Foto di Gianni Passante

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The Rabbi is in


Ogni discesa comprende in sé stessa l’ascesa (Shlomo An-sky, Il Dybbuk)


di Miriam Camerini


Tutto ciò che vive soffre, ma c’è sofferenza che costruisce e sofferenza sterile: tutto sta nel saper distinguere l’una dall’altra.

Un racconto rabbinico contenuto nel Talmud babilonese, trattato di Avodah Zarah pagina 8a, ci parla di Adamo e del suo sgomento davanti alle giornate di questo periodo dell’anno, nel loro farsi sempre più corte. Il primo umano, così terreno da portare la sua radice anche nel nome, non sa che cosa sta succedendo e terrorizzato si dice: “Certo è causa mia, perché ho peccato, che il mondo sta tornando al caos primo e anche io tornerò certo a essere polvere, perché da lì sono venuto”. Nella speranza di poter ancora modificare il corso degli eventi, il primo uomo indice otto giorni di penitenza e digiuno, chiedendo perdono al Creatore. Quando Adamo vede che i giorni, passato il novilunio di Tevet, che quest’anno cade sabato e domenica prossimi, tornano ad allungarsi, si rincuora e dice a sé stesso: “Certo questa è la condotta del mondo” e stabilisce otto giorni di banchetti e allegria, musica e feste.

Il Rabbino con cui studio ci ha recentemente spiegato così questa storia: “Adam è il primo a festeggiare la scoperta che non tutto dipende da lui e che il mondo non gira attorno alla sua persona soltanto”.

La sezione biblica che si è letta ieri in sinagoga contiene due discese di due fratelli, uno dopo l’altro: il primo è Giuda, Yehuda, uno dei figli di Lea e del patriarca Giacobbe, che in Genesi 38 “scende” da presso i suoi fratelli. Il testo non spiega che cosa intende con questa “discesa”, ma, nel corso di un racconto breve e sintetico, Giuda incontra una donna, Tamar, e – senza riconoscerla come sua nuora – si unisce a lei. Ne nasceranno due gemelli, uno dei quali progenitore del Messia, figlio di Davide.

L’altro figlio di Giacobbe, Giuseppe, figlio di Rachele, scende – siamo al capitolo successivo, il 39 – in Egitto, venduto dai suoi fratelli ai mercanti di schiavi e anche lui nella sua discesa incontra una donna, la moglie di Potifar, il suo capo, ministro del Faraone. Giuseppe, a differenza del fratellastro, non “cede” alla donna che gli si offre e – laddove Tamar si era celata il viso con un velo – la moglie di Potifar, respinta, lascia in mano i suoi abiti a Giuseppe, proprio a colui che della sua speciale e bella tunica era stato spogliato dai fratelli.

Giuseppe scende ancora di più: viene gettato in una prigione che ha lo stesso nome, bor, di quella cisterna vuota, senz’acqua, nella quale poche righe prima lo avevano rinchiuso i fratelli, tramando di ucciderlo.

La tradizione rabbinica, e in seguito quella chassidica, parlano di un “Messia temporaneo”, “dell’emergenza”, un Messia provvisorio che verrà prima di quello finale e ultimo. Il primo Messia è il figlio di Giuseppe (attenzione a non confondersi: stiamo parlando di questo Giuseppe, il figlio di Rachele e di Giacobbe) mentre il secondo – e definitivo – Messia è il figlio di Davide, quindi di Giuda.

A volte bisogna scendere in basso per portare redenzione nel mondo

Auguri di luce



Le belle bandiere, Teatrino Franco e Franca Basaglia - Trieste, 2 ottobre 2022 - foto di Gianni Passante

Foto, qui, di Stefano Sodaro durante il Concerto Caffè Odessa tenutosi a Matera il 19 maggio 2022 e durante la rappresentazione Le Belle Bandiere, tenutasi al Castello di Casalgrande (RE) il 7 luglio 2022.

Foto di Stefano Sodaro, spettacolo Le Belle Bandiere, Trieste - 2 ottobre 2022

Numero 692 - 18 dicembre 2022