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Ancora sull’Ucraina: considerazioni religiose



di Dario Culot


Ma alla fin fine, visto che siamo su una rivista che parla di spiritualità e religione, noi cristiani, cosa potremmo fare di fronte a questa guerra? Noi non abbiamo responsabilità diretta in questa guerra, ma come cristiani abbiamo il dovere di contribuire a risolverla, almeno con idee e proposte.

Una linea guida noi cattolici potremmo individuarla nell’Enciclica Fratelli tutti del 3.X.2020:

Al §257 papa Francesco dice: “Poiché si stanno creando nuovamente le condizioni per la proliferazione di guerre, ricordo che «la guerra è la negazione di tutti i diritti e una drammatica aggressione all’ambiente. Se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti, occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli”. Fin qui, d’accordissimo.

Al §258 papa Francesco aggiunge: “… facilmente si opta per la guerra avanzando ogni tipo di scuse apparentemente umanitarie, difensive o preventive, ricorrendo anche alla manipolazione dell’informazione. Di fatto, negli ultimi decenni tutte le guerre hanno preteso di avere una “giustificazione”. Il Catechismo della Chiesa Cattolica parla della possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare, con il presupposto di dimostrare che vi siano alcune «rigorose condizioni di legittimità morale». Tuttavia si cade facilmente in una interpretazione troppo larga di questo possibile diritto. Così si vogliono giustificare indebitamente anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che difficilmente non trascinano «mali e disordini più gravi del male da eliminare». La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. In verità, «mai l’umanità ha avuto tanto potere su sé stessa e niente garantisce che lo utilizzerà bene». Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!”

In linea di principio come non essere tutti d’accordo? Concordo sul fatto che non si dovrebbe più pensare alla guerra come soluzione; tuttavia, se invece della nobile aspirazione “Mai più la guerra!” ci trovassimo volenti o nolenti coinvolti in una guerra scatenata da altri, come se ne viene fuori concretamente? Se infatti anche la guerra giusta per difendersi non è più ammessa, se il dialogo con l’aggressore non funziona, resterebbe solo la resa. Non vedo altre soluzioni.

È indubbio che, concordando con l’Enciclica, generalmente noi diamo un valore positivo alla pace e negativo alla guerra. Ma evidentemente chi scatena una guerra non la pensa così: la guerra è intesa positivamente perché è il mezzo attraverso cui uno riesce ad ottenere quello che in precedenza, col dialogo politico, non era riuscito ad ottenere. E allora ripeto: se noi ci troviamo in guerra perché un altro ci attacca, che facciamo?

L’Homo sapiens ha conquistato il mondo non forse per la maggior intelligenza (che non siamo in grado di definire), ma per la capacità di cooperare in gran numero, in maniera flessibile, con individui che neanche si conoscono fra di loro[1]. Per l’uomo è indispensabile vivere insieme agli altri, avendo tutto da guadagnare (si pensi solo alla divisione del lavoro, o alle esigenze di difesa). Il problema immediato è però regolare i rapporti con i suoi simili.

Nell’associarsi per raggiungere un dato fine (ad es. la difesa del gruppo) sorgono inevitabilmente conflitti, per cui ci si deve organizzare, cioè porre un insieme di regole in base alle quali poi tutti i soggetti agiscono. Se si vuol raggiungere quel fine (ad es. la difesa) è indispensabile rispettare le regole, perché in caso contrario c’è il caos: in altre parole, l’organizzazione si ottiene solo attraverso lo stabilirsi di norme giuridiche, ovverossia norme obbligatorie che regolano un comportamento esteriore dell’uomo. E l’uomo – che ha presto capito l’importanza di stare in gruppo senza scannarsi all’interno di esso - è stato tanto acuto da delegare a un’autorità la risoluzione di questi conflitti, rinunciando ad usare la propria forza individuale, ma delegando a quest’autorità anche la possibilità di usare la forza. Così dunque è nato il diritto, perché ogni società richiede un’organizzazione e – come s’insegna ai corsi di diritto - dove c’è una società c’è il diritto. Quando avevo studiato diritto all’università, mi era stato insegnato proprio questo: che il diritto è nato affinché la forza del diritto prevalesse sulla forza di chi, nel gruppo, è più forte fisicamente. Solo così si può mantenere la pace interna al gruppo.

