Albero dei cachi, Magnano - Foto tratta da commmons.wikimedia.org

OMNIA PROBATE


(Ritenete il buono)

2

Thomas Merton


Abolire la guerra


di Guido Dotti



Stiamo raggiungendo il punto in cui dispereremo completamente di quelle misure pacifiche da cui dipende la nostra salvezza. Stiamo arrivando a credere alla guerra come alla “vera soluzione” [...] Il semplice fatto che ora sembriamo accettare la guerra nucleare totale come ragionevole e cristiana è uno scandalo universale […] Abbiamo ancora tempo per fare qualcosa in vista dell’abolizione della guerra, ma il tempo si sta rapidamente esaurendo.

Thomas Merton, La pace nell’era postcristiana, Qiqajon, Bose 2005, pp. 187, 190, 278.




Sono trascorsi oltre sessant’anni da questo accorato appello e il tempo a disposizione per bandire la guerra dall’orizzonte dell’umanità sembra ormai esaurito. Lo stiamo sperimentando in queste settimane, in cui ancora una volta la guerra ha il sopravvento perché il suo scatenarsi fa da detonatore per un linguaggio, una cultura e quindi una prassi radicalmente armata: ci si illude che si possa armare la pace e si considera utopico il disarmare la guerra. Ogni volta che la guerra irrompe nelle nostre vite perché geograficamente o culturalmente vicina a noi, è come se ogni argomento, ogni raziocinio, ogni riferimento a “quelle misure pacifiche” venisse scartato, messo da parte come inutilizzabile nell’emergenza. Quando poi una resistenza armata all’aggressore ha tutti gli elementi per apparire ai nostri occhi come “guerra giusta”, si imbocca la china che conduce verso l’accettazione di un conflitto, anche potenzialmente nucleare, come “ragionevole” e magari perfino “cristiano”.

Eppure già papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris aveva bollato come “alienum a ratione”, estraneo alla ragione, irragionevole “pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (§ 67). Da allora la riflessione teologica in ambito sia cattolico che ecumenico ha progressivamente escluso l’accostamento tra guerra e giustizia, fino a giungere alle esplicite affermazioni di papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti. Accostando non a caso guerra e pena di morte come “due situazioni estreme che possono arrivare a presentarsi come soluzioni in circostanze particolarmente drammatiche”, l’enciclica le definisce “false risposte che non risolvono i problemi che pretendono di superare e che in definitiva non fanno che aggiungere nuovi fattori di distruzione nel tessuto della società”. Ne consegue che “non possiamo più pensare alla guerra come soluzione […] oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!” (FT 258).

Le forti parole di Merton per la pace, scritte nel 1962, allora si scontrarono con il divieto di pubblicazione da parte dei superiori e usciranno postume nel 2004, ma oggi la voce di quel profeta scomodo è divenuta magistero per la Chiesa universale. Forse è evitato lo scandalo di “accettare la guerra nucleare totale come cristiana”, eppure la realtà ci mostra che il macabro fascino esercitato dalla guerra come via efficace per risolvere i conflitti sia ben lontano dall’essere considerato irragionevole della società umana. Anche perché l’abolizione della guerra non la si può imporre con le armi: dobbiamo – prima, durante e dopo – disarmare i cuori, le menti, il linguaggio, la cultura, le relazioni, la gestione della polis.



Thomas Merton (Prades 1915 – Bangkok 1968), monaco trappista e scrittore statunitense, ha saputo trasformare la sua ricerca spirituale in un ponte per il dialogo con il mondo moderno e le religioni orientali, dando voce all’anelito universale alla pace.


Chiesa monastica di Bose - foto tratta da commons.wikimedia.org