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L’anima di Gesù (2)


di Dario Culot

Cristo morto, di colore, vegliato da una pia donna - Chiesa di Sant’Onofrio dei Vecchi, Napoli – foto tratta da commons.wikimedia.org

Restando alla dottrina cattolica odierna, per credere all’esistenza dell’anima non mi sembrano risolutivi i passi biblici o evangelici, anche se più volte viene usata nella versione italiana la parola ‘anima’.

Si è detto la settimana scorsa che nella Bibbia originale c’è unitarietà, mancando completamente il dualismo platonico: non c’è cioè contrapposizione anima-corpo. Forse sarebbe meglio tradurre allora la parola psichè usata nel vangelo non con ‘anima’, ma con ‘vita’, e non a caso anche il n. 363 del Catechismo chiarisce che spesso il termine anima indica la vita umana oppure tutta la persona umana.

Nella traduzione italiana odierna della Bibbia ci sono dei passi in cui si parla dell'anima di Dio: «Le vostre nuove lune e i sabati odia l’anima mia» - Is. 1, 13;[1] «Israele il mio eletto, che ha bene accetto l'anima mia» - Is. 42, 1. Ovviamente sarebbe assurdo attribuire a Dio un'anima, che fra l’altro “è creata direttamente da Dio” (n.366 Catechismo) per l’uomo (n.364 Catechismo) e non per sé stesso. Basterebbe questo per farci capire come, nella Bibbia, l’inserimento della parola tradotta con ‘anima’ sia sbagliato.

Anche nella versione italiana dei vangeli si trova la parola anima: ad es., in Gv 10, 15.17 viene detto che Cristo depone e riprende la sua anima. In Mt 10,28 si trova: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere, l’anima; temete piuttosto colui che può distruggere l’anima e il corpo nella Geenna”[2]. E in Mc 8, 36 Gesù ci dice: «A che serve guadagnare il mondo intero se poi perdi la tua anima?»[3]. Però, però…La parola tradotta di nuovo in italiano con "anima," in greco è, come detto, psiché (ψυχή). Si è anche detto che psiché è il segno del vivere, forza vitale, vita; qui allora Gesù avverte che è in gioco la stessa vita, la piena comunione con Dio[4]. Anima è perciò una traduzione forzata che sa di ellenismo, ricordando appunto che è stata la filosofia greca a distinguere nell’uomo corpo e anima[5]. In effetti, quando Gesù dice agli ascoltatori di temere chi ha il potere di far perire l’anima (Mt 10, 28) dice un’assurdità per la cultura greca, perché solo il corpo perisce mentre l’anima è immortale e incorruttibile. Con questo dualismo che identifica la morte con la liberazione dell’anima dal corpo si riconosce che solo l’anima continua a vivere, che solo le anime degli esseri umani dureranno per sempre,[6] ma a quel punto l’anima immortale in contemplazione di Dio non ha più bisogno di un corpo, visto che Dio è puro spirito e anche l’essere umano continua a vivere come spirito. Inoltre, se con la morte si esce dalle coordinate spazio-tempo, non ci può essere risurrezione dei corpi (come invece sostiene il n. 999 Catechismo) perché la materia esige e necessita di un luogo in cui stare (e per lo stesso motivo i corpi non possono essere purificati in purgatorio, né possono soffrire la pena eterna all’inferno identificati come ‘luoghi’.

