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Credo

di Dario Culot

JS Bach, Messe in Si minore, BWV 232, Incipit nr. 13 Credo - immagine tratta da commons.wikimedia.org

Mentre il Padre nostro era ed è una preghiera universale ispirata direttamente da Gesù, giunta fino a noi attraverso i vangeli con qualche piccola variante nella duplice versione di Matteo e di Luca, ed è una preghiera che per la sua universalità possono recitare tutti, compreso gli ebrei e i musulmani,[1] il Credo[2] che si ripete ad alta voce subito dopo l’omelia della messa resta per me difficile da recitare, in quanto non mi trovo a mio agio entro i suoi confini. Esattamente come aveva scritto Duccio Peratoner nell’ormai lontano n. 440 di questo giornale (https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199999---febbraio-2018/numero-440---18-febbraio-2018/il-credo-in-cui-non-credo): «Ogni frase, più o meno, del testo canonico pian piano mi si è sgretolata e oggi mi ritrovo a stare in silenzio durante la recita del Credo, o magari a dire una frase sì e altre tre no, dopo aver cercato parole che non fossero in contraddizione con quello che sembrava volermi dire il vangelo, e dopo anni in cui sostituivo, più o meno ad alta voce, delle parole o delle frasi intere».

Il Credo è zeppo di affermazioni dogmatiche, e non tutte sembrano essere in sintonia con i vangeli, ma si suppone che, se uno lo recita, stia affermando di credere a quei dogmi, e quindi di accettare quelle teorie. Personalmente condivido invece una immagine di Dio totalmente diversa, e sono convinto che Dio non guarisce con i dogmi (e neanche con i riti), ma con carezze di mani e di cuore[3]. È possibile seguire Gesù perché ci piace, perché ci appassionano le sue parole da uomo libero qual era. Del Dio dei 10 comandamenti o del Dio onnipotente e perfettissimo mi sembra sia impossibile innamorarsi[4].

Ora, il magistero che ci ha insegnato tutti quei dogmi si aspetta che chi recita il Credo sia invece in piena sintonia con questo suo insegnamento: per il magistero chi è in sintonia è credente, gli altri sono fuori. Ma una Chiesa chiusa in sé stessa, che condanna e disprezza chi non la pensa come lei, è – a mio avviso,- una Chiesa irreligiosa. Infatti l’uomo veramente religioso non separa mai, non crea divisioni, partecipa semplicemente al mistero dell’unità del tutto in Dio. Chi è religioso è un uomo di comunione, mentre l’uomo irreligioso è uomo di divisione, di partito, di durezza,[5] che si pavoneggia nella convinzione di aver raggiunto (solo lui) la Verità Assoluta. Dunque, non riesco a sottomettermi in obbedienza al clero[6] neanche quando si recita il Credo. Eppure sono sicuro che anche molti altri hanno avuto o hanno gli stessi dubbi che ho io,[7] anche se forse, in passato, la pressione della Chiesa era troppo forte perché qualcuno osasse esprimere apertamente questi dubbi, e le coscienze erano state formate fin da piccoli in modo tale da soffocare ogni dubbio perché credere all’insegnamento era un dovere assoluto[8]. Ancora papa Benedetto XVI aveva espressamente scritto al teologo Curran Charles, sollevandolo dall’incarico di insegnamento: “Non è vero che andando contro l’insegnamento non infallibile si mette in atto un dissenso responsabile che dovrebbe essere sempre permesso. Occorre invece sempre obbedire all’insegnamento, anche se non infallibile, del magistero”[9]. Vietato contestare. Vietato porre domande.

Mi consolo pensando che Gesù non ha dettato alcun Credo, e neanche testi di teologia ortodossa per stabilire chi è vero credente e chi non lo è. Questo lo ha fatto la Chiesa che pretende di essere l’unica voce autorizzata a parlare in nome di Dio. Però la storia ha dimostrato che quando, in un qualsiasi momento storico, ci s’incontra con una seconda parte che pretende a sua volta di parlare in nome di Dio, il risultato è che ciascuna parte demonizza l’altra[10] e si arriva allo scontro. O si è d’accordo, o si è in disaccordo, senza possibilità di confrontarsi pacatamente. E questo è già contrario al Vangelo, da cui emerge che Gesù è venuto per unire, non per dividere. E allora, crediamo a quanto insegna il Vangelo, o a quanto insegna il magistero?

Dopotutto cosa significa credere, aver fede? Gesù ci invita ad affidarci e a seguirlo con fiducia. Si può aver fede anche se si hanno dubbi circa i contenuti delle dottrine della fede, perché la dottrina della fede non è elemento fondante della fede[11]. Del resto come non ricordare che, secondo i vangeli, gli stessi apostoli erano “uomini di poca fede,” così poca che non arrivava nemmeno ad essere come “un granello di senape” (Lc 13, 19), sempre con dubbi, paure, insicurezze (ad es.: Mt 28, 17; Mc 16,14; Lc 24, 37). Il dato fermo, per i cristiani, è che il Pane di Dio, disceso dal cielo e che dà la vita al mondo è Gesù stesso; il Pane divino non è di certo costituito dai dogmi. Gesù si è fatto Pane affinché mangiandolo, assimilati a lui, diventiamo capaci di seguirlo su vie piuttosto impervie, comunque estranee a quelle più comunemente battute nel mondo: la sua è la via del servizio amorevole e della gratuità verso gli altri[12] (Gv 6, 32ss.). Già accogliere questa proposta di Gesù è piuttosto difficile e faticoso, ma solo così si dimostra di credere al Vangelo. Lasciare andare come quel ragazzetto i nostri cinque pani d'orzo e i nostri due pesci (Gv 6, 9),[13] che siamo riusciti ad accumulare con fatica, pur avendo sentito che ci saranno ridonati, richiede una fiducia già inusuale nella persona di Gesù Cristo; e sicuramente non basta recitare il Credo per sentirsi rinforzati nella propria fede.

