Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Disegno di Sara Sodaro




Il Credo: ancora sull’incarnazione e sulla discesa e salita al cielo

di Dario Culot

…discese dal cielo e per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della vergine Maria e si è fatto uomo… il terzo giorno è risuscitato… è salito al cielo… Credo la Chiesa…

Se credo la Chiesa, devo credere a ciò che mi ha insegnato anche sull’incarnazione, richiamata nel testo del Credo in precedenza, quando si parla di Gesù. E cosa ci ha insegnato il magistero sull’incarnazione? Che non è nato prima l’uomo Gesù sul quale poi il Verbo eterno è disceso, ma il Verbo è entrato nella donna con la sola natura divina e unendo a quel punto a sé la natura umana è poi uscito dalla donna come Gesù uomo senza però cessare di essere Dio-Verbo. Gesù, dunque, era in realtà pre-esistente a sé stesso, in quanto era già il «Lógos» (Verbo, Parola) di Dio; quindi, spiegatoci come questo Verbo, il Figlio eterno di Dio, ossia, la seconda persona della Trinità divina, si è incarnata nell’uomo Gesù, ci viene detto che poi, dopo la risurrezione, Gesù ritorna al Padre, recuperando così la pienezza della sua gloria divina.

Permettetemi qualche osservazione critica su una simile storia: se ci fosse stata una simile trasposizione al cinema (non parlando ovviamente di Dio e di Gesù), penseremmo alla serie televisiva dei visitors, quegli alieni che assumevano un corpo umano, senza essere però umani. Ora, se Dio incarnandosi in un uomo, non è pienamente uomo, l’incarnazione sarebbe solo una specie di travestimento che il Verbo di Dio (persona divina) ha usato ha messo in atto per apparire come uomo, senza esserlo nel vero senso della parola. E sul punto ho scritto ampiamente nell’articolo Chi era Gesù di Nazaret – IV, al n. 576 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20203/numero-576---27-settembre-2020/chi-era-gesu-di-nazaret---iv).

Forse oggi sarebbe sufficiente dire che Cristo non è un secondo Dio o un semidio accanto al vero Dio. Il vero Dio è semplicemente presente attraverso l’uomo Gesù Cristo[1].

Poi, ci è stato insegnato anche che il Creatore,[2] che già interagiva col mondo da Lui creato restando però nell’alto dei cieli, fuori del mondo e al di sopra del mondo, con l’incarnazione, avrebbe lasciato questi cieli per venire dentro al mondo creato, diventando Lui stesso creato[3]. Obiezione: ma se è il Verbo eterno a farsi Lui stesso carne vorrebbe dire che Dio è diventato non-Dio; il creatore è diventato creatura. E come può Dio passare a non-Dio, restando contemporaneamente Dio? Non è forse impossibile per l’Assoluto diventare relativo?

Ormai sappiamo che la teologia cristiana ha il suo centro proprio nell’incarnazione di Dio che è “la chiave di volta per spiegare l’unità di Gesù con Dio”[4]. Ma non dobbiamo dimenticare mai che, quando parliamo di Dio e di Gesù-Verbo, stiamo parlando del Trascendente. Ossia, parliamo di una realtà che non sta alla nostra portata e, per questo stesso motivo, parliamo di ciò che non conosciamo e non possiamo conoscere. Perciò, se non sappiamo chi è Dio e come è Dio, non possiamo neanche dire che Gesù è Dio.

Il magistero che definisce Dio sta dicendo di conoscerlo. Ma chi afferma di conoscerlo parla di una rappresentazione di Dio che lui si è fatta[5]. Quello non è Dio. L’unica cosa che potremmo dire con certezza di Dio è ciò che di Lui ci ha fatto conoscere Gesù (Mt 11, 27)[6]. Possiamo pensare a Dio e parlare di Dio solo partendo dal Gesù umano, dall’immanenza umana. Il Dio trascendente resta un mistero e noi non siamo in grado di entrare in quella realtà che si è preclusa[7].

