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Monumento di Peteano - Sagrado, Gorizia - foto tratta dalla rete, si resta a disposizione per il riconoscimento di eventuale diritti 


Il Moderatore di Curia e la Strage di Peteano


di Stefano Sodaro


 

Il sito della Diocesi di Trieste ha diffuso, proprio quest’oggi, la notizia delle prime nomine del nuovo Vescovo mons. Enrico Trevisi. Si può leggere qui.

Oltre alla nomina del primo Vicario Generale, nella storia della Diocesi di Trieste, che appartenga al Cammino Neocatecumentale, mons. Marino Trevisini, attualmente Parroco della Chiesa Cattedrale di San Giusto ed un decennio fa proveniente – pur incardinato nel clero triestino – dalla Scandinavia, dove fu Parroco della Cattedrale di Helsinki, si apprende pure di un’altra nomina che costituisce una primizia assoluta nella storia della medesima diocesi: la designazione del primo “Moderatore di Curia” nella persona di don Umberto Piccoli, che prima dell’attuale ruolo di Parroco di San Vincenzo de’ Paoli fu indimenticato ed indimenticabile Parroco di Roiano, sempre qui a Trieste.

Chi sarebbe il “Moderatore di Curia”? Recita il § 2 del can. 473 del Codex Iuris Canonici: Ipsius Episcopi dioecesani est coordinare actionem pastoralem Vicariorum sive generalium sive episcopalium; ubi id expendiat, nominari potest Moderator curiae, qui sacerdos sit oportet, cuius est sub Episcopi auctoritate ea coordinare quae ad negotia administrativa tractanda attinent, itemque curare ut ceteri curiae addicti officium sibi commissum rite adimpleant.

Proviamo a tradurre: È compito proprio del Vescovo diocesano coordinare l’azione pastorale dei Vicari sia generali che episcopali; dove appaia conveniente, può essere nominato un Moderatore di curia, che dev’essere un sacerdote, il quale, sotto l’autorità del Vescovo, è chiamato a coordinare le attività relative alle questioni amministrative e a verificare che gli altri addetti di curia svolgano correttamente gli incarichi loro affidati.

Nel caso di Trieste il Moderatore di Curia diventa anche Vicario Episcopale per l’Amministrazione.

Uno dei gangli vitali della vita ecclesiale della diocesi di Trieste, senza dubbio alcuno.

Ma le stesse Curie Diocesane, non diversamente peraltro dalle Curie Generalizie o Provinciali degli Istituti Religiosi, sono, tutte invariabilmente, ambienti particolarissimi, ove si amministra quel potere di natura spirituale, organizzativa, logistica, perfino economica, che incide sulla vita concreta di persone e comunità.

La domanda allora potrebbe configurarsi in questi termini: esiste un – per così dire – “potere buono” che si contrapponga a quell’altro, “cattivo”, ed alla fine lo possa sconfiggere, facendo risaltare la lucentezza adamantina del Bene Assoluto?

E la risposta, forse molto deludente (chissà), è: no! Non esiste nessun potere buono, perché non esiste nessuna faccia bicefala del potere. 

Il quale è quel che è. 

E che si perverte, si corrompe, nella misura in cui non serva ad altro se non a se stesso, nel momento in cui si autoalimenti, si autogeneri, senza assolvere alcuna funzione strumentale nei confronti di altre, del tutto diverse, dimensioni del bene comune.

Del potere c’è estremo bisogno. 

Di qualcosa che in sé non è né buono né cattivo, ma cui bisogna ricorrere, e necessariamente, perché il bene sia bene ed il male male. 

Del potere abbiamo, appunto, assoluta necessità. Perché decidere bisogna, avere il coraggio delle scelte è doveroso, vitale.

Il potere redentivo del Salvatore è – in termini dottrinali cattolici – un potere vero e proprio? La risposta affermativa presupporrebbe che la densità cromatica dell’amore vi ricomprenda anche le tonalità del potere, il che non pare sostenibile. La celebratissima “onnipotenza” di Dio è, in effetti, sua paradossale e totale debolezza a fronte di una specie di autocombustione amorosa, di un consumarsi d’amore continuo da parte di Dio. L’innamorato ha molto potere? Anche no. Forse bisognerebbe meglio argomentare, dunque, la differenza tra “potere” e “potenza”. C’è il “potere delle armi” e c’è la “potenza dell’amore”.

Ma, in termini più strettamente istituzionali, discettare di una possibile purezza del potere conduce in zone assai pericolose, persino mortifere.