Ma stranamente la Chiesa, dopo aver accettato questa teoria della dualità anima-corpo, finisce col sostenere che ci sarà un giudizio immediato dell’anima sopravvissuta alla morte del corpo, ma alla fine dei tempi anche la risurrezione dei corpi. Ad esempio, il Simbolo degli apostoli parla proprio di risurrezione della carne. Non è contraddittorio? In effetti ci domandiamo: se con la morte l’anima finalmente si è liberata dal corpo che le creava tanti problemi, perché dovrebbe risuscitare anche il corpo se non per imprigionarla una seconda volta? E per fare poi un esempio pratico: se io sono vissuto grazie al trapianto di cuore di un altro, dovrò forse alla fine lottare col mio donatore per conservare nel mio corpo risuscitato il suo cuore? Oppure sarà lui a restare senza cuore? O sarà l’inverso, e io – senza cuore nuovo - non potrò risuscitare?[7] E poi con quale corpo si risuscita? Con quello agile e scattante di un ventenne, oppure con quello di un settantenne con la pancia e l’artrosi? E se la parte spirituale immortale (anima) creata da Dio e non dai genitori si separa da quella mortale (corpo), se i genitori sembrano aver procreato solo il corpo che poi diventa vivente solo in quanto c’è l’anima (n.365 Catechismo) mentre al momento della morte biologica i vari organi si decompongono, se l’Io umano (l’anima) entra da subito in una nuova condizione qualitativa della vita, a che serve – di nuovo - la risurrezione dei corpi che avverrà invece solo alla fine dei tempi? Che senso ha parlare di unità iniziale, di separazione al momento della morte e di una nuova riunione al momento del giudizio finale? Il giudizio dell’anima è immediato, per cui non serve neanche più aspettare il giudizio finale: già si sa come andrà a finire. Ecco perché anche sulla risurrezione dei corpi o della carne (come recita il Simbolo degli apostoli, ma non il Credo niceno che si recita per quasi tutto l’anno liturgico) ho più di qualche dubbio. Mi sembra più ragionevole dire che la vita continuerà sotto altra forma, che al momento non conosciamo.

Sta di fatto che ci è stato insegnato che l’anima, creata da Dio per l’eternità, è come una scintilla di origine divina superiore alla vile materia del corpo; essa si libera con la morte, però già in vita può elevarsi trascinando il corpo verso lo spirito[8]. Il dualismo considera la materia una realtà fisica, statica, inerte, passiva, di livello inferiore allo spirito, per cui si dà per scontato che, se c’è un'attività superiore (come il pensiero), questa deve eccedere la materia. Ecco perché l’anima è creata e poi infusa da Dio. Ma questa idea è oggi incrinata dalla più moderna conoscenza che abbiamo della materia, perché ormai si pensa alla materia come a un condensato di energia. Evolvendosi, man mano che la natura riesce a rendere più complesse le strutture materiali, la vita assume nuove modalità di espressione: pensiero, riflessione, sensibilità. Non è più necessario allora parlare di anima e corpo, ma di strutture complesse che consentono il fiorire di forme nuove di vita[9]. Forse si deve abbandonare la vecchia idea della staticità della materia, poiché questa è già dinamismo, movimento, forza, potenza, pura possibilità aperta a nuove inimmaginabili forme,[10] posto che l’evoluzione continua: l’uomo di centomila anni fa – pur costituito dagli stessi elementi materiali dell’uomo odierno - non è uguale all’uomo di oggi. Inoltre, a ben pensarci, quando due entità sono di natura ontologica radicalmente diversa, come fanno a rapportarsi? Quando si dice che l’anima spirituale (immortale e intangibile) è prigioniera del corpo (materiale e sensibile), come lo si spiega? Come fa qualcosa di materiale a imprigionare qualcosa di spirituale? Io posso mettere le catene alle braccia o alle gambe, ma non alle idee. Non è comunemente accettato che, anche se uno è chiuso in prigione, il suo spirito può uscire tranquillamente dalla cella?

Comunque la Chiesa è rimasta sostanzialmente fedele nei secoli al dualismo greco e, contrapponendo la vita terrena a un’altra vita dopo quella terrena, ha puntato tutto sull’anima, tanto da disprezzare il corpo[11]. Sennonché già la semplice lettura della Bibbia avrebbe dovuto insinuare il tarlo del dubbio, quando ci ricorda che veniamo dalla terra, e che nostro compito è curarla. Se perdiamo il corpo perdiamo anche questa responsabilità che ci lega alla terra. Col solo pensiero non faccio nascere il grano: mi serve una zappa. E sfido un angelo, che essendo puro spirito non ha mani, a suonare il pianoforte o la chitarra. Perché allora lo spirito deve valere 100 e il corpo 0?