In ogni caso, quali che siano le interpretazioni che diamo alla parola “incarnazione”, su una cosa possiamo – credo - tutti concordare: parlare dell’incarnazione di Dio è parlare dell’avvicinamento del divino all’umano. Il divino si mette in relazione con gli uomini. Dire che la Parola (il Verbo) di Dio si è incarnata significa che la parola di Dio è entrata nella storia con Gesù. Nella storia terrena di Gesù, la coerenza fra parola e azione in Gesù fa sì che lui stesso sia metaforicamente definito Parola di Dio, cioè potenza creatrice e perciò parola di Dio[8].

Quindi Gesù uomo è il canale comunicativo utilizzato dall’inconoscibile Trascendente per entrare nel nostro ambito immanente. Dio per parlare di sé, dal suo ambito per noi irraggiungibile, si manifesta in un uomo. Un discorso serio su Dio non può perciò riguardare la sua intima struttura trascendente, ma deve restare un discorso su un uomo. In questo senso la Parola si è fatta carne. Nostro fratello. Uno di noi. Gesù è, quindi, la “umanizzazione di Dio”[9] e di conseguenza la presenza di Dio fra gli uomini. Così si spiega anche la sorprendente risposta che lo stesso Gesù ha dato a uno degli apostoli: “Filippo, chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). Così si comprende anche la conclusione del prologo del vangelo di Giovanni: “Nessuno ha mai visto Dio; Il Figlio unico di Dio… ce lo ha fatto conoscere” (Gv 1,18). Gesù, quindi, “Parola di Dio”, così come lo troviamo nel Vangelo, è la “spiegazione di Dio,”[10] ma non è Dio.

Solo così, attraverso l’incarnazione, cioè umanizzandosi, Dio poteva rivelarsi all’essere umano; altrimenti avrebbe continuato a sfuggire a ogni tentativo di conoscerlo. Se voleva farsi conoscere dall’uomo, era Lui che doveva aprirsi all’uomo, abbassarsi al livello immanente. E questo poteva farlo solo rendendosi comprensibile in un essere umano. Così Gesù – con il suo modo di vivere,- è stato la spiegazione di Dio, che nessuno ha mai visto (Gv 1,18)[11]. Ma nonostante questa spiegazione, Dio resta comunque al di fuori della nostra portata perché non si trasforma comunque nella più sublime delle realtà immanenti[12]. Scordiamoci l’idea che Dio sia la più sublime delle realtà che stanno alla nostra portata e che perciò possiamo conoscere e spiegare fin la sua struttura (Tre persone in un unico Dio; la seconda di queste persone divine ha una doppia natura: divina e umana). Proprio perché non possiamo spiegare il trascendente non possiamo dire niente della sua intima struttura.

Occorre poi tener presente che la Parola di Dio (il Verbo) non si limita ad essere un messaggio orale captabile e capibile dagli gli uomini: il messaggio viene dato attraverso la persona di Gesù con il suo stile di vita, con i fatti che ci ha mostrato durante la sua vita terrena. L’essere di Dio si è reso manifesto, visibile, accessibile, mostrandosi in un essere creato. E noi possiamo sapere qualcosa di Dio non attraverso i nostri discorsi teologici impregnati di metafisica (che aspira ingannevolmente a conoscere il trascendente), ma guardando alla vita terrena e laica di Gesù.

Ecco perché il centro del vangelo è la sequela di Gesù, mentre non può essere una dottrina fatta di parole, per quante elevate dal punto di vista filosofico esse siano. Ancor meno Gesù può essere ridotto a dogma. La sequela di Gesù è l’unica cosa che ci rende cristiani. Non siamo cristiani credendo ai dogmi e accettando per vera ogni dottrina insegnata dal magistero.