A soli 38 minuti da Roiano è possibile raggiungere in macchina il Monumento che ricorda l’Eccidio di Peteano, avvenuto il 31 maggio 1972. Tre giovanissimi Carabinieri - Antonio Ferraro, Donato Poveromo e Franco Dongiovanni – furono trucidati in un attentato causato da una bomba, ad opera di terroristi di estrema destra, che ritenevano di dover guerreggiare contro lo Stato per conto di un’asserita, e non meglio definita, “Nazione”, che in qualche modo si riconduceva persino ai deliri nazionalsocialisti dell’hitlerismo, per non parlare dei presunti “valori fascisti” della Repubblica di Salò. “Soldati politici” contro “soldati statali”. La Nazione contro lo Stato.

È una vicenda, quella della Strage di Peteano, su cui non ci si sofferma a riflettere volentieri, pur costituendo asse centrale della storia del Novecento in queste nostre terre.

L’estrema destra, paladina dell’Ordine Assoluto, vindice dei valori non negoziabili di “Dio, Patria e Famiglia”, uccideva i militari dell’Arma dei Carabinieri, non i pacifisti delle bandiere arcobaleno. Il furore criminale del potere impazzito, e clandestino, si ergeva conto l’amministrazione statale del potere, essa sì di necessità “ordinata” e con un’indiscutibile attitudine alla trasparenza – a partire dalla Costituzione -, per quanto poi invece talora tradita.

Ogni qualvolta ragioniamo sul potere e sul suo esercizio sarebbe, dunque, il caso che pensassimo a Peteano ed a quei martiri della nostra convivenza civile, associata, giuridicamente organizzata.

Che “l’attacco al cuore dello Stato” – come si sentiva dire in quegli anni, tristemente famosi e tristemente rimossi – provenisse dall’estrema sinistra non creava, ahinoi, troppo scandalo. Ma che venisse da destra…… tutt’ora fa sobbalzare.

Che c’entra tutto questo con la nuova organizzazione della Curia di Trieste? Di per sé nulla di nulla, figuriamoci. Nemmeno merita precisarlo. Così come nulla c’entra con qualunque altra declinazione legittima del potere, pure se niente affatto religioso.

Ma nei confronti della capacità seduttiva e divoratrice del potere bisogna essere ben avvertiti, a qualunque livello dell’operare sociale ci si ponga. Ed anche, persino, a livello personale. L’innamorato è spesso “im-potente”, ma il destinatario, o la destinataria, di tale amore non corrisposto è invece spesso ultrapotente – benché magari del tutto inconsapevole - e la reazione verso tale potere spesso avviene in forma mostruosa, imprevedibile, persino omicida. La cronaca è purtroppo stracolma di simili episodi.

Il nostro settimanale crede che un laico pellegrinaggio a Peteano, dunque, si imporrebbe. Farebbe bene. Farebbe anche psichicamente bene. Ad ognuno ed ognuna di noi.

Farebbe bene per tenere desta, alta, ben consapevole e vigile, l’attenzione su questa contraddizione ineliminabile del nostro vivere: la necessità di abitare il potere, senza eccessi di timore o di prudenza, e la necessità – correlata – di sapersi ben immunizzare nei suoi confronti.

C’è bisogno che chi amministra potere si decentri del tutto rispetto alla propria soggettività, così com’è chiamato a fare il giudice quotidianamente. Ma in termini strettamente esistenziali constatiamo che non è possibile decentrarsi a tal punto senza qualcuno che ci insegni a farlo. Troppo a lungo la psicoanalisi è stata ostracizzata da seminari e curie.

Importa il volto dell’Altro, non il mio, ed è a servizio di quel volto che posso e debbo esercitare il potere. Avvenga in una Curia Vescovile, in un’Aula di Giustizia o Parlamentare, in una Istituzione Accademica, in un Ministero o in un Ospedale.

«Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà.

Infatti quale vantaggio avrà un uomo se guadagnerà il mondo intero, ma perderà la propria vita? O che cosa un uomo potrà dare in cambio della propria vita?».

Vangelo di Matteo della Liturgia romana di oggi.

I tre martiri di Peteano uscirono di caserma alle 23:15 di più di cinquant’anni fa per cercare nella notte un possibile volto – altro - di chi soffrisse, non il loro. Ed invece fu il loro volto ad essere offeso dalla morte.

Un insegnamento profondo, amarissimo, destabilizzante, viene da quei fatti lontani, sui quali – per chi ci crede – merita ancora pregare, qualunque cosa ciò significhi.

Perché è la preghiera a convertire il potere.

E che una Curia Vescovile diventi un centro di preghiera sarebbe comunque davvero una bella cosa.

Buona domenica.