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Dio Padre, del Guercino (1591-1666), Museo Nazionale di Varsavia- immagine tratta da commons.wikimedia.org





Credo in Dio Padre Onnipotente

di Dario Culot

Semplificando e riassumendo al massimo il pensiero cristiano tradizionale, la Chiesa, per spiegare Dio e sé stessa, ha usato un linguaggio accettato tranquillamente quasi da tutti, quanto meno nei primi quindici secoli, perché tutti erano imbevuti della stessa cultura. Il ragionamento era il seguente[1]:

(a) il nostro mondo che ben conosciamo (con la terra al centro dell'universo) è dipendente da un altro mondo perfetto, che sta in cielo al di sopra del nostro e che chiamiamo soprannaturale. Da quel mondo sito sopra di noi, il Creatore da subito interagiva col mondo da Lui creato in sei giorni, restando però fuori del nostro mondo e al di sopra di esso. Da quel suo mondo per noi irraggiungibile Dio può a suo piacimento intervenire nel nostro mondo, sovvertendo le leggi naturali e compiendo miracoli. Nella realtà, dunque esistono due mondi: il nostro di quaggiù, l’unico visibile, che però è totalmente dipendente da quello lassù di Dio. Anche quel mondo di lassù, però, è strutturato un po' come il nostro, con un Sovrano molto più potente dei nostri sovrani, circondato da una corte di angeli e santi. Questo Sovrano, al pari dei sovrani terreni, emana leggi, controlla che vengano osservate, punisce chi le viola e ricompensa chi le osserva, e per questo nella Bibbia ci s’imbatte spesso in questo Dio onnipotente, severo ma giusto, che però finisce con lo schiacciare gli uomini.

Questo Sovrano è onnipotente perché può fare tutto ciò che vuole nel nostro mondo, in barba alle leggi naturali, ma per noi resta inaccessibile; conosce ogni cosa, anche i nostri pensieri più nascosti (una specie di Grande Fratello al quale nulla sfugge); ci ha rivelato delle regole che dobbiamo osservare per il nostro bene, e sappiamo anche che disobbedendo alle sue leggi suscitiamo la sua ira. È bene quindi aver paura di questo Signore, che è benevolo, ma... Attraverso preghiere, suppliche e sacrifici possiamo cercar di placare la sua collera, quando l’abbiamo offeso. Se invece viviamo obbedienti ai suoi insegnamenti, dopo morti, saremo accolti in quel suo mondo e saremo felicemente beati.

Dunque, con la parola “Dio” si aveva davanti agli occhi (e ancora oggi molti credenti pensano allo stesso modo) l’immagine di un essere personale[2], onnipotente, santissimo, intronizzato con pompa magna in un mondo separato che chiamiamo Cielo, che governa dall'esterno anche sul nostro mondo con un potere assoluto. Da questo secondo mondo perfetto il suo Sovrano gestiva e guidava, ricompensava e puniva le azioni dei mortali di quaggiù[3]. Con simile idea questo Dio doveva per forza essere compreso a partire dal potere, dal trono[4] dalla forza che impressiona, dall’autorità che si impone e che comanda, dalla minaccia che intimorisce e fa paura[5]; e proprio in tal senso essendo Dio al massimo livello di ogni potere era anche definito l’Onnipotente[6] (Ap 1,8)[7]. Per chi non avesse ancora ben capito, il catechismo di san Pio X precisava appunto che onnipotente significa che Dio può fare tutto ciò che vuole[8].

Questa visione era stata facilitata dal fatto che l’uomo di quel tempo non sapeva come spiegarsi altrimenti il verificarsi di molti fenomeni terrestri, e avendo pur sempre l'intuizione della trascendenza, questa intuizione si rafforzava ogni qualvolta l'uomo si scontrava con fenomeni che lo rendevano cosciente della propria impotenza e debolezza di fronte a una potenza superiore, che doveva per forza appartenere a un altro mondo, visto che in questo mondo non se ne vedeva prova toccabile con mano[9]. Sicuramente i predicatori del passato avevano poi facile gioco quando dicevano che l’uomo è un gran peccatore, sempre colpevole, e annunciando conseguentemente tremendi castighi divini erano in ciò confermati da continue sventure collettive (guerre costanti che duravano anche per generazioni, desolazione delle campagne, frequenti pandemie di peste, terremoti, eccetera). L'uomo ha probabilmente un bisogno innato di attribuire terremoti, siccità, carestie, malattie, invalidità a regolatori soprannaturali della casualità apparente, a fattori inspiegabilmente ostili nei suoi confronti, e per auto-proteggersi cerca allora d’instaurare relazioni buone con questi ipotetici fattori soprannaturali. Ipotizzando l'esistenza di entità soprannaturali l'uomo si consola e attenua la paura procuratagli dall'ignoranza. Qualunque male minacci l'uomo, se ha causa o amministrazione soprannaturale, allora gli stessi fattori soprannaturali che lo provocano e lo permettono è logico che abbiano anche la forza per impedirlo. Perciò l'uomo cerca in tutti i modi di propiziarsi questi fattori[10].

(b) Poi ci è stato sempre spiegato che circa 2000 anni fa Gesù, vero Dio, è disceso dal Cielo sulla nostra terra nascendo in forma umana da una vergine, per risalire in Cielo dopo la sua morte umana. Ma prima di morire ha nominato Pietro come suo rappresentante vicario in terra dotandolo di alcuni dei suoi poteri, con diritto di trasmetterli ai suoi successori. Quindi Pietro e i suoi successori (papi) hanno l’autorità per emettere ordini e divieti al posto di Dio, e possono delegare parte della loro autorità ai loro subordinati della scala gerarchica (vescovi, preti), in ordine decrescente. In altre parole, questo secondo mondo invisibile opera nel primo, dove noi viviamo, attraverso canali che discendono nel Vaticano[11].

