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Teresa di Lisieux - foto di autore sconosciuto tratta da commons.wikimedia.org

Teresa



di Stefano Talamini



Che si sarebbe prima o poi trovata a quel cospetto, Teresa l’aveva sempre un po’ creduto, ma un po’ anche dubitato.

Da bambina era andata in chiesa, come tutti; e poi, come tutti, pian piano aveva lasciato cadere quell’abitudine, che era diventata un vago ricordo quando nella sua vita era apparso Giovanni portando nuove gioie e nuovi dolori.

È vero, talora vi era tornata in occasione di una cerimonia per i vivi o per i morti e di tanto in tanto per una visita turistica a un qualche santuario; ma a parte queste rare occasioni, ben poco.

Il pensiero, ecco, sì, il pensiero di una vita oltre la vita lo aveva a volte seguito lungo tortuosi pensieri mentali, tra sospetti e incertezze, ma quasi vezzeggiandolo come un trastullo del tempo libero. Ma ora…

Si chiamava Efrem, almeno così gli aveva detto di chiamarlo. Da quando il suo vecchio corpo era diventato freddo e lontano, Teresa non era più certa nemmeno di quello che le sembrava di udire. Efrem l’aveva subito avvicinata, si era preso a cuore di consolarla del suo smarrimento e l’aveva accompagnata nell’esplorazione di quel mondo così nuovo e dissonante, dove nulla appariva eppure tutto era permeato di presenza. Un passo alla volta aveva preso confidenza con la mutata realtà (ma era veramente realtà? O era sogno?) e lentamente aveva cominciato a intendere parole diverse, a vedere spettri di luce sorprendenti, a provare sensazioni inusitate o percezioni che le erano state familiari ma ora la travolgevano, ingigantite e irreprimibili.

Un mondo nuovo, cui aveva iniziato ad abituarsi, senza tuttavia intuirne le finalità. Un mondo che da un lato la entusiasmava, dall’altro le accresceva nel cuore una sensazione che avrebbe voluto chiamare angoscia o tormento, se solo fosse riuscita a stabilizzare nella mente quei due sostantivi.


- Cosa mi succede ora? – aveva chiesto a Efrem.

- Ti succede che stai adeguandoti al tuo universo attuale e alle molte cose che ancora deve cominciare a fare.

- Pensavo, un tempo, che avrei riposato nella pace – e le scappò un risolino involontario.

- Lo pensano in molti, ma poi capiscono. Ora però non affannarti, non è ancora giunto per te il momento delle faccende. Ora lasciati andare ancora un po’ e cerca di goderti la passeggiata.


Passeggiare…

Chissà perché aveva usato quel termine? A Teresa era sempre piaciuto passeggiare, camminare, percorrere sentieri pianeggianti o impervi, per quell’indescrivibile sensazione che le gambe trasmettevano a tutto il corpo, come un’onda che lentamente lo percorreva trasformando la fatica in piacere, a volte persino in euforia. Ma ora il suo corpo non c’era più, giaceva dimenticato chissà dove e di esso, ora, ben poco gliene calava. Un’ulteriore intuizione l’attraversò e finalmente ottenne la risposta alla domanda che fin dal principio l’aveva angustiata: chi era ora? Cos’era diventata? Non era un corpo e non era uno spirito, almeno non come si era sempre immaginata che fosse uno spirito. Pura essenza? Ora le sembrava un’espressione vuota di significato, perché invece era lei, proprio lei com’era sempre stata, quella che per tutta la vita aveva intessuto un lungo ininterrotto dialogo silente, nascosto al mondo ma ben presente e saldo nella sua coscienza. Era sempre Teresa, era sempre lei: se stessa, ma senza il corpo!

Si sentì illuminare dentro e le parve di aver conquistato un altro grado della nuova conoscenza.

Efrem, come se avesse letto al volo quel pensiero, l’aveva lestamente avvicinata: - Bene, ora che hai capito possiamo preparaci al Giudizio.

Il Giudizio!

Da quando era arrivata, non aveva mai rivolto una sola considerazione al pensiero del Giudizio!

C’era stato un tempo (ma quale tempo? Il tempo non esiste) in cui Teresa si era talvolta turbata immaginando che un giorno lontano le sarebbe stato chiesto conto delle sue azioni, dei suoi pensieri, delle sue mancanze. Ogni bivio che aveva superato imboccando la via più agevole – una via però offuscata dalla consapevolezza o dal presagio di non aver compiuto la scelta più onesta – le aveva presto o tardi rammentato antiche e mai sopite ammonizioni sul peccato, sulla giustizia divina e sull’inesorabile giorno in cui il ricco possidente avrebbe chiesto il rendiconto all’amministratore infedele. Tuttavia, il male l’aveva fatto e ora non poteva più riavvolgere il filo e tornare sui suoi passi, né tantomeno vagheggiare di eclissarli.