Se scopo del diritto è dunque mantenere la pace fra gli uomini, sembra che diritto e guerra siano inconciliabili. Ma neanche questo – come ben spiegava il prof. Norberto Bobbio ai suoi corsi di filosofia del diritto - è sempre vero. In certi casi è necessario usare la forza per ridurre alla ragione, cioè per far rispettare le regole del diritto al soggetto che non vuole rispettarle. Come all’interno di uno Stato si punisce con la forza il colpevole e si ripara a un torto (così ristabilendo il diritto violato), nei rapporti internazionali questo uso della forza si chiama guerra. Dunque, in questo caso è la guerra ad assumere un valore positivo, e si parla di guerra giusta. In questo caso la pace assumerebbe invece un valore negativo perché consisterebbe nell’accettazione passiva di un torto subito. Torniamo sempre allo stesso punto: se non si risponde con la guerra giusta alla prevaricazione, se il dialogo non funziona, se si vuole a tutti i costi evitare di aumentare ogni potenziale di violenza di chi ha scoperto che è il più forte, non resta che la resa.

Ora, può darsi che la resa sia l’unica strada che il cristiano è chiamato a percorrere[2]. Personalmente ho qualche difficoltà ad accettare simile idea, anche se mi rendo conto che molti pacifisti chiedono proprio questo. Ma in tal caso ritengo che essi scommettano sul loro pacifismo e non su una vera pace che può esserci solo se è giusta (n.2304 del Catechismo).

Sinceramente non mi convincono per niente neanche quei pacifisti che si limitano a marciare (in Italia, dove non corrono alcun pericolo), a digiunare e a pregare per la pace, forse dimenticando che nella Bibbia si dice più volte che Dio proprio non ascolta chi prega. «Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?» dice il Signore. «Quando stendete le mani, io distolgo gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto; le vostre mani grondano sangue…togliete il male dalle vostre azioni…cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso» (Is 1, 11ss.). Sottolineo: non moltiplicate le preghiere ma soccorrete l’oppresso! Il culto di per sé non interessa a Dio perché è fatto solo di parole, mentre il cuore è lontano (Is 29, 13) e resta impuro. E il rito del digiuno religioso? Il digiuno che piace a Dio significa dividere il pane con chi ha fame, aprire la propria casa ai poveri senza tetto, dare un vestito a chi non ne ha, non abbandonare il proprio simile (Is 58, 7). Quindi sicuramente cristiano è stato lo scatto di solidarietà verso i profughi ucraini che, guarda caso, sono fuggiti in Occidente e stranamente non verso la Russia, tanto per tornare al discorso - fatto la settimana scorsa - che forse gli ucraini preferiscono l’Europa occidentale alla Russia, senza essere coartati in questa scelta dal mondo occidentale. Insomma, la Bibbia già ci fa capire che Dio non sta lì ai nostri ordini per fare quello che noi non abbiamo fatto e dovevamo fare. Dio non rimedia alla nostra inerzia[3]. Mi sembra allora chiaro che la preghiera cristiana viene mortificata quando la si trasforma in una scusa per non prendere posizione tra aggressore e aggredito; chi ha violato sicuramente il diritto internazionale è Putin, ricordiamocelo: gli ucraini non hanno mosso guerra a nessuno, perciò non è vero che l’Occidente è russofobo e solo per questo sostiene l’Ucraina: tant’è vero che Dostoevskij, Tolstoj, Tchaikovskj e tanti altri scrittori e compositori russi sono profondamente entrati nella cultura europea[4] e ne fanno parte a pieno titolo avendo realizzato dei veri capolavori. L’Europa sta sostenendo l’Ucraina perché il lupo ha aggredito l’agnello. Si può scegliere di stare col lupo o con l’agnello. Si può decidere anche il non scegliere (cioè il chiamarsi fuori e dire al lupo e all’agnello di vedersela fra di loro), e anche questa è in realtà una scelta, perché in tal caso si sa già che a vincere sarà il lupo. E ripeto: il Dio della Bibbia c’invita ad andare in soccorso dell’agnello aggredito, non a pregare; ma probabilmente non basta neanche il comportamento assistenziale verso chi è scappato dalla guerra. La Caritas resta sicuramente importante, ma non basta.

In via generale, anche al di fuori e a prescindere da questa guerra, è urgente spingere affinché l’economia sia gestita in modo tale da accorciare le distanze e le differenze in diritti e nelle leggi che tollerano la spaventosa disuguaglianza che sta disgregando questo mondo, dove è sempre più facile che scoppino guerre e migrazioni di massa. Mi rendo conto però che qui è difficile per il singolo intervenire. E allora cosa può fare il singolo cristiano oltre che prestare personalmente assistenza a chi scappa dalla guerra?