Una siffatta visione che – come detto,- è durata per secoli ed è ancora da molti ritenuta valida, è stata chiamata eteronoma, perché le leggi del nostro mondo sono stabilite in quell'altro mondo, sì che il nostro mondo finisce per dipendere completamente dal mondo celeste, dove Dio è veramente onnipotente perché può fare tutto ciò che vuole[12].

Con questa visione del mondo – giunta si può dire intatta fino alla mia generazione[13], tanto che anch’io ho studiato da piccolo questo insegnamento del catechismo di Pio X - era nato il Credo che ancora oggi recitiamo.

Però, a cominciare da Galileo Galilei, quindi ormai già quattro secoli fa, questa visione aveva cominciato a scricchiolare perché, a poco a poco, si è cominciato a capire che il mondo terreno segue proprie leggi interne che potevano essere studiate, sì che certi effetti potevano essere previsti e perfino evitati dall’uomo: l’acqua santa e i salmi penitenziali hanno perso immediatamente e completamente il loro effetto quando si sono scoperti i batteri e la penicillina, sì che la peste, che aveva terrorizzato per secoli l’Europa, poteva essere contenuta ed eliminata senza particolari difficoltà, e soprattutto senza ricorrere a cerimonie, sacrifici, e senza dover ringraziare Dio (o la madonna o i santi) per la sua scomparsa, costruendo in loro onore grandi chiese [14].

Per di più, la penicillina salvava sia il peccatore, sia il timorato di Dio. Lentamente, ma inesorabilmente, si è escluso che quell’altro mondo celeste interferisse in continuazione nel nostro mondo terreno, perché si era capito che i fulmini, le malattie, i terremoti obbedivano a leggi interne di questo mondo, che era quindi già autonomo senza dipendere dal mondo di lassù[15]. Di quel Dio conosciuto come onnipotente perché poteva fare tutto ciò che voleva a suo insindacabile giudizio, si perdevano sempre di più le tracce nel mondo sensibile. I preti, allora, ben potevano continuare a sgolarsi, ma la loro visione del Dio onnipotente era accettata solo da chi era in sintonia con essi[16], mentre gli scienziati si basavano ormai su dati oggettivi, sempre controllabili e verificabili[17].

La visione eteronoma è stata quindi messa da parte, come un assioma superato, come un punto di vista ormai arcaico anche se accettato in passato, ma indimostrato e indimostrabile: le nuove spiegazioni scientifiche erano sufficienti a metterla in crisi. Perciò un nuovo principio, l’assioma dell’autonomia del mondo terreno, ha lentamente soppiantato la visione eteronoma del mondo[18]. È un dato di fatto che il non affidarsi più all’onnipotenza di quell’altro mondo superiore che qui sulla terra, attraverso la Chiesa e il papa, diceva cosa fare e cosa non fare, fu angosciante per molti credenti che han visto sgretolarsi inesorabilmente una salda organizzazione di vita individuale e sociale,[19] che durava da secoli. Ma quando un numero sempre crescente di fenomeni fisici e psichici (epidemie, malattie, terremoti, guarigioni inaspettate, sogni, ecc.), in passato spiegati e ritenuti l’effetto d’interventi soprannaturali, venivano ormai indiscutibilmente collegati a forze naturali terrene, fu consequenziale e inevitabile lo scemare delle idee eteronome, anche se ancora oggi esistono persone tuttora convinte che il mondo soprannaturale punisce (ad esempio col Covid[20] o con i terremoti[21]) gli uomini peccatori. Per altre persone, invece, poiché l’altro mondo mostrava sempre più raramente segni di vita in questo mondo, il prossimo passo è stato dedurne anche l’inesistenza. In questo senso, si può pienamente comprendere il detto di Nietzsche secondo cui Dio è morto e noi l'abbiamo ucciso, ovvero abbiamo eliminato il mondo soprasensibile esistente per sé stesso[22].

Comunque, abbandonare la visuale eteronoma implica che Dio non è più percepito come seduto su un trono al di sopra della nostra realtà terrena,[23] da dove interviene con poteri soprannaturali in questo mondo naturale. Questo non vuol dire che il Trascendente sia stato definitivamente cancellato dalle nostre vite; non vuol dire che il concetto di Dio è ormai definitivamente superato e morto, ma solo che occorre - ed è urgente - ricorrere a nuove formulazioni, utilizzando un linguaggio diverso rispetto al passato,[24] in modo da renderlo razionalmente accettabile al mondo di oggi[25].

Se ci domandiamo qual è, in pratica, il cambiamento più grande dal punto di vista teologico di fronte a questo passaggio dall’eteronomia all’autonomia, questa è probabilmente la prima risposta da dare: nella visione eteronoma (che è statica) si era convinti che la perfezione fosse all’inizio. La natura, cioè, era già perfetta con i sei giorni della creazione. Anche il primo uomo era già nato perfetto, perché Dio – essendo onnipotente - aveva creato tutte le cose già perfette. Conseguentemente il peccato veniva considerato come una caduta, sì che la redenzione veniva vista come il ristabilimento nella perfezione iniziale. Poi, però, sono arrivati Copernico, Darwin, Einstein, e tanti altri che hanno scosso dalle fondamenta questa convinzione, offrendo non più una visione statica ma dinamica[26]. E finalmente, nell’ultimo concilio, la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo - Gaudium et spes ha evitato di usare il termine sovrannaturale, cioè quel qualcosa che si aggiunge al naturale, e al n. 5 ha espressamente riconosciuto, anche in ambito ecclesiastico, che: «L’umanità sta passando da una concezione statica della realtà ad una concezione più dinamica ed evolutiva». Oggi è pacifico che tutto è in continuo processo, ma è altrettanto pacifico che la vecchia mentalità, col suo modello aristotelico, è dura a morire: infatti la stessa Costituzione Gaudium et Spes aveva profeticamente aggiunto: «Questo passaggio susciterà una congerie di problemi, che richiederanno nuove analisi e nuove sintesi». Siamo ancora in mezzo al guado, perché ancora molti credenti si oppongono ancora oggi a Darwin e alla sua teoria evolutiva.