La sequela di Gesù dovrebbe allora costituire anche la vera essenza della Chiesa. Il che, detto in altre parole, significa che c’è vera Chiesa solo dove i suoi componenti sono veri seguaci di Gesù. Vediamo sempre questo nella Chiesa cattolica, una e santa? Ho qualche dubbio. Pertanto, non si tratta del fatto che conoscendo Gesù (ad es. sapendo tutto della sua doppia natura in un’unica persona divina) si comprende ciò che significa la sequela, ma esattamente il contrario: solo partendo dalla sequela e mediante la sequela è possibile conoscere Gesù e comprendere ciò che egli rappresenta nella teologia cristiana[13].

Stupisce allora come nella nostra Chiesa ci siano Sacre Congregazioni per vigilare sulla Dottrina della Fede, per curare il clero, la liturgia, la Vita Religiosa, ecc., ma non esiste una Congregazione che si preoccupi della sequela di Gesù, cioè della fedeltà al Vangelo,[14] per controllare che la vita concreta dei chierici corrisponda alla vita che Gesù aveva vissuto.

Affermare poi che l’incarnazione si è realizzata per opera dello Spirito Santo, significa forse solo dire che il caratteristico dello Spirito è rivelare Dio in termini umani. Quindi ribadisco che riusciamo a incontrare Dio solo nell’umano, non cercando di salire lassù nel cielo; nel profano e non nel sacro[15]. E cos’è che unisce tutti gli esseri umani? Da che cosa siamo accomunati noi tutti? Dall’unica cosa nella quale tutti siamo uguali: la nostra «umanità». Per questo, ciò che importa veramente è che ogni giorno diventiamo più profondamente umani, perché il primo che «si è umanizzato» è stato Dio stesso nell’incarnarsi, cioè nell’«umanizzarsi».

Ad es., il Dio che si è fatto conoscere in Gesù si è umanizzato fino al punto che, perfino da risuscitato, è un Dio che mangia insieme ai suoi. Vale a dire, il nostro Dio condivide la convivialità con gli umani. Ed è nella convivialità umana dove Dio (il Dio di Gesù) si fa presente[16]. Questo forse ci fa anche capire che Dio non serve per rispondere a dogmi religiosi, ma alle domande della vita: umanizzarci sempre di più è ciò che dobbiamo fare nella nostra vita.

Visto che Gesù è l’umanizzazione di Dio, così il cristianesimo, che prolunga nella storia la presenza di Gesù, non ha altra finalità ed altra ragion d’essere che rendere presente ed operativo il processo di umanizzazione che è iniziato nell’incarnazione. Quindi il cristianesimo e le istituzioni nelle quali esso si realizza storicamente non hanno la finalità di santificare i fedeli (non per questo è disceso dal cielo), ma di umanizzare le persone, gli essere umani in generale. Nel cristianesimo deve pertanto prevalere l’elemento orizzontale su quello verticale. Se noi credenti in Gesù prendiamo sul serio le categorie di «imitazione» e di «sequela», la nostra imitazione di Dio e la nostra sequela di Gesù si possono realizzare solo nell’elemento orizzontale in questo mondo, nel quale Dio si è unito e si è fuso e nel quale è nato, vissuto e morto Gesù[17]. Come uomini limitati non abbiamo gli strumenti per cercare di scalare il cielo. Gesù continua a dirci che, al di sopra di tutte le teorie e dei dogmi che qualcuno ha inventato, al di sopra di tutte le teologie che uno ha appreso, l’unica via per incontrare Dio è unirsi, fondersi e confondersi con tutto ciò che è debolezza, dolore, sofferenza e povertà in questa vita. Tant’è vero che, nell’ora della verità, risulterà che hanno incontrato Dio coloro che hanno dato da mangiare all’affamato, da bere all’assetato (Mt 25, 31-46), anche se neanche pensavo di incontrare così Dio, e neanche sapevano che Gesù è esistito.

Proprio il passo del giudizio universale serve a chiarire che Gesù non si rivela agli uomini del nostro tempo rimandandoli alla celebrazione di ciò che lui ha fatto in un lontano passato, ma a ciò che egli attualmente c’invita a compiere. Noi dobbiamo collaborare in quello che è il progetto di Dio, col che l’incarnazione continua nei cristiani.