Ricordate tutti la fotografia di quell’ignoto giovane cinese di piazza Tienanmen che, in maniche di camicia, da solo, con in mano il sacchetto della spesa si era messo davanti a una colonna di carri armati fermandoli[5]. Di lui non sappiamo neanche il nome, e quasi certamente sarà finito male. Non sappiamo neanche se è vivo o morto. Ma come ha detto il teologo Paolo Ricca,[6] costui è un angelo mandato da Dio, è veramente un’icona della Chiesa cristiana, perché col suo corpo si è inserito fra i contendenti. Ogni singolo cristiano che vuol fare la pace (non limitarsi a pregare per la pace) deve mettere il proprio corpo, evidentemente con tutti i rischi che ciò comporta. I cd. pacifisti nostrani (anche qui è da tener presente che nella parola pacifista c’è il concetto di ‘fare’, mentre i più sono assolutamente passivi o al massimo invocano negoziati senza mettere a rischio i propri corpi) non fanno la pace: sostanzialmente parlano ma non fanno niente.

Sarebbe bene – come ha detto sempre il teologo Ricca[7]- che chi si reputa cristiano mettesse in pratica la 7a beatitudine (Mt 5, 9): “beati coloro che si adoperano per la pace perché saranno chiamati figli di Dio”. Solo questa beatitudine dà il titolo di figli di Dio; non lo si dà ai poveri, non agli altri. ‘Si adoperano’, sta scritto in italiano, ma il termine ‘adoperarsi’ è piuttosto debole perché nell’originale testo greco si usa il verbo ‘fare’; non basta cioè l’auspicio, la preghiera; occorre attivarsi materialmente. Solo pregare per la pace non ci fa diventare uomini della 7a beatitudine. Al più si può pregare perché Dio ci trasformi tanto da diventare uno di quelli che poi fanno la pace, non uno di quelli che pregando si aspetta che qualcun altro faccia la pace. E allora, ‘fare’ che cosa?

Come ho già scritto,[8] ascolterò con vivo interesse chi parla di pace e di resistenza non-violenta solo quando organizzerà da tutta Europa e parteciperà anche col suo corpo, in prima persona, a una «contro-invasione pacifica di almeno 100.000 persone disarmate (anzi, meglio un milione), capaci di andare a piedi fino a Mariupol», nel Donbass per frapporsi fra i due eserciti che si sparano addosso. L’unione dà coraggio, perché per fare come ha fatto quel cinese solo davanti ai carri armati occorre davvero un coraggio bestiale. Mentre il potere riesce facilmente a far sparire nel nulla una persona sola, più grande è il numero delle persone più difficile (ma non impossibile) sarebbe farle sparire[9]. Per far smettere la guerra anche coloro che si proclamano pacifisti dovrebbero mettersi in pericolo dove c’è il pericolo concreto, perché chi vuol fare veramente la pace deve mettere il proprio corpo. E questo richiede coraggio: non serve coraggio per fare una marcia della pace in Italia dove nessuno ti spara addosso (questo tipo di marcia può servire al massimo per tacitare le coscienze dei partecipanti), ma ce ne vuole veramente tanto per andare a fare la stessa marcia in Ucraina o in Russia. Un po’ come aveva fatto don Tonino Bello, già ammalato di cancro, quando con cinquecento persone aveva organizzato una marcia della pace fino a Sarajevo. Come ha detto l’amico Cesare Goldoni, è difficile farsi venire in mente altre soluzioni concrete non-violente e cristiane a questa folle guerra, e questa soluzione lui l’aveva suggerita da subito. Ma chi l’organizza, e come la si organizza?

Il corpo di Cristo (la Chiesa), il principe della pace (Is 9, 5), dovrebbe essere corpo di pace tra le nazioni che sono in conflitto. V’immaginate una marcia del genere con in testa il papa, il patriarca Kirill[10] e il patriarca della Chiesa Ucraina? Quale eco avrebbe improvvisamente il cristianesimo nel mondo, ancor di più se molti di quelli che marciano venissero uccisi dalle cannonate di chi fa la guerra. Eppure neanche la Chiesa cattolica si è mai presentata al mondo come corpo di pace, anche se questo sembra l’unico modo per ‘fare’ la pace e non solo parlarne.