Se poi ci viene detto che per il credente la base è l’incarnazione di Dio, deve ammettersi che questo avvicinamento di Dio all’uomo ha abolito la distanza che fino a Cristo separava la sfera sacra da quella profana: Dio stesso ha voluto passare dal puro spirito alla carne. Cioè da 100 a 0? Non credo proprio. Ma allora, il sacro, cioè il separato, viene avvicinato alla materia e quindi desacralizzato perché solo così Dio può avvicinarsi all’umano, mentre l’essere umano non potrà avvicinarsi a Dio se non passando attraverso la materia. Se non si ama (o almeno rispetta) ogni uomo che s’incontra su questa terra non si ama e non si rispetta neanche Dio. In effetti, Gesù ha finito per sacralizzare l’uomo fatto di carne, sì che tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio, e non si avvicinano a lui solo le belle anime che trascurano il corpo.

Se poi pensiamo all’anima di Gesù ci sono molte altre domande che aspettano adeguata risposta: che se ne fa il Gesù risorto, che ha riacquistato la piena divinità, dell’anima umana di Gesù-uomo, che comunque fin dall’inizio non gli serviva affatto visto che già da uomo non peccava, e non doveva neanche salvarsi perché era già Dio? Gli serviva solo per essere uomo uguale agli altri uomini sulla terra? Ma, se non peccava, già non era uomo uguale agli altri. Se la divinità di Cristo, prima rimasta parzialmente nascosta durante la sua vita terrena, torna dopo l’ascensione a riemergere prepotentemente quando Gesù cessa la sua vita terrena e si ricongiunge al Padre nella piena divinità, dove finisce a quel punto la sua anima umana, creata appositamente solo per essere abbinata al suo corpo terreno? Se l'anima continua ad esistere in eterno vive non solo Gesù-Dio, ma anche Gesù-uomo con la sua anima umana (e sembra anche col suo corpo): ma a quel punto quell'anima dovrebbe glorificare… sé stessa. In effetti, se il Logos ha assunto l’umanità di Cristo non per sua necessità ma per nostra necessità (per redimere l’uomo), una volta terminata la sua missione in terra che motivo c’era affinché questa umanità fosse riunita al Logos?

Pertanto, finché si segue l’insegnamento tradizionale, non trovo una risposta coerente e logica. Chiaramente se consideriamo Gesù solo un uomo tutti questi problemi irrisolti spariscono, soprattutto se passiamo dall’interpretazione statica dell’iniziale perfezione al riconoscimento darwiniano dell’evoluzione dinamica[12]. In una prospettiva statica c’è un’irruzione indebita del male, successiva al momento della creazione in sé perfetta,[13] che ha costretto Dio a mandare suo Figlio per riscattarci e salvarci. Nella prospettiva evolutiva il male fa parte dell’imperfezione iniziale della creazione e della nostra storia umana. C’è l’imperfezione perché la creatura limitata non può cogliere l’azione creativa tutta intera in un solo istante: solo così la creatura sarebbe perfetta. La perfezione divina può venire accolta solo a piccoli frammenti, e questo è per l’appunto tipico dell’evoluzione. Nell’interpretazione statica la materia è passiva, inerte, per cui occorre un quid, una forma esterna ed estranea alla materia, che la muova: appunto l’anima; e noi siamo cresciuti con questa idea di dualismo corpo-anima. Però sotto la spinta della cultura evoluzionista che si fa sempre più strada, anche le idee stanno cambiando: l’uomo nella sua unitarietà può diventare sempre più spirituale, e chi accoglie e fa fiorire la forza della vita in modo nuovo passa a un nuovo livello superiore. Questa novità emerge dall’interno della stessa struttura umana (così come inizialmente creata), e non serve alcuna aggiunta soprannaturale dall’esterno; aggiungere allora alla materia inanimata l’anima spirituale e immortale, creata singolarmente da Dio per ogni uomo, non serve più. Siamo noi umani che dobbiamo impegnarci responsabilmente per progredire, senza dover pensare che Dio faccia qualcosa in noi, o senza dover aspettare fiduciosi un suo intervento soprannaturale. Se la spiritualità fiorisce dal di dentro della creatura e col passare del tempo ci fa maturare e progredire, non c’è bisogno di qualcosa che si aggiunga per dono soprannaturale dall’esterno, capace di colmare quello che di naturale e perfetto era andato perduto con Adamo ed Eva. E proprio seguendo quest’ottica evoluzionista (anche se non lo dice espressamente), la Gaudium et spes ha accuratamente evitato di usare il termine sovrannaturale, per smarcarsi da questa tradizionale visione dualistica ma statica (anima e corpo).

