Chiesa e comunità (continua)
di Dario Culot
Pubblicato il volume di Dario Culot che ripropone in una nuova veste editoriale, ed in un unico libro, molti dei suoi contributi apparsi sul nostro settimanale: https://www.ilpozzodigiacobbe.it/equilibri-precari/gesu-questo-sconosciuto/
A chi sostiene che non si può essere cristiani se non si è inseriti nella Chiesa e non si obbedisce al magistero della Chiesa, obietterei: non è vero che se uno cerca di seguire Gesù ispirandosi ai suoi esempi e alle sue parole, ma sta fuori del recinto della Chiesa, resta un infedele senza fede e senza grazia, e tutte le sue buone azioni non contano nulla perché non fatte, appunto, in stato grazia. Non è forse vero che l’eretico samaritano (Lc 10, 25ss.), e non il pio sacerdote, è stato additato come vero credente? Non è forse vero che Gesù ha ammirato la fede del centurione romano (Mt 8, 5-13) o della donna emorroissa (Mt 9, 20-22) i quali non erano sicuramente osservanti scrupolosi della legge divina insegnata dal santo magistero?[1] Non è vero che è stato un centurione pagano a riconoscere che Gesù era veramente Figlio di Dio (Mc 15, 39), mentre Pietro – che stando all’insegnamento dovremmo seguire,- ha rinnegato Gesù ed è fuggito come tutti gli altri seguaci diretti del Maestro?
Nell’ultimo capitolo di Giovanni c’è questo gruppetto di sette (fra apostoli e discepoli)[2] – rappresentativo della prima comunità che segue Cristo. Questa comunità (che rappresenta tutta la Chiesa, e che quindi non è affatto fondata sui soli 12 apostoli) cerca prima di pescare da sola, su iniziativa di Pietro che si erge a capo, ma non pesca nulla; poi fa una pesca ricca dopo essere stata rimandata in acqua dal Risorto[3]. Dopo la pesca Gesù, che ha già preparato il fuoco, invita tutti con un: “Venite a mangiare” (il chiodo fisso di Gesù: la condivisione del pasto). Gesù non lascia mai soli i suoi. L’evangelista qui ci sta probabilmente dando un’indicazione dell’eucaristia diversa da quella degli altri evangelisti, ma prendere il pane e distribuirlo indistintamente a tutti richiama proprio l’eucaristia perché vengono usate le stesse parole adoperate dagli altri evangelisti per l’ultima cena. Di più: mentre nella traduzione italiana si mantiene il passato remoto (“Gesù prese il pane e lo diede loro”) per mantenere la giusta consecutio temporum ma così dando l’impressione di una fatto storico ormai passato, il testo greco passa inopinatamente dal passato remoto (Gesù disse loro: “Venite a mangiare”) al tempo presente (“prende il pane e lo dà”). Ovviamente non si tratta di un grossolano errore grammaticale da parte di uno scrittore poco istruito: non ci sono errori di questo tipo nei vangeli. L’evangelista fa presente che ogni volta che Gesù si incontra con la sua comunità rinnova gli stessi gesti; ogni volta, quindi ieri come oggi, in ogni tempo, in ogni comunità, quando Gesù si manifesta si fa pane e si comunica come alimento di vita. La sua è una vita donata totalmente agli altri. Questo è il significato dell’eucaristia: un amore ricevuto da Dio, che viene accolto e si trasforma in amore comunicato per gli altri, affinché poi quanti lo accolgono e lo assimilano, siano a loro volta capaci di farsi pane, alimento di vita per gli altri, diventando così tutti figli dello stesso Dio[4]. Chi invece mangia il pane senza condividerlo, tenendolo solo per sé stesso (chi va autonomamente a pesca, senza pensare agli altri), non ha capito il senso dell’eucaristia. E anche in questo episodio viene rimarcata la stessa distanza dal centro del cerchio (Gesù) fra apostoli e discepoli; non c’è una gerarchia piramidale: più in alto gli apostoli, sotto gli altri discepoli[5]. Non c’è nessun primato, neanche per Pietro che è lì presente con gli altri, e Gesù non lo mette alla sua destra, non lo fa suo vicario[6].
