Il giornale di Rodafà. Rivista online di liturgia del quotidiano

Fungo Laccaria Amethystina - immagine di Dominicus Johannes Bergsma tratta da commons.wikimedia.org

Tuoni a novembre

di Stefano Sodaro



È alquanto singolare sentire rombi di tuoni alla fine di novembre, quasi fossimo in piena estate metereologica. Eppure, ieri a Trieste, proprio un temporale estivo si è concretizzato, verso le 13, per qualche minuto, accompagnato dal fragore dell’elettricità che si scarica dal cielo.

Forse i tuoni di novembre potrebbero essere assunti a metafora di un tempo che fa saltare ogni riferimento di senso considerato definitivo, pressoché scontato.

Alcuni contorni del perimetro per le riflessioni che proviamo ad abbozzare oggi qui: un quadro legislativo che permette sorprendentemente nuovi rapporti affettivi, la prossima ricorrenza di Hanukka, l’oscuro collegamento tra eccidi verificatisi a migliaia di chilometri di distanza, il riconoscimento delle “virtù eroiche” del vescovo Tonino Bello secondo le norme che disciplinano il processo di canonizzazione, l’importanza della dimensione simbolica.

Iniziamo.

La previsione, contenuta nella legge 219 del 2017 e menzionata da queste righe la scorsa settimana (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-636/stefano-sodaro-in-morte-e-in-vita), della designazione di un proprio fiduciario che rappresenti la persona non più autosufficiente e capace di autodeterminarsi nel rapporto con il personale sanitario in prossimità della fine dell’esistenza, ha ulteriori implicazioni, non meno sconcertanti per chi ritenga inalterabile un quadro di riferimenti affettivi definito una volta per tutte.

Nelle FAQ presenti sul sito del Ministero per la Salute (https://www.salute.gov.it/portale/dat/dettaglioFaqDat.jsp?lingua=italiano&id=229), alla domanda se sia possibile indicare nelle DAT un doppio fiduciario, l’uno titolare e l’altro sostituto, la risposta – visibile sempre sul medesimo sito - risulta essere la seguente: “La legge prevede la nomina di un solo fiduciario che dovrà essere registrato nei dati della DAT. Ove il disponente avesse indicato anche un secondo fiduciario (fiduciario supplente) i riferimenti di quest’ultimo, se indicati nella DAT, saranno visibili al medico nella DAT.”

Dunque il Ministero ammette che vi possa essere una duplice indicazione di fiduciario. Ed entrambi possono essere persona altra e diversa rispetto al coniuge del disponente, non rinvenendosi alcuna disposizione che lo vieti.

Immaginiamo che cosa potrebbe accadere se ognuno dei soggetti coinvolti, il disponente ed i due fiduciari, designasse, all’interno delle proprie DAT, gli altri due come propri fiduciari. Si creerebbe un circolo comunicativo, di intensa vicendevole affettività, di cui le cronache online riportano peraltro un evento molto significativo. Per quanto sia dato di sapere, trattasi del primo, se non unico, caso in cui un rapporto cosiddetto “poliamoroso” abbia ricevuto, in via indiretta certo – secondo la configurazione che si è appena delineata -, una qualche forma di riconoscimento giuridico in Italia: la vicenda è ben descritta, con un articolo di maggio scorso, al link https://luce.lanazione.it/lunione-poliamorosa-e-iniziata-per-caso-e-non-ci-siamo-piu-separati-condividiamo-la-nostra-vita-con-lamore-la-societa-imparera-ad-accettarci/.

C’è poco da disquisire, magari assai sdegnosamente; in ogni caso sarebbe uno sdegno fuori tempo massimo, con riferimento non già all’articolo, bensì proprio alla legge. Che i difensori dell’asserito ordine naturale siano stati distratti e non se ne siano accorti? Che neppure l’intransigenza neoromantica di un sedicente progressista post-femminismo duro e puro abbia voluto soffermarsi su una singolare possibilità del nostro ordinamento giuridico, onde non affievolire la riscoperta della dimensione io-tu, due-cuori-una-capanna e-vissero-felici-e-contenti (magari ognuno nella casa del coniuge dell’altro)?

