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Charlotte, la pianista automobilista, le Settimane Sociali

di Stefano Sodaro

Charlotte von Kirschabaum (1899-1975) - foto tratta pubblicamente dalla rete, si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuali diritti

Disegno di Ugo Pierri

Pianoforte a coda da concerto Steinway & Sons con finitura in poliestere lucido, modello D-274 (lunghezza: 274 cm / 107,9 pollici, larghezza: 156 cm / 61,4 pollici, peso: circa 480 kg / 1056 libbre), prodotto nello stabilimento Steinway di Amburgo, Germania - foto trattra da commons.wikimedia.org


Lo sdegno scandalizzato di molte e molti è facilmente intuibile, e forse - ma dipende dai punti di vista - non è il massimo alla vigilia di una visita del Presidente della Repubblica e del Papa nella città in cui ha sede il nostro settimanale.

Ricorrono in questi giorni i 125 anni dalla nascita di Charlotte von Kirschbaum. E chi era costei? Vediamo un po’: Nelly Hoffmann era la moglie del celebre teologo e pastore riformato Karl Barth e Christine von Kirschbaum, nata a Ingolstadt il 25 giugno del 1899 – 125 anni fa esatti, appunto -, la sua compagna, senza che il compagno fosse divorziato.

Sì, avete letto bene. Barth aveva una moglie e una compagna. Non solo: vivevano tutti/tutte tre nella medesima casa. E nel cimitero di Hörnli, a Basilea, i loro corpi sono sepolti nella medesima tomba, per volontà della stessa famiglia Barth.

La legittima obiezione potrebbe essere: che c’entra questa storia, che mette in allarme etico, con i prossimi giorni triestini di Presidente della Repubblica e Papa, all’interno della 50ma edizione delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani, in programma a Trieste dal 3 al 7 luglio?

Iniziamo dal titolo dell’evento: “Al cuore della democrazia”.

Proviamo a chiederci: al cuore della democrazia ci può stare altro che non sia l’amore? Certo, un amore, per così dire, “deconfessionalizzato”, laico e anche “deromanticizzato”. Un amore inteso quale virtù civica, il cui equivalente, nella nostra Carta Costituzionale, può corrispondere alla parola “solidarietà”.

Nel 1967 uscì un film singolare per quei tempi – s’intitolava “L’immorale”, con Ugo Tognazzi, per la regia di Pietro Germi, reperibile in due parti su Dailymotion (qui e qui) –, in cui il prete, l’immenso attore Gigi Ballista, nel ruolo di chi raccoglie le confidenze segrete del pur laicissimo protagonista, è messo in imbarazzo e persino in teologica difficoltà dalla rivelazione dei molti amori, addirittura tre, che il professore di violino Sergio Masini, come si chiama il personaggio impersonificato da Tognazzi, vive in parallelo ed in contemporanea. Il Masini infatti non fa che parlare di amore, di un vero e proprio obbligo di intima e financo pubblica solidarietà che avverte nei confronti di tutte le donne amate - Giulia, Adele, Marisa -, con cui ha costruito tre distinte famiglie, con relativi figli. Don Michele, il prete del film, comincia a sudare quando si ritrova a dover esclamare che, di fronte al – testualmente – “quadro mostruoso” dipinto dal professore, “è meglio il divorzio!”, lasciando di stucco l’amatore seriale che, per quanto immorale e per quanto seriale, davvero amatore è, con totale proprio coinvolgimento, moltiplicato per tre.

Alla p. 241 dell’epistolario tra Karl Barth e Charlotte von Kirschbaum, pubblicato nel 2022 da Claudiana a cura di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario con il titolo Un amore. Lettere 1925-1932, si possono leggere le seguenti parole, in una missiva, datata 27 febbraio 1935 – quasi novant’anni fa - di Charlotte a Gertrud Lindt, cognata di Barth: «(…) Karl, Nelly e io siamo posti in questo triangolo, per noi non annullabile, e (…) riconosciamo questo triangolo, per noi non è una decisione arbitraria, bensì la affermiamo, come si fa nei confronti di una decisione con la quale si vive o si muore. Per me, questo è il “matrimonio” di Karl, per me è quello di Nelly e per me è assolutamente anche il mio. E questa è la situazione che viviamo da dieci anni e che cerchiamo, con i nostri limiti e la nostra incapacità, di vivere responsabilmente. A te e a voi, che avete potuto in questo campo percorrere cammini abituali, questo può apparire molto irritante. Ma sarebbe davvero meno “irritante”, se banalizzassimo la situazione – e questo è per noi «irritante» e difficilmente comprensibile nel vostro intervenire – nel senso che esiste bensì un matrimonio K./N., che è posto sotto la protezione e la promessa del comandamento di Dio, e accanto, invece, una relazione un po’ irresponsabile K./L. [Charlotte era chiamata nella famiglia Barth “zia Lollo”, così come Barth si rivolgeva a lei chiamandola “Lollo”], che non è riconducibile a quel comandamento e che deve possibilmente essere nascosta alla società umana? In quanto rivendichiamo anche per questa relazione il comandamento di Dio, per questo ho osato chiamare matrimonio anche questa relazione. Non esiste infatti alcuna relazione in questo campo tra uomo e donna che non debba rispondere di fronte a questo comandamento, che non sia anche posta sotto la promessa.»

Parole impressionanti. E non del “perduto” secolo contemporaneo, dei nostri tempi malati, ma di novant’anni fa.

Lo stato della odierna, attuale, nostra democrazia regge, reggerebbe, ancora davanti a rivelazioni simili? E i Cattolici – e le Cattoliche – come reagirebbero?

Si ripete che la cellula imprescindibile della nostra società è la famiglia: ma di quale famiglia stiamo parlando? Di quella ritenuta derivabile da un metafisico diritto naturale o di quella che incrocia ogni difficoltà dell’amore senza lasciarsene sconfiggere?

Forse per uscire dal moralismo, conviene dirigersi verso la musica, verso il suono di un pianoforte. Giacché il pianoforte fu la professione artistica di Lydia Natus, sposata con altro marito eppure compagna di Clemente Rebora – poeta ma, in fondo, anch’egli da sempre teologo, e addirittura prete dopo la fine della relazione con Lydia, alla scuola di Rosmini –, e che a lui, lei ebrea e russa, aprì gli orizzonti dell’Oriente Cristiano. Nei nostri editoriali continua ad accompagnarci, da alcune settimane, questa straordinaria figura di donna (ad esempio qui e qui). Oggi Lydia Natus guiderebbe l’automobile, magari possiamo fantasticare che sarebbe proprio appassionata di motori e che, sopravvissuta – è sempre una fantasia da romanzo, beninteso – ad un terribile incidente stradale, penserebbe, chissà, ad una, per così dire, “versione aggiornata” del suo Clemente, forse non più eticamente obbligato a tragici aut aut, ad alternative escludenti, bensì capace di inverare un et et che è, in effetti, il cuore della nostra democrazia, coincidendo esattamente con la nozione di “solidarietà”, scandali o non scandali. Un amore inedito, nuovo, non incasellabile negli soliti schemi, come scacco a quella morte che le fosse comparsa innanzi mentre era al volante. Chissà.

Vedremo, dunque, che succederà a Trieste questa prossima settimana.

Vedremo se Charlotte e Lydia saranno presenti.

Buona domenica