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17. Domande e risposte su Chi è Gesù?


di Dario Culot


31. Nella relazione Lei ha fatto cenno al fatto che solo in forza della sua natura divina Cristo potrebbe essere presente nell’ostia consacrata. Ma, in base a tutto il discorso che ha fatto, mi sembra che Lei non creda che la transustanziazione produca la presenza reale di Cristo, con la sua natura divina e umana, nell’ostia consacrata (così invece nn.1373ss. del Catechismo). Mi sbaglio?

Come ha ben spiegato l’autorevole teologo valdese Paolo Ricca, c’è varietà di opinioni fra i cristiani sulla presenza reale di Cristo nell’eucaristia, sì che ogni Chiesa cristiana, impadronitasi dell’ultima cena, ha pensato bene di farne una sua proprietà esclusiva, sentendosi autorizzata a redigere una propria lista di invitati per escludere quelli che non la pensano allo stesso suo modo. Insomma nella cristianità vige un regime di apartheid eucaristico[1] che, per quanto riconosciuto come scandaloso essendo contrario all’esplicita volontà e preghiera di Gesù (Gv 17, 21), viene tuttavia accettato come normale da tutte le Chiese[2].

Sta di fatto che, avendo ognuno pensato bene a una sua propria spiegazione, si è finito col fare di questa Cena, che doveva essere sacramento di unità, il primo motivo di divisione fra i cristiani, quando un cristiano non dovrebbe separarsi da un altro cristiano. E questo, che dovrebbe essere motivo di grande scandalo, non lo è. Com’è che i cattolici non sono affatto scandalizzati per questa grave situazione, mentre lo sono se qualcuno fa un discorso teologico non perfettamente appiattito sulla spiegazione ufficiale della Chiesa cattolica, che è solo una fra le tante interpretazioni umane date alle parole di Gesù? Nessuna interpretazione dell’eucaristia, infatti, può rivendicare per sé l’autorità di Gesù, che non ci ha mai spiegato il senso esatto di quelle sue parole pronunciate nell’ultima cena.

Va fatta anche un’ulteriore precisazione: l’antropologia ben conosce il rito del pasto collettivo, il rito dell’incorporarsi collettivo è appunto la comunione, che non è quindi una novità del cristianesimo.

Nella Siberia arcaica, finita la caccia, nel corso della cerimonia che seguiva ci si rappresentava l’animale che veniva mangiato in gruppo come se fosse presente, ci si comportava in modo da non offendere l’animale, sì che i suoi simili si sarebbero lasciati cacciare più facilmente. Nell’immaginario, l’animale divorato cerimonialmente dai cacciatori torna a vivere, risorgerà e si lascerà nuovamente cacciare[3]. I cacciatori confidano nel rinvigorimento non appena una parte dell’animale ucciso fosse stato presente in ogni membro del gruppo. Nelle religioni al posto dell’animale viene divorato il corpo di un dio, e la sua resurrezione implica quella dei fedeli[4]. Insomma, chi viene dopo utilizza almeno in parte il pensiero di chi è stato prima.

Non c’è dubbio poi che nei primi secoli il problema centrale della teologia sull’eucaristia non era affatto quello della presenza reale di Cristo negli elementi del pane e del vino, che oggi tanto c’inquieta; questo problema proprio non si poneva[5]. Il problema che invece allora si poneva era quello della comunità, intesa come comunità eucaristica sana e partecipativa, che considerava incompatibile con l’eucaristia la divisione fra gli uomini e l’ingiustizia con cui alcuni trattavano i poveri e gli emarginati. Insomma - seguendo Giustino che riteneva inesistente l’eucaristia in presenza di comportamenti difformi a quelli insegnati da Gesù - chi si comportava ingiustamente nei confronti delle categorie più deboli andava contro gli insegnamenti di Gesù, dava pubblico scandalo e per ciò solo doveva essere escluso dalla comunione.

Oggi, l’eucaristia non è più un’esperienza comunitaria da vivere, ed è diventata piuttosto un fatto privato. Se a una messa mancasse il pane e il vino tutti resterebbero sconcertati. Ma quasi nessuno resta sconcertato se una messa si celebra fra sconosciuti, fra gente che non forma minimamente una comunità cristiana che s’impegna veramente a mettere in comune ciò che ciascuno può dare (il suo tempo, competenze, denaro). Abbiamo perso il senso più profondo di cos’era la Chiesa all’inizio[6].

Ma passando alla sua domanda, non credo che nell’ostia ci sia Gesù in miniatura sì che, se l’ostia consacrata cade per terra, sono certo che Gesù non si fa male; né sente freddo se l’ostia viene lasciata al freddo.

Se con l’ostia noi mangiassimo un pezzetto del corpo di Gesù, con i miliardi di pezzetti mangiati, il suo corpo sarebbe ormai finito da un pezzo. Ricordo che il sacerdote dice: ‘corpo di Cristo’, non corpo di Gesù, perché il corpo è ormai quello glorioso, non certamente quello terreno materiale. Ma il corpo glorioso trascendente è fatto di materia come la carne?

È chiaro poi che, non avendo Gesù spiegato l’ultima cena, è difficile capirla e ancor di più spiegarla[7]. Possiamo senz’altro ammettere che il pane, nell’eucaristia, assume un nuovo significato: non solo e non tanto quello di nutrimento in quanto sostanza alimentare (ma al posto dell’ostia che usiamo da circa un millennio dovremmo tornare a usare una pagnotta[8]), ma da subito ha avuto il significato di un intenso incontro e relazione fra i discepoli e il loro maestro, dal quale sarebbero stati di lì a qualche ora bruscamente separati[9] (e proprio dallo spezzare il pane che lo riconosceranno i viandanti di Emmaus: Lc 24, 30-31).

La ragione stenta però a seguirci se cominciamo a parlare di due sostanze fra loro totalmente diverse e improvvisamente una si trasforma nell’altra: solo l’alchimia sperava di trasformare il piombo in oro. Perciò, se siamo davanti al pane, il pane dovrebbe restare pane. Se invece è corpo, è corpo[10]. Se noi analizzassimo chimicamente l’ostia consacrata pensate che il chimico troverebbe cellule di pane o di corpo umano? Indubbiamente se prima della consacrazione le cellule fossero di pane, e poi di un corpo umano, questo “miracolo” quotidiano, ripetuto ogni giorno migliaia di volte in tutto il mondo, zittirebbe di colpo i miscredenti e sarebbe un duro colpo per gli atei. Insomma, nella spiegazione che la Chiesa cattolica ci vuole impartire, qualcosa sfugge alla razionalità.

Ma c’è da dire qualcosa di più: Dio si è rivolto a noi dalla sua trascendenza, è ‘disceso’ a noi (rectius: si è fatto presente nella nostra storia), si è rivelato e ha parlato a noi nell'immanenza. Dal segreto trascendente Colui che viene a noi l'ha fatto di sua volontà; non siamo stati certamente noi a farlo venire. Pertanto se noi uomini credessimo veramente di poter evocare quel Lui a nostro piacimento durante la messa, vorrebbe dire che noi uomini avremmo ormai acquisito il potere di dominare con le nostre forze la Potenza che evochiamo[11]. Saremmo più nel campo della magia che della religione, come lo sfregare della lampada per far uscire Aladino, che volente o nolente deve uscire.

Ora, visto che tutti ammettono il discorso metaforico davanti alle frasi “Io sono la vera vite” (Gv 15, 1), o “Ecco l’Agnello di Dio” (Gv 1, 29), o Gesù è la “pietra angolare” (Mt 21, 42; Mc 12, 10; Lc 20, 17), perché si pretende di escludere a priori che, quando si dice che il pane e il vino sono il corpo e il sangue di Cristo, non si sta di nuovo facendo un discorso metaforico?

Personalmente, quando Gesù dice di fare questo in memoria di lui (1Cor 11, 25; Lc 22, 19), mi vien da pensare – proprio come sostenuto da tanti teologi - che fare memoria significhi semplicemente continuare ad attualizzare quelle parole pronunciate tanti secoli fa, e quindi diventare noi stessi pane per gli altri, spezzare la propria vita in favore degli altri, come ha fatto lui; non certo effettuare una cerimonia rituale che trasforma la sostanza del pane in un corpo (per di più trascendente). O ancora meglio: Gesù ha voluto ricordare che noi tutti dobbiamo produrre frutti vitali, ma che non si può produrre vita senza dare la nostra. Se pretendiamo di mangiare quel pane, senza condividerlo con gli altri, siamo fuori della realtà eucaristica, qualunque cosa dottrinalmente crediamo. L’eucarestia dovrebbe semplicemente dare la forza per mettere la propria vita al servizio degli altri. Per molti, invece, sembrano contare molto di più gli insegnamenti dottrinali, per cui la cosa più importante è credere alla transustanziazione, o ricevere l’ostia in bocca ed in ginocchio per dare un segno di profondo rispetto,[12] come se gli apostoli si fossero messi in ginocchio quando Gesù aveva spezzato e dato loro il pane. Nessun prete, allora, dovrebbe permettersi di dire ad uno: “a te l’ostia consacrata la do perché sei puro in base alle regole che ho studiato; a te non la do perché sei in peccato e non sei puro”. Il pane consacrato non è di proprietà del prete e neanche della Chiesa, ma è di Dio. E l’unica regola che ha dato Dio, tramite Gesù, è prendere e distribuire (Mc 6, 40; 8, 6), senza guardare se chi riceve è meritevole o meno.

