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Il Papa e il Presidente, Comunista

di Stefano Sodaro



 

Scrive il Vescovo di Trieste, mons. Enrico Trevisi, nella sua prima Lettera Pastorale, Guardate a Lui e sarete raggianti, presentata questo pomeriggio all’intera Comunità Diocesana, nel commentare la programmazione a Trieste della prossima Settimana sociale dei Cattolici in Italia, dal 3 al 7 luglio 2024: A Trieste. Perché Trieste è ponte verso l’oriente e verso il nord Europa. Perché Trieste è confine che segna l’incontro tra popoli e religioni. Perché Trieste è periferia che spalanca al futuro di speranza per tanti profughi. Perché Trieste è città della scienza con la quale interagire per un umanesimo nuovo, di cui il Vangelo per noi resta il fondamento. Perché Trieste ha una storia di ferite che possono diventare laboratorio di pace e di giustizia. Perché Trieste è una bella Città. (n. 16).

Il Papa, argentino, va ad omaggiare il feretro dell’ex Presidente della Repubblica Italiana, il comunista Giorgio Napolitano. Non fa neppure un segno di croce, in rispetto della sua laicità. La Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, il segno di croce invece se lo fa con tanto di bacio finale.

Due mondi opposti. Due universi paralleli. Due visioni – bisogna riconoscerlo – incompatibili del rapporto tra fede e politica.

La Settimana sociale dei cattolici non ha – non dovrebbe avere – niente a che spartire con devozionismi para-religiosi di varia foggia e misura.

Ma che il Papa vada a salutare il Presidente Comunista defunto è una affermazione di profezia evangelica ad ogni costo che getta nel panico gagliardetti, “Noi vogliam Dio” a squarciagola e pasdaran dei presunti valori non negoziabili. Sembra che il Papa lo faccia apposta a dire dove porta il Vangelo costi quel che costi.

Altroché rintanamento dentro le chiese, fosse pure per ascoltare lui stesso, Vescovo di Roma: “Quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”

Noi abbiamo visto chi stava male, non la Gloria di Dio ed è invece Lui a ribadirci che non ha nessunissima importanza.

Paolo VI non avrebbe avuto difficoltà a scrivere una storia dettagliata del cosiddetto “dissenso cattolico”. Giovanni Paolo II probabilmente neppure sapeva cosa fosse e Benedetto XVI ne avrebbe chiosato non bene, diciamo così.

Francesco scrive la propria giornata con un gesto assolutamente unico nella storia repubblicana d’Italia. Esce dal Vaticano e va al Quirinale. Proprio il giorno del Signore – come si premurano, stizziti, di sottolineare gli avversari tradizionalisti del Papa latinoamericano -, perché nel giorno del Signore, la domenica, si può scoprire che il Vangelo e la Costituzione sono due riferimenti entrambi imprescindibili per i cattolici viventi nella città dell’uomo. Anche a Trieste, così bella.