Perciò l’essere seguaci del messaggio cristiano non dipende dall’autorità che lo afferma, che si arroga il diritto di dare timbri attestanti chi è buon cristiano,[7] ma dagli effetti che produce attorno a sé: se un insegnamento arricchisce la vita, viene sicuramente da Dio che è l’autore della vita, anche se non viene dal magistero. Se un insegnamento fa soffrire, produce negatività, spegne la vita, non può venire da Dio anche se viene dal magistero.
Per essere cristiani non basta neanche obbedire al magistero. A coloro che sono convinti che la Verità Assoluta sia stata già definitivamente incamerata nel Depositum fidei della Chiesa, che quindi la fede consiste nel credere alla dottrina insegnata dal magistero, e chi non obbedisce all’autorità del magistero è già fuori, ricordo semplicemente questo episodio: il cieco nato, una volta guarito e cacciato dalla sinagoga (cioè scomunicato dalla Chiesa) perché non ha voluto ammettere pubblicamente che Gesù era un peccatore avendolo guarito di sabato violando il precetto tradizionalmente accettato e fondato sul riposo di Dio stesso nel giorno di sabato, torna poco dopo a incontrare Gesù per la seconda volta e fa l’affermazione fondamentale di fede: “Credo, Signore” (Gv 9, 38). E allora, se il Vangelo ci sta dicendo la verità, arriviamo a questa conclusione tremenda: la fede in Gesù e nel suo Vangelo è possibile e autentica quando uno si comporta in maniera tale da vedersi rifiutato e scomunicato dalla religione ufficiale[8].
Parliamoci chiaro: oggi la prima e più grande divisione e distinzione all’interno della Chiesa, ancorché per ora non formalizzata da uno scisma vero e proprio è questa: una parte si ritiene credente perché privilegia il culto, tiene nettamente separato il sacro dal profano e crede a una determinata dottrina, mentre qualifica non credenti coloro che non seguono questo stesso indirizzo. Un’altra parte si ritiene credente, a prescindere dalla dottrina e dal culto, perché fuori della chiesa, e quindi nel profano, nel quotidiano, si comporta in una maniera che cerca di imitare il comportamento di Gesù; quest’altra parte ritiene bigotto il primo indirizzo[9].
Per questo secondo gruppo, al quale do la mia preferenza, la ortoprassi è più importante dell’ortodossia. Inutile credere a tutti i dogmi, conoscere tutte le dottrine, se poi non si vive o non si cerca di seguire il modo in cui Gesù ha vissuto in terra. Ricordo che, fra le parole di Gesù c’è questo ammonimento “Sapranno che siete miei seguaci dall’amore che dimostrerete gli uni verso gli altri” (Gv 13, 34s.), non dalla dottrina insegnata dai legittimi pastori della Chiesa ai quali bisogna obbedire. Poi aveva anche detto che dai frutti che producono si riconosceranno le persone (Mt 7, 15-20). Ovviamente i buoni frutti non possono essere l’andare a messa, confessarsi assiduamente e credere ai dogmi: sono forse condotte che inorgogliscono il proprio Io, ma nessuno di questi comportamenti ha rilevanza sugli altri. La grande rivoluzione religiosa compiuta da Gesù è quella di aver aperto un’altra via di accesso a Dio, diversa da quella del sacro: l’aiuto al fratello bisognoso. La religione non ha più il monopolio della salvezza attraverso la via sacra; il cammino più sicuro è quello dell’aiuto al bisognoso[10]. Quindi solo cercar di vivere come è vissuto Gesù, per gli altri, è ciò che ci rende primariamente cristiani. Non basta l’apprendimento di una dottrina e l’osservanza del culto e dei precetti, ma occorre la sequela di Gesù, l’identificazione con la sua vita[11]. Gesù non ha mai fissato alcun dogma né ha dispensato dottrine cui credere. Ha chiesto di produrre buoni frutti: quindi ortoprassi più che ortodossia.
Ripeto perciò ancora una volta la pregnante affermazione del teologo americano Paul Knitter:[12]«non c’è dubbio che una teologia, per quanto “vera” appaia e per quanto risulti “ortodossa”, se poi, al momento della verità, quel che produce è divisioni tra la gente e tra i gruppi umani, sottomissione umiliante degli uni agli altri, aggressioni a coloro che non la pensano come me o umiliazioni per coloro che sono considerati avversari e, soprattutto, quel che genera è indifferenza di fronte a tanta sofferenza e tanta miseria come vediamo dappertutto, una simile teologia (con tutta la sua “verità” e la sua “fedeltà”) non è se non l’espressione della menzogna e dell’inganno, l’ “errore” insediato nella più stretta “ortodossia”».
