fra i due interrotta un giorno nel campo, di quelle parole che non sapremo mai. Anche i fratelli di Giuseppe non sanno più parlargli “in pace”, troppa è l’invidia per quella tunica speciale, troppa la gelosia per l’amore sproporzionato del padre Giacobbe. Il libro dell’Esodo però completa e redime la Genesi, e lì saranno due fratelli e una sorella che invece collaborano e si sostengono, Aronne, Miriàm e Mosè, a trarre il popolo dall’Egitto, ripristinare la fratellanza e forse – finalmente – far tacere quel sangue di Abele che ha gridato scoperto al cielo per tutta la Genesi. “Io cerco i miei fratelli”, dice Giuseppe una mattina uscendo da una casa che non rivedrà più: “Forse allora è solo lasciando la casa che si può inventare una nuova relazione di fraternità vera perché scelta”, mi suggerisce Davide.

Per me oggi allora tornare a casa è questo; non un luogo fisico, ma una condizione dell’anima: tornare a fare il mio lavoro, dal vivo, con le persone, in giro per il Paese che amo.


Foto di Paola Cazzaniga