Forse è proprio colpa dell'insegnamento ricevuto se la maggior parte della gente recepisce l’eucarestia non come modo nuovo di esistenza, ma come azione sacra che offre individualmente a ciascuno dei partecipanti la possibilità di garantirsi la vita eterna grazie a questo dono soprannaturale; ed è sempre per questo che molti fedeli, dopo aver mangiato l’ostia, si sentono perfino autorizzati a fungere da strumento del giudizio divino su tutto il resto della comunità, esattamente come facevano i farisei[13] ai tempi di Gesù, dimentichi dell’ammonimento di Gesù: “Non giudicate!” (Mt 7, 1).

Succede così che la fede diventi spesso un meccanismo cieco di ripetizione di gesti formali e di formule senza costrutto[14]. Il problema cioè sta nel fatto che quello che iniziò con l’essere una “cena condivisa” si è presto trasformata in un “rituale religioso”. Insomma, commemorare Gesù vuol dire creare nella gente che sta attorno a noi una viva memoria di colui che volle essere come pane e vino per il popolo. Pane e vino erano fra gli alimenti più comuni nell’area mediterranea, e quindi la metafora era facilmente capita. Però questi gesti del prendere il pane e il vino, ripetuti alla lettera, non dicono niente né agli esquimesi, né agli indiani delle foreste amazzoniche. Coerentemente si chiede, allora, un vescovo sudamericano: “se non abbiamo il ‘vino’ dell’Europa, se non abbiamo la sua cultura - che non è né migliore né peggiore della nostra – se non abbiamo la tradizione ben sistemata in una spiritualità fatta per quelle latitudini e in quei processi storici (troppo spesso, ahimè, con pretese di egemonia), non si dovrà usare da noi la ‘chicha,’[15] bevanda delle nostre culture ricchissime e il filtro della nostra storia? O sarà che solo in un ‘vino’ del Primo Mondo si può bere la realtà di Dio?”[16]

Il cristianesimo deve essere allora inteso come la materializzazione storica e culturale di una spiritualità. Ma resta un mezzo, non può essere il fine; è una barca che ci porta verso una meta,[17] per cui non è pensabile che solo seguendo alla lettera tutte le indicazioni che si possono ricavare dai vangeli giungeremo alla salvezza. Via salvifica è ogni via che mi permette di sbocciare e di realizzare pienamente la mia umanità.

Dunque il sacramento, che è a sua volta un mezzo, serve a evocare: un segno visibile (il pane) mi mette in contatto con l’invisibile. E questo dovrebbe emozionarci. Pensiamo all’innamorato che guarda la foto della sua ragazza: non vede un pezzo di carta con un’immagine di donna, ma ha davanti a sé tutta la ragazza. Se un estraneo guarda la stessa foto, ma non sa chi è la ragazza, quella foto non gli dice nulla. Così è per l’eucaristia.

Dice Carlo Molari:[18] pensiamo a una partita di pallone. Attraverso la televisione ogni tifoso partecipa veramente e realmente senza essere allo stadio; si emoziona come se fosse allo stadio, entra in contatto coi giocatori e il pallone come fosse veramente presente alla partita. Eppure il tifoso casalingo non è fisicamente allo stadio, e il pallone non è materialmente nel televisore. Come fa a partecipare realmente e veramente all’evento? Attraverso le onde elettro-magnetiche, che però sono qualcosa di totalmente diverso dal pallone. Ma per tutti noi che guardiamo la partita in televisione, quelle onde diventano il pallone, perché vediamo veramente la partita che si gioca allo stadio, anche se dentro il televisore di casa non ci sono né i giocatori, né il pallone (come dentro nell’ostia non c’è Gesù).

La partita che vede il tifoso è reale, perché è quella che si sta realmente giocando in quel momento, in quel determinato stadio; è vera perché non dipende dall’immaginazione dello spettatore a casa. Non è neanche una partita virtuale (irreale), costruita come nei video-giochi, che inizia quando attivo il programma. Se si spegne il televisore, la partita, essendo vera e reale, continua ad essere giocata; solo non c’è più la reale presenza all’evento perché manca la relazione fra il tifoso e i giocatori.

Come vede, si può credere alla presenza reale anche senza la transustanziazione.

Vedi amplius nel Giornale di Rodafà al n.451 in

https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numeri-dal-26-al-68/1999993---maggio-2018/numero-451---6-maggio-2018

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32. Se dovessimo accettare tutto quello che Lei dice perderemmo tutte le nostre certezze, vivremmo nell’incertezza più totale, e finiremmo nel relativismo, contro cui ha tanto combattuto Papa Benedetto XVI.

Mi dispiace, ma resto dell’idea che non possiamo avere certezze su Dio; se le avessimo, avremmo capito pienamente il Trascendente e saremmo noi stessi Dio. Perfino san Paolo diceva che viviamo nella fede, ma non vediamo ancora chiaramente (1Cor 13, 12), eppure nessuno l’ha mai tacciato di relativismo.

Sul punto mi piace ricordare di nuovo le accorate parole di frate Goffredo, monaco di Bose:[19] «La nostra fede, come la Parola che l’ha generata, è solo una piccola fiamma che non permette di vedere tutto come in piena luce, non possiede la chiarezza su tutto e, dunque, non dà certezze incrollabili, non offre verità assolute da imporre con la forza a tutti, non permette l’arroganza di chi presume di possedere tutta la verità. I credenti nella notte cercano la verità con la stessa fatica con la quale nel buio si cerca il cammino: a tentoni e spesso sbagliando. La notte sia sempre la misura della nostra fede, perché, se cediamo alla tentazione di voler vedere e sapere tutto, non vivremo più nello spazio della fede, ma delle certezze, e non saremmo più credenti».

Il n.36 del Catechismo della Chiesa cattolica ancora proclama solennemente che “La Santa Chiesa, nostra madre, sostiene e insegna che Dio, principio e fine di tutte le cose, può essere conosciuto con certezza con il lume naturale della ragione umana partendo dalle cose create” (Rm 1, 20). Questa affermazione venne resa dogmatica dalla Chiesa nel concilio Vaticano I[20] e venne rinforzata da Papa Pio X con l’imposizione di un giuramento in tal senso per tutti i professori ed educatori cattolici. Tale giuramento venne abolito appena nel 1967 da papa Paolo VI[21] e quindi immagino che anche papa Benedetto XVI l’aveva prestato vista l’età che aveva quando è stato eletto papa, anche se in precedenza si era clamorosamente smentito affermando (assai più ragionevolmente) che l’esistenza di Dio come persona pur solidamente argomentabile “non è oggetto di dimostrazione” ma resta un’ipotesi che esige da parte della Chiesa cattolica “di rinunciare a una posizione di dominio e di rischiare quella dell’ascolto umile”[22]. È consolante vedere che, quando pensiamo in maniera diversa dalla dottrina ufficiale, siamo in compagnia anche di un futuro papa, per di più non certamente noto per i suoi scatti progressisti.

Certo, si può parlare di trascendenza anche fuori dell’ambito divino: si è visto che per il feto già il nostro mondo materiale è trascendente. Ho detto nel §5 della relazione che l’ambito della trascendenza non è un ambito necessariamente superiore, e che la caratteristica è semplicemente l’incomunicabilità fra i due ambiti. L’uomo entra nell’ambito trascendente ogni qualvolta oltrepassa la realtà in cui si trova, e cerca costantemente di oltrepassarla giacché è insoddisfatto di questa realtà in cui vive. Possiamo dire che quando l’uomo ha visto per la prima volta l’altra faccia della luna, ha trasformato in immanente un piccolo spazio di ciò che fino a quel momento era stato per lui trascendente. È anche possibile, pian piano, capire qualcosa di Dio, grazie allo scambio di indicazioni dovute alla sua iniziativa; ma al momento, - finché viviamo nella storia,- non possiamo arrivare alla conoscenza certa, come il feto non può arrivare alla conoscenza certa del mondo esterno, pur avendo scambi di messaggi e sensazioni con la madre che per il feto vive in un mondo trascendente. La voce della madre arriverà dal trascendente al suo mondo immanente, ma il feto vedrà il volto della madre solo dopo esser nato.

