Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Foto di Amalia Weiss, per gentile concessione di Stefania Di Pasquale

Il contratto di Alice



di Stefano Sodaro

Trieste, Via Udine 22, Pietra d’Inciampo che ricorda la deportazione e la morte di Amalia Weiss - foto di Stefano Sodaro

Com’è un po’ tipico del nostro settimanale, stimolati dalla Giornata della Memoria appena celebrata, proviamo ad incrociare alcuni dati, alcuni nomi ed eventi storici, per avanzare qualche provocazione di pensiero, magari anche piuttosto audace o estrema.

Al n. 22 di Via Udine, qui a Trieste – città dove ha sede “Il giornale di Rodafà” -, è presente la Pietra d’Inciampo che ricorda la deportazione e la morte di Amalia Weiss, cugina di Alice Weiss, la madre di don Lorenzo Milani, il quale, dunque, di Amalia era, per così dire, il “secondo cugino”. Del resto al cimitero ebraico sempre di Trieste vi sono le tombe dei nonni materni di don Milani, genitori di Alice, Emilio Weiss e Giustina Emilia Iacchia. Trieste ne è consapevole? Non sembra.

L’ebraismo dei Weiss era molto laico e, per quanto noto, non si rinviene la presenza di figure di rabbini nella loro storia e nelle loro vite. Tuttavia, proprio per questo, il rinvio alla religiosità ebraica è – per contrapposizione – molto potente, considerato inoltre che la stessa figura del rabbino non ha nulla a che vedere con funzioni sacerdotali, essendogli riconosciuta piuttosto una funzione di insegnamento, di consulenza spirituale e di giudizio religioso sulle vicende estremamente frastagliate di ogni esistenza, anche per questioni di estremo dettaglio rivestenti però un’importanza indiscutibile - così come accade per ogni liturgia del quotidiano -, mentre un loro coinvolgimento in ambito rituale è soltanto residuale e suppletivo. Però, appunto, niente sappiamo di rabbini che frequentassero la famiglia Weiss.

Tuttavia, proprio nella seconda metà dell’Ottocento – Alice Weiss nacque a Trieste il 6 settembre 1895 -, negli Stati Uniti d’America iniziò ad affermarsi, e ad essere giuridicamente riconosciuta come valida, una particolare forma e tipologia di contratto, volta ad assicurare ai rabbini delle Comunità d’Oltre Oceano una remunerazione sicura, al riparo dall’imposizione fiscale che avrebbe potuto completamente assorbirla, tramite un accantonamento di somme che sarebbero state tassate solo al momento della loro materiale corresponsione e del loro utilizzo, verosimilmente al momento della cessazione di attività dei rabbini e della loro conseguente entrata in pensione. Si tratta del cosiddetto “Rabbi Trust”. Un trust, completamente sconosciuto in Italia, di largo utilizzo – invece - nei Paesi anglosassoni, dove è ormai svincolato da ogni esclusivo riferimento rabbinico.

Qual è la caratteristica tipica di ogni contratto? Quella di costituire un vincolo di reciprocità tra le parti dell’accordo. Un legame. Un rapporto. Un necessario relazionarsi.

E ieri, il Papa, inaugurando l’Anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana (erroneamente ancora definita a livello diffuso “Sacra Rota”, mentre la sacralità sarebbe da accantonare, così come fa lo stesso ordinamento canonico avendole mutato la denominazione), ha parlato proprio dell’importanza del vincolo, benché riferito – nella sua allocuzione – al solo vincolo matrimoniale di natura religiosa. “Occorre riscoprire la realtà permanente del matrimonio come vincolo. Questa parola viene talvolta guardata con sospetto, come se si trattasse di un’imposizione esterna, di un peso, di un “laccio” in opposizione all’autenticità e libertà dell’amore. Se invece il vincolo viene compreso proprio come legame d’amore, allora si rivela come il nucleo del matrimonio, come dono divino che è fonte di vera libertà e che custodisce la vita matrimoniale. In questo senso, «la pastorale prematrimoniale e la pastorale matrimoniale devono essere prima di tutto una pastorale del vincolo, dove si apportino elementi che aiutino sia a maturare l’amore sia a superare i momenti duri. Questi apporti non sono unicamente convinzioni dottrinali, e nemmeno possono ridursi alle preziose risorse spirituali che sempre offre la Chiesa, ma devono essere anche percorsi pratici, consigli ben incarnati, strategie prese dall’esperienza, orientamenti psicologici»”. (cfr. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/01/27/0079/00159.html).

Prescindendo per un attimo dal riferimento strettamente matrimoniale e dal contesto cattolico, la descrizione del Papa sembra in effetti molto “rabbinica”. Non è solo il matrimonio a generare “vincoli”, ma – appunto – qualunque contratto. Che, dunque, diviene una categoria di pensiero, quasi un archetipo, un paradigma conoscitivo. Il legame è risultato concetto centrale anche nel corso dell’incontro appena svoltosi su Zoom, a cura del nostro settimanale e dellAssociazione Culturale Casa Alta” (https://sites.google.com/view/associazionecasaalta/home), intitolato Noi siamo un colloquio, con Silvia Bicciato e Franca Feliziani Kannheiser, introdotte e moderate da Paola Franchina.

Si è contrapposto a lungo – e forse si continua a farlo in forma del tutto artificiosa e gravemente errata – un “Gesù dell’amore” ad un “Ebraismo dei Precetti”, travisando con ciò anche la testimonianza di Paolo sul rapporto dialettico tra Legge e Grazia ed ignorando completamente la totale condivisione gesuanica della vita del Popolo d’Israele, il Popolo dell’Alleanza.

Gesù di Nazaret frequentava il Tempio e la sinagoga, addirittura ergendosi a difensore della santità del Tempio contro la sua profanazione mercantile. Conosceva le tasse dell’aneto, della menta e del cumino (noi neppure sappiamo cosa mai possano significare…) e festeggiava Shabbat. E non apparteneva ai “kohanim”, cioè al ceto sacerdotale, bensì gli era riconosciuto – ce lo attesta il Vangelo della Risurrezione secondo Giovanni soffermandosi sull’incontro di Maria di Magdala – il titolo di “rabbi” o, meglio, “rabbuni” (“maestro mio”).

La logica latamente “giuridica” non era aliena a Gesù, così come le vicende personali, materne e familiari di don Milani e di Alice Weiss non sono state avulse da una ricerca anche molto concreta delle soluzioni possibili, giuridicamente possibili, per evitare la persecuzione nazifascista (cfr. https://ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio/ilpiccolo/2017/06/05/nazionale-misteriosa-tiziana-la-pittrice-triestina-amata-da-don-milani-25.html), tra cui pure il battesimo.

Memoria, laicità, coerenza contrattuale – ma proprio in quanto riferita ad un testo preciso e specifico, con previsioni vincolanti espresse e leggibili su carta, che devono essere interpretate -, cristologia finalmente, per così dire, “laica”, che cioè assuma la realissima condizione materiale, culturalmente e religiosamente determinata, di Gesù di Nazaret (che era ebreo e non cristiano…), tutto questo permetterebbe, se solo lo si volesse, di aprire prospettive nuove di ricerca e di impegno.

Le letture “cristologiche” dei fatti della vita sono molte e possibili. E non necessariamente confinate in rigidi ambiti confessionali. Esisterà pure una teologia laica, no?

Il nostro settimanale, in totale modestia, proverà a verificarlo, è una promessa. E vedremo cosa accadrà.

Buona domenica.