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Spiaggia di Crotone: era la mia ragazza


di 

Stefano Sodaro

 

Davanti alle 59 persone morte in mare oggi, sulla spiaggia di Crotone - e di cui apprendiamo notizia nella serata di questa domenica 26 febbraio 2023 -, davanti ad una strage di queste dimensioni, in chi resta indifferente non scatta l’identificazione. Non scatta mai.

Che cosa accadrebbe se, come in una sorta di vivido incubo, ci avvicinassimo a quei corpi, che il mare ha riversato questa mattina sull’arenile, ci abbassassimo al livello del suolo, voltassimo delicatamente i cadaveri e scoprissimo che il viso è quello di mia moglie, di mia figlia, di mia sorella, di mio fratello, della mia compagna, della mia ragazza, del mio compagno, di mio figlio?

Il problema enorme della nostra cultura politica (non giuridica, dove i diritti umani sono ormai di solare evidenza) e, diciamolo, teologica è che ci chiamiamo fuori. 

Per chi crede nel Vangelo, invece, oggi Cristo giace morto sulla spiaggia di Crotone.

L’immedesimazione della nostra storia con quella degli altri è un orizzonte verso il quale non si punta mai. Non ne vale la pena. 

Afferma nella sua intervista, riportata oggi su “Il Piccolo”, il Vescovo eletto di Trieste, don Enrico Trevisi: «Come Chiesa ci inseriamo nel cercare di aiutare queste persone a integrarsi, tenendo conto che queste sono persone ferite, con dietro dei drammi.»

La ferita degli altri è la mia ferita. Il loro dramma, il mio.

La dimensione cosiddetta “caritatevole” della vita andrebbe aggettivata, piuttosto, come “amorosa”.

L’amore non è pretesa etica confessionale e non è neppure virtù civica, è senso di ogni ora della nostra esistenza. Senza amore, che vita facciamo? E piano con il battage romantico, che spesso ne è la perfetta negazione.

Prendersela con le ONG è prendersela con l’amore. Punto. 

C’è poco da argomentare sotto, sopra, a lato, con mille distinguo. 

Se vedo una persona che annega in mare ho soltanto due possibilità: la lascio morire, cerco in ogni modo di salvarla. E non si dica che l’alternativa è retorica, perché se non esiste, o non esiste più, una cultura dell’alterità, lasciar morire un naufrago in mare può diventare quasi dimostrazione di ammirevole integrità, che non si lascia commuovere ed indebolire.

E questa storia, purtroppo per noi, l’abbiamo già vista: novant’anni fa. Nel cuore della cultura europea. In Italia e in Germania. Non dimentichiamolo e non facciamo finta di niente.

Sulla spiaggia di Crotone giacciono morti i nostri cari.

Dovremmo andare in Cattedrale, qui a San Giusto, a Trieste, chiedere scusa agli insigni relatori chiamati per gli appuntamenti quaresimali della Cattedra di San Giusto e riempire di silenzio lo spazio lasciato vuoto da parole di edificanti conferenze. Riempirlo di silenzio, e di lacrime, fatte preghiera.