Mi rendo però conto che molti, pur di aver solide certezze, preferiscono obbedire senza dover più pensare in proprio. Le certezze condivise uniscono facilmente, mentre le incertezze portano a ulteriori frammentazioni e non seducono facilmente. Ma fin dall’inizio lo stesso vangelo contiene un invito a lasciare le nostre certezze, anche nella fede, per osare, per seguire le tante stelle che Dio mette sul nostro cammino, come fanno i maghi (Mt 2, 2), da noi trasformati in tre re magi[23]. Eppure è ancora oggi difficile per noi accettare che dei maghi pagani miscredenti (visti dalla Bibbia come disprezzabili peccatori che mai si sarebbero potuti salvare) si siano messi alla ricerca di Gesù (Dio?) ben prima dei pii credenti di Gerusalemme che Dio in persona aveva voluto privilegiare: per questo abbiamo trasformato questi stranieri extracomunitari in saggi re. Anche noi accettiamo gli extracomunitari se sono persone importanti e se sono ricchi come re. La ricerca della verità ammette invece anche l’azzardo, perché di certo questi maghi non avevano alcuna sicurezza di trovare quello che cercavano, mentre l’unica certezza era che il loro viaggio sarebbe stato rischioso. Non solo: il racconto dei maghi, che dopo aver incontrato Gesù ripartono percorrendo un’altra strada[24] (Mt 2, 12), dimostra che c’è in loro un cambiamento di vita; essi sono impegnati a trasmettere la buona notizia, perché sono diventati discepoli e apostoli, nonostante la loro origine pagana[25].

È anche vero che cambiare impostazione crea sempre scompensi e problemi, e a qualcuno questo fa paura[26] perché mette in dubbio le certezze teologiche assorbite nel passato, esattamente come è successo all’uomo posseduto dal demonio nella sinagoga (Mc 2, 21ss). Ricordiamoci che Gesù non va a cercare i peccatori per convertirli, ma, subito entra in sinagoga (in chiesa), dove ci sono “i giusti”, i credenti, quelli che sono sicuri di essere a posto con Dio. E proprio qui lo spirito impuro se ne va straziando l’indemoniato, contorcendolo. L’indemoniato, che in realtà è un uomo pio che obbedisce sempre al magistero, quando sente Gesù si rende conto da solo che la buona notizia è incompatibile con l’ideologia religiosa che gli hanno inculcato e che aveva fino a quel punto seguito, ed è talmente evidente che questa nuova novella offre una risposta al desiderio di pienezza di vita che ogni uomo si porta dentro, che è giocoforza abbandonare l’insegnamento precedente. Ma dover riconoscere a un certo punto della propria esistenza che l’insegnamento religioso al quale si è aderito non proveniva da Dio, ma addirittura allontanava da lui, causa necessariamente una profonda lacerazione, uno strazio nell’individuo, che quindi oppone resistenza[27]. Non sarà forse che i fautori dell’immobilismo dottrinale hanno paura non del cambiamento in sé, ma del fatto che se accettano le nuove idee devono poi loro cambiare, e cambiare comporta sempre fatica e dolore? Non hanno mai pensato di poter essere loro stessi l’indemoniato, certi come lui di essere nel giusto.

Pensate a quanta gente va in chiesa, fa la comunione e poi si sente a posto. Ma “Guai a chi si alimenta di Te”, diceva il vescovo brasiliano dom Câmara “e poi non avrà occhi per scoprirTi mentre cerchi del cibo nella spazzatura, scacciato sempre, mentre vivi in condizione sub-umana sotto il segno di una totale insicurezza”[28]. Ci viene sbattuta in faccia questa che mi sembra una profonda verità: se per religione intendiamo un insieme di credenze, regole, riti e cerimonie che ci servono per tranquillizzare la coscienza e ci aiutano a farci sentire soddisfatti e persone rispettabili, la cosa migliore che può accadere è che quel modello di religione sparisca quanto prima[29]. L’ho già detto e lo ripeto: il difficile del cristianesimo non è andare a messa e credere alla dottrina; il difficile è praticare in concreto, giorno per giorno, l’avvicinamento all’altro, all’immigrato, al povero, al debole, perché questo richiede di interrompere il nostro cammino, il programma che ci eravamo preparati per quel giorno, e dedicarci ai bisogni dell’altro nel quale c’imbattiamo senza averlo cercato. E per aiutare l’altro non c’è bisogno di credere che Gesù è vero Dio e vero uomo: anche un ateo può aiutare il prossimo, senza pensare minimamente a Dio, come fa il buon samaritano che era considerato eretico dai religiosi di Gerusalemme (Lc 10, 25ss.). Quello che, per la religione, era di sicuro destinato all’inferno, per Gesù è invece il modello di vero credente.

Come detto rispondendo alla domanda n. 5, se le nostre comunità cristiane vivono in pace – come oggi vive la maggior parte delle nostre parrocchie - è perché hanno tradito il messaggio di Gesù, essendosi tranquillamente adeguate e adagiate; sicuramente non si può dire che le comunità cristiane sono oggi il sale della pietanza nella nostra società; la testimonianza dei cristiani non disturba, non scuote la società[30].

A coloro che hanno paura di perdere la propria identità, di diventare nomadi della religione, di perdere la propria Chiesa, perché se si può andare dappertutto, se tutto è relativo, se non ci sono più criteri fissi, tutto crolla, va risposto che non c’è da spaventarsi, e che non si può pensare di avere criteri eterni, validi per tutti i tempi e per tutti gli uomini: solo Dio è eterno[31]. Occorre andare sempre avanti: nessuno oggi si farebbe operare con gli strumenti chirurgici di cento anni fa. Io sono sempre io, ma non posso più indossare il vestito che avevo indossato per il matrimonio, perché la mia struttura fisica è cambiata nel tempo (purtroppo non in meglio). Pensiamo solo a come è stato interpretato nel tempo lo stesso Gesù: in certi periodi e in certi luoghi è stato visto come uomo morale, in altri come testimone di liberazione nei confronti del potere (quindi perfino come antesignano socialista o rivoluzionario), in altri come poeta o ambientalista. Insomma ogni epoca ha dato a Gesù un volto diverso secondo le aspettative e le aspirazioni di quel tempo[32]. Di fronte a situazioni nuove (come lo sono la globalizzazione, l’immigrazione, le pandemie) non ci si può ancorare a soluzioni del passato, esaltando un passato dorato, ignorando sia la nuova realtà sociale, sia il fatto che anche in allora l’uomo viveva gravissime contraddizioni pur salvaguardando la facciata: l’ipocrisia e il perbenismo imperavano sovrani[33].

E va aggiunto che fin dall’inizio le comunità cristiane hanno dovuto affrontare situazioni nuove che richiedevano soluzioni al momento, senza poterle ricavare dal passato. Ad esempio, sappiamo che le Chiese orientali – che usano i nostri stessi vangeli ma l’interpretano spesso in maniera diversa, - nell’evitare la radicalità di un divieto assoluto di sciogliere un matrimonio[34] si richiamano al Vangelo di Matteo: «Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi... Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di pornéia, e ne sposa un’altra, commette adulterio» (Mt 19, 9). Dunque, nel Vangelo secondo Matteo, probabilmente nel periodo in cui quel vangelo era ancora un testo vivente,[35] partendo dall’unico principio non negoziabile che quella comunità riconosceva nel vangelo (cioè l’unico bene è il bene dell’uomo[36]), si è indicato una causa ammissibile della rottura del vincolo matrimoniale in presenza di una certa condotta che profana la santità del matrimonio e spezza il vincolo della fedeltà coniugale. Si è cambiata la lettera del testo ormai scritto alla luce di una situazione sopravvenuta.

Vediamo un altro caso. San Paolo (Rm 14, 3-15; 1 Cor 8, 1ss.) aveva dovuto prendere posizione su un problema per noi oggi ridicolo, ma che allora creava feroci spaccature: è lecito al cristiano mangiare carni immolate agli idoli? Alcuni, deboli di fede, la consideravano carne contaminata e impura che faceva entrare in comunione con l’idolo e offendeva il vero Dio; vedevano perciò un peccatore in chi la mangiava, e lo condannavano. Altri, più forti di fede, disprezzavano i deboli che non mangiavano questa carne, visto che gli idoli non esistevano. L’apostolo, partendo da questo caso particolare, ha finito col teorizzare il principio universale della coscienza. Ritenendo che entrambi i gruppi erano alla fine convergenti nel movente, cercò di mediare invitando a seguire la propria coscienza, visto che niente è impuro di per sé, ma al tempo stesso invitò i più forti a non rovinare la fede del fratello più semplice se, mangiando questa carne in sua presenza, gli si creava scandalo[37]. Nei suoi scritti Paolo celebra un vero e proprio trionfo della coscienza, che ognuno è chiamato a seguire purché in buona fede, con l’unica avvertenza che se uno accetta il principio della libertà di coscienza per sé non può negarlo a un altro, anche se la sua posizione sembra illogica e debole,[38] anzi deve stare attento acciocché la sua libertà non diventi scandalo per il più debole. È indubbio che, da come ci si rapporta con la propria libertà di coscienza, cambia anche l’immagine che uno si fa di Dio. E mi sembra altrettanto indubbio che Gesù parteggiava per la libertà di coscienza avendo invitato tutte le persone a diventare mature e responsabili e a giudicare da sé quello che è bene e quello che è male, senza delegare la decisione ad altri (cfr. il più volte citato Lc 12, 57).