Precisiamo però subito, a scanso di equivoci, il nostro convincimento. Non stiamo dicendo che finalmente si è aperto il varco legale verso il poliamore, magari rendendosi così necessaria una sua definizione ancora una volta a livello normativo e magari pure vincolando con ciò chi è il più debole, in un rapporto affettivo, ad accettare il primato dei desideri di chi è il più forte. No, grazie.

Di norme sull’amore siamo più che stufi. Stiamo dicendo, piuttosto, che i nuovi linguaggi del volersi bene incrociano singolarmente i percorsi dell’evoluzione legislativa in ambiti della vita che non son quelli della costituzione iniziale di un nucleo familiare, bensì – in qualche modo – della sua stessa dissoluzione dovuta al triste evento della morte. È cioè l’assetto neo-borghese ad andare in crisi davanti alle istanze della vita cui non ci si può sottrarre e che richiedono di essere affrontate a viso aperto.

Il tema della morte, del non essere più coscienti, padroni della propria libertà, signori del proprio corpo e gestori consapevoli della propria psiche, è tema tabù, di cui non parlare mai. La legge 219 ci mette di fronte allappello opposto. Perché non pensarci? E perché non associare in tale pensiero tutti gli amori, gli affetti, i legami che stanno tessendo la nostra esistenza?

Secondo momento.

Inizia dicembre mercoledì e, se tutto procede come da programma, la prossima domenica, 5 dicembre appunto, questo nostro giornale sarà pubblicato dai boschi di Camaldoli, presso il cui Monastero si svolgerà, a partire da venerdì 3, il XLI Incontro Nazionale dei Colloqui Ebraico-Cristiani (https://www.camaldoli.it/eventi/colloqui-ebraico-cristiani-xli-incontro-nazionale/), dedicato a “Gesù e Israele. A sessant’anni dall’incontro di Jules Isaac con Giovanni XXIII”. Lo scrivente direttore di questo nostro settimanale confida di essere lì e non è questione del tutto secondaria avere scoperto che il cognome della propria nonna materna di Sparanise, in provincia di Caserta, – “Italiano” – è considerato cognome sefardita. Ma andiamo avanti.

Mancano due settimane ad una scadenza che “Il giornale di Rodafà” si era dato, rispetto all’anniversario dell’eccidio di El Mozote, in El Salvador, avvenuto tra il 10 e l’11 dicembre 1981 (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-627/stefano-sodaro-memoria-e-attualit%C3%A0-della-teologia-della-liberazione).

Fatti che sembrano lontanissimi dalla nostra attualità e dal nostro contesto geografico ed invece un filo nero, assai più che rosso, collega, ad esempio El Mozote con il genocidio di Srebrenica, di cui sono ricorsi nel 2020 i 25 anni (https://sites.google.com/site/ilgiornaledirodafa20202/numero-564---5-luglio-2020/rodafa).

Un elemento accomuna l’incapacità di coglierne le implicazioni profonde e tale elemento corrisponde all’ignoranza della complessità delle dinamiche religiose, o addirittura al loro disprezzo. Mentre non si comprende nulla di El Salvador, di ieri e di oggi, se non si conosce, nei dettagli, studiando a fondo, non per sentito dire, la vicenda di mons. Romero e la strage dei Gesuiti della UCA nel novembre del 1989. Così come nulla si può comprendere dell’eccidio di Srebrenica se resta sconosciuto l’intrico politico-religioso che avvolge i Balcani, nella loro dimensione di casa della civiltà musulmana europea, di quella cristiana ortodossa, di quella cristiana cattolica, di quella ebraica.

Davvero non si può capire nulla se non ci si è mai lasciati stordire dalle volute profumate di incenso, dalle luci delle icone, dai colori dei tappeti in una moschea, dal canto del muezzin, dallo struggimento della preghiera cultuale in sinagoga, dalla avvolgente bellezza di un tallit.

