Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Ultim’ora – Tragedia in Etiopia per uno scisma ecclesiastico 


di Stefano Sodaro


Proprio mentre esce il numero 700 di questo nostro settimanale, giungono notizie allucinanti dal Corno d’Africa, che riguardano l’attualità della Chiesa Ortodossa d’Etiopia. L’ordinazione di 25 vescovi di etnia Oromo senza autorizzazione del Santo Sinodo provoca la scomunica patriarcale dei tre vescovi ordinanti e la reazione, sino all’omicidio, di fedeli aderenti alla comunità che intende rivendicare autonomia ecclesiastica e separazione istituzionale. Si veda https://www.focusonafrica.info/etiopia-lo-scisma-nella-chiesa-ortodossa-infiamma-loromia/ e https://www.news360.es/italia/2023/02/10/uno-scisma-allinterno-della-chiesa-ortodossa-apre-un-nuovo-fronte-di-tensione-in-etiopia/.

L’11 settembre del 1929, 94 anni fa, venivano firmati a Roma i Patti Lateranensi, comprensivi di Trattato e Concordato. Nasceva così il simbolico, ma effettivo, Stato della Città del Vaticano. Si consentiva al Vescovo di Roma di mantenere una indipendenza reale – proprio nel senso latino di “res”, qualcosa cioè di materiale, visibile, verificabile sensorialmente – rispetto ai poteri governativi nazionali.

È fuor di dubbio che i Patti Lateranensi appaiano oggi marcati dal consolidarsi del regime fascista degli Anni Venti, ma è anche vero che quegli accordi posero fine, piuttosto laicamente, al gigante deforme degli Stati della Chiesa del Centro Italia ed alla sua traballante architettura giuridica.

L’indipendenza delle autorità religiose rispetto alle autorità politiche è questione tipica del mondo cristiano, non avviene così né nell’Islam, né nell’Ebraismo, né nel Buddhismo – basti pensare alla sovranità territoriale del Dalai Lama -, né nell’Induismo e meno che mai nello Shintoismo.

Dunque c’è qualcosa di gravemente irrisolto – che permane nonostante il passare dei secoli - nel rapporto tra Vangelo e potere. C’è una testimonianza di Chiesa arroccata sul secondo e dimentica del primo.

Ai fedeli della Chiesa Patriarcale Etiopica diciamo “ufficiale” viene imposto di vestirsi di nero, in segno di lutto per le vittime di queste ore, diventando però così facile bersaglio dei separatisti ecclesiastici. Del resto, se la popolazione rifiuta gli abiti neri, è l’autorità ecclesiastica legittima e reagire verso i, e le, disobbedienti. Figuriamoci quale serenità possa mai esserci nei rapporti comunitari dei discepoli di Gesù di Nazaret proclamato come il Cristo. Figuriamoci quale gioia nel credere nella Buona Notizia!

L’11 febbraio 1929, come che sia, concesse pace religiosa in Italia. A costo di un affievolimento della profezia da parte della Comunità Ecclesiale? Può essere, ma il tono basso della parresìa episcopale italiana sembra ormai idecisamente più questione interna alla stessa Chiesa italiana – in affanno, ad esempio, nel confronto teologico con gli altri episcopati europei o nell’allestimento di reazioni efficaci verso lo spaventoso fenomeno degli abusi – che questione di rapporti politici con la Repubblica Italiana.

Proviamo a fermarci a riflettere un attimo. In Etiopia si stanno contando i morti per una questione di disciplina ecclesiastica. È mai possibile? Solo pochi giorni fa il Primo Ministro d’Etiopia ha incontrato il nostro – la nostra – Presidente del Consiglio. S’è parlato di una simile tragedia?

“Il giornale di Rodafà” vorrebbe parlarne. Ed inseriamo subito un profilo di stretto diritto canonico ma che non ha alcuna valenza erudita, o almeno non vorrebbe averla: non c’è solo la tradizione cosiddetta “copta” tra le Comunità Cristiane di Etiopia ed Eritrea. Esiste anche la Sede Arcivescovile di Axum, che appartiene al Patriarcato Greco-Ortodosso di Alessandria d’Egitto. Sede bizantina, dunque, non copta. Si veda https://www.patriarchateofalexandria.com/archdioceses/holy-archdiocese-of-aksum/?lang=en. E perciò, accanto al nome di Abune Mathias, Patriarca Ortodosso d’Etiopia (in Eritrea, invece, la sede patriarcale è vacante dopo la morte di Abune Qerlos il 2 dicembre scorso), si possono accostare i nomi, a noi probabilmente più noti, di Bartolomeo, Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, e di Teodoro II (da non confondersi con Tawadros II, il “Papa copto”), Patriarca Greco-Ortodosso di Alessandria d’Egitto, appunto, nonché di “Libia, Pentapoli, Etiopia, tutta la terra d’Egitto, e tutta l'Africa, Padre dei Padri, Pastore dei Pastori, Prelato dei Prelati, tredicesimo degli Apostoli, e Giudice dell’Ecumene”, come riportano solennemente i distici dei canoni antichi.

Tutto molto complicato, difficile da comprendere e lontano da noi? Neanche tanto, se solo pensiamo a cosa potrebbe succedere se le contrapposizioni ecclesiastiche, anche nei nostri contesti così soporiferi, si accendessero improvvisamente d’odio e di pretese avanzate con le armi, uccidendo lo stesso Vangelo per ragioni di potere.

Parlarne si deve.