È evidente a tutti che la Chiesa ha ritenuto invece che la libertà porta più facilmente al peccato, per cui era meglio imbrigliare la gente con tante leggi, mentre con la libertà troppa gente sfuggiva al suo controllo. Ma così facendo, fino a papa Benedetto XVI, la Chiesa ha anche dimostrato grande paura del mondo esterno[39] che cambiava troppo velocemente rispetto al suo passo lento. Anche papa Giovanni Paolo II, nella Redemptoris missio, aveva affermato che il Regno di Dio non può essere separato dalla Chiesa (§ 18) e aveva mostrato chiaramente di temere una marginalizzazione della Chiesa (§§17s.), nella convinzione che solo la Chiesa possiede la totalità dei mezzi di salvezza. Inutilmente papa Giovanni XXIII, partendo dal principio che Dio si muove nella storia, aveva raccomandato di guardare ai segni dei tempi, e aveva profeticamente visto questi segni nel movimento di emancipazione della classe operaia (Enciclica Pacem in terris dell’11.4.1963, §21), nel movimento di liberazione della donna (§22), nei movimenti di liberazione nazionali (§23, 24). Da sottolineare che nessuno di questi movimenti, che pur portavano alla promozione dell’uomo, era di matrice cristiana, ma erano tutti di matrice laica e spesso marxista (il diavolo, per la gerarchia ecclesiastica); eppure, lo stesso papa di allora evidenziava che chiunque promuove i veri valori umani cammina verso il Regno di Dio (§ 25) e quindi cammina con la Chiesa, anche se non necessariamente con la gerarchia della Chiesa. Insomma, passato il concilio, la Chiesa ufficiale si sente da tempo assediata, vede fuori di lei solo il negativo, il relativismo, per cui vorrebbe leggi che accolgano tutti i suoi principi sicuri, vecchi di secoli, evitandosi la fatica di formare coscienze libere e responsabili, e dimenticando che l’unica vera legge della Chiesa dovrebbe essere quella dell’amore,[40] che non può essere imbrigliato in leggi.

Chi segue questa strada della sicurezza forse non ci si rende neanche conto che, ogni qualvolta si assolutizza, manca la capacità di camminare insieme. Se coloro che si professano unici veri credenti rimangono attaccati alle loro formule dottrinali, se vogliono solo imporre la loro verità senza ascoltare nessun altro, se vedono in chi la pensa diversamente un pericoloso attentatore delle loro sicurezze e un traditore dell’unità della Chiesa, si finisce inevitabilmente nell’inimicizia per cui risulta alla fine impossibile la riconciliazione di tutti con Dio.

“Ma facendo come dice Lei non avremmo più alcun punto di riferimento!”[41] si lamenterà sgomento qualcuno. Proprio così, risponde un grande maestro della spiritualità: l’uomo e la donna religiosa non hanno nessun punto fermo sulla terra, perché il nostro cammino è sempre oltre[42]. Anzi è il punto fermo ad essere pericoloso, perché allora l’immagine che ci siamo creati nella nostra mente si trasforma facilmente in idolo, e lo sguardo fisso sull’immagine si appropria dello slancio della fede e della religiosità, invece di farlo rimbalzare più lontano: non orienta più verso il divino, ma lo sostituisce[43]. Dunque, anche se si sconta il rischio di un certo grado di disordine per conservare la freschezza della Parola e la libertà di scelta, non ci si deve preoccupare sapendo che Gesù ha detto che resta con noi fino alla fine dei giorni (Mt 28, 20); e allora, perché aver paura? La fede dovrebbe solo darci la certezza interiore che Dio è comunque con noi, e impedisce che la nostra vita fallisca. Falliranno magari i nostri progetti, perché Dio non toglie il dolore, la fatica, l’incontro col fallimento. Ma l’esperienza dei credenti li porta a credere che si può comunque uscirne senza naufragare come persone[44]. Il cristianesimo dovrebbe vedere il futuro con rosea speranza. Serve un po’ di coraggio in più e accettare che la fede in Gesù non è credere ciecamente ai dogmi immutati nei secoli, e ricordarsi – come aveva detto Platone - che tutte le grandi cose nascono dal caos, non dall’ordine.

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33. Lei ha detto che nell’impero romano i cristiani non erano molto stimati. Ma quest’affermazione contrasta con l’espansione veloce del cristianesimo, per di più verificatasi nonostante le persecuzioni. Anzi, a questo proposito, se Gesù ha predicato solo pace e fratellanza, come si spiegano le persecuzioni?

È vero, i cristiani all’inizio non erano affatto stimati.

Abbiamo visto nella relazione cosa pensasse Celso di loro. Il famoso storico Tacito, negli Annales (15.44.3), parla di un Cristo messo a morte durante il regno di Tiberio dal procuratore Ponzio Pilato, dell’incendio di Roma ai tempi di Nerone e della pestifera superstizione cristiana. Anche lo storico Svetonio parlava di una nuova e malefica superstizione di questa setta (Vita dei Cesari, XVI, 2). Come mai?

All’epoca dell’Impero romano la Chiesa[45] non si presentava come una cellula che volesse invadere l’esistente organismo statale, ma malgrado tutto era una cellula che tendeva a separarsi dallo Stato e diventare organismo autonomo. L’atteggiamento verso lo Stato non era di partecipazione adesiva, quanto di disinteresse e distacco[46]. Questo fece scattare le prime persecuzioni contro i cristiani, istigate da parte delle stesse popolazioni locali, e non nate su iniziativa dell’autorità. La gente osservava, pensava e poi diceva: “fino a ieri quei tizi venivano al tempio come tutti noi; improvvisamente si sono defilati, non pregano più i nostri dei, si comportano in modo strano e pregano un altro dio”. Se sopraggiungeva un terremoto (evento mai raro nell’area mediterranea), a chi la gente comune attribuiva subito la colpa? Quei tizi che si professano cristiani, da persone pie che erano, sono diventati di colpo atee,[47] e quindi gli dèi si sono irritati e ci hanno castigato; ecco di chi era la colpa del terremoto[48]. Poi c’erano i giudei, che ritenevano eretiche le tesi propugnate dai cugini cristiani,[49] e temevano di restare coinvolti in sanzioni, come quando l’imperatore Claudio li aveva espulsi tutti da Roma per causa di queste liti su Cristo[50].

Dunque, anche se la Chiesa non intendeva fondare la città celeste direttamente sulle rovine di quella terrena i suoi aderenti si dichiaravano cittadini della prima. E tale separazione non si verificava senza una graduazione gerarchica tra il mondo celeste e quello profano, inferiore e subordinato al primo (Col 3, 1-2: “Fratelli, …cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra”). Dovendosi i candidati al Regno celeste guadagnarselo già su questa terra, era indispensabile l’ossequio a una legislazione divina fatta valere in terra da un’autorità delegata da Dio; occorreva pertanto obbedire in primo luogo alle leggi divine così come concepite ed esternate dalle sue gerarchie. In definitiva, anche se non lo voleva direttamente, il cristianesimo si poneva come un concorrente dello Stato, una società dentro la società statale, uno Stato nello Stato[51]. L’asserita separazione del temporale dallo spirituale era solo un accomodamento reticente e pieno di riserve insidiose per lo Stato romano. Il lealismo cristiano verso questo Stato era infatti di superficie perché, pur dichiarando in teoria di volerlo rispettare, in concreto provava a scalzarlo costituendo un nuovo mondo per suo conto. Malgrado tutte le buone intenzioni, cioè, chi era membro dell’associazione ecclesiastica doveva obbedire sia alla Chiesa che allo Stato, ma siccome l’uomo non può essere diviso nettamente a metà, permaneva sempre un settore dove Stato e Chiesa concorrevano, e dove l’obbedienza alla Chiesa significava disobbedienza allo Stato. L’idea fondamentale della Chiesa è sempre stata quella di riservarsi una facoltà di sindacato sulle decisioni dello Stato e di autorizzare la resistenza qualora queste fossero state contrarie alla propria legislazione divina, considerata superiore a quella umana[52].