All’interno della vecchia visione statica, in cui tutto era già compiutamente realizzato, si doveva necessariamente ricorrere al soprannaturale (che prima era l’elemento qualificante del cristianesimo). Il nuovo, che anche allora sorgeva, non poteva essere naturale, perché il naturale era già stato completo in precedenza. Nella visione statica il soprannaturale colmava quello che di naturale e prefetto era andato perduto. Quindi l’esperienza di Cristo, della chiesa, i sacramenti, venivano considerati come se appartenessero tutti a un ambito soprannaturale, perché in natura tutto era già stato stabilito, fin dall’inizio. Nella prospettiva evolutiva e dinamica, invece, si preferisce parlare di una nuova dimensione spirituale, del raggiungimento di un nuovo livello naturale, di una componente del processo evolutivo della specie umana. Se la spiritualità fiorisce al di dentro della creatura, non è qualcosa che si aggiunge per dono soprannaturale. Neanche l’azione redentrice viene più vista come un’aggiunta dall’esterno della realtà, come qualcosa che cade dal cielo, ma è la forza che dal di dentro alimenta la crescita della specie umana che fino ad oggi non ha avuto ancora tempo sufficiente per svilupparsi in maniera definitiva. Il feto immaturo non è ancora in grado di respirare autonomamente nel mondo esterno; quando raggiunge (evolvendosi) un certo grado di maturità, riuscirà a farlo. Se viene alla luce troppo presto, muore. Quindi le qualità che emergono e che ci rendono sempre più umani, non arrivano da un altro mondo soprannaturale, ma dal nostro stesso mondo umano, che però ancora non ha avuto il tempo per esprimersi compiutamente, secondo tutte le potenzialità della forza che lo alimenta.

Quando parliamo di grazia, siamo ancora abituati a pensare alla grazia santificante soprannaturale (artt. 526 ss. Catechismo Pio X), cioè a quel cardine portante dell'insegnamento religioso, a questo dono di cui siamo privati appena nati a causa del peccato originale e che possiamo e dobbiamo riacquistare col battesimo (n. 1997 Catechismo). Insomma, questo strato di vernice divina che sfugge alla nostra esperienza e può essere conosciuto solo con la fede (n. 2005 Catechismo), che – calato dall’alto - comunica una radiosa bellezza, che ci spinge verso il bene, che ci rende puri e santi, oltre che partecipi della natura divina, cioè ci porta a un livello soprannaturale, questo stato dell’anima esente dal peccato mortale dovuta al favore soprannaturale divino, che si può ottenere solo nella Chiesa attraverso i sacramenti[27] e che – secondo la dottrina ufficiale – è l’unico che permette a un atto naturalmente onesto di essere elevato all’ordine soprannaturale e quindi di valere poi ai fini della vita eterna[28]. Ma sarebbe sufficiente guardare alla parabola del buon samaritano (Lc 10, 25ss.) per rendersi conto che l’atto di amore servizievole di un cristiano in grazia e di un impuro extracomunitario che vive nel peccato hanno esattamente lo stesso valore. Ma come! Non ci hanno insegnato (art. 534 Catechismo Pio X; più sfumato n. 2005 Catechismo) che senza la grazia soprannaturale non si può compiere alcuna cosa che poi giovi alla nostra vita eterna? Che tutte le buone azioni fatte senza essere in grazia non hanno alcun valore per la vita futura, per cui chi non è ammantato da questa grazia finirà all’inferno? Leggete la parabola del samaritano e scoprirete che, secondo Gesù, non è così.

Del resto, visto che l’uomo non è in grado di sorpassare l’umano, se cercasse il soprannaturale finirebbe col fuggire dalla realtà che lo circonda. È sempre la religione che mira al sovraumano, al soprannaturale, che separa noi qui in basso e Dio lassù in alto. Gesù ci ha ricordato che Dio si trova invece nel servizio, nella bontà, nell’amore verso gli altri uomini, mettendo tutto questo al centro della nostra vita. E pure san Paolo ci ricorda: anche «se ho tanta fede da smuovere i monti, ma non ho amore, io non sono niente» (1Cor 13, 2).

Oggi ci rendiamo conto che l'idea di un Dio onnipotente è un'idea equivoca perché è il superlativo di ciò che l’uomo avrebbe sempre voluto essere: nel Dio onnipotente noi cioè proiettiamo la nostra volontà di potenza. Ma ha ben spiegato frate Ernesto Balducci[29] che se Dio è amore non può tutto, non può nulla di ciò che non è amore, e comunque l’amore deve trovare la possibilità di esprimersi. L’amore ha leggi proprie che sono essenziali. Ad esempio l’amore non costringe mai, rispetta la libertà e la dignità degli uomini[30] e vuole dall’uomo non il consenso dello schiavo sul cui collo poggia il suo tallone, ma l’entusiasmo del bambino che corre sulle ginocchia materne. Poi ciò che conta è la risposta d’amore, la collaborazione di chi viene investito dall’amore.

