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A Female Head, William Blake - Butlin 709, c 1819-20, 240x385mm – sconosciuto sino al1949 - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Lignaggio dell’Ordine Domenicano - 1501, opera di Hans Holbein il Vecchio - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Ad ogni illustre teologa il suo cavalier servente



di Stefano Sodaro


Ieri mattina, sabato 5 giugno 2021, il Coordinamento delle Teologhe Italiane (CTI), riunito in Assemblea Generale, ha eletto la propria nuova Presidente, Lucia Vantini, e la nuova propria Segretaria, Donata Horak. Oltre a Presidente e Segretaria sono poi state elette le nuove Consigliere del Consiglio Direttivo nella persona di Alice Bianchi, Federica Cacciavillani, Anna Carfora, Simona Segoloni (nominata Vicepresidente), Rita Torti.

Donata Horak è socia dell’Associazione Culturale “Casa Alta”, promossa dal nostro settimanale.

Il sottoscritto ha partecipato anch’egli all’assemblea elettiva del CTI quale socio aggregato.

Il contributo dato dal Coordinamento Teologhe Italiane al rinnovamento della teologia contemporanea nel nostro Paese è semplicemente enorme. E non può di certo essere riassunto in poche righe, neanche sintetizzato. L’art. 2 dello Statuto associativo riporta (https://www.teologhe.org/chi-siamo/statuto/):

«Il CTI

a. valorizza e promuove gli studi di genere in ambito teologico, biblico, patristico, storico, in prospettiva ecumenica;

b. favorisce la visibilità delle teologhe nel panorama ecclesiale e culturale italiano.»

E l’art. 3 prosegue:

«Il CTI conseguentemente si propone di

a. contribuire a formulare paradigmi e categorie nuove e sottoporre a esame critico gli attuali strumenti di lavoro in vista di una trasmissione inclusiva delle conoscenze teologiche;

b. affrontare fonti documentarie in prospettiva di genere;

c. favorire il confronto e lo scambio tra quante/i si occupano di tematiche legate alla finalità propria del CTI;

d. promuovere e sostenere le donne che desiderano dedicarsi allo studio, alla ricerca, all’insegnamento della teologia.»

Proprio in questi giorni, novando integralmente il Libro VI del Codice di Diritto Canonico con la Costituzione Apostolica Pascite gregem Dei, il Papa ha introdotto, nel corpo codiciale, al § 3 del canone 1379, la seguente previsione: «Sia colui che ha attentato il conferimento del sacro ordine ad una donna, sia la donna che ha attentato la recezione del sacro ordine, incorre nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica; inoltre il chierico può essere punito con la dimissione dallo stato clericale.» Il termine attentato usato in tale contesto squisitamente tecnico non designa affatto – va chiarito – la violenza di un atto illecito, ma l’inefficacia dell’atto che si è posto in essere, improduttivo di qualunque effetto giuridico. Pertanto, per il Legislatore Supremo – che nella Chiesa Cattolica è il Papa e non un Parlamento -, attentare al conferimento dell’Ordine Sacro ad una donna significa, sostanzialmente, illudersi che tale atto, gesto, significhi qualcosa, mentre non significa radicalmente nulla ed anzi è di grave scandalo, al punto da dover essere sanzionato con una pena.

E pochi giorni dopo questa novità legislativa in ambito canonico, giunge la notizia delle dimissioni del Card. Reinhard Marx dalla guida dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga, benché tale gesto sia pure di per sé improduttivo di effetto, non costituendo – come avviene nel diritto civile e come sempre tecnicamente si dice – un atto unilaterale recettizio, richiedendosi invece l’accettazione da parte del destinatario della comunicazione di dimissioni (in diritto civile, se ci si dimette, in particolare da un rapporto di lavoro subordinato, non è necessaria alcuna accettazione da parte di nessuno), cioè, in questo caso, da parte del Papa ancora una volta. Perché è soltanto il Papa a nominare i Vescovi dell’intero orbe terracqueo.

Coincidenza meramente casuale tra inserimento esplicito di una norma canonica sull’ordinazione delle donne all’interno del Codex (prima era sempre norma vigente di legge canonica, ma in forza di un Decreto Generale della Congregazione per la Dottrina della Fede del 2007, https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_20071219_attentata-ord-donna_it.html, e dunque non si trovava nel Codice) e dimissioni del Card. Marx, che è universalmente noto come uno dei più convinti sostenitori di una riforma ecclesiale cattolica indifferibile? Può darsi che sia solo un caso. Certo colpisce che Andrea Riccardi, a pag. 8 di Avvenire di ieri, affermi testualmente in un’intervista: «Questo gesto finisce quindi inevitabilmente per indebolire la leadership dell’attuale presidente, il vescovo di Limburgo Georg Bätzing, e oggettivamente mette in difficoltà anche il Papa.» In realtà, consultando il sito del SIR, si legge che mons. Bätzing ha affermato: “Comprendo la decisione del card. Marx” e pure che “Una revisione puramente giuridica e modifiche amministrative non bastano” (https://www.agensir.it/quotidiano/2021/6/4/germania-mons-batzing-presidente-vescovi-le-dimissioni-del-card-marx-mostrano-che-deve-continuare-il-cammino-sinodale-intrapreso/).

