Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Immagine tratta da commons.wikimedia.org


Viaggio in Italia


di Stefano Agnelli


***


23. Supermercati, scuole, Ucraina e Palestina

Stasera la mente vacilla, sospesa tra un desiderio impellente di leggerezza e il dolore. Un dolore profondo, costante, che si rinnova ogni volta che guardo il mondo. Ciò che sta succedendo in Israele, in Ucraina, nel Mediterraneo o in molte altre zone del pianeta, è mostruoso, disumano, ma le ragioni profonde, sono qui, tra noi. Basta guardarsi attorno. Nelle strade, tra la gente, nei bar o nei supermercati. Oramai si vedono solo tracce di umanità, qualche raro gesto di gentilezza: nessuno o quasi, agisce tenendo presente che, attorno a lui, esistono anche gli altri. Una gigantesca sommatoria di gesti individuali sembra dominare le nostre esistenze. Come il carrello lasciato al centro della corsia, tra gli scaffali del centro commerciale, mentre il momentaneo proprietario legge etichette, sceglie tra decine di marche – sinfonia compiuta dello spreco – un sacchetto di pasta, una scatoletta di tonno, un pacco di carta igienica. Ogni volta che affronto una coda in automobile, so già che ci saranno uno o più guidatori che salteranno la fila, arrivando più avanti possibile per poi inserirsi, causando proteste, rabbia e disagio. La maggior parte degli avventori dei bar entrano e non salutano più: ordinano direttamente, come se davanti avessero il nulla, o un automa messo lì soltanto per servire, non una persona come lui. Gli esempi potrebbero continuare, numerosi. Abbiamo smesso, o forse non abbiamo mai veramente iniziato, di far capire agli altri quanto ci sono necessari, per la nostra esistenza, per il nostro equilibrio. Forse perché non è un dato acquisito, almeno per la maggioranza delle persone. Inutile aspettarsi che il massacro di Gaza si fermi, che Putin decida di ritirarsi o che Hamas liberi gli ostaggi, quando non siamo capaci di rispettare il prossimo - che dovremmo amare - nemmeno nei piccoli gesti quotidiani. Permettiamo alla contingenza, alla fatica di ogni giorno, di trasformare le nostre menti ed i nostri cuori, dimentichiamo che abbiamo non il diritto, ma il dovere di essere felici, oggi più che mai, e di rendere evidente questa condizione. Dobbiamo imparare a guardare gli altri come fratelli, uscire da noi stessi e tornare ad impollinare il reale di solidarietà, casa per casa, strada per strada.

Ogni giorno vado in classe sapendo che dovrò lottare contro l’apatia e l’indifferenza degli alunni, in costante crescita negli ultimi vent’anni. A volte sembra difficile emozionarli, occorre usare stimoli sempre diversi, continui. Noto che abbandonano l’adolescenza - o per meglio dire l’infanzia - sempre più tardi, almeno nella gestualità, nei rapporti interpersonali. Maturano invece più in fretta, e quindi in modo poco accurato e sbilenco, opinioni approssimative e poco profonde – ad eccezione di alcuni – sul mondo che li circonda, a cui sono molto attaccati e difendono con caparbietà. Tipico dell’età, indubbiamente, ma questo processo pare aver accelerato: le opinioni sono sempre più elementari, con poca o nessuna voglia di approfondire, e vengono abbandonate molto più tardi. Abbiamo infatti meravigliosi trentenni: aperti, colti e con grandi capacità di adattamento, ma soltanto se hanno continuato gli studi, conseguendo almeno una laurea triennale. Disponiamo di fantastici giovani cittadini del mondo: dottorandi o ricercatori nelle Università di tutto il pianeta, membri attivi di ONLUS ed organizzazioni internazionali. Noto con piacere anche l’esistenza d’un certo ritorno alla terra, facendo spesso vita comune, con uno spirito ben più costruttivo e rivolto interamente all’ambiente, al recupero di tradizioni e colture antiche, rispetto agli anni Settanta del trascorso Novecento.

Eppure la sensazione che mi ha spinto a scrivere queste poche righe rimane. Come se fossimo fermi, in una stasi assurda e squalificante, dove ogni movimento positivo dei singoli viene assorbito dalle cattive abitudini sociali della massa. Così non andiamo da nessuna parte, ed in questo sono molto radicale: bisogna ripartire dal basso, dalla base: oggi più che mai, o ci salviamo tutti o non si salverà nessuno.