Ma come nasce questa fiducia che Gesù ci ha invitato ad abbracciare? La fiducia è come uno sviluppo maturo di quell’atteggiamento iniziale del neonato; è un allargamento dell’orizzonte iniziale, dovuto all’esperienza di aver incontrato persone che ci hanno donato più vita[14]. Crescendo, un giorno si capisce che nessuna situazione di questa terra, nessuna creatura è veramente in grado di rispondere alle nostre esigenze più profonde, ma allora deve esistere Qualcuno in grado di rispondere a queste nostre esigenze: altrimenti perché le avremmo?[15] Nessuno può dimostrare, come 2 più 2 fa 4, che Dio esiste ed è amore[16]. Eppure l’amore della mamma può essere il primo impatto che abbiamo con l’immagine di Dio, e ci convince che l’amore esiste ed è la base della vita su questo pianeta[17]. Quando un bambino nasce, non sa cosa vuol dire mangiare, eppure cerca da subito qualcosa che nemmeno sa che esiste (il latte della mamma), e quando l’ha trovato, e in seguito quando succhiando incrocia anche gli occhi della mamma si acquieta. Questo ci fa pensare che quando c’è un bisogno istintivo ci deve essere parimenti una sorgente reale, e non meramente illusoria. Se c’è un bisogno, ci dovrà pur essere da qualche parte la causa di questo bisogno. Perché allora non dovrebbe essere così anche per il trascendente? Se tutti lo cerchiamo, se in tutte le epoche è stato cercato, anche solo per confutarlo, anche non volendolo e quindi solo per tentare di cancellarlo, non è che questo divino ci sarà pure da qualche parte? Insomma, anche se l’uomo riesce a radiare Dio dalla propria vita, non riesce mai a cancellare la sua sete di Dio, anche se latente. Ci sarà pure un motivo!

Credere che Dio esiste, allora, non viene da una conoscenza razionale, ma può nascere solo dalle esperienze che si stanno vivendo o abbiamo vissuto, e si trasmette per contagio. Non si deve perciò confondere la fede (abbandonarsi a Dio fiduciosamente, avendo sperimentato valide testimonianze umane per farlo) con la dottrina della fede (ritenere vero quello che il magistero ci ha insegnato di Dio[18]): la prima è atteggiamento vitale; la seconda è solo credenza religiosa. L’esperienza che uno fa è sempre più grande che credere a una dottrina. In sintesi, la fede è innanzitutto emotiva, è una scelta di vivere e agire in un determinato modo (per il cristiano seguendo Gesù e accettando l’immagine di quel Dio prodigo di amore misericordioso che ci ha presentato Gesù[19]), senza neanche pensare di doverla spiegare razionalmente, senza pensare di dover difendere la verità imparata al catechismo. La fede si dimostra nel come ci si relaziona ogni giorno con gli altri, non nell’aver accettato verità dottrinali insegnate dal magistero. Invece pensare di dimostrare la propria fede e quindi di essere a posto con Dio andando a messa ad ogni festa comandata,[20] ricevendo i sacramenti, e credendo a tutti gl’insegnamenti del magistero è credenza religiosa, ma non ci rende ancora seguaci di Gesù.

Il problema è, come ha ben spiegato Martin Buber in un suo scritto stimolante,[21] che Gesù ha avuto una fede ebraica, cioè una totale fiducia e un totale abbandono a Dio, mentre i cristiani hanno seguito in prevalenza una fede dottrinale, cioè una verità da accettare e in cui credere (basta andare a leggere il n.232 del Catechismo di Pio X). Solo dopo l’ultimo concilio, nella Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione - Dei Verbum, del 18.11.1965, al §5, si afferma con chiarezza che la fede è abbandonarsi fiduciosamente a Dio, accogliendo quella forza che ci conduce a diventare suoi figli. Dopo oltre 70 anni, ancora molti non si sono rassegnati, e fermi nelle loro convinzioni impermeabili che danno grande sicurezza ancora scambiano la religione per fede, e pensano di aver fede e quindi di essere salvi perché credono a quanto si recita nel Credo. Ma mentre nella religione ci sono tante verità e anche tanti errori, la fede si trova al di fuori di questo campo, perché chi ha fede non si sente depositario di una verità assoluta e perciò non si sente in dovere di correggere o di doversi allontanarsi dagli erranti che pensano in maniera diversa: la fede è solo dare fiducia a Dio, con speranza,[22] senza pretendere di sapere cosa deve venire dal futuro, per cui la si può semplicemente collegare all’esperienza di un dono ricevuto attraverso l’amore degli altri. Mi spiego meglio usando le parole di Carlo Molari: non si tratta di imitare l’amore di Dio, ma di esprimerlo, di renderlo concreto sulla terra perché l’amore di Dio sulla terra non si vede e non esiste se non diventa amore di persona umana. Ma in realtà non siamo noi ad amare, bensì è il Bene che in noi riesce ad esprimersi; dunque occorre lasciarsi investire da questa forza della vita[23] e consentire che in noi si esprima: per questo Gesù stesso aveva detto “non faccio nulla da me stesso … ma è il Padre che compie in me le sue opere” (Gv 8, 28 e 14, 10). Quando scopriamo che siamo capaci di gesti di misericordia che prima non riuscivamo a fare, questo diventa esperienza di Dio[24].

Chi ha fede non si àncora poi a una verità assoluta,[25] ma sa di essere sempre in divenire, sa di dover cambiare in continuazione, perché chi viaggia fa sempre nuove esperienze, ha nuovi pensieri, sì che non si ferma mai allo stesso punto. Noi nasciamo e ci sviluppiamo solo grazie alle continue relazioni con gli altri. Siamo incompiuti e dobbiamo mettere insieme gli elementi necessari per il nostro cammino[26]. Aver fede significa allora prendere coscienza di vivere alla presenza di Dio, sapendo che c‘è sempre un dono nuovo da accogliere qui, ora, seppur come piccolo frammento[27]. Poi seguirà un altro frammento.