Basta ricordare cosa si diceva fin dal tempo dei Padri della Chiesa. Origene[53] sosteneva che: “quando la legge di Dio comanda cose contrarie alla legge scritta…sarebbe assurdo disprezzare quelle azioni con le quali possiamo piacere al Creatore di tutte le cose, e scegliere anzi quelle azioni con le quali piacendo agli empi legislatori dispiaceremmo a Dio”. E Tertulliano[54] rincarava la dose dicendo che se troverà che una legge dello Stato proibisce quel che lui giudica essere bene, la legge non potrà validamente obbligarlo; anzi, va considerata malvagia quella legge che, essendo stata giudicata, voglia imperare. Giudicata da chi? Ovviamente dall’autorità ecclesiastica, che con una sua interpretazione del diritto divino si sovrappone allo Stato, perché essendo guidata dallo Spirito santo solo lei – a differenza degli altri – sa qual è la legge di Dio, cosa vuole Dio, e poi può imporre questa volontà divina a tutti con pugno di ferro.

Per il credente, dunque, la legge dello Stato non può essere mai superiore alla Legge di Dio. Ma forse anche il credente dimentica che spesso si presenta come legge di Dio quella che è soltanto imposizione di uomini.

In ogni caso, da questa contrapposizione sono nate inizialmente le persecuzioni contro i cristiani,[55] in quanto nessuna formula conciliativa era concepibile rispetto a una Chiesa che reclutava i suoi fedeli tra i comuni cittadini, ma poi pretendeva anche d’imporsi con autorità sottraendoli all’autorità dell’Impero romano[56].

I cristiani godevano di pessima fama e bastava il nome di cristiano per essere condannati perché si estraniavano da quella che era considerata la romanità: esisteva una soglia al di là della quale i cristiani, pur pagando le tasse e rispettando l’autorità, non andavano, ed era tale limite a impedire loro di essere considerati boni cives,,[57] cioè buoni cittadini. Per capire allora le persecuzioni occorre guardare non a ciò che il cristiano affermava e in cui credeva (e qui basta ricordare come i romani fossero estremamente aperti e permissivi verso tutte le religioni), ma a ciò che il cristianesimo negava:[58] la supremazia dello Stato:[59] e qui basta ricordare cosa successe al popolo d’Israele, quando cercò scrollarsi di dosso l’impero romano, ai tempi di Vespasiano, Tito e Adriano. La Chiesa in definitiva si posizionava come uno Stato all’interno di un altro Stato, sì che non deve stupirci se, di tanto in tanto, lo Stato romano – sempre più debole,- decideva che era venuto il momento di stroncare con la forza questa situazione per lui intollerabile[60].

Più tardi, l’imperatore Costantino, nel 300, riconobbe che la Chiesa concorreva al bene della res publica. Come mai, visto che all’inizio il cristianesimo era stato accusato di fare esattamente il contrario? Non è che Costantino si fosse convinto della bontà del cristianesimo (anche se la Chiesa greca, non quella latina, l’ha elevato alla santità). Gli atti compiuti da Costantino dopo la conquista del trono (fece uccidere la prima moglie e il primogenito Crispo; fece eliminare il collega e rivale), rendono inverosimile l’ipotesi di una sua vera conversione: egli vide semplicemente con lungimiranza politica che il cristianesimo, ormai molto espanso, poteva assolvere il ruolo cementificante della società che aveva avuto in precedenza la religione classica:[61] se non puoi battere il nemico, unisciti a lui!

Ma non dimentichiamo che, in seguito, le persecuzioni proseguirono da parte di cristiani contro altri cristiani. Su questo la Chiesa preferisce sorvolare. Ad esempio nel ‘500 venne effettuata una vera e propria strage degli anabattisti, la cui colpa principale era il ri-battesimo per chi veniva da altre Chiese, considerato oltre che peccato anche delitto politico di prima grandezza, sempre perché minava alla base la compattezza e l’unità della società cristiana. La persecuzione degli anabattisti fu veramente “ecumenica,” in quanto fu caldeggiata e attuata sia da parte cattolica che da parte evangelica[62]. Il massacro totale dei valdesi in sud Italia, invece, fu opera esclusiva della Chiesa cattolica[63].

E come mai il cristianesimo riuscì a espandersi tanto in così poco tempo? Lo storico Eric R. Dodds spiega in tre punti il successo fulmineo e grandioso del cristianesimo nell’impero romano[64] (del resto anche l’islam si è propagato con altrettanta e forse anche maggiore velocità):

a) La tolleranza religiosa propria dell’impero romano, che aveva accumulato troppe alternative, quindi incertezze, venne spazzata via dal cristianesimo che si presentava come sorgente di forza. In epoche d’angoscia, dovuta alla decadenza dell’impero, l’intolleranza esercitava una potente attrattiva, perché quando tutto traballa, istintivamente si va a cercare qualcosa che dia certezza. Da qui, l’apprezzamento per la tolleranza zero del cristianesimo verso le altre credenze religiose, tutte figlie del diavolo. Il dialogo con le altre religioni, l’ecumenismo, e la pluralità dei valori sono cose recenti, ma non erano immaginabili nei secoli passati, quando c’era un solo modo di credere, un’unica verità da accettare.

E oggi, in questo clima d’incertezza globale, non vi sembra che riescano spesso a imporsi politici che remano per tornare a quelle idee che davano sicurezza?

b) Il cristianesimo era aperto a tutti e non richiedeva una cultura, a differenza, ad es., dello gnosticismo. La maggior parte della gente era allora povera e illetterata,[65] e a questa massa enorme si rivolgeva il cristianesimo[66].

c) Infine offriva a tutti i diseredati la promessa di una vita migliore almeno in un altro mondo.

Sull’ultimo punto aggiungerei questo: il cristianesimo offriva una speranza che prima non esisteva: “tu non morirai!” e quindi dava la speranza di salvezza da quel nulla angosciante che era la morte. In effetti, pensiamo come, ancora oggi, può essere consolante pensare che l’uomo che invecchia non si avvicina alla fine, ma al mistero dell’eternità.

NOTE


[1] Se è per questo, anche il battesimo unisce ma al contempo divide la cristianità: cfr. Ricca P., Dal battesimo allo ‘sbattezzo’, Claudiana, Torino, 2015, dove l’autore cerca una sintesi fra i vari contrasti per cercare una soluzione ecumenica.

[2] Ricca P., L’ultima cena, anzi la prima, Claudiana, Torino, 2013, 10.

Questo problema è particolarmente sentito nel nord Europa, dove ci sono tante coppie miste (uno cattolico e uno protestante) che non possono andare insieme a messa perché non possono fare insieme la comunione.

[3] Canetti E., Massa e potere, Adelphi, Milano, 1981, 136s.

[4] Ibidem.

[5] Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 113: Transustanziazione, cioè cambiamento dell’essenza, è termine che apparve con i franchi appena nel XII secolo, per respingere il dubbio se il pane e il vino erano davvero il corpo e il sangue di Gesù. Il termine venne consacrato ufficialmente in occidente col Concilio lateranense IV (nel 1215). Quindi per 1200 anni se non credevi alla transustanziazione non succedeva nulla

[6] Alonso J. e al., Fe y Justicia, Sígueme, Salamanca, 1981, 135ss.

[7] Ricca P., L’ultima cena, anzi la prima, Claudiana, Torino, 2013, 10.

[8] Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose, Magnano (BI), 2012, 225: furono di nuovo i franchi a cambiare le forme esteriori del rito, per distinguersi dai greci di Costantinopoli. Ad es.,

- il pane eucaristico viene sostituito con l'ostia;

- i chierici si tagliano i capelli e si rasano la barba;

- il battesimo si fa per aspersione e non per immersione.

[9] Lenaers R., Il sogno di Nabucodonosor, ed. Massari, Bolsena (VT), 2009, 299.

[10] I cattolici lasciano perciò andare il pane che scompare e perde la sua sostanza, e resta solo la forma. Ma se il sacramento deve essere segno, e se con la transustanziazione sparisce il pane, a quel punto viene a sparire il segno e il sacramento non è più sacramento (così Calvino, riportato da Ricca P., L’Ultima Cena, anzi la Prima, Claudiana, Torino, 2013, 218). I sacramenti sono segni visibili della realtà invisibile (n.774 Catechismo): se nel battesimo non si usa l’acqua, ma coca-cola, non c’è sacramento; se nell’eucaristia non c’è il pane, non c’è sacramento. E, a proposito, qual è il segno della confessione che la renderebbe sacramento? Ma di questo parleremo un’altra volta.