Certamente accettare l’idea che il Dio che possiamo conoscere è il Dio che si è fatto conoscere in quell’uomo che poi ha concluso i suoi giorni come un delinquente, è duro, è difficile, è complicato. Ecco perché molti continuano a credere nel Dio di sempre, nel Dio della metafisica greca, e a quel punto affermano che Gesù è Dio. Poi, però, non sanno come si può far coincidere il Dio onnipotente dell’inizio del Credo col debole Gesù se non mutilando l’umanità di Gesù,[18] e dicendo che in un lontano futuro anche Gesù apparirà di nuovo con l’onnipotenza del Padre.

Quanto al resto, che Gesù sia risuscitato il terzo giorno è chiaramente un racconto tradizionale, ma inesatto: se è morto venerdì pomeriggio e domenica presto di mattina era già risuscitato, non erano passate neanche 48 ore. E se Maria Maddalena fosse andata al sepolcro di sabato – anziché rispettare rigorosamente il riposo ebraico del sabato - forse avrebbe già trovato la tomba vuota dopo neanche 24 ore.

Quanto al discendere dal cielo significa solo che Dio ha agito nella storia. Dio è creatore, e come tale è presente già profondamente in ogni sua creatura, mentre dire “discende dal cielo” sottintende che prima non era presente; invece Dio era già presente in tutta la creazione e anche nella storia. Come scrive Panikkar:[19] dire che Dio discende significa tradurre spazialmente ciò che non è nello spazio. Oggi sappiamo che Dio non è nello spazio, per cui non può discendere.

Infine mi sembra sia stato sufficientemente chiarito che la formula "discese dal cielo" non ha come soggetto l'uomo Gesù, bensì il Verbo o Parola o Logos di Dio. Descrive perciò un'azione divina che si svolge nella storia umana attraverso una creatura. In queste espressioni sintetiche, cioè, sono presenti due operazioni linguistiche:

- la prima è l'uso della terminologia spaziale propria della realtà materiale, quando si pensava a Dio con categorie spaziali in senso proprio (per gli ebrei il cielo era il luogo della dimora divina: 1Re 8, 30; 2Cr 6, 21). La discesa e la risalita potevano essere accettati nella cultura di duemila anni fa, quando si era sicuri che la terra fosse al centro dell’universo e che per andare da Dio bastasse salire in verticale nel cielo. Oggi dobbiamo necessariamente intendere quelle formule in senso metaforico, perché sappiamo che Dio non ha dimensioni spaziali, ma è sempre presente nella storia ovunque riesce a far fiorire l'umanità in forme nuove.

- La seconda è la comunicazione degli idiomi[20] per cui si attribuiscono all'uomo Gesù qualità proprie del Verbo divino eterno.

Il grave è ovviamente quando una metafora è interpretata ancora oggi come fosse realtà oggettiva, alla luce di quella cultura ormai estinta.

Quanto alla verginità della Madonna, rinvio a quanto scritto nell’articolo al n. 433 di questo giornale (https://sites.google.com/site/numeriprecedenti/numeri-dal-26-al-68/199997---dicembre-2017/numero-433---31-dicembre-2017/la-verginita-della-madonna).

Forse più che di Maria vergine dovremmo parlare di Maria beata, non perché ha partorito Gesù, ma perché ha dato credito all’invito di Dio: quanti di noi l’avrebbero fatto? Personalmente, però, ho come l’impressione che Maria sia stata messa dalla Chiesa su un piedistallo per questa sua verginità biologica,[21] e subito dopo sia stata ridotta al silenzio. Si è infatti completamente dimenticato quanto combattiva e tosta doveva essere questa ragazza, capace di precorrere i tempi in una società maschilista senza essere mai succube passiva degli uomini: è stata cioè una femminista ante litteram, perché

