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Quale modello di prete per Trieste?


di 

Stefano Sodaro

 

Si è alquanto diffusa l’idea che, dopo una presunta debacle vocazionale dell’episcopato di mons. Eugenio Ravignani, mancato il 7 maggio 2020 dopo aver rinunciato al ministero di Vescovo diocesano nel 2009, Trieste stia rivivendo, da almeno dieci anni, una fioritura di ingressi nel clero – nel grado di diaconi ma anche (verrebbe da dire “soprattutto”) in quello di presbiteri – mai vista nel recente passato. Cfr. https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2014/06/30/news/sacerdoti-boom-di-vocazioni-quindici-triestini-in-seminario-1.9510518

E proprio questa domenica, 5 marzo 2023, compare, affisso alle porte delle chiese triestine, l’annuncio di altre due prossime ordinazioni presbiterali da parte dell’attuale Amministratore Apostolico, l’Arcivescovo mons. Giampaolo Crepaldi, ormai Vescovo emerito, in programma per il 26 marzo, vale a dire per la domenica esattamente successiva all’ordinazione episcopale a Cremona del nuovo Vescovo eletto, Enrico Trevisi, che avverrà il sabato 25. Davvero singolare.

Cerchiamo di ricostruire un quadro coerente.

In occasione dell’ordinazione diaconale dei due futuri presbiteri lo scorso 17 settembre (https://www.youtube.com/watch?v=OMnW_J2ZCo4), mons. Crepaldi adoprò, tra le altre, le seguenti parole, al n. 3 della sua Omelia: «Il diaconato non è una semplice funzione e non vi chiede di essere “operatori pastorali”, come va di moda dire al giorno d'oggi, ma vi consacra, cioè vi “separa”, affinché tutta la vostra persona sia spesa per il Vangelo. Siete “consacrati nella verità” (Gv 17,17) che stabilisce un'essenziale appartenenza a Cristo, che vi rende partecipi della sua vita e del suo destino e vi abilita ad agire nella sua persona. Questa missione è specialmente necessaria nella nostra Trieste, una città in gran parte secolarizzata, e rappresenta una vera e propria responsabilità su cui dovete impegnare il vostro servizio a Cristo e alla Chiesa. Purtroppo anche i triestini sono spesso preda di visioni della vita lontanissime dal Vangelo e in aperto contrasto con esso. A loro portate Cristo e il suo Vangelo di salvezza.» (Cfr.  https://www.diocesi.trieste.it/wp-content/uploads/2022/10/CR-DIACONI-settembre-2022.pdf).

Il novanta per cento delle ordinazioni di preti triestini durante l’episcopato di mons. Crepaldi riguarda candidati provenienti dal Cammino Neocatecumenale, che infatti ha nella Diocesi il proprio apposito Seminario “Redemptoris Mater”, separato dal Seminario Interdiocesano di Gorizia-Trieste-Udine, che non è neocatecumenale.

Le parole dell’Ordinante sopra riportate sono del tutto sovrapponibili alla visione teologica di questo novanta per cento. C’è qualcuno che, da fuori, dall’alto, ha ricevuto l’ordine imperativo di portare le parole di salvezza ai triestini traviati, secondo quell’attitudine deduttiva – e per nulla induttiva – su ci siamo permessi di fare qualche altra considerazione nell’editoriale odierno.

Ma c’è un aspetto che non può sfuggire. E cioè: perché non si è atteso che procedesse alle future ordinazioni il nuovo Vescovo? Enrico Trevisi entrerà nella Cattedrale di San Giusto, per prendere possesso della Diocesi, domenica 23 aprile, neanche un mese dopo la data fissata per le ordinazioni dei due nuovi preti. Non si poteva aspettare per 29 giorni? Quest’assoluta urgenza – essendo l’ordinazione un fatto pubblico, la domanda è del tutto lecita – da che cos’è determinata?

Perché esiste pur sempre anche una norma canonica, il § 1 del can. 428 del Codice di Diritto Canonico, che ordina testualmente: Mentre la sede è vacante non si proceda a innovazioni. L’incremento del presbiterio diocesano è un’innovazione? Sembra difficile poterlo negare, soprattutto se il nuovo Vescovo è già stato nominato e dunque non vi è alcuna incertezza temporale sulla successione.

Sembra, quasi, cioè che debbano ad ogni costo brillare gli ultimi bagliori di una formazione seminaristica parallela alla storia postconciliare della Chiesa di Trieste, con provenienze presbiterali del tutto estranee rispetto al contesto concreto della Diocesi e della sua memoria capace – in quanto tale – di farsi realtà viva e attuale.

Anche il Vescovo Trevisi, certo, proviene da altrove, da Cremona e ha confessato senza falsi pudori e con estrema sincerità di non essere mai stato prima a Trieste. Ma in questo caso è vera e propria vocazione ad un ministero di guida né ricercato né inseguito in giro per l’Italia. Ci si chiede, per esempio, come siano stati possibili alcuni inserimenti presbiterali nella diocesi di Trieste – pur magari (non lo sappiamo) senza incardinazione - di preti che non facevano parte del suo clero: cfr. https://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2018/03/06/news/trieste-delitto-rocco-le-telefonate-di-don-piccoli-1.16559768.

Fatichiamo, peraltro, a comprendere cosa ci sia di improprio nel pensare al ministero ordinato come ad una “funzione” a servizio della Comunità e quale accezione negativa abbia mai il termine di “operatore pastorale”. Che sia necessario il discernimento ecclesiale per l’ordinazione, e non sia sufficiente il desiderio soggettivamente avvertito, è ormai teologicamente fuori di discussione. Almeno si spera.

I percorsi di Chiesa sono molteplici. La fede è una, le teologie sono molte.

Una Chiesa a servizio della città fu un documento imprescindibile ed indimenticabile per Trieste tutta, voluto dal Vescovo Lorenzo Bellomi, predecessore di mons. Ravignani.

Finora a Trieste si è respirata una sola teologia veicolata dalla maggioranza dei nuovi preti, ben definita ed inquadrata. Di chiara impronta. Ora il desiderio è forte perché l’ascolto - di nuovo: induttivo, dal basso, per così dire - del Popolo di Dio apra la speranza (anche) in altre direzioni, sapendo che Trieste è terra benedetta, come ogni parte del Mondo più che del cielo.