[11] Aveva ben detto Martin Buber che se l'uomo crede che l’immagine che lui si è fatta di Dio possa evocarlo realmente, vuol dire che quest'uomo riesce anche a dominare con le sue forze la Potenza che evoca. Ma chi evoca non si sente più interrogato, il mistero non desta più in lui una risposta, e finisce col designare come divino (cioè come Dio) ciò o colui la cui possibile apparizione o riapparizione è vista come mero oggetto (Buber M., L'eclissi di Dio, Passigli, Firenze-Antella, 2001, 67s.).

[12] Benedetto XVI, Luce del mondo, ed. Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2010, 219. Ma secondo la riforma liturgica del 1973 la Conferenza episcopale può ripristinare l’antica tradizione di ricevere la comunione sulla mano sinistra (l’ostia va presa e messa in bocca con la destra), per cui i vescovi possono decidere fra ostia sulla mano e in bocca (Famiglia Cristiana”, n.25/2012, 11).

[13]Basta ricordare la parabola del fariseo e del pubblicano. Fariseo, che significa separato (Il Dizionario dei concetti biblici nel Nuovo Testamento, a cura di Coenen L. e al., ed. EDB, Bologna, 1976, 616), era l’appartenente a un gruppo particolarmente religioso tutto proteso all’aldilà, che viveva osservando scrupolosamente la legge. I farisei si distinguevano dai sadducei, aristocrazia economica da cui proveniva la maggior parte dei sacerdoti, i quali non credendo alla resurrezione nell’aldilà (in quanto non prevista nel Pentateuco, unici libri da essi ritenuti Parola di Dio), cercavano di stare bene in questa vita e non vedevano la necessità di aggiornare le antiche tradizioni (Drane J., La Nuova Enciclopedia illustrata della Bibbia, ed. Elledici-Velar 2006, Torino-Gorle (BG),169). Essendo detentori della ricchezza non riconoscevano i libri biblici dei profeti, fustigatori della loro ricchezza (Is 10, 3; Ger 5, 27).

[14] I sacramenti hanno un valore specifico che costituisce un mistero, in quanto implicano una certa specie di contatto con Dio, contatto misterioso ma reale. Nello stesso tempo, hanno un valore umano in quanto simboli e cerimonie. Sotto questo aspetto non differiscono essenzialmente dai canti, gesti e parole d’ordine di certi partiti politici; perlomeno, non se ne differenziano essenzialmente di per sé stessi; se ne differenziano invece infinitamente per la dottrina a cui si riferiscono. Credo che la maggior parte dei fedeli (compresi anche alcuni che sono convinti del contrario) abbiano contatto con i sacramenti solamente in quanto simboli e cerimonie (Weil S., lettera a padre Perrin del 19.1.1942).

[15] Una specie di birra artigianale.

[16] P. Casaldàliga e José M. Vigil, La spiritualità della liberazione, ed. Cittadella, Assisi, 1995, 19. La tesi secondo cui tutta la verità abita solo nella Chiesa di Roma è una tesi che accontenta e lusinga troppo i ferventi cattolici occidentali per non essere sospetta (parafrasando Gounelle A., Parlare di Dio, ed. Claudiana, Torino, 2006, 51 e 49).

[17] Scquizzato P., Ripensare la risurrezione, Zoom 31.3.2021 www.unachiesaapiùvoci.it

[18] Molari C., La particola non contiene Gesù in miniatura, “Rocca,” maggio 2017.

Un indio guaranì, accusato da un saccente missionario del secolo XVI di adorare il mais, rispose: "Ma voi non adorate il pane?" (Barros M. e Tomia L., Uno e molteplice, in “Per i molti cammini di Dio”, ed. Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010, 101).

[19] “Vita nuova,” n.4395, 18.1.2008, 2.

[20] Cfr. Costituzione dogmatica Dei Filius del 24.4.1870: “La Santa Madre Chiesa ritiene e insegna che Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione…Se qualcuno dice che Dio unico e vero, creatore e Signore nostro, non può essere conosciuto con certezza: sia anatema”. Anatema significa essere sbattuti fuori della comunità. L’affermazione è ripetuta, ma attenuata nel Concilio Vaticano II, con la Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione – Dei Verbum §6 – del 18.11.1965.

[21] Mancuso V., Io e Dio, ed. Garzanti, Milano, 2011, 82.

[22] Idem, 101 s.

[23] Cfr. l’articolo I re magi, al n. 434 di questo giornale, di cui al link

https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199998---gennaio-2018/numero-434---7-gennaio-2018

[24] Quando ci fu lo scisma religioso e politico in Israele, tra il regno di Giuda (Gerusalemme) e il regno del Nord, cioè la Samaria, quelli del nord misero dei vitelli d’oro nel santuario di Betel (che significa casa di Dio), per dire che solo lì si dava culto a Yhwh, rappresentato dai vitelli. Ciò venne riconosciuto come un grande peccato, una grande idolatria. Betel non fu più chiamata la casa di Dio, ma la casa del peccato. Quando si parla della casa del peccato si dice di non tornare più da quella parte, di allontanarsi completamente dal luogo dove non si dà culto a Dio, ma si è caduti nella idolatria “Se ne andò per un’altra strada e non tornò per quella che aveva percorsa venendo a Betel” (1Re 13,10).

[25] Da Spinetoli O., Il Vangelo del Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 142s.

[26] Ha detto bene il vescovo Spong che cambiare potrebbe anche uccidere il cristianesimo, ma non cambiare ucciderà di sicuro il cristianesimo (Spong J.S., Un cristianesimo nuovo per un mondo nuovo, ed. Massari, Bolsena, (VT), 2010, 180).

[27] Mateos J. e Camacho F., Vangelo: figure e simboli, ed. Cittadella, Assisi, 1997, 118.

[28] Câmara H., Mille ragioni per vivere, ed. Cittadella, Assisi, 2000, 128.

[29] Castillo J.M., El Evangelio marginado, ed. Desclée De Brouwer, Bilbao, 2019, 261.

[30] Al massimo ci si chiede stupiti come i cristiani tedeschi, che sapevano dei campi di concentramento, non hanno mosso un dito. Ma noi, cristiani di oggi, che sappiamo delle migliaia di immigrati che tentano di entrare in Europa, che vengono ricacciati indietro in Bosnia, quasi sempre in violazione delle stesse nostre leggi, che sono costretti a vivere più o meno all’addiaccio in questo inverno freddo, senza cibo, senza medicine, cosa facciamo? Attraverso la televisione vediamo e sappiamo, ma non facciamo nulla, e restiamo tranquilli pensando di essere a posto con Dio dopo aver fatto la comunione.

[31] Se leggiamo oggi l’enciclica Immortale Dei di papa Leone XIII, del 1885, ci si trovava di fronte a questo punto fermo: «Se la Chiesa giudica che non sia lecito concedere ai vari culti religiosi la stessa condizione giuridica che compete alla vera religione, pure non condanna quei governi che, per qualche grave situazione, mirando o ad ottenere un bene, o ad impedire un male, tollerino di fatto diversi culti nel loro Stato». Questo indirizzo è stato capovolto con il §6 della Dignitatis humanae dell’ultimo concilio, dove invece si afferma: «Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell’ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa». Recentemente, infine, nell’Enciclica Fratelli tutti di Papa Francesco si legge: «Come cristiani chiediamo che, nei Paesi in cui siamo minoranza, ci sia garantita la libertà, così come noi la favoriamo per quanti non sono cristiani là dove sono minoranza» (n. 279).

Di fronte a questi sostanziali cambiamenti avvenuti nel corso di un secolo e mezzo circa, emerge con assoluta chiarezza che ciascun documento dottrinale è anche figlio del suo tempo, per cui anche quel principio che in un certo periodo appare immutabile, non lo è, e trova conferma il fatto che ogni dottrina può cambiare nel corso del tempo, e che solo Dio è eterno. Se la Chiesa non avesse mai cambiato sosterrebbe ancora oggi l’Inquisizione, la schiavitù, la pena di morte.

[32] Sicuramente non si può dire che per essere cristiani basta amare Gesù, proprio perché nel tempo il volto di Gesù è stato spesso fabbricato dalla nostra ideologia: pensiamo al Cristo pantokrator, al Cristo delle crociate, ecc.. Oggi il volto di Cristo che abbiamo in mente non ha nulla a che vedere con quei volti del passato.

[33] Trentacoste N., Introduzione, in AA.VV., Paura di Amare, ed. Cittadella, Assisi, 2002, 29.