- ha accettato di restare incinta senza chiedere nulla al maschio di casa, cui spettava la sua tutela legale (Lc 1, 31-38);[22] e pensate quale enorme dilemma ha dovuto affrontare da sola a 12-14 anni,[23] ben sapendo che se Giuseppe non l’avesse coperta avrebbero potuto lapidarla;

- ha deciso lei di chiamare questo figlio Gesù senza chiedere nulla al maschio di casa, l’unico che in quella cultura aveva il potere di decidere quale nome dare al figlio (Lc 1, 31; cfr. Lc 1, 60 per l’analogo comportamento di Elisabetta; e solo quando accetta questa novità il marito Zaccaria riacquista la voce) - ha deciso di mettersi in viaggio ed andare a condividere la gioia della maternità con Elisabetta, senza chiedere permesso al maschio di casa (Lc 1, 39);

- entrata in casa di Zaccaria va direttamente a parlare con Elisabetta, senza seguire l’etichetta che imponeva di salutare per primo il padrone di casa (Lc 1, 40). Insomma, ha tenuto un comportamento inimmaginabile in quella società maschilista e patriarcale.

Invece ci hanno presentato una donna matura, in stato di grazia originale, senza debolezze, incapace di errare. Ma che meriti avrebbe allora avuto? Come potremmo ritenerla virtuosa? Riportiamo questa tostissima ragazzina su un piano più umano e più vicino alla realtà, riconoscendo comunque che questa giovane madre, di umili origini, ha saputo educare suo figlio ‘divinamente’, trasmettendogli valori di bontà, di forza d’animo, e di sensibilità non comuni. Senza queste basi (perché ricordiamo che Gesù è via via cresciuto in sapienza e grazia – Lc 2, 52) Gesù non sarebbe diventato l’uomo che è diventato.


NOTE

[1] Castillo J.M, L’umanità di Gesù, ed la meridiana, Molfetta, 2018, 140.

[2] Ma chi è il Creatore? Il Padre Onnipotente come si dice all’inizio del Credo, oppure è il Figlio attraverso il quale tutte le cose sono state create? Una risposta l’ho data nell’articolo

[3] Bulgakov S.N., L'agnello di Dio, ed. Città Nuova, Roma,1990, 275ss.

[4] Wolfhart Pannenberg spiega questo in più parti della sua Cristologia: lineamenti fondamentali, Morcelliana, Brescia, 1964.

[5] Castillo J.M., L’umanità di Gesù, ed la meridiana, Molfetta, 2018, 13.

[6] Castillo J.M., Dio e la nostra felicità, ed. Cittadella, Assisi, 2008, 78.

[7] Sul punto vedi quanto scritto a proposito della trascendenza e dell’immanenza nell’articolo Chi è Gesù di Nazaret – VI, al n.578 di questo giornale.

[8] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 143.

[9] Vedi amplius il libro Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019.

[10] Josef Blank citato da Zumstein J., Il Vangelo secondo Giovanni, Claudiana, Torino 2017, vol.I.

[11] Ibidem.

[12] Castillo J.M., Castillo J.M., El Evangelio maginado, Desclée De Brouwer, Bilbao (E), 2019, 111.

[13] Idem, 92.

[14] Articolo pubblicato il 15.12.2021 nel Blog dell’Autore in Religión Digital (www.religiondigital.com). Testo in spagnolo.

[15] Castillo J.M., La laicità del Vangelo, La Meridiana, Molfetta (BA), 2016, 36.

[16] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 272.

[17] Castillo J.M., L’umanizzazione di Dio, EDB, Bologna, 2019, 157s.: se si spoglia un essere umano degli alimenti, del vestiario, della salute, di altre persone che lo accompagnano, della dignità che appartiene all’uomo libero, dei diritti goduti da chi ha una nazionalità, se a una persona si toglie tutto questo, cosa resta? Solo una cosa: la sua condizione di essere umano. Questo e nulla più di questo. Sì che arriviamo a una conclusione decisiva: mediante la sua incarnazione in Gesù, Dio si è identificato e si è fuso con quello che è più essenzialmente umano, con quello che è elementarmente più umano, con quello che è di per sé stesso comune a tutti gli esseri umani senza possibilità di differenza. Detto in altre parole, Dio si è incarnato e si è identificato con quello che è comune a tutti gli esseri umani senza distinzione alcuna.

