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C’è ancora il 2 giugno 

di Stefano Sodaro

Comizio antimonarchico del 1946 - Almanacco Socialista 1976, Edizioni Avanti! - foto tratta da commons.wikimedia.org

Forse sarebbe più adatto, adeguato, metterci un punto di domanda: c’è  ancora il 2 giugno?

Ovvero, mantenendo la forma interrogativa: c’è voglia di repubblica, di democrazia partecipata, di condivisione di passioni per il bene (proprio e) degli altri, oppure dilaga il fascino melmoso dell’Uomo Forte – o della Donna Forte – che possa finalmente polverizzare gli alambicchi della sulfurea politica quotidiana e affermare pochi, sani, indiscutibili, maschi, Valori, con la “V” maiuscola, sì?

Pare una domanda retorica, eppure il consenso verso una specie di “reductio ad unum” della complessità istituzionale e delle ragioni della convivenza che nacque il 2 giugno del 1946 e portò alla Costituzione Repubblicana, quel consenso è altissimo, come mai prima d’ora nel periodo postbellico.

Il film di Paola Cortellesi ha voluto intersecare il vituperatissimo privato degli anni che furono (Sessanta, Settanta, dello scorso secolo) con l’odiatissimo pubblico dei nostri giorni. Ma la parola “fine” non accompagna la proiezione delle nostre attese, delle nostre speranze, dei nostri sogni, dei nostri progetti.

La storia non è una sequenza mirabile di continue nuove progressioni ideali. Lo attesta l’enormità della Shoah. Lo dimostra la spirale incredibile di guerra che avvolge ogni nostra giornata ed ogni nostra ora da due anni a questa parte ed in modo sempre più (pre)potente.

Ci sono state, tuttavia, sicuramente periodizzazioni che hanno riassunto in sé la tensione della nostra storia italiana a vedere un futuro diverso. Se ne possono menzionare, secondo un criterio del tutto arbitrario – certo - almeno tre: il Rinascimento, il Risorgimento, la nascita ed il consolidamento (che sono un tutt’uno) della Repubblica nel 1946.

E che la Storia sia la fucina della complessità lo hanno persino documentato con prove alla mano Adriano Virgili e Gabriele Boccaccini lo scorso martedì a Trieste, intervenendo al Convegno che aveva come tema la domanda “Chi era l’uomo Gesù?”. Convegno su cui dovremo tornare con una riflessione dedicata, quasi volendo adesso “raffreddare” le emozioni di quei pensieri ancora incandescenti (sia le emozioni che i pensieri).

C’è un filo rosso, piuttosto sorprendente sulle prime, tessuto tra Quattrocento/Cinquecento italiano e Ottocento che portò all’unità nazionale. E senza lo spirito rinascimentale e risorgimentale, mai si sarebbero potute unire le forze ideali così diverse, persino contrapposte, per elaborare assieme il testo fondativo di un nuovo Stato non più monarchico, come del resto ben erano stati - monarchici - sia gli Stati del Rinascimento che l’Italia unita del Risorgimento.

Si accennava alla dialettica, mai ricomposta, tra pubblico e privato. 

La settimana che si è appena chiusa ha riservato un incrocio inaspettato di nuove ragioni del vivere, contemporaneamente, fuori e dentro di casa. 

È accaduto anche all’associazione culturale “Casa Alta”, che ha avuto l’onore di poter ospitare il Prof. Boccaccini e la Prof.ssa Aloma Bardi, sua consorte, nella propria sede triestina, sita nell’appartamento esattamente di fronte a quello abitato sino alla morte dal poeta Virgilio Giotti (che fu, senza dubbio, cantore dell’intimità domestica e che però riuscì a far sprigionare da essa una struggente nostalgia per l’inarrivabile armonia cosmica). Trieste si è come aperta alla sapienza ebraistica di Boccaccini, che ha disegnato anche altre strade, prospettive, piste di ricerca, su cui bisognerà articolare ed elaborare con perizia un serio impegno di approfondimento culturale. Una per tutte: le radici triestine materne di don Milani.

Un baluginio di pensieri e di emozioni, appunto.

Se poi ci aggiungiamo che proprio ieri in serata è stata diffusa la notizia del rientro nel varesotto di don Ettore Malnati dopo cinquant’anni di ininterrotta presenza ecclesiale a Trieste (e che presenza!), ne risulta un quadro completamente nuovo da comporre e studiare. Nuove pagine di storia contemporanea triestina tutte appena da scrivere.

Il 2 giugno c’è dunque ancora, sì.

Perché ci siamo noi, donne, uomini, che in esso ci crediamo, con tutte le nostre forze.

Perché la Costituzione resta per noi faro di riferimento, un vangelo laico che ci orienta e sostiene. La buona novella dell’Italia che usciva dal fascismo.

Buona domenica.

Buona Festa della Repubblica.