[34] Il matrimonio – celebrato e consumato - è rimasto sempre indissolubile nella Chiesa occidentale, anche in caso di adulterio, in contrasto con le Chiese d’Oriente (D’Auria A., Il matrimonio nel diritto della Chiesa, ed. Laterza, Bari, 2003, 339 s.). Nella Chiesa occidentale l’adulterio dava al più diritto alla separazione perpetua, e qui i dottori si sono sbizzarriti alla grande: per alcuni l’adulterio sussisteva solo se la copula veniva realizzata materialmente da uno dei due coniugi con persona diversa; all’adulterio veniva equiparata la sodomia e la bestialità; per altri, non rientravano nell’adulterio gli atti libidinosi, e nemmeno la copula onanistica quando il fedifrago/a aveva l’accortezza di usare dei metodi contraccettivi, ecc. (D’Auria A., Il matrimonio nel diritto della Chiesa, ed. Laterza, Bari, 2003, 371).

Va però ricordato che san Paolo ammetteva che il cristiano potesse tranquillamente sciogliere il suo matrimonio con un pagano, «perché Dio vi ha chiamati alla pace» (1Cor. 7, 15).

Mi sembra invece debba essere evidenziato che nel rapporto di coppia il punto fermo è la necessità di avere un rapporto vero e profondo. Questo valore di fondo non cambia, sia che poi si ammetta il divorzio (come nelle Chiese ortodosse), sia che lo si neghi (come nella Chiesa cattolica) rendendo il matrimonio immobile e immutabile.

[35] All’inizio i vangeli non erano un prodotto confezionato una volta per sempre, perché lì non si cercava una dottrina da accettare come si fa prevalentemente oggi, ma si voleva proporre una pratica da vivere. In ogni comunità dove si seguiva un certo vangelo, la propria esperienza del messaggio di Gesù veniva vissuta, rimeditata e poi ritrasmessa a un’altra comunità con un arricchimento di quello stesso vangelo che passava di mano in mano (Da Spinetoli O., La storicità degli Evangeli oggi, “Bibbia e Oriente”, VIII, 1966, 99): quindi le comunità erano cantieri aperti, e i vangeli erano testi viventi, che venivano in continuazione modificati.

[36] Il Dio di Gesù è lontano dal Dio della religione. Per Gesù, Dio è vita che muove vita, fa nuove tutte le cose, rialza chi è caduto, non condanna ma fa ricominciare donando sempre nuove opportunità. Il Dio della religione invece opprime, soffoca, impedisce, pone confini, proibisce e comanda. Per Gesù, tutto ciò che pone in secondo piano l’uomo, impedendogli di maturare, è da non seguire, da trasgredire (Scquizzato P., Dalla cenere la vita, Paoline, Milano 2019, 28).

[37] Paolo dunque non condannava i forti di fede che mangiavano carne immolata agli idoli. Al contrario, nell’Apocalisse, mangiare questa carne – come facevano i cristiani forti di fede, gli gnostici (identificati nel testo come nicolaiti – Ap 2, 15) - è visto come una grave colpa. Il problema, solo una quarantina di anni più tardi, era diventato ancora più scottante e concreto nella vita quotidiana rispetto ai tempi di Paolo, e la prospettiva era completamente cambiata: Paolo parlava della carne che si andava a comprare al mercato. Ad Efeso, città santa del paganesimo col famosissimo Tempio di Artemide-Diana (considerato una delle sette meraviglie del mondo antico - cfr anche At 19, 23-41), la comunità ebraica, perfettamente integrata, non disdegnava di assumere anche cariche pubbliche e di partecipare ai riti civili, nei quali c’era anche sempre una dimensione religiosa. Del resto, nel mondo antico non c’era separazione fra Stato e Chiesa, ma completa commistione fra ambito civile e religioso, come ancora oggi avviene in molti paesi musulmani: se si assumeva una carica civile bisognava necessariamente partecipare alle varie cerimonie religiose. Gli artigiani, ad es., erano divisi in corporazioni ed ogni corporazione era sotto la protezione di un dio: se si voleva lavorare bisognava necessariamente far parte della corporazione e conseguentemente partecipare anche alle cerimonie in favore del dio protettore di quella corporazione. Questo comportamento dei giudei solleticava anche molti cristiani, che altrimenti si vedevano tagliati fuori dalla società, ma per i più ortodossi ciò era semplicemente inammissibile: si doveva rendere pubblicamente testimonianza al solo e unico Dio invisibile, e non a tutti gli altri falsi dei e, men che meno, all’imperatore, il quale si presentava come il Signore visibile; perciò la frangia più dura riteneva che cercare il compromesso con le autorità locali civili e religiose andava contro la vera sequela di Cristo. Si doveva scegliere: o Dio o Cesare. Venne quindi posto un limite invalicabile oltre il quale il cristiano non poteva andare, anche se ciò gli precludeva l’integrazione nel resto della collettività. Si può dire che in questo caso i forti utilizzavano per il culto lo stesso tipo di ragionamento utilizzato per la carne immolata agli idoli: ciò che conta davanti al vero Dio è solo lo spirito, e non il corpo, che non conta nulla: la divinità cui si fa l’offerta non esiste, quindi in realtà si offre una cosa al nulla. L’autore dell’Apocalisse, invece, non la pensava così, scagliandosi con veemenza contro una Chiesa che vedeva contaminata dall’eresia gnostica: vedeva che con la scusa di valorizzare solo lo spirito e non tener in nessuna considerazione il corpo, la comunità gnostica tendeva al compromesso. L’ala più ortodossa ha fatto nascere un duro scontro fra cultura del posto e Rivelazione, la quale non si può discutere e si deve prendere così com’è: obbliga a rifiutare il compromesso, anche a costo di arrivare alla rottura, perché si deve scegliere; la spada affilata a due tagli (Ap 2, 12) separa due realtà fra di loro inconciliabili. L’Apocalisse taccia gli gnostici di tiepidezza (Ap 3, 15-16), perché il compromesso è tiepidezza. Per lo gnosticismo, invece, l’intransigenza non è affatto una virtù. Caldo/freddo sono posizioni eccessive. Alla fine lo gnosticismo sarà sconfitto, e vincerà l’ortodossia più dura.

[38] In questi termini viene spiegata la non chiara frase «Felice colui che non giudica se stesso in ciò che approva» (Rm 14, 22), in Corso audio, lezione n.11, a cura di don Piero Ottaviano, reperibile in www.didaskaleion.murialdo.org.

[39] Oggi tanti cristiani sono spaventati dall’allargarsi dell’islam, ma dimenticano che il nazismo e il comunismo sono nati in Paesi cristiani.

[40] E qui occorre un chiarimento. Noi occidentali siamo più deboli biologicamente di tante altre popolazioni, ma siamo più forti tecnologicamente: però ci sentiamo come una società assediata e pensiamo di doverci difendere. E questo è naturale perché come occidentali siamo il 20%, ma consumiamo l’80% delle risorse del mondo. Nessun sistema può durare a lungo con queste sproporzioni. Nessuno è colpevole se nasce in occidente, ma se vive a spese degli altri… Ecco perché le encicliche di papa Francesco (Laudato si e Fratelli tutti) dovrebbero farci riflettere e cambiare rotta.

[41] È interessante sapere che, anche secondo l’Islam, l’attuale ciclo cosmico sta volgendo al termine: questo ciclo ha già raggiunto il massimo possibile di solidificazione, ed ora il solido comincia a dissolversi; il nostro mondo si sta dematerializzando o liquefacendo (pensiamo alla teoria atomica, a internet virtuale, all’incostanza nelle cose). La metafisica, che vuole fissare principi stabili al di là del cambiamento, non regge più come una volta: oggi tutto cambia velocemente, e in nessun campo esistono più punti fissi e immutabili di riferimento.

[42] Vannucci G., Nel cuore dell’essere, ed. Fraternità di Romena, Pratovecchio (AR), 2004, 65.

[43] Gounelle A. Parlare di Cristo, Claudiana, Torino, 2008, 66.

[44] Visto dall’esterno, Gesù morto in croce è un fallito. Solo grazie alla risurrezione si può credere che questo fallito è stato scelto da Dio, nel senso che la sua vita, nonostante l’apparente disastro, non è stato un fallimento, perché niente di esterno può togliere il senso della vita. La vita umana ha sempre un senso perché è nelle mani di Dio, e nessuno – qualunque cosa ci facciano, qualunque cosa ci accada - può rubare questo senso.

[45] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 324 ss.

[46] Vedasi quanto detto nell’articolo sullo Gnosticismo a proposito della Chiesa di Efeso, al n.486 de Il giornale di Rodafà, in

https://sites.google.com/site/liturgiadelquotidiano/numero-486---6-gennaio-2019.

[47] I primi cristiani, venivano accusati di essere atei: non avevano Tempio, non avevano altari, non avevano sacerdoti; come risulta dalla Didaché il rito era corale, senza la presenza di un apposito ministro e, a differenza dei pagani, non facevano sacrifici e la stessa eucarestia si celebrava a casa, in luogo profano (At 2, 46).