Pertanto oggi non ci scomponiamo più se sentiamo dire che Dio, l’Onnipotente, resta impotente di fronte all’egoismo e alla violenza di ciascuno di noi. Neanche Gesù, senza quei pani e quei pesci offerti da qualche volonteroso, avrebbe potuto fare il ‘miracolo’. Se Dio ha bisogno della nostra collaborazione, non è più onnipotente nel senso insegnatoci[31]. Pensiamo alla parabola del tralcio e della vite (Gv 15 1 ss.), dove se il tralcio (uomo) non vuol restare attaccato alla vite (Dio), cioè se noi rifiutiamo l’offerta d’amore di Dio, questo nostro rifiuto comporta fallimento, e anche Dio sperimenta l’impotenza, il che significa che Dio non può fare tutto ciò che vuole. Del resto, la storia dimostra il rischio che Dio ha deciso di correre creando l’uomo[32]. Se allora si vuol ancora usare questo termine ‘onnipotenza di Dio’, essa si rivela al più in un altro ordine: quello dell’amore che si regala senza pretendere di vedere risultati, ma proprio per questo è fecondo di nuovo amore; come il chicco di frumento che sembra morire sotto terra, ma solo così genera frutto (Gv 12, 24)[33]. Non genera vita violentando la terra.

Apparentemente la vita di Gesù è stata un fallimento: volete andarvene anche voi? (Gv 6, 67). Alla fine non se ne sono solo andati: sono scappati tutti a gambe levate; per di più Giuda tradendolo per denaro, Pietro, Giacomo e Giovanni tradendolo per paura, dopo aver assicurato che mai l’avrebbero abbandonato (Mt 26, 33) o che erano perfettamente in grado di seguirlo (Mc 10, 38). Siamo davanti a una reazione talmente misera e meschina che non è pensabile che gli evangelisti se la siano inventata. Però dopo duemila anni, vista in prospettiva, non si può dire che la vita di Gesù sia stata un fallimento, perché ha generato frutto (anche se poi, come si è visto nell’articolo Gesù serve a unire o a dividere?, n. 458 di questo giornale (https://sites.google.com/site/numerigiugnoluglio2018/numero-458---24-giugno-2018/gesu-serve-a-unire-o-a-dividere), l’esclusione di tante persone, nella storia della Chiesa, è dovuta non a Gesù, ma alla teologia degli uomini).

Finalmente oggi ci si è accorti anche che Dio onnipotente non è mai tale nel Vecchio Testamento, ma è diventato tale solo in base a una traduzione sbagliata.

Nella Bibbia si parla di El Shaddaj, che era un altro dio, probabilmente un dio della montagna[34] di origine cananea. Questo non deve apparire strano perché anche in altre civiltà gli dei avevano la loro residenza sulle alte montagne (basta pensare all’Olimpo dei greci). Come El-Eljon (Dio Altissimo), a un certo punto anche El Shaddaj viene fagocitato dall’unico Dio Signore (Yhwh), sparisce come soggetto autonomo e diventa un attributo di quest’unico Dio. Nel libro dell’Esodo (Es 6,3) si legge: Dio parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore! sono apparso ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe, come El Shaddaj (tradotto da noi oggi con ‘Dio onnipotente’), ma con il mio nome di Yhwh (tradotto oggi con ‘Signore’) non mi sono manifestato a loro». Il problema è nato perché, non avendo proprio la più pallida idea di come tradurre Shaddaj, in greco venne usato il termine pantokràtor che significa signore di tutto,[35] colui che regge tutto, mentre più tardi in latino (e quindi in italiano) venne usato il termine omnipotens, onnipotente: “Credo in Dio Padre onnipotente…” Ammesso che nella Bibbia sia stato veramente scritto solo quello che Dio voleva, quale dei tre termini è veramente parola di Dio, visto che i tre non sono neanche sinonimi? In effetti, nell’Antico Testamento (Gn 17, 1) Dio parla in ebraico e si presenta dicendo: “Io sono El-Shaddaj”. I traduttori greci della Bibbia dei LXX hanno scritto in greco pantokràtor. San Girolamo non sapendo come tradurre, ha tradotto “El-Shaddaj” con “Io sono il Signore onnipotente” (Ego Deus omnipotens),[36] e questo termine è rimasto nella Vulgata per 1500 anni, influendo ovviamente sulla dottrina insegnataci dal magistero. Dunque da dio della montagna, uno fra i tanti dèi, si passa nelle traduzioni a Dio unico, reggitore del mondo e infine a Dio onnipotente: mica male!

È ora di prendere atto che l’onnipotenza è un attributo che non viene mai dato a Dio nella Bibbia, mentre c’è da aggiungere che l’immagine di un Dio che può far tutto ciò che vuole (visto che così è stato inteso comunemente il termine onnipotente[37]) ha creato enormi problemi di fede. Infatti è stato logicamente obiettato che se Dio è onnipotente non può essere buono, mentre se è buono non è onnipotente. Un Dio onnipotente, che può fare tutto il bene che vuole, e che per di più definiamo anche buono, dovrebbe necessariamente eliminare o quanto meno impedire il male. Quando prendiamo in considerazione un solo attributo divino, il resto ci appare spesso perfino strano e contraddittorio: se Dio è onnipotente, come permette il male? Se Dio è amore, come può condannarci?

Ma forse sorprenderà sapere che neanche nei vangeli Dio è onnipotente[38]. Cosa ci fa capire il Vangelo? Che Gesù (che è Dio secondo l’insegnamento del magistero), deposto appena nato in una mangiatoia, ha bisogno di tutto: di essere allattato, di essere protetto dal freddo, di essere cullato e anche pulito perché fa la pipì e la pupù come tutti i bambini. Se Maria non provvede subito a tutto questo, nel giro di qualche ora Gesù sarà morto. Ora, se noi mettiamo vicine questa immagine di un bimbo inerme, alla mercé di qualsiasi malintenzionato, nato nell’impotenza più totale, e l’immagine che ci siamo formati dell’onnipotenza di Dio, rimaniamo confusi: è vero quello che si è verificato a Betlemme, dove Dio è un bimbo che prendiamo in braccio (è un piccolo indifeso, è l´ultima ruota del carro, non comanda a nessuno), oppure è vero quello che ci hanno imposto di credere? Le due cose non possono stare assieme. A chi crediamo: al magistero che ha fissato i dogmi oppure ai vangeli? Se si accetta l’idea che Gesù (bambino) è Dio, in quanto Dio è necessariamente onnipotente perché questo ci ha insegnato il magistero,[39] allora è difficile anche solo pensare che Gesù bambino, che si fa la cacca addosso, sia onnipotente; è difficile pensare che senza la mamma sarebbe facilmente morto di fame e di freddo, come qualsiasi altro bambino del mondo. Chi è onnipotente non ha bisogno di niente e di nessuno.

