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Tavola di Claire Brétcher



C. Brétcher, G. Lauzier, M. Reiser. Quando la satira di costume parlava francese 


di Stefano Agnelli



Tre autori di fumetti. Una donna (Claire Bretécher), e due uomini (Gerard Lauzier e Reiser), purtroppo defunti, a rappresentare il meglio della satira francese di costume degli ultimi cinquant'anni, almeno fino al drammatico epilogo della morte di Wolinski, durante il tragico assalto alla redazione di Charlie Hebdo. Procedendo in ordine strettamente alfabetico, ecco Claire Bretécher, forse la più abile dei tre nel comprendere vizi e virtù dei francesi, esordire sulle pagine de L’Echo des savanes nel 1972, con il suo primo personaggio: Cellulite. Proprio così, avete letto bene. Infatti la protagonista, affetta da innumerevoli inestetismi, tenta in ogni modo, nonostante l’aspetto fisico, di avere avventure erotiche a scapito di chi la circonda, provocando esilaranti reazioni. Le storie di Cellulite vennero tradotte in Italia dalla rivista Linus, ed erano ambientate in un improbabile medioevo. Il tratto della Bretécher è scarno, quasi deformante, con poca attenzione al vero. Nel corso degli anni subirà poche variazioni, ma si rivelerà da subito adatto per la satira graffiante che la contraddistingue. Il suo capolavoro, tuttora insuperato, è la serie, raccolta poi in cinque volumi per le edizioni Bompiani, de I frustrati (Les frustrés). In queste brevi storie, della durata compresa tra le nove e le dodici vignette, fa la comparsa un’umanità inquieta, insoddisfatta e prigioniera di pastoie e lacci della borghesità. Incapace di ribellarsi al vivere quotidiano, il frustrato subisce ogni angheria, mostra vizi e debolezze, incarna stereotipi, assumendo aspetti talvolta crudeli ma inesorabilmente geniali, per la semplicità con cui sono concepiti, che non si può evitare di riderne e, ahimé, di riconoscersi. Coppie con l’angoscia da posizione delle posate sul tavolo; bambini paffutelli che scoprono le prime parolacce, mentre i genitori disapprovano leggendo libri pseudo-colti e altrettanto idioti; casalinghe represse dall’amica carrierista; gruppi di amici intenti in discussioni da salotto, paradossali per l’evidente idiozia. Questi personaggi e tanti altri ancora, popolano le pagine di questa riuscita saga a fumetti della borghesia cittadina. Nel corso degli anni la Bretecher ha creato nuovi personaggi, dal Dottor Ventosa-Bobologo (Docteur Ventouse-Bobologue), sino ad Agrippina (Agrippine), un adolescente-tipo dei giorni nostri, che ha avuto anche una serie televisiva su Canal + qualche anno fa. Per chi volesse approfondire, le opere di Claire Bretécher sono edite in Italia da Bompiani, anche se non tutte sono ancora disponibili.

Il secondo autore di cui tratterò, Gerard Lauzier, ci ha lasciati orfani del suo genio  oramai diversi anni fa, ma la sua opera è ancora assai viva. Come la Bretécher, anche Lauzier si è occupato di satira del costume, scegliendo anche lui, come bersaglio prevalente, la piccola borghesia francese. Dopo aver mosso i primi passi in Brasile – a cui resterà sempre legato – raggiunge la notorietà in Italia con il volume Vita vissuta (Tranchés de vie 1 et 2), edito da Milano Libri nel 1980.

Il suo tratto, armonizzato dal colore, è leggermente aggressivo, ma ben proporzionato. Incline ai toni caldi, in dissonanza con la forza del segno ed è, senza dubbio, il disegnatore che, assieme a Magnus e a Milo Manara, mostra maggiore abilità nel rappresentare il corpo femminile. Capacità in grado di riprodurre alla perfezione, le fantasie erotiche di Michel Choupon, il protagonista de Il diario di un giovane mediocre (Souvenirs d’un jeune homme), edito a puntate sulla rivista Pilot  (Bonelli-Dargaud) negli anni Ottanta, e di Ritratto d’artista (Portrait de l’artiste), che ne è ideale seguito, uscito – sempre a puntate - nel 1993, sulla rivista Corto Maltese e pubblicato poi in volume, dalla Milano Libri, l’anno successivo.

Lauzier si comporta come un abile etologo, con la sola differenza che i comportamenti studiati sono quelli umani. Con i suoi personaggi è davvero crudele: su tutti grava l’aurea della mediocrità, peggio, del fallimento inevitabile, del naufragio comico e grottesco di ogni buona intenzione, di ogni aspirazione. Nel finale di Ritratto d’artista possiamo forse cogliere l’unico vero riscatto di uno dei suoi personaggi, forse perché Choupon è proprio quello che ha amato maggiormente, facendogli aprire duramente gli occhi nel corso delle sua esistenza di carta, ricolma di illusioni e di aspirazioni alla grandezza.

Il terzo autore di cui voglio occuparmi è Reiser (pseudonimo di Jean-Marc Roussillon, morto nel 1983), senza alcun dubbio il più crudele e cinico di questo terzetto di spietati. Inizia la sua carriera sulla rivista Hara-Kiri, di cui è tra i fondatori assieme a Wolinski, per poi passare all’Echo des savanes. I suoi personaggi sono resi ancor più brutti e grotteschi dal suo segno paradossale, graffiante, “sporco” ed essenziale. Indimenticabile Il porcone, una sorta di clochard in mutandoni, sguaiato ed irriverente, fustigatore, quasi per sopravvivere al proprio degrado, dei gesti, delle mode e dei comportamenti borghesi. Con i mutandoni sporchi di urina, la sigaretta, ridotta ad una cicca, perennemente in bocca, lo vediamo mentre sbeffeggia uomini e animali fino all’assurdo. Lo attenderà un destino triste, che qui non rivelo. Come non ricordare poi la bambina mostruosa di Orecchie rosse (Oreilles rouges), contro la quale finisce per accanirsi ogni situazione, lasciandola in orride lacrime. La divertita crudeltà di Reiser non si ferma qui. Ne ha per tutti: sordi, anziani, omosessuali, donne sole, bambini, persino per sé stesso, quando mise in chiave satirica il suo rapporto con il cancro. Certo, non ha preso in considerazione la sola borghesia francese, ma la sua è forse la satira di costume più graffiante di questa classe sociale, fra quelle espresse dai tre autori che abbiamo sin qui esaminato.