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Perché il nome Francesco?


di 

Silvano Magnelli

 

Ci stiamo avvicinando, quasi ci siamo, al decennale dell’elezione a Papa del Cardinale Bergoglio, che si è dato un nome imprevisto. 

Non erano passati tre giorni da quel giorno che nel salotto di Porta a Porta, un dichiarato non credente come Massimo Cacciari, rispondendo a due giornalisti anticipatori dei futuri critici, chiedeva loro ad alta voce: “Ma vi rendete conto che ha scelto il nome Francesco? Capite che enorme significato ha questo nome e dove porta?”. 

Da subito un esterno alla Chiesa aveva colto il fulcro fiammeggiante di una scelta originale, densa di domande, piena di progettualità trasformante, un nuovo ponte tra il mondo e la Chiesa e soprattutto tra il mondo dei dimenticati, dei non considerati, delle vittime e la Chiesa. 

Già perché il Papa ha voluto chiamarsi Francesco? 

Eppure fin dal primo discorso ufficiale era stato molto chiaro: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri! Per questo mi chiamo Francesco, come Francesco d’Assisi, uomo di povertà, uomo di pace”. 

Il suo primo pensiero da Pontefice fu quello di recarsi nella casa dove era stato ospite durante il Conclave a saldare il conto dell’albergo. 

I gesti, i segni, gli atteggiamenti sono sotto gli occhi di tutti. Aumento di servizi ai senza tetto romani e non solo, visite nelle case di anziani in difficoltà, telefonate a famiglie con seri problemi di salute, ascolto, già cominciato da Papa Benedetto, delle vittime di abusi fatti da uomini di Chiesa, nomina di donne di valore in alcuni dicasteri vaticani, accoglienza delle minoranze perseguitate ovunque, indipendentemente dalla loro religione o etnia. 

Come non ricordare poi nei giorni dello scandaloso naufragio a Crotone che la prima visita pubblica di Papa Francesco è stata a Lampedusa e che l’attenzione da lui riservata ai migranti ha avuto sempre il primato nei suoi appelli purtroppo veritieri sul Mediterraneo come il più grande cimitero sommerso dalle acque? 

Rimane una domanda al momento senza risposta rivolta ai suoi critici, soprattutto se sedicenti cattolici. Esiste un qualche contrasto con lo spirito del Vangelo di Gesù di Nazareth in quei gesti, in quelle scelte di preferenza ai diseredati della terra e allo sbandamento ecologico, in quelle condanne di ogni violenza al mondo, di ogni commercio di armi (ormai rimasto l’unico al mondo a parlarne) e di smercio di denaro sporco malavitoso? 

Forse sarebbe meglio, specie per chi si dice cristiano, di esserlo più che di dirlo, visto che tutti abbiamo bisogno di misericordia, e di essere più simili al pubblicano della parabola di Gesù, che nel tempio non osava alzare lo sguardo, conscio delle sue colpe, che non simili al fariseo, che si vantava di essere lui un bravo osservante delle regole religiose, ma senza umanità e misericordia, per cui il pubblicano uscì giustificato dal tempio, mentre il fariseo no.