[48] E guardate che ci sono ancora tanti cristiani che ragionano così di fronte a una calamità (dai terremoti all’Aids): “Dio ci sta punendo per i nostri peccati!” Peccato che spesso nella calamità muoiono adulti e bambini non proprio peccatori, mentre tanti pubblici peccatori restano indenni.

Del resto ancora papa Leone XIII scriveva che i cristiani erano stati perseguitati nell’antichità in nome di un iniquo pregiudizio, e che “si soleva anche additarli all’odio e al sospetto come nemici dell’impero: allora il popolo amava far ricadere sul nome cristiano la colpa di qualunque sventura si fosse abbattuta sullo Stato, quando invece era la giustizia di Dio che esigeva dai peccatori la dovuta espiazione delle loro scelleratezze” (Papa Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, 1.11.1885). Ancora oggi, inutilmente papa Francesco si sgola affermando che la pandemia non è un castigo divino (Enciclica Fratelli tutti, §34): molti credono ancora a papa Leone.

[49] Pérez Márquez R., L’Apocalisse della Chiesa, ed. Cittadella, Assisi, 2011, 130. Per i sadducei, la casta dei ricchi dalla quale provenivano i sacerdoti, era inimmaginabile la resurrezione (At 4, 2), per i farisei era bestemmia affermare che Gesù era superiore a Mosè: anche da qui le denunce e le persecuzioni.

[50] Svetonio, Vita dei Cesari, XXIII, 4.

Teniamo presente che all’epoca i cristiani erano considerati una setta giudaica, e l’autorità romana non distingueva fra ebrei e cristiani). Fino a Traiano, il quale regnò fra il 100 e il 117 d.C., i cristiani non furono neppure identificati nella loro specifica individualità dagli scritti sia pagani che ebrei (Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 162.). Cfr. Anche quanto detto alla risposta n. 20 a proposito di setta, parlando di Anania.

[51]Maritain J., The things that are not Caesar’s, ed. Charles Scribner’s Sons, New York (USA), 1931, 39: “Il proprio Paese non sta sopra Dio, e il bene dello Stato umano non sta sopra il bene dello Stato divino... la Chiesa viene prima del nostro Paese nella gerarchia del nostro amore”.

[52] Pensiamo ancora oggi a quando lo Stato vuol legiferare in tema di aborto, fine vita, ecc.

[53] Contra Celsum, V, XXXVII, in documentacatholicaomnia.eu.

[54] Tertulliano, Apologeticum, 4, 5, in documentacatholicaomnia.eu.

[55]Il Dizionario storico del papato, diretto da Levillan P., ed. Bompiani-RCS, Milano, 1996, alla voce Persecuzione parla diffusamente delle sofferenze dei perseguitati, ma non spiega perché l’impero romano – sempre tollerante verso le varie religioni – vide nel cristianesimo una setta pericolosa. Anche in AA.VV., Il cristianesimo questo sconosciuto, ed. Didaskaleion, Torino, 1993, 45, si sostiene che i motivi delle persecuzioni romane non sono chiari. Lo storico Gentile li rende chiarissimi.

[56] Ricordiamo, per fare un esempio, il caso di Massimiliano, fra l’altro figlio di un veterano dell’esercito, che verso la fine del 200 aveva rifiutato di prestare servizio militare obbligatorio e per questo era stato condannato e giustiziato, diventando in seguito il santo protettore degli obiettori di coscienza. All’epoca era frequente il dilemma fra i cristiani se prestare servizio militare o svolgere obiezione di coscienza (magari con diserzione). Solo il sinodo di Arles del 314 d.C. - a ridosso dell'editto di Milano del 313 che aveva riconosciuto la libertà religiosa per la professione di fede cristiana - dichiarava che il servizio militare era un dovere, e minacciava di scomunica chi si rifiuta di servire in armi. Cos’era cambiato? Ora che il cristianesimo era legalizzato non c’era più motivo di disertare, e il concilio semplicemente sottolineava il fatto che i cristiani non avevano più alcun motivo per rifiutare la responsabilità di servire in armi l’Impero ormai cristiano: la Chiesa saliva al potere a fianco dell’Impero, ma da “fratelli coltelli” presto i due sarebbero diventati rivali nell’uso del potere: i due poteri hanno continuato perciò a cozzare nella stessa sala del trono, troppo stretta per entrambi, prevalendo ora uno ora l’altro.

[57] Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, ed. Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 83 ss. e 117.

[58] Gentile P., Storia del Cristianesimo dalle origini a Teodosio, ed. Rizzoli, Milano, 1969, 303. Quindi infondata e contraddittoria appare la tesi secondo cui i primi cristiani furono perseguitati dalla tollerante autorità romana in nome di tutte le altre religioni dell’impero (così Fonzaga L., Non prevalebunt - Manuale di resistenza cristiana, ed. SugarCo, Milano, 2007, 124). Se i romani erano tolleranti verso tutte le religioni, perché una nuova religione avrebbe dovuto spingere l’autorità pubblica a intervenire per salvaguardare le altre?

Insufficiente appare anche l’affermazione della Pontificia Commissione internazionale (https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20140117_monoteismo-cristiano_it.html, al Cap. 1.3 § 8) secondo cui le persecuzioni sarebbero avvenute con accanimento solo perché i cristiani rifiutavano di riconoscere la divinità all’imperatore. Non era solo questo: i cristiani erano visti come una quinta colonna, capace di distruggere l’impero dall’interno. Vedi anche note successive.

[59] Il governo romano non s'interessava delle religioni dei popoli che formavano l’impero. Pretendeva solo, come segno di rispetto ossequiente nei confronti del potere, l’aggiuntiva venerazione dell’imperatore.

Perché il culto all’imperatore romano? Perché, a differenza degli altri dèi invisibili che più di tanto non incidevano nella vita quotidiana della gente, l’imperatore appariva veramente come un dio visibile capace di garantire l’ordine e la libertà dei commerci, ad esempio facendo pattugliare dalle sue navi il Mare nostrum, tenendolo così sgombro dai pirati: tant’è vero che nel finale dell’Apocalisse coloro che piangono sono i marinai ed i commercianti (Ap 18, 17).

Con questa comune venerazione il governo assicurava un vincolo che congiungeva tutti i sudditi fra di loro, quindi anche l'unità politica dell'impero. Nella persona dell'imperatore i romani individuavano il garante dell'ordine e della pace universale, l'icona fatta carne di "Giove patrio" che redimeva i popoli dalle reciproche guerre, dall'indigenza e dall'infelicità. Perciò il rifiuto di venerare l'imperatore veniva considerato non una deviazione teologica, ma un crimine politico (Yannaras C., Contro la religione, ed. Qiqajon Comunità di Bose,Magnano (BI), 2012, 193).

Conferma lo storico Harari Yuval Noah: i romani si aspettavano che i cristiani portassero rispetto agli dèi protettori dell’impero e alla figura divinizzata dell’imperatore: si chiedeva un atto di lealtà politica (Harari Y. N., Sapiens, Da animali a dèi, Bompiani, Milano 2018, 269).

[60] Insomma, si può dire che lo Stato vedeva il cristianesimo come oggi lo Stato vede la mafia. Ovvio che lo Stato di diritto cerca di tanto in tanto di stroncare la mafia, che si comporta a sua volta da Stato all’interno di quello che dovrebbe essere l’unico Stato.

[61] Augias C. e Cacitti R., Inchiesta sul cristianesimo, Gruppo editoriale L’Espresso, Milano, 2010, 172.

[62] Ricca P., Dal battesimo allo “sbattezzo”, Claudiana, Torino, 2015, 180s.

[63] Fra i più recenti testi: Stancati E., Gli ultramontani. Storia dei valdesi in Calabria, ed. Pellegrini, Cosenza, 2008. In tutte le religioni si sono sempre trovati tanti zelanti credenti pronti ad ammazzare in nome di Dio.

[64] Dodds E., Pagani e cristiani in un’epoca di angoscia, La nuova Italia, Scandicci, 1997, 131ss.

[65] Nell’impero romano il 2 o 3 per cento della popolazione possedeva la maggior parte delle ricchezze dell’Impero. Più del 90 per cento della popolazione, l’immensa maggioranza degli abitanti, era priva di ricchezza e lottava come poteva per mantenere la propria vita a un mero livello di sopravvivenza (Carter, W., El Imperio romano y el Nuevo Testamento, Estella, Verbo divino, 2001, 149).

[66] La Chiesa delle origini fino al IV secolo, con la svolta costantiniana (313 d.C.), è formata in maggioranza da poveri. Il contenuto del messaggio di Gesù, promettendo, anzitutto, il Regno e la salvezza ai poveri, chiamandoli beati (Lc 6,20) e prediletti del Padre (Mt 11,25-26), rispondeva alle richieste religiose e sociali dei poveri, favorendo così la diffusione del cristianesimo nascente.