Questa idea, che a me sembra basilare, trova conferma in vari passi dei vangeli, come ad esempio in Matteo: se siamo effettivamente convinti che i vangeli sono una Buona Novella valida anche per oggi, anche oggi dobbiamo continuare a guardare ai frutti dell’albero dell’insegnamento religioso che ci viene proposto: ogni albero buono deve dare buoni frutti (Mt 7, 17-18). Quando un albero ha buoni frutti, sono gli altri che si avvicinano e allungano le mani per coglierli. Al contrario, se i frutti sono tossici (Mt 7, 19: «dai loro frutti li riconoscerete»), nessuno si avvicina a quell’albero. Allo stesso modo, allora, un insegnamento che non ci fa vivere meglio, che porta paura, continui sensi di colpa, visioni terrificanti, oppressione, non può venire da Dio. Non almeno dal Dio che ci ha rappresentato Gesù; non dalla sua Buona Novella.
Anche la storia di Nathan il Saggio, pensata da un protestante tedesco nel 1700, resta sempre attualissima: bisogna guardare al comportamento, a come uno vive, a cosa una fa, non a cosa uno dice di credere («Ognuno faccia a gara per dimostrare alla luce del giorno la virtù della pietra nel suo anello»:[13] cioè mostri ognuno col suo comportamento l’autenticità e superiorità della propria gemma, della propria religione), perché le parole sono tante come le foglie, mentre solo le opere sono frutti (1Cor 4, 20), proprio come nella parabola del fico maledetto (Mc 11, 12-20), che si è seccato perché non portava frutti[14].
Ovviamente nessun essere umano è in grado di farsi carico di tutti, e neanche Gesù si è fatto carico di tutti. Ognuno deve semplicemente farsi carico degli altri che incrociano la sua strada. Neanche Gesù, senza quei cinque pani e quei due pesci (Mt 14, 17; Mc 6, 38; Lc 9, 13; Gv 6, 9), che gli sono stati portati, avrebbe potuto fare il ‘miracolo’ della condivisione. Occorre, allora, per prima cosa il nostro miracolo: la vittoria sull’egoismo, l’interessarsi agli altri, la condivisione, la compassione.
Infine, i valori dei vangeli sono lì ad indicare una meta da raggiungere, mentre non devono essere trasformati in norme giuridiche. Troppe volte invece il magistero ha tradotto in norme giuridiche alcuni dei principi cui bisogna tendere. Si pensi, per fare un esempio, a come l’indissolubilità del matrimonio sia stata trasformata dal magistero in norma giuridica. Certo, Dio vorrebbe che l’amore fosse fedele nel tempo, come lo è il suo, ma – a differenza di quel che avveniva nell’Antico Testamento - Egli non ci impone leggi perché restiamo fedeli. Del resto nei vangeli l’invito alla povertà è molto più insistito rispetto all’indissolubilità del matrimonio, eppure la Chiesa non si è mai sognata di trasformare questo valore in norma giuridica vincolante[15]. L’avrebbe obbligata in prima persona.
---
In conclusione? Dire che è cristiano chi va a messa le domeniche e gli altri giorni di precetto, mentre non è cristiano chi non va a messa, è – a mio avviso - un metro assolutamente sbagliato per stabilire chi è veramente cristiano[16]. Poi mi sembra di poter dire che ci sono indubbiamente dei casi in cui la verità sta alle nostre spalle, sì che l’insegnamento ben si può trasmettere per tradizione. Il teorema di Pitagora che tutti abbiamo studiato a scuola, ad esempio, viene trasmesso immutato da oltre duemila anni. Giustamente, perché non è cambiato. Si è cercato di fare lo stesso anche con la religione cattolica, dove si è ritenuto di avere la Verità – ormai rivelata,- alle spalle e per secoli si è pensato di poterla trasmettere, sempre allo stesso modo, senza che le nuove generazioni potessero aggiungere qualcosa, con una dottrina consolidata e immutata. In questi termini si intendeva la tradizione, nella convinzione che la Parola di Dio comunicata a viva voce da Gesù e dagli apostoli, fosse giunta inalterata di secolo in secolo per mezzo della Chiesa fino a noi (n. 889 Catechismo Pio X). Tradizione vuol dire considerare che le verità sono tali perché ci sono giunte da un passato ormai lontano, per cui deve essere vera perché si è sempre pensato così[17]. La staticità più assoluta.
