“Hiram di Sidone”
di Stefano Agnelli
Mi chiamo Hiram. Hiram e basta, nessun padre mi ha mai dato il suo nome.
Ho trentasei anni, ma pesano sulle mie spalle come fossero il doppio. Poche volte ho consumato un pasto per intero, al caldo d'un focolare o all'ombra fresca di un ulivo, davanti a un desco imbandito. Da che posso ricordare, ho sempre dovuto lottare per ogni pezzo di pane, qualche oliva e un po' di formaggio. Carne poca, solo pesce qui in riva al mare, ma non pescato da me. Sono nato con la mano destra deforme: ho soltanto il pollice, ed è già molto. Ho imparato a fare ogni cosa con la sinistra, aiutandomi con il palmo e l'unico dito della mano destra, più spesso con la bocca. Un uomo di nome Adad mi ha cresciuto, insegnandomi a derubare le vedove, i viandanti nel sonno, a togliere la merce dalle tavole del mercato, correndo veloce – e lo ero ― come una giovane lepre inseguita dai cani con cui, a volte, ho anche litigato per un avanzo tra i rifiuti della città. Adad aveva molti di noi sotto di sé. In cambio dei nostri servizi, ci dava un tetto per le notti più fredde e un po' di pane, ma poi, ogni sera, beveva molto vino e diventava violento, così, una notte in cui era stato più crudele del solito, Baltser lo colpì al volto con un pugno; Adad era grosso come un bue, ma scivolò e cadde malamente, battendo la testa. Morì sul colpo e noi fuggimmo nel buio, disperdendoci. Da allora vago per le strade di Tiro, ho smesso con i furti, faccio piccoli lavori di fatica, ma nessuno mi prende per molto tempo, non sono svelto come gli altri, nessuno mi dà un tetto, fosse anche una stalla.
Oggi l'ho visto anch'io, dopo aver sentito ogni cosa, nel bene e nel male, sul suo conto. Lo chiamano Gesù e pare venga da Nazareth. Avrà la mia età, anno più, anno meno. Non è alto, ma lo sembra. È trasparente come vetro di Hebron, puro di occhi, che mi è capitato di vedere bene passandogli accanto. Non so se sia veramente il Messia come alcuni dicono, ma so che mi ha sorriso incrociandomi e ho sentito un dolce tepore dentro di me, che mi ha fatto scordare la fame – non mangio da tre giorni. Una sensazione simile deve essere quella tenerezza, che non ho mai provato e di cui mi parlò a lungo una giovane donna ad un pascolo, molti anni fa, dopo avermi donato mezza forma di caprino. Ora sono qui, nella piana, poco distante dal mare e l'ho sentito parlare alla moltitudine di persone che si erano radunate per ascoltarlo. Non sembra il Messia dei cieli, piuttosto un pastore: un pastore amorevole, innamorato di ogni sua pecora. Ha detto: «amate i vostri nemici», ed io mi sono sentito morire, perché non ho mai amato nessuno, tanto meno chi mi ha fatto del male; ma ha detto anche: «beati voi che avete fame, perché sarete saziati», ed io la fame la conosco bene, ma credo che per non averne mai più, non basti avere danari in abbondanza, forse ci vuole altro. Credo ci voglia qualcuno come lui, che ci insegni ad amare tutti: solo allora nessuno avrà più fame. Sì, da questa sera, io Hiram di Sidone, credo in Gesù di Nazareth, alle sue parole e lo seguirò ovunque vada.