[18] Idem, 175.

[19] Panikkar R., Trinità ed esperienza religiosa dell'uomo, ed. Cittadella, Assisi, 1989, 104: La discesa di Dio non può perciò essere reale”.

[20] Per la comunicazione degli idiomi rinvio a quanto detto nell’articolo Chi è Gesù di Nazaret – VII, al n. 579 di questo giornale (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20203/numero-579---18-ottobre-2020/chi-era-gesu-di-nazaret---vii).

[21] Alla luce delle odierne conoscenze, una tale verginità può averla una donna a cui è stata praticata un’inseminazione artificiale e poi le si è praticato un cesareo. Invece non dobbiamo trattare il Vangelo come fosse un libro di ginecologia o di biologia. L’evangelista non intende trasmettere dei fatti, ma delle verità. E la verità è che, in Gesù, la tradizione di Israele non influisce perché non sarà Giuseppe a trasmettergli le linee guida da seguire nella vita, ma il Padre dei cieli.

[22] Cosa che avrebbe potuto fare solo se fosse stata già sposata con Giuseppe, ma il vangelo non dice che i due avevano concluso le nozze.

Allora in Israele, la prima fase del matrimonio (sposalizio), si concludeva con un accordo fra i capi clan perché il matrimonio non era un affare privato ma del clan (Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 230): con l’accordo sull’ammontare della dote quella determinata donna era formalmente riservata come moglie in favore dello sposo, ma continuava a vivere nella propria casa, senza rapporti matrimoniali; a quel punto lo sposo aveva però un suo diritto sulla donna e la donna aveva l’obbligo di fedeltà (Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 23s. nota 37), pena la lapidazione riservata alle promesse spose adultere (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1092). La seconda fase (nozze) comportava l’uscita della donna dalla casa paterna dando adempimento agli impegni presi con lo sposalizio (Tosato A., Il matrimonio israelitico, ed. Biblical institute press, Roma, 1982, 86, 109; Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1092). Il corteo della sposa andava a casa dello sposo, e a quel punto i festeggiamenti duravano da 7 a 14 giorni (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1094; Montagnini F., Il matrimonio nella legge rivelata, in Enciclopedia del matrimonio, ed. Queriniana, Brescia, 1960, 134; Dellagiacoma V., Il matrimonio presso gli ebrei, “Rivista Biblica” 1959, 236). Poiché Maria afferma di non conoscere uomo (Lc 1, 34), cioè di non avere avuto rapporti matrimoniali, significa che le nozze non si sono ancora celebrate. La prima fase avveniva fra i 12 e i 13 anni, la seconda un anno dopo (Da Spinetoli O., Il Vangelo di Natale, ed. Borla, Roma, 1996, 92 nota 56).

Va anche aggiunto che Giuseppe e Maria erano sicuramente ebrei, e quindi lo era anche Gesù: Paolo scrive in Gal 4, 4 che Gesù è nato sotto la Legge, il che significa che i suoi erano osservanti della Torah. Quindi, i cristiani che hanno approvato le leggi razziali di Hitler e Mussolini sono una contraddizione in termini.

[23] Allora le donne raggiungevano la maggiore età a 12 anni (Chizzoniti A.G. e Tallacchini M., Cibo e religione: diritto e diritti, ed. Libellula, Tricase (LE), 2010, 88 nota 5; Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1090): quindi potevano essere sposate a 12 anni e celebrare le nozze a 13. Oggi si parlerebbe di pedofilia. I maschi si sposavano a 18 anni, ma potevano farlo dai 13 in poi (Sole F., Il matrimonio presso gli israeliti, “Palestra del clero”, 1964, 1090).

Numero 644 - 16 gennaio 2022