Dunque, anche noi occidentali cristiani possiamo cominciare a ragionare non più solo in termini dualistici, ma di una dimensione unitaria[14]. Però, dopo sessant’anni dal concilio, è indubitabile che la maggior parte dei cristiani continua a pensare secondo il vecchio modello anima-corpo, dove il corpo corruttibile appesantisce l’anima (Sap 13, 15).

La Gaudium et spes, non distinguendo più fra naturale e soprannaturale (che prima era un elemento qualificante del cristianesimo) avrebbe dovuto porre fine alla lunga svalutazione del corpo (materiale) rispetto all’anima. Ci avevano insegnato che il corpo era naturale, l’anima soprannaturale, per cui fino ai nostri giorni si è parlato della salvezza dell’anima. Ma Gesù è venuto a salvare uomini e donne, non anime. Forse il concilio è corso troppo avanti rispetto alla teologia, che notoriamente ha il passo molto ma molto più lento; indubbiamente però ha compiuto un gesto di grande coraggio perché ha capito che doveva cominciare a muoversi, e si è mosso senza sapere dove l’avrebbe condotto lo Spirito.

Forse fra cento anni nessuno parlerà più di anima e corpo[15]. Il termine «anima», forse, verrà abbandonato per le ambiguità che porta con sé dal dualismo greco di tipo platonizzante. Lo si potrà sostituire col termine spirito o energia, per indicare la qualità nuova a cui la persona perviene attraverso l’esperienza terrena, per giungere alla forma definitiva. Allora non c’è neanche materia e spirito. La materia è la componente da cui l’essere umano parte. Ma tutta l’energia, quando veniamo al mondo, c’è già in quella materia, come nell’embrione c’è già tutto l’uomo, nel senso che il suo sviluppo pieno è fin da principio organizzato ma richiede tempo per essere completamente attuato con tutte le sue funzioni proprie. Pian piano, pian piano l’uomo acquista capacità diverse e raggiunge una forma che noi non possiamo neanche immaginare.

Però, anche questi sono evidentemente sempre e solo dei modelli[16] su cui ragionare. Forse è sbagliato anche a ragionare così, e forse no.

 

 


NOTE

[1] Ma nella versione inglese è “Non posso sopportare” The Holy Bible, Ignatius Press, San Francisco, 2006, 58: “I cannot endure”). Anche nella versione spagnola si trova “Non lo posso sopportare” (Santa Biblia, Versione Reína, Gruppo Nelson, Mexico Df e al., 2012, 651: “no lo puedo sufrir”).

[2] Qui, anche nella versione inglese (p. 9) e spagnola (p.885) sopravviste si usa invece la parola ‘anima’.

[3] Qui la sopravvista Bibbia spagnola usa il termine anima (p.922). Invece quella inglesa usa il termine vita (p.38).

[4] Ravasi G., Psiche: anima, persona, vita, “Famiglia cristiana” n.24/2022, 98: in realtà l’evangelista usa la parola psiché che significa vita. Il 17 maggio 1979 la Congregazione per la dottrina della fede, sotto papa Giovanni Paolo II,  aveva emesso la Lettera su alcune questioni concernenti l’escatologia (www.vatican.va/Curia Romana/ cercare poi il percorso: Dicastero per la dottrina della fede/ Documenti/ Documenti:lista completa), in cui al punto 3) in cui si riconosceva che il termine «anima» assume nelle Scritture e della Tradizione diversi significati. 