Con papa Giovanni XXIII si è cominciato a pensare diversamente e in maniera dinamica. Con l’Enciclica Pacem in terris,[18] partendo dal principio che Dio si muove nella storia, questo papa aveva raccomandato di guardare ai segni dei tempi, e nel discorso inaugurale di apertura del concilio Vaticano II,[19] affermando che lo spirito cristiano attende un balzo innanzi verso una penetrazione dottrinale e una formazione delle coscienze, faceva capire che la Chiesa non doveva temere di introdurre i cambiamenti ritenuti opportuni o sentirsi vincolata alle vecchie forme. Poi questo papa ha anche ben chiarito che non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio[20].
Perciò oggi trasmettiamo il Vangelo come lo capiamo oggi, cercando di cogliere ciò che è essenziale; e spesso ci accorgiamo che l’interpretazione di oggi è assai diversa da quella fornita in passato. Non dobbiamo sederci lungo la strada soddisfatti per aver ormai raggiunto la Verità consegnataci in un piccolo scrigno, ma dobbiamo attivarci per riconoscere in che direzione si muove lo Spirito (che come il vento soffia dove vuole, tu ne odi il rumore, ma non sai né da dove viene né dove va – Gv 3, 8), stargli dietro, per realizzare qualcosa di nuovo; dobbiamo cioè assecondare il Signore che agisce nella storia, e seguirlo anche se fa cose che non ci aspettiamo.
Oggi non si pensa più che dobbiamo restare fermi, ma anzi dobbiamo essere sempre in cammino, nella convinzione che la verità sta davanti a noi e non dietro a noi. Non sono le dottrine trasmesse per tradizione che ci fanno amici di Dio. Perciò se davanti a noi s’intravede una via nuova verso la verità, perché desistere dal percorrerla per timore di scontentare l’insegnamento tradizionale? “Perché non giudicate da soli ciò che è giusto?” (Lc 12, 57) diceva Gesù. Perché chiudere la propria mente a quella che può essere una verità nuova (al Dio che viene - Ap 1, 4.8) solo perché finora non era emersa nell’insegnamento ufficiale? Solo essendo consapevoli che Dio resta comunque un mistero mai pienamente conoscibile evitiamo di assolutizzare le parole e così diventiamo più aperti, più accoglienti e più tolleranti,[21] perché riconosciamo che imprigionandoci da soli in convinzioni assolute, che c’impediscono di considerare altri punti di vista, di ascoltare esperienze diverse, ci aggrappiamo a pregiudizi i quali non ammettono che altri possano avere ragione.
Naturalmente non dico che i progressisti sono sicuramente migliori dei conservatori, che vorrebbero tornare al buon tempo antico. Però se Cristo ci precede (in Galilea – Mt 28,7), egli è davanti a noi, non dietro a noi. Cercarlo altrove significa non incontrarlo. Perciò è cristiano colui che permette al Vangelo di sorgere come Vangelo: potenza di vita capace di salvarci dalle nostre propensioni negative[22].
---
Mi fermo definitivamente qui, e spero di esser riuscito a spiegare, in queste settimane, almeno a grandi linee, cosa io penso si debba fare e in cosa si debba credere per diventare pian piano cristiani. Spero con ciò di aver risposto alla domanda che mi è stata posta il 9.6.2024, alla quale ho cominciato a rispondere con l’articolo al n. 769 di questo giornale (https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-769-9-giugno-2024/dario-culot-cristiani-credenti).
NOTE
[1] Gounelle A., Parlare di Cristo, ed. Claudiana, Torino, 2008, 34.
[2] Il numero 7 si trova nelle Sacre Scritture circa 600 volte, e ogni volta indica un’azione che si compie per volontà divina: Gerico cade dopo che si sono suonate 7 trombe per 7 giorni, e si è girato 7 volte attorno alle sue mura (Gs 6, 8ss.). Insieme al n.1 (assolutezza) e 3 (perfezione), il 7 (completezza) era considerato numero divino. Qui, il numero 7 indica che la comunità è al completo: apostoli + discepoli.