Detto questo, mi sembra che allora i tempi siano ormai maturi per chiederci se è ancora possibile utilizzare le parole del Credo nella loro interezza, oppure se quelle antiche parole hanno perso autorità e sono ormai inadatte allo scopo; se è arrivato il momento di rinunciare agli schemi del passato, avendo capito che c’è una differenza enorme tra un’esperienza e il modo in cui quell’esperienza viene spiegata. In altre parole, dovremmo brutalmente domandarci: che ci facciamo di questo Credo? Lo teniamo perché ci aiuta a vivere meglio, oppure lo abbandoniamo e lo seppelliamo perché, pur con tutta la sua saggezza antica, ha per noi un suono ormai troppo debole per dirci ancora qualcosa? Vediamo di capirci meglio usando un esempio pratico: pensiamo a come veniva spiegato il rapporto sole-terra; oppure ricordiamoci che l’epilessia veniva spiegata in passato come possessione demoniaca e oggi come chimica elettrica fra cellule cerebrali. Questo dimostra che la spiegazione della stessa esperienza è necessariamente sempre influenzata dal periodo storico e culturale in cui si vive. La Chiesa continua a proclamare che nel Credo è stata catturata per sempre la Verità definitiva, e forse proprio per questo il cristianesimo sembra sempre meno credibile perché siamo consapevoli che le spiegazioni dogmatiche[28] dei primi secoli riflettono la visione del mondo di quei secoli (quando appunto si credeva che il sole girasse attorno alla terra e che l’epilessia fosse causata da uno spirito malvagio), mentre la cultura e la mentalità di allora sono ormai del tutto scomparse. Di più: spesso è mutato perfino il significato delle parole che si usavano a quel tempo; le usiamo ancora oggi, però dando loro un senso diverso. Spesso, cioè, le parole che oggi usiamo non somigliano più alle cose che indicavano in passato[29]. Ecco perché oggi l’esperienza di Dio e di Cristo deve essere separata dalle spiegazioni offerte nel passato[30].

Il simbolo della fede, il Credo, è stato infatti un tentativo teologico, fatto in allora, di spiegare l’esperienza di Dio fatta fino a quel momento, sintetizzandola in determinate formule. In effetti, il Credo è stato composto in seno alle comunità per poter esprimere, per quanto il mistero permetteva, le principali verità di quella fede comune. Ma allora imperava la convinzione che, per definizione, la verità raggiunta sarebbe stata immutabile fino alla fine del mondo,[31] quindi si era ormai convinti di aver raggiunto la Verità Assoluta. Oggi sappiamo che non è così. E il siluro più grosso contro l’idea di possedere la Verità Assoluta l’ha lanciato proprio papa Benedetto XVI (ancora il vero papa per i conservatori e i sovranisti di oggi) quando ha affermato che, se vogliamo parlare del Dio Trascendente, dobbiamo renderci conto che non sappiamo sostanzialmente nulla e riusciamo solo ad accennare alla verità, che tuttavia nella sua totalità non coglieremo mai in questa vita. I padri del concilio di Nicea, avendo un’idea diametralmente opposta a questa, avrebbero dichiarato Benedetto XVI eretico. E questo stesso papa, certamente non tacciabile di sfegatato progressismo, ha anche aggiunto che “Noi siamo solo collaboratori della verità che non possediamo; è lei che possiede noi, che ci tocca. E nessuno osa più dire "Possediamo la verità", cosicché anche noi teologi abbiamo tralasciato sempre più il concetto di verità”[32]. L’ovvia conseguenza è che solo se la Chiesa fosse realmente in possesso della Verità Assoluta si potrebbe ancora parlare di immutabilità fino alla fine del mondo. Insomma, è ora di renderci conto che noi continuiamo a recitare nel Credo che Gesù è “Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. Ma se Dio è Trascendente e noi non possiamo conoscere il suo essere, la sua natura – come ha riconosciuto lo stesso papa Benedetto - o, il che è lo stesso, in cosa consiste la divinità, non ha alcun senso affermare che Gesù (il Figlio) ha la stessa natura del Padre o partecipa alla stessa divinità essendo della stessa sostanza del Padre. Infatti, dare per certo che Gesù ha natura divina equivale ad affermare di sapere ciò che è «l’essere divino soprannaturale», quando in realtà proprio questo è ciò che non sappiamo.

Oggi sappiamo che qualsiasi immagine che noi abbiamo di Dio non è mai Dio, per cui è normale cambiare, e questo non dovrebbe mettere in crisi nessuno,[33] perché nessuno ha mai visto Dio (Gv 1, 18). Dio è sempre aldilà delle nostre definizioni, e ciascuno di noi può incontrarlo solo in un cammino personale di incontro, di apertura, di comunione con gli altri[34]. Ecco perché neanche il Credo deve essere immodificabile.

Il primo Credo è stato chiamato Simbolo degli Apostoli, perché – s’insegna,- è un compendio delle verità della fede insegnate dagli Apostoli. Ecco il testo tratto dal Catechismo di san Pio X:

1. Io credo in Dio Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra.

2. Ed in Gesù Cristo suo Figliuolo unico, Signor nostro.

3. Il quale fu concepito di Spirito Santo: nacque di Maria Vergine.

4. Patì sotto Ponzio Pilato: fu crocifisso, morto e seppellito.

5. Discese all’inferno: il terzo di risuscitò da morte.

6. Salì al cielo: siede alla destra di Dio Padre onnipotente.

7. Di là ha da venire a giudicare i vivi ed i morti.

8. Credo nello Spirito Santo.

9. La santa Chiesa cattolica; la comunione dei santi.

10. La remissione dei peccati.

11. La risurrezione della carne.

12. La vita eterna. Amen.

Questo Credo – che ancora in questi termini si recitava quand’ero piccolo, - viene oggi recitato (con la sostituzione della parola inferi a inferno) durante il periodo di Quaresima e Pasqua. Per la maggior parte dell’anno liturgico si recita invece il Credo di Nicea[35] (anche se gli atti originali di questo concilio sono andati perduti). Il simbolo della fede di Nicea del 325, è stato poi integrato a Costantinopoli nel 381, ed entrambi dicono in forma più o meno sintetica la stessa cosa, nel senso che il secondo è un mero sviluppo del primo.