Una considerazione al riguardo è possibile, crediamo. Si tratta, se ci riflettiamo bene, di vicende che vedono come attori e protagonisti esclusivamente maschi, uomini. Vescovi, papi, canonisti coinvolti nella presentazione ed illustrazione della nuova Costituzione Apostolica, tutti maschi. Nessuna donna.

Una delle reazioni più alla moda sarebbe: è necessaria la resilienza. Ma al riguardo, il filosofo Pier Aldo Rovatti, dalle pagine de “Il Piccolo”, il quotidiano di Trieste, ci avvisa, venerdì scorso (in un articolo intitolato “Saltare indietro”. La magia della resilienza, a pag. 25): «(…) sarebbe interessante sapere quanto di noi, incontrando questa parola, si sono detti: “certo, ovvio, la resilienza”. Ho l’impressione che pochi abbiano reagito così, mentre la maggioranza ne sapeva poco o nulla, e abbia avvertito lo stupore che si ha di fronte a ciò che non si conosce. Il lato meno virtuoso della questione è appunto l’indurre una pseudo-comprensione o un punto interrogativo nella testa di chi legge e ascolta, alimentando così una ricezione favorevole del messaggio. È un vizio intellettuale ben noto al quale si ricorre quando si vuole giocare sulle relative ignoranze, non quando si desidera contribuire a colmarle: questione non secondaria nell’universo attuale della comunicazione.» Eppure avverte: «Ma qui il parolone cui si ricorre è tutt’altro che una parola vuota o gonfiata artificialmente: infatti la resilienza indica un’esperienza molto importante, per niente “magica” in se, che dovremmo riuscire a capire e a far nostra. (…) Il parolone “resilienza” ci inquieta, non riusciamo a comprenderlo bene? Allora semplifichiamolo sostituendola con una parola più abituale: “resistenza”.»

Quale forma dunque di resistenza è possibile opporre ad un potere che si accredita come sacro ma trasuda patriarcalismo, paternalismo, maschilismo, da tutti i lati?

Si arriva così alla faccenda decisiva e tutt’altro che semplice da districare. Perché, a parere del qui scrivente, vengono in emersione ed in gioco le reti affettive, le dinamiche pure istituzionali dei vincoli affettivi, che assegnano ruoli e condizioni, codificano competenze ed autorizzazioni a parlare.

Nel molto bistrattato Settecento dal punto di vista delle condizioni sociali – almeno sino alla Rivoluzione Francese e considerando che in ogni caso fu comunque il secolo dei Lumi -, il rapporto tra i sessi, certo soltanto presso l’aristocrazia in verità, era completamente rovesciato. La Signora, ovviamente maritata in piena regolarità canonica e necessariamente madre di figli legittimi di certa paternità, aveva quantomeno un uomo, spesso più di uno, al suo costante servizio, conosciuto dal marito e tuttavia alla dama in tutto subordinato. È qualcosa di talmente alieno alla nostra modernissima concezione delle relazioni fra i sessi che rischia di far sbiancare in volto ogni nostra e nostro attivista pur motivata/o in assoluta buona fede.

Terminiamo dunque con un’immagine: ce la figuriamo una teologa, donna, che entri al Palazzo Apostolico, in Vaticano, accompagnata da un servitore – magari in abito talare e colletto bianco - adibito al solo compito di rendere agevole ed efficace la sua presenza nel centro del potere ecclesiastico?

No, non ce la figuriamo. Rischiamo anzi di beccarci qualche canonica reprimenda anche al solo pensiero.

Eppure Adriana Zarri (che oggi conosce una rivalutazione non del tutto innocente in ambito ecclesiale, un po’ come accaduto con don Tonino Bello, anche da parte chi l’ha sempre tenuta ben distante o deliberatamente ignorata) così affermò: «Un amico auspicava il momento (quanto lontano non si sa ma temo – ahimè – lontanissimo) in cui, alla loggia di San Pietro, si sarebbe affacciato un papa con consorte al seguito annunciando: “questa è mia moglie”. Ma io vado più avanti: quando si affaccerà un papa donna col principe consorte al seguito, annunciando: “questo è mio marito”?». http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/adriana-zarri/.

Ecco, qui ci sta tutto.

E non è una corbelleria. È un orizzonte verso cui lavorare, con competenza e passione.

“Monsignori avvisati, dietro le teologhe potrebbero nascondersi frotte di teologi (o canonisti) cavalier serventi”.

E Monsignore avvisato…

Buona domenica.