[3] Pietro prende l’iniziativa non in un’ottica comunitaria e di servizio, ma in un’ottica egoistica e personale: «io vado a pescare». Gli altri, il resto della comunità, gli va dietro, ma così segue Pietro invece di seguire Gesù, e quando si segue Pietro il risultato è il fallimento totale. Parlando della vite e dei tralci Gesù aveva detto: «Senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 5). Infatti escono in barca ma quella notte non pescano nulla. La notte, poi, non è soltanto la parte buia del giorno; la notte è l’assenza di luce, la mancanza di Gesù senza il quale non si può operare (Gv 9, 4). Ed è interessante appunto notare come nei vangeli questi pescatori, pur professionisti, non riescano mai a prendere un solo pesce senza l’aiuto di Gesù. Siccome non è pensabile che dei professionisti non sappiano pescare, la mancata pesca deve essere sempre intesa in senso teologico, e non in senso storico. Ma questo significa anche che, pur aspirando Pietro ad essere sempre il capo della comunità e a farsi seguire dagli altri, in realtà non ha ricevuto nessun incarico in tal senso; per di più se lo si segue si va al fallimento.
[4] Maggi A., Commento al Vangelo di Giovanni, 14.4.2013, in www.studibiblici.it/Omelie.
[5] Invece il prete, a messa, parla sempre da una posizione più alta rispetto ai fedeli.
[6] La gerarchia piramidale , apprezzata per secoli dal nostro clero, tanto da far dire a papa Pio X che: “la chiesa è una società formata da due categorie: i pastori e il gregge…e solo nel corpo pastorale risiedono il diritto e l’autorità necessari per indirizzare correttamente tutti i membri…la moltitudine non ha altro dovere che lasciarsi guidare e seguire docilmente le direttive dei pastori” (in www.vatican.va/ Sommi pontefici/ PioX sito_web/ Encicliche/ Vehementer nos 11.2.1906), oggi non non fa più presa.
Nella costruzione piramidale gerarchica ideata dagli uomini, e ancora oggi seguita dalla Chiesa cattolica, il più vicino a Dio è ovviamente chi sta in alto: il papa. Gesù non condivide quest’impostazione e si è messo a servizio dei più poveri, alla base della piramide occupata dagli emarginati, da quelli che nel mondo non contano niente. Se questo è vero, se accettiamo l’immagine di Dio trasmessaci da Gesù, gli impuri e gli emarginati sono i più vicini a Dio. Ma ne consegue che rovesciando la piramide chi sta oggi in alto diventa, necessariamente, il più lontano da Dio.
Di piramide rovesciata, in cui coloro che esercitano l’autorità sono i più piccoli di tutti, ha parlato anche papa Francesco nel suo discorso del 17.10.2015 per il 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi da parte di papa Paolo VI. E questa idea, a differenza della prima che ha retto per secoli, trova base proprio nel Vangelo: dopo aver visto Gesù appena nato, i pastori ritornarono glorificando e lodando Dio (Lc 2, 20). A noi la frase non dice gran che, ma per i lettori di allora era inaudito. Nella concezione di allora, nel libro giudaico che si chiama il libro di Enoch (1 Enoch 40, 1-10.Il libro dei segreti d Enoch, leggibile in italiano su internet: www.viveremeglio.org/ area volumi e manuali/ Cristianità) Dio viene considerato inavvicinabile e inaccessibile nell’alto dei cieli. Ci sono 7 cieli; al terzo c’è il paradiso (2Cor 12, 2-4); al di sopra del settimo cielo c’era Dio (ancora oggi diciamo di essere al settimo cielo quando siamo molto felici). Attorno a Dio c’erano 7 angeli (Tb 12, 15), chiamati gli angeli del servizio divino che avevano l’unico compito di glorificare e lodare il Signore (vedi anche Ap 8, 2, dove i 7 angeli del servizio arrivano dalla tradizione ebraica). Quindi che i pastori, feccia impura della società, i più lontani da Dio, gli esclusi da Dio, siano equiparati agli angeli più vicini a Dio (Maggi A., Non ancora madonna, ed. Cittadella, Assisi, 2004, 71) è sicuramente schockante: la piramide costruita dalla religione viene rovesciata!