Qui di seguito, in neretto, le parti assenti a Nicea e aggiunte a Costantinopoli. Il famoso filioque (“lo SS procede dal Padre e dal Figlio”) – oggetto di acerrimo scontro fra cattolici latini e orientali - è invece un’aggiunta posteriore della sola Chiesa cattolica (posteriore al concilio di Costantinopoli), che non si trova nel testo originale greco dei due concili.

Credo in un solo Dio,

Padre onnipotente,

creatore del cielo e della terra,

di tutte le cose visibili ed invisibili.

Credo in un solo Signore, Gesù Cristo,

unigenito Figlio di Dio,

nato dal Padre prima di tutti i secoli:

Dio da Dio,

Luce da Luce,

Dio vero da Dio vero,

generato, non creato,

della stessa sostanza del Padre;

per mezzo di lui tutte le cose sono state create.

Per noi uomini

e per la nostra salvezza

discese dal cielo

e per opera dello Spirito Santo

si è incarnato nel seno della Vergine Maria

e si è fatto uomo.

Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato,

morì

e fu sepolto.

Il terzo giorno è risuscitato,

secondo le Scritture,

è salito al cielo,

siede alla destra del Padre.

E di nuovo verrà, nella gloria,

per giudicare i vivi e i morti,

e il suo regno non avrà fine.

Credo nello Spirito Santo,

che è Signore e dà la vita,

e procede dal Padre [e dal Figlio],

e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato,

e ha parlato per mezzo dei profeti.

Credo la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica.

Professo un solo battesimo per il perdono dei peccati.

Aspetto la risurrezione dei morti

e la vita del mondo che verrà. Amen.

Di primo acchito sembra proprio che lo scopo del Credo sia quello di voler riaffermare l’obbligo di credere ai dogmi pronunciati dall’istituzione, ma che oggi – nei termini in cui vengono pronunciati - suonano spesso incomprensibili a molti fedeli.

Se solo si pensa un attimo, oggi si insiste tanto nello spiegare che l’unica definizione di Dio che si trova nel Nuovo Testamento è che Dio è innanzitutto Amore; eppure nel Credo questa parola è del tutto assente[36]. Del tutto assente è l’immagine di Dio misericordioso, quando in tutto il vangelo di Luca questo Dio è il Dio della misericordia, della gioia e della speranza.

Di Gesù ci si limita a dire che “nacque, morì, fu sepolto” senza neanche accennare al fatto che durante la sua vita ha dato testimonianza di un Dio diverso, ha guarito, ha accolto, ci ha chiamati amici e non servi (Gv 15, 15),[37] ecc. Insomma, manca ogni riferimento a ciò che Gesù ha detto e fatto sulla terra, come se fosse stato passivo e muto,[38] mentre oggi comprendiamo che solo seguendo ciò che Gesù ha detto e fatto nella sua vita terrena potremmo essere veri cristiani. Non c’è neanche accenno al fatto che l’onore di Dio (a detta del magistero offesissimo dai nostri peccati) non è la prima cosa che assilla Gesù, perché Dio non ha bisogno di nulla (At 17, 23);[39] per Gesù, più urgente dell’offerta da portare sull’altare, cioè più urgente della messa, è la pace col fratello (Mt 5,23-24). Il tema su cui Gesù batte insistentemente è la «conversione» e l’instaurazione sulla terra del «regno dei Cieli», il luogo della felicità degli uomini. Non c’è accenno al fatto che, per Gesù, il prossimo non è quello che pensa esattamente come noi, che parla la nostra lingua, ma è chi si trova nel bisogno, e quindi anche lo straniero, l’eretico, colui che incontriamo per puro caso senza averlo mai visto prima, come ben risulta dalla parabola del buon samaritano (Lc 10, 30-37). Se questo principio fosse inserito nel Credo, nessuno[40] potrebbe brandire la croce per respingere gli stranieri[41]. Non c’è accenno al fatto che, per Gesù, l’importante non è essere buoni giudei che adorano Dio sul monte Sion o buoni samaritani che adorano Dio sul monte Garizim, ma l’importante è essere aperti allo Spirito che è il vero modo di essere in comunicazione col mistero di Dio (Gv 4, 21s.). Ed è interessante notare che davanti alla donna siro-fenicia (Mc 7,25) e al centurione (Mt 8,5-13), persone con Credi completamente diversi dal suo, Gesù non pretende di convertirli al suo Credo[42], ma li elogia per la fede (pagana) che dimostrano, e che – a differenza della religione che con intransigenza pretende il predominio sulle altre religioni,- unisce tutte le persone («Voi siete tutti fratelli»; Mt 23,8).

I vangeli ci dicono anche che il Gesù storico ha avuto uno scontro costante col potere religioso e da questo potere è stato alla fine crocifisso. Ma neanche di questo c’è traccia nel Credo, nel nostro simbolo della fede. Vale a dire, mai si fa intendere che i dirigenti della religione e lo stesso Gesù avevano presto capito che tra di loro c’era un’incompatibilità assoluta,[43] per cui questo scontro è arrivato fino all’estremo della morte di uno dei due contendenti.

E si potrebbe andare a lungo avanti così.

(continua)



NOTE


[1] Ricordo che l’anno prima che scoppiasse la guerra in Siria, nel centro della moschea di Damasco (la terza in ordine d’importanza nel mondo, dopo la Mecca e Gerusalemme). tutto il nostro gruppo, entrato lì per caso, aveva potuto recitare il Padre nostro ad alta voce, senza che nessun musulmano avesse nulla da ridire: immaginate cosa succederebbe da noi se un gruppo di musulmani si mettesse improvvisamente a pregare ad alta voce, davanti a tutti, nella basilica di san Marco a Venezia o nel duomo di Milano. Immaginate il giorno dopo i titoli sui giornali.