Quando poi si parla di evangelizzazione non s’intende un generico annuncio di fede, ma l’annuncio di Gesù Cristo crocifisso. Noi annunciamo un Dio crocifisso, il che evidentemente significa di nuovo un Dio impotente (altro che onnipotente), apparentemente sconfitto, l’opposto della potenza. Ma la conseguenza di un Dio impotente ci fa dire che nessun capo della Chiesa può servirsi di questa immagine di onnipotenza per poi pretendere di dominare e controllare gli altri. Se Dio rivela il suo amore nella debolezza della morte in croce, allora chi nella chiesa ha un carisma più prestigioso non ha alcun diritto di dominare gli altri, ma solo il dovere di servire ed aiutare i più deboli, perché se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui (1Cor 12, 24-27): nessuno è inutile nella comunità dei credenti che formano il corpo di Cristo. C’è dunque una netta contrapposizione nel cristianesimo, come già c’era ai tempi di Paolo quando ha scritto ai cristiani di Corinto che avevano la tendenza a dividersi in gruppi in nome del loro capo corrente. Paolo denuncia questo fatto in termini severi: “Cristo è stato forse diviso?” L’identità del cristiano non dipende dal maestro spirituale che si segue, ma dipende dalla relazione vitale con Cristo, il quale ha fatto di tutti i battezzati una comunità unica, facendo sparire le divisioni fra giudei e pagani, uomini e donne, liberi e schiavi[40] (Gal 3, 26-28).

Il Dio dell’alleanza non è affatto un Dio che dall’alto della sua onnipotenza stabilisce le cose e impone a tutti le sue leggi, ma è il Dio di Gesù Cristo. Dio è semplicemente il Padre che vuole che si spezzino le funi aggrovigliate che ci legano, per prima la fune della paura di Dio. Le corde annodate formano un nodo gordiano che possono essere spezzate e l’uomo è chiamato a farlo: ecco l'annuncio del Vangelo che dobbiamo diffondere. Se noi vogliamo, possiamo tagliare questo nodo gordiano proprio nel suo fulcro che ci stringe e non ci fa vivere una vita piena. Il fulcro di questo nodo è l'egoismo, è l'amore dell'uomo verso sé stesso portato all’estremo. E la spada che taglia questo nodo è la decisione di vivere secondo un'altra legge, quella del Vangelo. La debolezza del Vangelo, forse la follia del Vangelo, dice sempre padre Balducci, consiste nel ritener realmente possibile vivere in altro modo, e questo non solo singolarmente in privato, ma come umanità, in società. Ma tutto questo che ci viene offerto gratuitamente non si ottiene gratuitamente: ad es. Dio non ci perdona dopo che ci siamo confessati e abbiamo fatto penitenza, né lascia al prete la possibilità di dare o negare l’assoluzione. Semplicemente Dio non ci perdona se non lo facciamo anche noi (Mt 6, 14s.). Non è in gioco allora il nostro peccato[41], ma il nostro perdonare il comportamento altrui. Insomma, nessuno di noi deve pensare di cambiare il mondo se prima non pensa e non si attiva per cambiare sé stesso. Per far arrivare il regno di Dio dobbiamo tutti preoccuparci di portare avanti tutto quello che c’è di luce in noi, perché come la luce cresce le tenebre arretrano. Invece difendere a spada tratta un dogma è sempre un servizio che si rende a Satana, perché è sempre un indurimento che noi portiamo nell’esistenza e una divisione che operiamo nel cuore dell’umanità, separando credenti da non credenti[42]. Dividere la gente è il compito di Satana, che per l’appunto significa colui che divide.

Dunque già da queste considerazioni emerge che le immagini di Dio che ci formiamo nelle nostre teste possono essere assai diverse fra di loro. Quello che ormai resta assodato è che la storia di questo Dio personale, che nella sua onnipotenza fa esistere la realtà terrena dall’alto dei cieli, è sicuramente da ritenere una narrazione mitologica[43].


NOTE

[1] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT) 2009, 19ss., 112. Ma come ben ha osservato Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009,338, Gesù non propone mai una dottrina su Dio, mai spiega chi è Dio. Per Gesù Dio non è una teoria, è un’esperienza, un’esperienza d’incontro con un padre benevolo.

[2] Con barba e capelli bianchi come si confà a un vecchio; con la possibilità di stendere il suo braccio e la sua mano per punire; con orecchi per sentire, ecc.

[3] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 14s.

[4] L’immagine del trono viene ripetuta più di quaranta volte nell’Apocalisse: Maggioni B., L’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2012, 46.

[5] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 42.

[6] Idem, 218.

[7] Almeno nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme. Vedasi anche Maggioni B., L’Apocalisse, ed. Cittadella, Assisi, 2012, 23.

[8] Catechismo essenziale di san Pio X, n.10: “Dio può far tutto? Dio può far tutto ciò che vuole: Egli è l’Onnipotente”. Vedi anche n. 26 Catechismo maggiore di Pio X. Nello stesso senso anche Calvino intendeva il termine onnipotente (Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 133).

[9] Lenaers R., Benché Dio non stia nell’alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 13s.

[10] Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 18s.

[11] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT) 2009, 365.