Ancora.

Questa domenica sera inizia Hanukka.

Unaltra occasione di conoscenza della bellezza della tradizione di Israele. Per otto giorni viene acceso, lume dopo lume, il tipico candelabro di questa ricorrenza che, proprio quando va bene bene, viene assimilato, del tutto impropriamente e grossolanamente al Natale, mentre ci riconduce alla luce inesauribile della Menorah, sempre viva grazie all’olio che non si consumò nonostante la devastazione del Tempio di Gerusalemme da parte degli invasori. Ce lo spiega, con la sua abituale maestria, Miriam Camerini proprio oggi, su questo nostro numero 637.

Ancora.

Venerdì scorso il Papa ha approvato il Decreto della Congregazione per le Cause dei Santi sulle “virtù eroiche” del Vescovo Tonino Bello, morto nel 1993 (https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/la-buona-notizia-su-don-toninosubito-popolare-nei-vari-social) e che venne a Trieste il 31 dicembre 1991.

Il fatto che, secondo procedura canonica, don Tonino sia ora “Venerabile” può far semplicemente sorridere, ma significa – più in profondità e facendo smorzare le risate – che l’intera ecclesiologia di don Tonino, cioè la sua visione di Chiesa, è diventata “venerabile”: non è poca cosa. Ed avviene con il pontificato di Francesco, che pare realizzare molte delle iniziative che contrassegnarono l’episcopato di mons. Bello, la cui testimonianza ha implicazioni molteplici, alcune – a nostro avviso – ancora da far brillare.

Ad esempio, era suo l’ammonimento sulla necessità di abbandonare “i segni del potere” per valorizzare, piuttosto, “il potere dei segni”.

Se mettiamo a confronto “il potere dei segni” con quella apparente stranezza, o stravaganza, di ciò che consente la legge 219 del 2017 la sensazione è addirittura di smarrimento. Nuovi segni compaiono all’orizzonte del Senso nella prospettiva di tessiture affettive interpersonali che prediligono una forma di nomadismo pellegrinante verso l’amore al posto di uno stazionamento annoiato presso le istituzioni deputate a custodire per sempre il segno – che si vorrebbe unico, quello matrimoniale – dell’amore.

Prima domenica d’Avvento, questa, secondo il calendario liturgico cattolico romano.

Il passo del Vangelo di Luca che oggi si proclama fu oggetto dell’omelia di don Tonino Bello nel corso della messa che venne teletrasmessa da Rai1 domenica 27 novembre 1988 (https://pietrevive.blogspot.com/2018/12/don-tonino-bello-e-il-vangelo.html).

Il video di quella predicazione, ora disponibile su Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=IT2PXO1BrDU&t=26s) è talmente intenso, commovente, ripieno di verità, che dovrebbe essere visto e rivisto più volte da tutti gli omileti che oggi prenderanno la parola dagli amboni delle chiese. Chi qui scrive non teme di confessare d’aver pianto, sia perché ricorda la visione in diretta di quella liturgia, nel lontano 1988, sia perché da lì iniziò una conoscenza che lo portò – questo povero scrivente – ad amare senza riserve la terra di Puglia capace di un vescovo simile ed ad andare a vivere, così, con quel vescovo, fiano a fianco, la Settimana Santa del 1991.

I tuoni di novembre, dunque, non spaventano più di tanto. Sono forieri di un’eccedenza, di un’alterità, di un “di più”, che non riusciamo, provvidenzialmente, a capire e sistematizzare.

Restano i nostri sogni, restano le nostre utopie, i nostri progetti, le nostre visioni di futuro e di presente, anche quella di prendere un caffè ad Odessa o di studiare, da donna, teologia in Germania: intelligenti pauca.

Che sia, per ognuna ed ognuno delle nostre lettrici e dei nostri lettori, una buona domenica.