[2] Che insegna i principali articoli della nostra fede, cioè tutto quello che si deve credere di Dio, di Gesù e della Chiesa (Catechismo maggiore di san Pio X, n. 11 e 20). Però, se estraiamo il succo dai vangeli, Gesù ci ha parlato soprattutto dell’imminente venuta del Regno di Dio, e questo Regno – come ben spiega soprattutto il prof. Castillo (Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 235ss.) - ha tre obiettivi molto terreni:

(1) La salute delle persone (motivo per cui Gesù cura tanti infermi sofferenti);

(2) Il cibo (che cioè tutti abbiano da mangiare, e che si mangi possibilmente condividendo, e non da soli). Casati Angelo (Casati A., I giorni della tenerezza, ed. Fraternità di Romena Pratovecchio (AR), 2013, 71s.) scrive: nella terza manifestazione del Signore, risorto, sulla riva del lago, ci s’immagina che se si manifesta sarà per dire cose teologiche importanti, come quando da noi appare la Madonna; e invece per lui la cosa che sembra più importante è mangiare e far festa. La dottrina ufficiale, sconcertata per questo suo comportamento, ha inventato l’interpretazione che questa fosse solo una scusa per attirare l’attenzione; ma allora perché non solo accendere il fuoco sulla spiaggia, che si vede da lontano? perché anche curarlo proprio per arrostire il pesce e mangiare assieme? La nostra è una spiritualità dogmatica listata a lutto. Gesù preferisce accompagnare le persone verso la felicità qui sulla terra, per questo ci propone il Regno di Dio come una festa, un banchetto, senza distinguere fra degni di essere invitati e indegni. Gesù era così poco ossequioso del sacro rito da essere indicato spregiativamente come amico dei peccatori (Mt 11, 19), altro che un santo con l’aureola. È bene sottolineare che i vangeli non ci dicono affatto che Gesù andava in giro con quel disco piatto e dorato sulla testa, anzi chi non lo sopportava vedeva in lui solo un mangione e un ubriacone (Mt 11, 19). Quello che invece i vangeli ci fanno capire è che attirava le polemiche da parte dei pii ortodossi come i campanili attirano i fulmini.

(3) La felicità delle persone su questa terra (Gv 10, 10: sono venuto perché abbiate una vita piena), senza dover aspettare una vita futura. Sembra evidente che questo insegnamento di Gesù è incompatibile con l’insegnamento del magistero che ci ha inculcato l’idea che il cristiano deve vivere nella colpa e nella paura, dopo che, essendo stato creato nella perfezione è caduto miseramente a causa del peccato. Il magistero ci ha spiegato che avendo perso l’impeccabilità dobbiamo essere salvati, e la salvezza, che noi da soli non possiamo guadagnare, può venire solo da Dio: è per questo che lo dobbiamo implorare in continuazione mettendoci in ginocchio e supplicando (Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 180). Ma la storia di salvezza è iniziata ben prima di Gesù: pensiamo alla liberazione in Egitto raccontata dalla Bibbia; e Maria ha visto che la salvezza è già avvenuta, tanto che nel Magnificat (Lc 1, 46ss.) usa i verbi al passato. Come ha ben detto don Luciano Locatelli, la storia della salvezza ci viene incontro, ma noi dobbiamo accoglierla. Dobbiamo rispondere a una proposta di realizzare quel modello di umanità manifestato da Gesù col suo stile di vita. Perciò la salvezza non può essere collegata ai peccati (intesi come offesa a Dio) che tutti commettiamo, ma significa camminare verso un compimento della vita umana. Luca ci porta a vedere la salvezza già nell’adesso (detronizzare i potenti, innalzare gli umili - Lc 1, 52s.) non dopo un giudizio futuro: sentire che oggi si realizza la pienezza dell’umanità in me, in base alle relazioni che mantengo con l’altro, già questo è salvezza.

Faccio anche notare che tutti e tre questi obiettivi perseguiti da Gesù sono sostanzialmente fuori della religione, e anzi visti con sospetto dalla stessa. La religione preferisce accompagnare le persone verso la perfezione dell’anima e verso la santità con l’aureola.

[3] Così frate Bonati G., Buon giorno, infinito, Romena accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2021, 83.

[4] Idem, 83 e 78.

[5] Vannucci G., Parole che cambiano, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2018, 60s.

[6] Nella Chiesa si è inteso il “ministero apostolico” come sacerdozio dotato di “potere” (concilio di Trento, Denzinger – Enchiridion Symbolorum 1764, 1771) e come episcopato dotato di “piena e suprema potestà” (Vaticano II, Lumen Gentium 22). Il potere ovviamente si esercita sui laici credenti, che devono solo obbedire, quando Gesù aveva espressamente proibito un uso siffatto del potere (Mc 10,42ss.; Mt 20,25ss.). Non è questo un messaggio subdolo del clero, contrario al testo del vangelo, mai corretto dal magistero cattolico?

[7] Lutero, quando venne chiamato a discolparsi, dopo essere stato scomunicato nel 1521 disse: «Se non vengo confutato attraverso la testimonianza della Scrittura o in base a un chiaro motivo – poiché soltanto al papa o ai concili io non credo; è certo che essi hanno ampiamente sbagliato e sono anche entrati in contraddizione fra loro – allora sono vinto dalle parole della Scrittura da me citate. E poiché la mia coscienza è prigioniera delle parole di Dio, io non posso e non voglio ritrattare nulla…voglio onorare il papa se lui mi lascia libera la coscienza e non mi costringe a offendere Dio» (Denzler G., Il Papato, ed. Claudiana, Torino, 2000, 88s. e 93).

Oggi abbiamo finalmente un papa che sostiene «Se una persona dice di aver incontrato Dio con certezza totale e non è sfiorata da un margine di incertezza…se ha le risposte a tutte le domande, ecco che questa è la prova che Dio non è con lui…Le grandi guide del popolo di Dio, come Mosè, hanno sempre lasciato spazio al dubbio. Si deve lasciare spazio al Signore, non alle proprie certezze» (Spadaro A., Intervista a Papa Francesco, “La Civiltà Cattolica” n.3918/2013, 469). Anche il cardinal Martini soleva ripetere: “Io ascolto sempre il non credente che è in me” (Costantini E., Martini, testimone dell’ascolto, “Corriere della sera”, 4.7.2013, 33). Insomma, un uomo senza dubbi non può essere un uomo di vera fede, perché la fede genera automaticamente dubbi. Di più: solo se la fede è debole, anche il dubbio è debole (Mucci G., Se la fede è debole, anche il dubbio è debole, “Civiltà cattolica”, n.4049/2021, 493).