[12] Vedi nota 8.

[13] Ancora in data 21 aprile 1964, la Pontifica Commissione Biblica, aveva pubblicato un documento sulla verità storica dei Vangeli (in https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/pcb_documents/rc_con_cfaith_doc_19640421_verita-vangeli_it.html) dove, nel §1, affermava che è proibito negare l’esistenza dell’ordine soprannaturale e l’intervento di un Dio personale nel mondo avvenuto mediante la rivelazione propriamente detta, nonché la possibilità e l'esistenza dei miracoli e delle profezie.

[14] Non ci si accorge poi che c’è una certa contraddizione quando si implora Dio di far sparire la peste, perché se la può far sparire vuol dire che l’ha fatta venire. Questa idea può andar bene a chi pensa al Dio castigamatti, ma non a chi pensa al Dio amore misericordioso.

[15] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 16.

[16] Resistono cioè credenti di questo secondo mondo, i quali sono visti dagli altri come cattolici semi-pagani, che con la modernità proprio non riescono a venire a patti. Questi credenti godono del terrore di un Dio irascibile e vendicativo, e anzi auspicano che il castigo divino cada spesso sopra questo mondo di peccatori impenitenti.

[17] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 149s.

[18]Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena /VT) 2009, 21ss.

[19] Lenaers R., Benché Dio non stia nell'alto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 23.

[20] https://www.famigliacristiana.it/articolo/coronavirus-il-teologo-il-virus-non-e-un-castigo-di-dio.aspx. Difficile far capire a questa gente che nel racconto del cieco nato (Gv 9, 1ss.) Gesù ha chiarito ai discepoli una volta per tutte che la cecità (e di conseguenza qualsiasi altra infermità o menomazione corporale) non ha niente a che vedere col peccato. Dio non castiga i peccatori con malattie o disgrazie. Tanto è vero che Gesù guarisce il cieco proprio di sabato, peccando gravemente – secondo la religione, - contro Dio.

[21] Ad es., a Radio Maria (mercoledì 16.3.2011), il professor de Mattei ha collegato il terremoto e il maremoto che hanno colpito il Giappone all’ira e ai castighi di Dio. Ma in passato era ancora peggio: nel caso della peste del Seicento, mentre i sapienti (vedasi il don Ferrante del Manzoni A., I promessi sposi, ed. La Nuova Italia, Firenze, 1987, 512) andavano a cercare la causa nella corruzione dell’aria, causata da fenomeni celesti, da emanazioni, congiunzioni, eccetera, la massa iniziava una caccia all’untore (sempre il Manzoni, op. cit., 579 ss.); la Chiesa, invece, sosteneva la tesi apocalittica individuando nella peste il flagello mandato da Dio per punire l’umanità peccatrice. Il caso della peste intesa come punizione di Dio risulta alla fine più “tranquillizzante”: «Bisogna accettare docilmente questa punizione e non temere di morire di peste; se si hanno delle responsabilità, fuggire è un peccato e restare un atto meritorio» (Delumeau J., La paura in Occidente - secoli XIV-XVIII), ed. SEI, Torino, 1983, 206).

[22] Buber M., L'eclissi di Dio, ed. Passigli, Firenze-Antella, 2001, 22s.

[23] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 331. Mancuso V., L’anima e il suo destino, ed. Raffaello Cortina, Milano, 2007,185: l’idea secondo cui Dio, con Cristo alla sua destra, sta in cielo sopra di noi non regge più. Perciò non può reggere neanche l’immagine di Gesù che ascende al cielo staccandosi dal suolo terrestre come fosse un razzo.

[24] Già in passato c’erano stati dei validi precursori: ad esempio Meister Eckhart diceva che è sbagliato pensare che Dio sta in cielo (Eckhart, I sermoni, ed. Paoline, Milano, 2002, 115 - Sermone n. 6: "Molte persone s’immaginano Dio lassù e noi quaggiù. Non è così. Io e Dio siamo uno. Con la conoscenza accolgo Dio in me; con l’amore penetro in lui").

[25] Per dimostrare che non si cade automaticamente nell’eresia, come pensano i conservatori secondo i quali ogni diversa formulazione è inesatta per definizione, il gesuita Leaners fa questo bell’esempio: se in una canzone cambiamo la melodia dalla chiave di Do a quella di Mi, tutte le note cambiano, eppure non cambia la melodia (Lenaers R., Benché Dio non stia nellalto dei cieli, ed. Massari, Bolsena (VT), 2012, 20).

[26] Dio non ha creato l’uomo in un giorno. L’umano è comparso circa 2,5 milioni di anni fa, in Africa. L’australopiteco (letteralmente ‘scimmia del sud’, cioè dell’emisfero australe), come la ben nota Lucy, è l’ominide più famoso mai ritrovato e la sua scoperta - il 24 novembre 1974 - è stata fondamentale (ma non risolutiva) per disegnare levoluzione della nostra specie. Adamo ed Eva non erano australopitechi, tutti estinti, ma appartenevano alla categoria dell’homo sapiens, come noi.

Sta di fatto che, a un certo punto l’ominide è uscito dalla selva ed è entrato nella savana, perché aveva sviluppato la capacità di usare le mani come pinze (pollice contrapposto alle altre dita), trovava cibo come bacche, grano, senza dover più salire sugli alberi, e all’aperto trovava anche più sole, più luce. Uno scimpanzé o un gorilla hanno una mano più larga, col pollice ben separato dall’indice, per cui la può usare come gancio per passare da un ramo all’altro, ma non come pinza, sì che non è in grado di raccogliere bacche. L’australopiteco riesce ad avere perciò una dieta migliore, perché il 90% delle calorie viene da 4 piante (riso, grano, patata e mais) che non si trovano sugli alberi della foresta. Però, siccome i vegetali non si trovano tutto l’anno, la caccia e la farina tratta all’inizio probabilmente dalle ghiande sono stati passi successivi ma necessari nel progresso dell’uomo, fino a giungere col neolitico (circa 10.000 anni fa) dal nomadismo alla stanzialità, con l’agricoltura e l’allevamento del bestiame.