[5] È d’accordo Schillaci Giuseppe, Cosa succede a corpo e anima subito dopo la morte?, “Famiglia cristiana” n.10/2023, 10, nel sostenere l’anima, nell’unica persona, è intrinsecamente unita al corpo, che non è la sua prigione, per cui non si deve seguire la filosofia greca.

[6] Ci è stato comunque insegnato che l'Io dell’uomo dimora nell'anima, i sensi dimorano nel corpo; per questo – si è aggiunto - gli animali non hanno anima, e quindi non possono risorgere. Ma se è per questo, in passato, si riteneva anche che gli animali non potessero neanche soffrire, per cui li si maltrattava senza problemi. Fino a pochi anni fa solo l’uomo era considerato soggetto di diritti; gli animali erano meri oggetti dei diritti degli uomini, e non avevano diritti. Anche in questo campo oggi stanno emergendo idee nuove.

[7] È proprio questo tipo di dubbi che fa sostenere a molti cristiani l’illegittimità dei trapianti.

[8] Adoperarsi in vita per separare l’anima dal corpo è purificazione (Platone, Fedone, XII, c). Ma se ci viene insegnato che il corpo è il tempio di Dio, e non imballaggio dell'anima, già lo sfruttamento del corpo è profanazione (Deifelt W., Dio nel corpo, , in "Per i molti cammini di Dio", ed. Pazzini, Villa Verucchio (RN), 2010,83 e 91). Eppure l’idea di disprezzo del corpo e di superiorità dell’anima sul corpo nel mondo occidentale viene da lontano. Basta di nuovo leggere Platone (Platone, Fedone, IX ss.; XXIX). Già questo filosofo fondamentale del pensiero occidentale sosteneva che non è possibile, in unione col corpo, venire a conoscenza di alcuna cosa nella sua purità, e allora o non è possibile in nessun caso conquistare il sapere, o solo è possibile quando si è morti (Platone, Fedone, XI e). E in questo breve tempo che siamo in vita, tanto più saremo prossimi al conoscere, quanto meno avremo rapporti col corpo (Platone, Fedone, XI a). Ecco che a lui l’anima serviva per conoscere, come si è detto sopra.

[9] Boncinelli E., La vita della mente, ed. Laterza, Roma-Bari, 2011.

[10] Arregi J., “Il cosmo come rivelazione”. La teologia di fronte alle scoperte della scienza, da www.micromega.net del 3/5/2018.

[11] Già gli antichi Padri della Chiesa avevano cominciato a sostenere che: «È necessario spogliare l’anima gnostica dal suo involucro corporeo… elevarla sopra i desideri carnali e purificarla per mezzo della luce» (Clemente Alessandrino, Stromata (cioè Miscellanea), libro V, cap.11, versione inglese in www.newadvent.org/fathers). Oppure basta pensare al successo che ebbe tutto il libro "Il disprezzo del mondo" (Papa Innocenzo III, De contemptu mundi, ed. Cantagalli, Siena, 1970, Libro III, Cap.1, 110). A giustificazione di questo papa si può dire che Innocenzo III aveva ormai alle spalle secoli di questa corrente di pensiero, sostenuta anche da moltissimi teologi; per richiamare qualche nome conosciuto si pensi alla Meditatio de humana conditione attribuita a san Bernardo; e dopo di lui si pensi ancora a tanto grandi della Chiesa come a santa Teresa d’Avila e san Giovanni della Croce, e avanti ancora fino a sant'Alfonso de Liguori ed Ignazio di Loyola. Il ritornello è sempre lo stesso: "il mondo è tutto vanità, fugacità e desolato pianto... dopo l'uomo, il verme; dopo il verme, il lezzo e l'orrore". A partire dai conventi e dai monasteri l’insegnamento del contemptus mundi si era progressivamente ampliato in tutta Europa, e già a partire dal IV secolo, la teoria che predicava il disprezzo del mondo presso i maestri di spirito del cristianesimo era ormai formata (Delumeau J., Il peccato e la paura, ed. Il Mulino, Bologna, 1987, 19, 24s.- 32ss.- 78ss.- 82ss. 639ss; testo ricchissimo di nomi e citazioni). Questa ripugnanza nei confronti della materia ha ovviamente indotto pure al disprezzo del sesso.