[8] Per essere liberi occorreva e occorre un grande coraggio, e vuol dire innanzitutto rinunciare a carriera e denaro: temo che nei seminari la maggior parte dei seminaristi non abbia particolare interesse a sentire campane diverse da quelle ortodosse. I più hanno fretta di concludere il ciclo di studi con l’agognato pezzo di carta che poi permette loro di entrare nella categoria del clero, senza avere problemi. Non si capisce altrimenti perché tanti giovani preti siano così fortemente conservatori in punto teologia, quando l’essenza del vangelo è l’ortoprassi, e non la teologia.

Pensiamo anche a quanti teologi dei nostri giorni (per fare solo qualche esempio, pensiamo a Castillo J.M., Ortensio da Spinetoli, Jacques Dupuis, ecc.) sono stati privati della cattedra d’insegnamento e quindi emarginati e privati di ogni introito; eppure anche in totale povertà hanno continuato con forza (a dire il vero Dupuis è morto poco dopo di crepacuore) a sostenere le loro idee che non collimavano con quelle della Chiesa ufficiale. Secoli fa sarebbero stati bruciati sul rogo. Oggi, non potendolo più fare, l’istituzione cerca di zittirli riducendoli alla fame: per sopravvivere o trovano ancora qualche casa editrice che pubblica i loro libri (ma la bassa tiratura dei libri teologici, rispetto a un romanzo di successo, non li rende di sicuro ricchi), o hanno la fortuna di trovare qualche vescovo (e sono pochi) che non vieta loro di tenere qualche conferenza a pagamento nella sua diocesi. Qui, però, i laici potrebbero avere grande peso, perché a differenza dei parroci possono infischiarsene dei divieti del vescovo. Personalmente ho invitato il prof. Castillo senza che il vescovo potesse farmi nulla; un parroco che l’ha invitato è stato prontamente spostato di sede dal vescovo. Eppure è proprio ascoltando questi teologi ribelli che è come aprire una finestra su un mondo nuovo e respirare aria fresca, almeno per un attimo.

[9] Riportato da Sandri L., Il papa gaucho e i divorziati, Gioacchino Onorati ed. Canterano (RM), 2018, 69s. La Chiesa istituzione ritiene cioè di essere il luogo dove tutte le verità si danno appuntamento (Chesterton G.K., riportato da Biffi G., Pinocchio, Peppone, L’anticristo, Cantagalli, Siena, 2009, 148). Chiusa nel castello delle proprie sicurezze dogmatiche la Chiesa non nega che la teologia possa comportare un dibattito e richiedere un’apertura e una disponibilità a modificare le proprie opinioni; però nessuno può spingersi fuori del recinto custodito e sorvegliato dalla Chiesa (Benedetto XVI, L’elogio della coscienza, Cantagalli, Siena, 2009, 98s.), per cui si deve concludere che l’unico a dover modificare le proprie opinioni è il teologo che la pensa in maniera difforme dalla dottrina ufficiale, non certamente il magistero della Chiesa sicuro di godere della costante assistenza dello Spirito santo. Forse la gerarchia ecclesiastica crede di essere l’unica in comunicazione diretta con Lui, e di dover sanzionare chi la pensa in maniera diversa, mentre lo Spirito è stato dato a tutti e ha distribuito i suoi carismi secondo il suo disegno, e non secondo l’approvazione della gerarchia. A conferma di questa convinzione, come non richiamare quanto scritto oltre 400 anni fa dal coraggioso Sébastien Castellion contro la condanna a morte inflitta dalla gerarchia al teologo Michele Serveto che non si era conformato in punto obbedienza al magistero (Castellion S., Conto il libretto di Calvino nel quale si sforza di dimostrare che gli eretici devono essere puniti con la spada, § 77, in www.archive.org): “Uccidere un uomo non è difendere una dottrina, è uccidere un uomo. ..non spetta al giudice difendere una dottrina… Se Serveto avesse voluto uccidere Calvino, il giudice avrebbe fatto bene a difendere Calvino. Ma giacché Serveto aveva combattuto con ragioni e con scritti, solo con ragioni e con scritti bisognava confutarlo…”. Visto che oggi tutti concordano con l’idea di Castellion, siamo certi che lo Spirito santo stava con lui, e non con la gerarchia che anche allora era invece convinta di essere la sola ad avere il sostegno di questo Spirito.

Ripeto poi qui per l’ennesima volta, contro questa convinzione della gerarchia, l’obiezione pregnante di frate Vannucci (Nel cuore dell’essere, Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 117): “se le congregazioni romane che presiedono alla dottrina della fede fossero state di quel valore che pretendono di avere e che molti, oggi, riconoscono loro, questo risulterebbe dai vangeli: “un giorno a Roma si fonderanno quei dicasteri, ascoltateli!” Invece nessun vangelo lo dice. Gesù ha soltanto detto: “ascoltate lo Spirito Santo” (Mc 13, 11; Gv 14, 16.26; Gv 16, 13), che, come sappiamo, soffia dove vuole (Gv 3, 8) e non si trova agli arresti domiciliari presso i capi della Chiesa cattolica. Infatti, Il giorno di Pentecoste, cioè il giorno in cui viene il Consolatore promesso da Gesù (Gv 15, 26), lo Spirito santo entra nella casa dove stavano tutti (At 2, 2): non entra nella sinagoga, non entra nel Tempio, per cui neanche oggi entra solo nella Chiesa come invece alcuni credono. E già san Paolo ammoniva: «Non spegnete lo Spirito» (1Ts 5,19). Invece agendo così, i capi hanno trasformato la Chiesa, che doveva essere una comunità diretta dallo Spirito santo, in un’istituzione di uomini che comanda altri uomini e dirige una religione.