Per fare questo l’uomo ha selezionato ciò che trovava in natura, dapprima incoscientemente, pii coscientemente. Se una capra dava più latte e una pecora più lana, la teneva in disparte per la riproduzione, mentre mangiava l’animale che produceva di meno. Se una spiga di grano dava più sementi, la teneva per la semina. Lo stesso, ma inconsciamente, ha sempre fatto e fa la natura. Se un ghepardo corre a 80 km all’ora e gli altri a 90, il primo muore e la sua stirpe si estingue. Dunque la perfezione non avviene mai in generale, ma solo nel particolare. La selezione naturale è senz’altro brutale, perché in realtà sopravvive solo quella piccola parte degli esseri che riescono ad occupare meglio quella nicchia a loro adatta; gli altri suoi simili si estinguono (Millás Juan José y Arsuaga Juan Luis, La vida contada por un sapiens a un neandertal, Penguin Random House, Barcelona (E), 2021, passim).

Da alcuni heidelbergensis (vissuti circa 600.000 anni fa e in seguito estinti) rimasti in Africa, intorno a 200.000 anni fa sono derivati i sapiens (cioè noi), così come da alcuni di quelli europei, circa 250.000 anni fa, sono venuti i Neanderthal.

In Europa si evolse prevalentemente l’homo neanderthalensis, più massiccio e muscoloso del sapiens. Ma l’essere fisicamente più forte non ha impedito la sua estinzione. Circa 100.000 anni fa in Europa viveva l’uomo di neanderthal, mentre l’homo sapiens è arrivato appena 40.000 anni fa, dopo essere partito dall’Africa non meno di 150.000 anni fa. Quando l’homo sapiens si è espanso, o c’è stata ibridazione (si è fuso ad es. col neanderthal in Europa e con gli erectus in Asia), o si è arrivati allo sterminio o morte per fame del neanderthal, perché il sapiens era più efficiente. Il sapiens è l’unica specie rimasta a partire da 10.000 anni (Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, passim).

I neanderthaliani erano estremamente simili all'uomo moderno: è probabile che siano i nostri parenti più prossimi. Eppure non erano umani al pari di noi. Il Dna è diverso, e noi sapiens abbiamo solo dall’1 al 4% di DNA neanderthaliano e la loro estinzione è probabilmente stata causata proprio dall'homo sapiens (Kolbert E., La sesta estinzione, Neri Pozza, Vicenza, 2014, 285ss.) che era più efficiente. E perché era più efficiente? I sapiens al calduccio dell’Africa, probabilmente grazie ad accidentali mutazioni genetiche, hanno modificato le connessioni neurali del cervello (Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, passim), e quindi sono stati capaci di inventare tecnologie innovative. Sviluppando il cervello questi uomini sono stati capaci di un linguaggio più complesso e quindi più adatto a mettere in comune i cervelli, per scambiarsi idee, perfezionarle e tramandarle; invece i neanderthal hanno dovuto attendere che l’evoluzione li dotasse innanzitutto di corpi più resistenti al freddo (Sagosa A. intervista il paleoantropologo Giorgio Manzi, “Il venerdì di Repubblica” n.1754/2021, 62), perché in Europa c’erano le glaciazioni. Quindi, quando i sapiens sono arrivati, erano capaci di trasmettere maggior quantità informazioni sul mondo (potendo così pianificare azioni); maggior quantità di informazioni sociali (potendo così formare gruppi più ampi), il che ha permesso di cooperare anche con estranei alla singola tribù. La mera capacità di creare e usare utensili è di per sé poco significativa se non è accompagnata dalla capacità di cooperare con molti altri individui, tanto che gli utensili dell’homo erectus sono rimasti tali per 2 milioni di anni.

I sapiens stati in grado di cooperare in modi estremamente flessibili con un numero indefinito di estranei, cosa che non solo gli altri ominidi, ma neanche i neanderthal – che vivevano in piccoli gruppi - hanno saputo fare, e questo limite li ha portati all’estinzione.

Teniamo presente che la varietà di modelli comportamentali sono componenti delle culture; le culture da sempre hanno continuato a mutare e a svilupparsi. Nelle formiche o nelle api la maggior parte delle informazioni di cui hanno bisogno sono codificate nel genoma. Le regole per giocare a calcio non sono codificate nel nostro genoma. Ma le api non hanno bisogno di avvocati e nessuna viola le regole dell’alveare, nessuna sciopera per aver maggior cibo. Davanti a nessun alveare si trova scritto: “api operaie di tutto il mondo, unitevi!” L’uomo è invece l’essere che ha progredito di più probabilmente dal momento in cui è stato capace di astrazione. Adamo ed Eva, e poi noi, uomini del genere sapiens, siamo quindi qui sulla terra da un brevissimo lasso di tempo, e occorre tener presente che, a differenza della Bibbia che parla della creazione perfetta in soli sei giorni, l’evoluzione è il mondo del caos, non dell’ordine, per cui non necessariamente una cosa succede dopo l’altra (Millás Juan José y Arsuaga Juan Luis, La vida contada por un sapiens a un neandertal, Penguin Random House, Barcelona (E), 2021, 47s.). La natura va avanti a tentativi, e con molti fallimenti.

Infine dobbiamo renderci conto che il 95% dell’esistenza umana fa parte della preistoria. Se poi ci ricordiamo che la scrittura è nata all’incirca 5000 anni fa e forse anche meno, cioè ieri, è chiaro che il tempo richiesto per arrivare all’uomo di oggi è stato lunghissimo ed estremamente faticoso. Sicuramente non è arrivato sulla terra bello e perfetto il sesto giorno di circa cinquemila anni fa come risulterebbe leggendo la Bibbia, contando le generazioni a partire da Adamo.