[7] Ricordate il vescovo americano Naumann? Solo i vescovi possono dire chi è crisitano e chi no (cfr. l’articolo Cristiani credenti, al n. 769 di giugno 2024 di questo giornale, https://sites.google.com/view/rodafa/home-n-769-9-giugno-2024/dario-culot-cristiani-credenti).
[8] Castillo J.M., El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2018,119).
[9] È stata fatta questa pregnante osservazione: «a partire dal sec. III fino al sec. VIII il cristianesimo ha vissuto e gestito la Chiesa in maniera tale da creare una confusione irrisolta dopo tanti secoli. La confusione è consistita nel fatto che ha mescolato e fuso il Vangelo di Gesù con la religione che proveniva dal giudaismo e come si viveva nell’impero. Ebbene, questa fusione di “religione” e di “Vangelo” non è stata ancora oggi risolta. Ecco perché la Chiesa, in modo del tutto naturale, vive un gran numero di cose che contraddicono ciò che Gesù, la Parola di Dio e il Figlio di Dio, ha detto e fatto. E Gesù ha dato tanta importanza a queste cose da perderci la vita. A cosa sto facendo riferimento? Al “potere” ed alla sua maniera concreta di esercitarlo. Al “denaro” e ai rapporti oscuri che la Chiesa ha con questa questione capitale. E alle “relazioni umane” che la Chiesa consente e mantiene, che non sono proprio relazioni di “uguaglianza” e “bontà” nell’amore reciproco, e che la Chiesa non risolve» (Castillo J.M., Il disinteresse per l’elemento religioso, pubblicato in spagnolo il 25.07.2020 nel Blog dell’Autore in Religión Digital - www.religiondigital.com).
[10] Pagola J.A., Gesù, un approccio storico, ed. Borla, Roma, 2009, 216s.
[11] Castillo, El Evangelio marginado, Desclée De Brouwer, Bilbao, 2018, 114)
[12] Riportata da Castillo J.M., Fuori dalle righe, ed. Cittadella, Assisi, 2010, 119.
[13] Lessing G. E., Nathan il saggio, ed. Garzanti, Milano, 2000, 163.
[14] Vedasi Maggi A., Come leggere il Vangelo e non perdere la fede, ed. Cittadella, Assisi, 2006, 133 ss.
[15] Conferenza di don Sergio Chiesa, La Chiesa nel mondo contemporaneo in atteggiamento di ascolto e offerta, tenuta a Vicenza il 18.1.2013.
[16] Cfr. Diotallevi L., La messa è sbiadita. La partecipazione ai riti religiosi in Italia dal 1993, Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ),2023: in cifre si è passati dal 37,3% della popolazione che assiste alla messa domenicale nel 1993 al 23,7% nel 2019, con un calo di un terzo. Oggi gli anziani, per lo più donne, hanno ancora una presenza cospicua e visibile alle messe domenicali, in un vicino futuro non sarà più così. Una volta usciti di scena questi anziani, saranno molti di meno quelli che li rimpiazzeranno.
[17] In questo periodo di crisi, l’adesione alla fede per tradizione ha ormai i giorni contati. Papa Francesco sostiene che «peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla».
[18] Dell’11.4.1963, in www.vatican.va/ Sommi pontefici/ Papa Giovanni XXII/ Encicliche.
[19] Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, www.totustuustools.net/magistero/g23gaude.htm.
[20] “Quando stava per morire, dopo la Pacem in Terris, papa Giovanni fu accusato da un giornale di aver cambiato il Vangelo per andare incontro ai comunisti e monsignor Capovilla riferisce questa sua frase: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio” (riportata da TV2000 il 10.3.2017 dall’ospite della trasmissione, Alberto Melloni, esperto del concilio Vaticano II). Quindi, comprendendo i vangeli sempre meglio, comprendiamo anche la vita di Gesù sempre meglio.
[21] Molari C., Quando Dio viene nasce un uomo, Gabrielli editori, San Pietro in Cariano (VR), 2023, 277.
[22] Collin D., Il Cristianesimo non esiste ancora, Queriniana, Brescia, 2020, 41s. e 48.