[10] Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 38.

[11] Molari, C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020,363 nota162.

E se, capovolgendo la solita definizione, intendessimo per fede la fiducia che Dio ha in noi, perché fede è solo credere che Dio non desidera altro che noi si viva pienamente, volando alto? (Bonati G., Buon giorno, infinito, Romena accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2021, 56).

[12] Gesù chiama amico il suo traditore, regala salvezza all’ultimo secondo di vita al ladrone inchiodato accanto a lui, abbraccia Pietro sulle rive del lago facendolo risorgere con lui…tutto sempre con amore, gratuitamente. Se ne deduce che Dio non si merita, si accoglie (Bonati G., Buon giorno, infinito, Romena accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2021,106).

[13] È chiaro che in quell’episodio Gesù non ha dato da mangiare a una folla affamata usando la bacchetta magica, ma ha dato un esempio di un comportamento, basato sulla condivisione, che anche noi siamo chiamati a imitare.

[14] L’amore oblativo dei genitori non succhia vita, la offre; il piccolo comincia a succhiare la vita perché non ha niente e occorre che trovi qualcuno che la offra (Molari, C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 490).

[15] Da bambini siamo affamati di latte e di coccole, da giovani di amore e di sogni, da adulti di amore e di verità. Ma anche quando raggiungiamo tutto questo non riusciamo a sentirci appagati, c’è ancora qualcosa che ci manca, ed è la fame di felicità, di pace interiore, di vita più grande, di cielo, di Dio (Bonati G., Buon giorno, infinito, Romena accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2021, 34s.).

[16] Come ha giustamente scritto Silvano Magnelli nel suo articolo Dio e il mondo, nel n.625 di questo giornale, oggi, seppur meno di ieri, rimane immutabile ancora in molti credenti, fedeli e persino in alcuni chierici la tendenza a credere in un Dio che “non veglia, ma sorveglia”, in un Dio che ci aspetta al varco nell’al-d-là per snocciolare tutte le nostre colpe e “non per asciugare le nostre lacrime” (un richiamo a padre Ermes Ronchi). Ma che si parli di un Dio giudice severo o di un Dio che ama gratuitamente, siamo sempre davanti a definizioni umane, tutte inadeguate e insufficienti.

[17] La fede non è credere a qualcosa o a qualcuno, semplicemente perché Dio non è né qualcosa, né qualcuno. Non è né questo, né quello. Dio lo si esperisce non per via intellettiva – non è una definizione – ma esperienziale (Scquizzato, Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 62).

[18] Molari C., Per una spiritualità adulta, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 197.

[19] Il Dio che si manifesta in Gesù è un Dio amore, è un Dio che si è fatto uomo e quindi è un Dio incredibilmente umano. Essere incredibilmente umani significa essere pienamente sensibili ai bisogni e alle sofferenze delle persone. Il Dio della religione invece infligge di frequente sofferenze alle persone. Il Padre di Gesù, che in Lui si manifesta, è colui che le allevia (Maggi A., conferenza L’ultima beatitudine, tenuta a Vittorio Veneto, 2007)

[20] Ha recentemente scritto il metropolita di Gorizia, monsignor Redaelli, nella sua lettera pastorale dell’11.10.2021 in riferimento al sinodo, al §9, che non si è cristiani perché si va a messa, ma si va a messa per poter diventare cristiani.

[21] Buber M., Due tipi di fede. Fede ebraica e fede cristiana, San Paolo, Cinisello Balsamo (MI), 1999.

[22] Ma come amava ripetere il vescovo Tonino Bello, profeta in terra di Puglia: «Non possiamo limitarci a sperare. Dobbiamo organizzare la speranza!». Cioè dobbiamo rimboccarci le maniche e collaborare per far arrivare il regno di Dio.

[23] Perché Dio è vita (Vannucci G., Parole che cambiano, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2018, 57).

[24] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 432s.

[25] Ha detto il filosofo Norberto Bobbio «Io trovo che questo voler avere la verità assoluta è qualcosa di luciferino. Luciferino perché non è questa la condizione umana come la conosciamo, come l’abbiamo letta attraverso la storia della vicenda umana, che è la storia dell’incertezza, dell’insicurezza, del dubbio, della ricerca certo, ma della ricerca che non ha mai fine, di problemi che non hanno mai una soluzione» (Pecora G., Il lumicino della ragione. La lezione laica di Norberto Bobbio, Donzelli, Roma, 2021, 194).

[26] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 30.

[27] Idem 414.

[28] È opportuno ricordare che gli ebrei non hanno dogmi, e fra di loro anche dottrine diverse (ad es. sulla risurrezione fra sadducei e farisei) non escludono un loro cammino spirituale comune.

Riporto in proposito questo significativo racconto ebraico: “Dieci rabbini discutevano su una questione di fede: nove contro uno. A un certo punto i nove, non riuscendo a persuadere il decimo, gli dissero: «Dal momento che i nostri argomenti non ti persuadono, ti persuada un argomento divino. Se abbiamo ragione noi questo muro si muoverà. Se hai ragione tu, il muro resterà fermo». Il muro si mosse, ma il rabbino dissenziente replicò loro: «Questo è un miracolo, ma non è un argomento». Più tardi il rabbino incontrò lo Spirito del Signore che lo rimproverò: «Tu mi hai rinnegato!» «No, Signore» rispose il rabbino, «sei Tu che mi hai dato la ragione, ed allora, servendomi della ragione io non ti rinnego, ma anzi ti onoro»”. Da notare che questo rabbino dissenziente non è stato né scomunicato, né messo sul rogo per la maggior gloria di Dio. Dovremmo imparare simile lezione, accettando tranquillamente l’idea che non si può credere contro la razionalità, perché se la vera logica umana è un dono di Dio nessuno può chiedere di contraddirla.