[12] Non si deve pensare all’evoluzione come una freccia, ma come una ruota. La ruota gira su sé stessa ma al tempo stesso avanza (Millás Juan José y Arsuaga Juan Luis, La vida contada por un sapiens a un neandertal, Penguin Random House, Barcelona (E), 2021, 136).

In ogni caso è stata recentemente dimostrato da uno studio su Nature come la selezione naturale agisce anche sulla specie umana e rapidamente: è stato appurato che nei soggetti sopravvissuti alla peste del 1300 (è stato fatto l’esame del Dna sugli scheletri) nei sopravvissuti c’era una variante protettiva del gene ERAP2 che superava a Londra il 50% degli individui e in Danimarca il 70%, mentre prima della peste la variante si girava attorno al 35%. Se ne deduce che la variante è dovuta alla peste e che la selezione ha in seguito protetto meglio gli individui con questo gene (Giacca M., La peste ci spiega come le malattie infettive selezionano le persone da colpire, “Il Piccolo” 25.10.2022, 33).

[13] Dio creatore ha dato origine a tutte le cose, rendendole all’inizio perfette. Ma tanto perfette non erano se è dovuto prontamente intervenire per sistemarle mediante una redenzione rimasta però a sua volta incompiuta e non perfetta.

[14] Molari C., Il cammino spirituale del cristiano, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2020, 77-82. Ecco allora che la morte può essere vista come fallimento radicale o come compimento verso una nuova forma di vita. Questa prospettiva è diversa dalla teoria dualista dell’anima immortale rispetto al corpo. Nella prospettiva evolutiva è chiara l’importanza dello sviluppo spirituale: siamo chiamati a fare il bene per sviluppare quella dimensione vitale che ci permette di attraversare la morte verso un livello di vita superiore (Idem, 224).

[15] Pensiamo a quella branca della filosofia propugnata da Edmund Husserl (1859 – 1938), chiamata fenomenologia, che studia i fenomeni per come questi si manifestano, nella loro apparenza, alla coscienza della singola persona, indipendentemente dalla realtà fisica esterna. Per fare un es., gli stessi muscoli facciali sono usati dal punto di vista della fisica sia per il pianto che per il riso, ma il significato è abissalmente diverso e noi uomini viviamo di significati che non trovano sempre spiegazione a livello organico. Cioè chi si limita a studiare scientificamente l’organo non riuscirà mai a spiegare tutta la realtà, per cui la scienza non sa spiegare – ad es. -  la forza smisurata dal pazzo che si scatena contro un’altra persona ben più forte di lui, oppure perché per due lettori che hanno letto questo articolo il tempo ha avuto una durata diversa: oggettivamente – in base all’orologio,-  hanno speso lo stesso tempo, ma per uno che si è annoiato il tempo è stato lunghissimo, per un altro che si è interessato quello stesso tempo è stato breve.

La fenomenologia invita a sostituire il binomio ‘corpo e anima’ col binomio ‘corpo e mondo’, perché il corpo non può essere ridotto a mera somma di organi fisici. Il corpo di ogni persona pensa e agisce anche secondo il modo in cui quella persona sta al mondo, che è esclusivamente suo. In Italia il prof. Eugenio Borgna, famoso psichiatra fautore di questo indirizzo, invita a lasciar perdere la parola anima e a parlare del corpo vivente.

[16] Molari C., Celebrare il Natale - Scambio, a Condino, 2006.