Se avesse avuto ancora il corpo si sarebbe seduta e avrebbe chinato il capo.


- Ora li ricordo tutti, i passi errati. E più di altri ricordo le maldicenze inventate contro mia nuora; l’inganno con cui sottrassi un terreno a mio fratello; i tanti dispetti contro i miei vicini di casa; la notte che lasciai mia madre morire da sola; tutti i tradimenti che feci al mio povero marito; il figlio di uno di quei tradimenti, che uccisi in grembo; le accuse false con cui feci umiliare la collega d’ufficio; le tante bugie; le troppe omissioni. Io mi accuso, sì mi accuso di questi e di tutti gli altri peccati. Ora ricordo anche il libro che rubai alla biblioteca, la caramella che nascosi per non darla alla cuginetta...


L’aria rarefatta del silenzio sottile che l’avvolgeva fu scossa dal fragore improvviso di una risata. Efrem, il suo custode, rimbombò con tutto il vigore di quello che poteva essere un corpo, ma un corpo immenso e pervadente. Sembrò a Teresa che non ridesse solo quella presenza ormai così cara, ma che ogni sua ilare vibrazione si espandesse intorno come i cerchi nell’acqua che diventano più larghi a mano a mano che si allargano; e che lei fosse in ognuno di quei cerchi e ne venisse avviluppata.


- Basta, basta per favore! - proruppe Efrem terminando di sghignazzare un po’ alla volta – Sennò finisce che arrivi alla vita intrauterina! Non funziona così!

- E allora come funziona?

- So che ti piacevano i vestiti. Immagina di avere un armadio aperto davanti a te, da riempire con un grande baule di vestiti; ma tu di bauli ne hai due: uno di vestiti belli, nuovi, eleganti; l’altro di vestiti, brutti, laceri, sporchi. Quali vestiti tieni e quali butti via?

- Che domanda! Tengo quelli buoni e gli altri li butto!

- Anche qui facciamo così: teniamo solo le cose buone e bruciamo quelle non buone. E d’ora innanzi – o meglio: dal Giudizio in poi – indosserai solo i vestiti belli, ché gli altri, quelli sporchi, laceri e brutti, non ti servono più.

- Questa non me l’aspettavo!

- Ti ricordi cosa ti disse un giorno quella carmelitana di Venezia? “Verrete giudicati sull’amore”. È tutto ciò qui ci interessa.

- Ma... il giudizio allora?

- Aspetta... – e Teresa intuì un sorrisetto divertito del suo mentore.

La Voce parlò:

- Buon Giorno, Teresa. Ora puoi dire il tuo giudizio su di me.

- Come? – esclamò lei sbalordita – Sono io che devo essere giudicata…

- Sì, ma questo solo dopo che tu mi avrai giudicato. Perché io ti possa giudicare è necessario che prima ascolti il tuo giudizio su di me.

- Ma…

- Coraggio, ora puoi.

- Io… Io… - Teresa sentì ridestarsi dentro di sé l’eco intensa e veemente di tutto il suo passato – Io ti ho imprecato contro tante volte, perché troppe cose mi andavano per il verso storto. E ogni volta che ti ho chiesto aiuto me lo hai negato, mi hai abbandonata tra le mani di chi mi voleva male, non hai protetto né me né i miei cari, gli affetti più dolci me li hai tolti appena avevo iniziato ad amarli, hai permesso che dei miei sogni fosse fatto strame! E tutti i dolori che mi hai causato…

- Dimmene uno, me ne basta uno soltanto…

- Quando avevo sedici anni il mio cuore era tutto per Giovanni e tu te lo sei preso mentre correva felice, mentre veniva da me in sella alla sua moto.

- Mi scuso e ti ringrazio. Ora è il tempo del giudizio su di te.

Tutta l’essenza di Teresa iniziò a fremere.

- Ti ho visto spesso fare del bene. Hai avuto pietà di chi soffriva, hai consolato molte amiche afflitte, hai usato la tua forza per sopportare i pesi altrui, hai cucinato molti cibi e medicato tante ferite; da bambina mi hai cercato con cuore puro. E hai molto amato. Ma non è questo il tempo di ricapitolare tutto il bene, per ora ti basti ricordare quel giorno in cui un uomo stanco e assetato bussò alla tua porta e tu gli offristi un bicchiere d’acqua: questa è la sostanza del tuo bene.

- E il male che ho fatto?

- Quale male? Il male non esiste, il male è una creatura degli uomini, non di Dio. Ora puoi andare dove vuoi.

- Ma sono nuda!

- Ho bruciato i tuoi vestiti sudici, logori e inutili e ho tenuto solo quelli splendenti: scegline uno e vai, alla tua nuova Vita.