[29] Ad es., quando è stato fissato il dogma della Trinità, persona significava maschera: Oggi significa tutt’altro. E allora come si può pretendere di usare ancora questo termine per spiegare il dogma della Trinità? Ad es. la parola osanna significava “Salvaci ora, dona la salvezza ora” (cfr. Ma 21, 9). Oggi viene intesa come intonare una lode, un esaltare qualcuno.

[30] Spong J.S., Incredibile, Mimesis, Milano-Udine, 2020, 40ss.

[31] Ma ultimamente, sempre più si dubita dell’affermata immutabilità dei testi. Non si tratta di tradurre con nuovi termini le formule antiche, ma di esprimere con modelli nuovi la stessa esperienza di fede. La continuità non riguarda le formule dottrinali, ma le esperienze vitali. Quindi occorrerà ricominciare dall'inizio, o come diceva un padre della chiesa, occorre passare da un inizio a un nuovo inizio. Del resto Gesù ci aveva avvertito che il suo nuovo modo di parlare di Dio, avrebbe fatto scempio delle rappresentazioni tradizionali religiose, troppo strette e troppo rigide (Mc 2, 22: il vino nuovo non può essere messo negli otri vecchi). Forse anche oggi la nostra fede tradizionale, vecchia ormai di duemila anni, non riesce più a integrare la modernità senza rompere l’otre vecchio che la contiene.

[32] Benedetto XVI, Ultime conversazioni a cura di Seewald P., Corriere della Sera, Milano, 2016, 225. Ma allora, se non si possiede la Verità assoluta, non si può essere certi che le idee altrui siano di per sé errate, e che spetti all’istituzione il doveroso compito di sradicarle. Voler sradicare l’errore (la zizzania), magari anche con la violenza, finisce solo con l’incrementare la violenza complessiva.

Recentemente il metropolita di Gorizia, monsignor Redaelli, ha ribadito che il cristiano non ha la verità in tasca (Lettera pastorale dell’11.10.21, §13).

[33] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, Cittadella, Assisi, 1989, 67s.

[34] Vannucci G., Parole che cambiano, Romena Accoglienza, Pratovecchio Stia (AR), 2018, 12.

[35] Molari, C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 365: Costantino, nella convinzione tipica dell’epoca che le formule, una volta fissate, restassero per sempre, costrinse i vescovi – a Nicea, - a una formulazione unitaria della fede per avere una base unitaria di pensiero in tutto l’impero. Prima ciascuna comunità aveva i propri simboli.

[36] Per questo in passato san Francesco è stato visto come un traditore quando ha cercato la conciliazione col sultano, mentre san Bernardo che considerava volontà di Dio uccidere i musulmani veniva accettato. Evidente il diverso livello di sensibilità che, solo con i secoli, si è sviluppata nella direzione proclamata da san Francesco.

[37] In ogni religione Dio ha creato l’uomo per essere servito, ed il servizio si esprime attraverso il culto, la liturgia, le offerte, i sacrifici, e soprattutto obbedendo alla sua legge, cioè non peccando.

Ad es., in Ml 1, 6 Dio si presenta per l’appunto come padrone, tanto che si ritiene offeso perché le offerte fattegli non sono degne di Lui, e si sente disonorato perché i suoi servi (gli uomini) non gli si fanno sacrifici graditi.

[38] Per ricordare un solo es., nell’episodio del cieco Bartimeo, Gesù ridona a quest’uomo la vista, lo libera dalla sua condizione di mendicante e gli restituisce la dignità che le convinzioni religiose e la società gli avevano strappato. La religione attribuisce a castighi divini quelle che sono disgrazie umane. E la società emargina e disprezza colui che non è stimato per la sua misera posizione economica, o per la sua indegnità etica o per la sua cattiva immagine come credente. Gesù rompe con tutto questo (Castillo J.M., commento a Mc 10, 46-52).

[39] Sembra invece che Gesù segua il filone profetico di Isaia: questo Dio è stufo di essere onorato a parole; non vuole sacrifici: «Che m’importa dei vostri sacrifici senza numero?» dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco». «Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio per me (NB: non la sessualità); noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli». Pensate! il Padreterno che non sopporta le celebrazioni religiose, il culto. È il Padreterno che dice: le vostre celebrazioni mi hanno proprio stufato! «Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene» (Is 1,11-17). È questa la religione che Dio chiede! Sembra che stia parlando un ateo comunista mangiapreti, o un eretico miscredente, e invece è Parola di Dio! Ma raramente questo passo viene letto in chiesa. Di domenica, non l’ho mai sentito leggere in vita mia.

[40] Neanche il vescovo Viganò (come si sente in

https://www.google.com/url?sa=t&source=web&rct=j&url=https://visionetv.it/carlo-maria-vigano-il-green-pass-e-solo-uno-strumento-di-repressione/&ved=2ahUKEwiZuofL2cDzAhVL-6QKHR-RBlsQFnoECAkQAQ&usg=AOvVaw2mqzeIAYK8sy5sYw_59DjM). Essendo questo cardinale fedele promotore della Chiesa del passato è automaticamente nemico di papa Francesco che si richiama in prevalenza al Vangelo e non alla Chiesa del potere.

[41] Il rabbino Jonathan Sacks, recentemente scomparso, aveva detto: “La persona che vede Dio nel volto dello straniero è più grande di chi vede Dio in un’apparizione! Perché dai giorni di Abramo compito nostro non è salire in cielo, ma far discendere il cielo sulla terra nei gesti semplici di ospitalità e di amicizia” (riportato da Bianchi E., Chi cerca una vita nella libertà, “La Repubblica”, 6.9.2021).

[42] Anche Giacomo e i suoi discepoli (At 15,19-21; 21,24-25) cercheranno presto di giudaizzare i primi cristiani, e la Chiesa ha a lungo cercato di far accettare il proprio Credo mandando per il mondo i suoi missionari per portare salvezza agli infedeli. Finalmente oggi sembra aver definitivamente rinunciato a questa presunzione.

[43] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 11. Pensiamo solo alla parabola del grande banchetto (Mt 22, 1ss.; Lc 14, 16ss.) dove lo scontro è evidente e feroce.