[27] Vagaggini C., Il senso teologico della liturgia, ed. Paoline, Roma, 1965, 191.

[28] Olgiati F., Il sillabario del Cristianesimo, ed. Vita e Pensiero, Milano, 1956, 69s. e 76s.

[29] Balducci E., commentando una domenica il vangelo di Marco - Il Vangelo della pace

[30] Pensiamo a quanti femminicidi ancora accadono e l’assassino osa anche dire che amava la donna che ha ucciso; ovviamente non l’amava, ma la considerava un oggetto di sua proprietà.

[31] Questo ci fa pensare a quanto ogni singola persona sia preziosa, e a come ognuno di noi sia importante, e a come Dio ha bisogno di ognuno di noi perché il suo amore si trasformi in realtà. Se uno di noi non collabora frustra il disegno di Dio (Fabbris R., La Chiesa nel Nuovo Testamento, ed. Centro Diocesano di Pastorale Universitaria, Trieste,1997, Quaderno n.2/1992-1993, 79, 73 e 69s.).

[32] D’Avenia A., L’appello, Mondadori, Milano, 2020, 271.

[33] Di più: il miracolo, come prodigio che va contro natura, sarebbe un’offesa a Dio che ha creato le leggi di natura. Non a caso san Paolo smentisce questa idea di Dio onnipotente che presto si è imposta fra i credenti, visto che rimprovera chi vuole sempre miracoli risolutori: “noi predichiamo Cristo, i giudei vogliono miracoli” (1Cor 1, 22s.).

[34] La traduzione con “onnipotente” è inesatta, probabilmente significa Dio della montagna (=shadû in accadico), ma il senso resta incerto (da www.culturacattolica.it). Nello stesso senso Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 132.

[35] Schillebeecks E., Per amore del Vangelo, ed. Cittadella, Assisi, 1993, 159. Theological Dictionary of the New Testament, a cura di Kittel G. e Friedrich G., ed. Edrdmans Publishing Company, Grand Rapids (USA), 1993, Vol. III, 914: pantokrator è chi governa tutte le cose. Secondo Ravasi G., Sono con voi tutti i giorni, “Famiglia Cristiana”, n.47/2011, 137, pantokrator significa sovrano di tutto l’essere. Secondo Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 132, il termine indica colui che detiene il potere al livello più alto; non per questo è onnipotente.

[36] In seguito, anche Cristo è diventato Pantokrator (vedasi ad es. in San Vitale a Ravenna), ma si tratta di una raffigurazione ormai della Chiesa di potere, non della Chiesa primitiva. Non c’è questa immagine nelle catacombe, per quanto mi risulta, dove Cristo è solo il buon pastore.

[37] Vedi nota 8.

[38] Il termine ‘onnipotente’ ripetuto in modo martellante nella liturgia non ricorre mai nel vangelo, mai sulla bocca di Gesù come attributo di Dio. Dio può soltanto ciò che l’amore può (Ronchi E., Le nude domande del Vangelo, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 2020, 40).

[39] Si capisce allora come in alcuni vangeli apocrifi Gesù possa fare miracoli già in culla. Teniamo presente che la prima eresia, lo gnosticismo, negava l’umanità di Gesù, non la sua divinità.

[40] E noi sedicenti cristiani, dopo duemila anni, ancora facciamo differenza fra noi e gli ebrei o i musulmani; ancora teniamo fuori dal potere ecclesiastico le donne lasciando ogni potere agli uomini; ancora facciamo finta di non vedere che ci serviamo di schiavi (ben lontani da noi, così che non li vediamo), ma che fanno le nostre magliette, i nostri palloni di calcio, le nostre scarpe per pochi centesimi, così noi possiamo poi comprare tutte queste cose a buon prezzo.

[41] Ne riparleremo visto che nel Credo si parla di un battesimo per il perdono dei nostri peccati.

[42] Vannucci G., Parole che cambiano, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2018, 58s. e 80.

[43] Rudolf Bultmann, forse uno dei teologi più importanti del secolo scorso, in tutti i suoi studi ha insistito sulla ‘demitologizzazione’, qualificando come ‘mitologia’ la rappresentazione del mondo giunta fino a noi dagli inizi della Chiesa: pensiamo, ad esempio, al mondo ripartito su tre piani (il cielo dove vive Dio, la terra dove vivono gli uomini, l’inferno sotto terra dove continuano a vivere i morti condannati), o al fatto che gli spiriti impuri possano impossessarsi dell’uomo, ecc… Questo teologo, premesso che la predicazione di Gesù si è incentrata sull’imminente arrivo del regno di Dio (e non su Dio), si era giustamente chiesto quale significato potesse avere per noi nel XX secolo questa predicazione, e ha concluso che si devono interpretare le Scritture demitologizzandole. Demitologizzare non vuol dire respingere le Scritture, ma abbandonare la visione del mondo che ci è stata imposta dalla Chiesa, e cercare il vero significato di quegli enunciati che sono, per noi, oggi, appunto mitologici per cu non possono essere presi alla lettera. In altre parole, il racconto mitologico resta valido quando si trova il significato nascosto più profondo. Ad esempio, se nella cultura di allora tutti erano convinti che Dio abitasse in cielo (perfino Gesù che, quando pregava levava gli occhi al cielo – es. Mt 14, 19), oggi la scienza ha dimostrato che questo non è vero: oggi si passati al concetto astratto di trascendenza di Dio, che è separato dallo spazio, mentre duemila anni fa non si era capaci di concepire simile astrattezza, per cui si diceva con una visuale concreta che Dio era lontanissimo da noi nello spazio.