Le Chiese non possono invece essere nazionaliste schierandosi con i rispettivi governi, perché così si riducono ad ancelle dei governi costituiti[11]. Finché l’appartenenza nazionale prevale sulla universalità (cattolicità intesa nel senso originario),[12] questo conformismo politico delle Chiese implica una marginalizzazione dell’universalità e del Vangelo. Una Chiesa nazionale che diventa nazionalista dimostra chiaramente al mondo intero che ha completamente fallito il suo obiettivo. Il vincolo di fraternità manifestato dai cristiani dovrebbe essere più forte di tutte le altre appartenenze, ma purtroppo non è così. Già solo questo dimostra quanto è ancora lunga la strada per diventare cristiani.




NOTE

[1] Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani, Milano, 2017, 206s.

[2] Ripeto la domanda fatta in altra occasione: cosa avrebbe fatto Gesù se avesse visto un gruppo di soldati romani cercar di violentare sua madre? Si sarebbe messo a pregare? Avrebbe cercato di convincere quei bruti o di isolarli attraverso un dialogo fraterno? Oppure avrebbe usato la forza fisica per soccorrere Maria senza pensare di rendersi in tal modo colpevole di aumentare il potenziale di violenza? Non lo sapremo mai.

[3] Ricca P., I cristiani davanti alla guerra in Ucraina," conferenza tenuta via Zoom al Centro Schweitzer di Trieste il 31.5.2022.

[4] Anche se da noi c’è sempre qualche anima bella che cancella i corsi su questi autori, che tanto hanno dato all’umanità intera opere immortali, solo perché erano russi, seguendo l’ideologia della cancel culture. Fra l’altro, proprio questi grandi russi avevano combattuto il potere a casa loro, ritenendolo spesso deviato. Ricordiamoci pure che il potere ha fatto suicidare Ciaicovskij perché omosessuale, e se questo fosse avvenuto prima non avremmo oggi quella musica sublime di questo autore che ha tanto sofferto in vita sua a causa della guerra dichiarata dal potere agli omosessuali.

[5] Questo è potuto accadere anche perché il guidatore del primo carro armato aveva una coscienza (e non sappiamo neanche che fine ha fatto quel militare), perché avrebbe potuto proseguire e schiacciare l’uomo in camicia. Ricordate nei primi giorni di guerra il filmato di quel carro armato russo che scarta all’improvviso per schiacciare un’auto col suo guidatore che veniva tranquillamente dal senso inverso?

[6] Ricca P., I cristiani davanti alla guerra in Ucraina," conferenza tenuta via Zoom al Centro Schweitzer di Trieste il 31.5.2022.

[7] Idem.

[8] Vedi l’articolo su Ucraina 2, al n. 660 del 9.5.2022 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-660-8-maggio-2022/dario-culot-ucraina-2).

[9] Del resto così avviene in natura: proprio grazie al vasto numero i branchi di pesci piccoli o gli stormi di stornelli cercano di proteggersi davanti ai predatori.

[10] Guardiamo invece a come Kirill si è posizionato lontano dal vangelo: quando Giacomo e Giovanni, che si vedono respinti dal villaggio samaritano, chiedono che scenda dal cielo un fuoco distruttore (Lc 9, 53s.) Gesù respinge quest’idea con tutte le sue forze, perché non tollera l’intolleranza (religiosa o politica che sia). Gesù cerca di far capire che il non essere accettati non comporta una punizione come reazione. Kirill ha dato invece la sua benedizione al fuoco fatto scendere dal cielo per decisione di Putin che si è visto respingere dall’Ucraina. In realtà il patriarca russo sta dando la sua benedizione a ciò che già stavano proponendo Giacomo e Giovanni: l’odio teologico arriva a legittimare gli stermini.

[11] Ovviamente sto parlando delle decisioni ufficiali dei vertici delle Chiese, essendo purtroppo irrilevante (all’infuori di quella piccola zona) che piccole comunità cristiane si comportino veramente come tali.

[12] Fino a papa Giovanni XXIII l’ecumenismo era stato dichiarato assurdo dal Vaticano, il quale riteneva che l’unità e l’universalità si potesse avere solo sottoponendosi a Roma. Temo che, fra le vittime di questa guerra, ci sarà alla fine anche l’ecumenismo. L’ortodossia si spaccherà, e il cristianesimo occidentale si allontanerà nuovamente dal cristianesimo ortodosso russo.



Numero 669 - 10 luglio 2022